SENTENZA N. 77
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 169, primo, terzo, quarto e quinto comma, del codice di procedura penale, nonché del predetto art. 169, quinto comma, in relazione agli artt. 507, secondo comma, e 509, terzo comma, dello stesso codice, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 marzo 1970 dal tribunale di Sondrio nel procedimento penale a carico di Algeri Giuseppe, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 136 del 3 giugno 1970;
2) ordinanza emessa il 12 marzo 1970 dal tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Masino Guido ed altri, iscritta al n. 189 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1970;
3) ordinanza emessa il 29 aprile 1970 dal pretore di Trieste nel procedimento penale a carico di Callegari Angelo, iscritta al n. 241 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 16 settembre 1970;
4) ordinanza emessa il 3 marzo 1970 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Faranda Gaetano, iscritta al n. 89 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 28 aprile 1971;
5) ordinanza emessa il 4 settembre 1971 dal pretore di Sampierdarena sull'incidente di esecuzione proposto da Candela Giuseppe, iscritta al n. 419 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16 del 19 gennaio 1972.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Callegari Angelo;
udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1972 il Giudice relatore Enzo Capalozza;
uditi l'avv. Guido Tiberini, per il Callegari, ed i sostituti avvocati generali dello Stato Giorgio Azzariti e Umberto Tarin, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Giuseppe Algeri, condannato in contumacia il 21 novembre 1969 dal tribunale di Sondrio per delitti di contrabbando e frode di I.G.E., proponeva appello con atto del 3 dicembre 1969 avverso la sentenza che gli era stata notificata il 26 novembre 1969, ai sensi dell'art. 169, ultimo comma, del codice di procedura penale, assumendo di aver ritirato solo il giorno precedente il relativo estratto nella casa comunale.
Con ordinanza del 23 marzo 1970, pronunziata in camera di consiglio, il tribunale, in luogo di dichiarare l'inammissibilità del gravame per tardiva proposizione, riteneva rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale del citato ultimo comma dell'art. 169, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Sulla non manifesta infondatezza della questione, il tribunale, dopo aver precisato che la notificazione di cui alla norma denunziata si perfeziona con il deposito dell'atto nella casa comunale e col successivo inoltro dell'avviso all'interessato, osserva che la decorrenza del termine di tre giorni, per la proposizione dell'appello, dalla data in cui l'avviso é stato spedito, anziché dal giorno successivo a quello in cui l'interessato abbia avuto effettiva notizia della sentenza, contrasterebbe con le garanzie costituzionali del diritto di difesa; e ciò sia perché la comunicazione deve contenere soltanto l'avviso del deposito, senza la menzione degli estremi della sentenza, sia per l'eventuale susseguirsi di giorni festivi o per altri possibili inconvenienti (scioperi, disguidi postali, ecc.) tra la spedizione dell'avviso e la scadenza del terzo giorno utile.
Il tribunale si richiama anche alla sentenza n. 34 del 1970 di questa Corte, con la quale é stato dichiarato illegittimo l'art. 297 cod. proc. civ., nella parte in cui, per la fissazione della nuova udienza, dopo la sospensione del processo civile, faceva decorrere il termine dal momento di cessazione della causa di sospensione, anziché da quello in cui le parti ne hanno conoscenza.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte.
2. - Analoga questione, in riferimento al medesimo precetto costituzionale, limitatamente, però, al giudizio per decreto, é stata sollevata, in relazione agli artt. 507, secondo comma, e 509, terzo comma, cod. proc. pen., dal pretore di Trieste, con ordinanza del 29 aprile 1970, nel corso di un procedimento penale a carico di Angelo Callegari, condannato con un decreto penale, notificato presso la casa comunale, avverso il quale l'interessato aveva tardivamente proposto opposizione, adducendo che, durante tutto il decorso del termine di legge, era stato assente dalla propria abitazione.
Osserva il pretore che il sistema delle notificazioni degli atti processuali, previsto dalla norma denunziata, mentre non comporterebbe violazione delle garanzie costituzionali nell'ambito del procedimento penale ordinario - poiché qui la difesa dell'imputato resterebbe assicurata dall'attività del suo difensore - potrebbe, invece, arrecare grave vulnerazione delle dette garanzie, nell'ipotesi della notifica del decreto di condanna. Infatti, quest'ultimo - che ha pure la funzione di contestazione dell'accusa - qualora non sia portato a conoscenza effettiva dell'interessato, si concluderebbe con la condanna irrevocabile, senza che né l'imputato né il suo difensore siano stati posti in grado di svolgere alcuna attività difensoriale.
Nel giudizio innanzi a questa Corte, si é costituita la difesa della parte privata, con atto depositato il 29 maggio 1970, nel quale, oltre ad illustrare e ribadire gli argomenti addotti nell'ordinanza di rimessione, prospetta la violazione dell'art. 16 Cost. e si richiama inoltre all'art. 3, lett. a) e h), della Convenzione sui diritti e le libertà fondamentali, ratificata con legge 4 agosto 1959, n. 848.
3. - Nel corso di un incidente di esecuzione proposto da Giuseppe Candela, relativamente ad una sentenza di condanna, pronunziata in sua contumacia e notificata mediante consegna dell'estratto ad un suo familiare affetto da neurastenia, il pretore di Sampierdarena, con ordinanza del 14 settembre 1971, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della norma contenuta nel quarto comma dell'art. 169 cod. proc. pen., nella parte in cui limita il divieto di consegna della copia dell'atto a chi sia affetto da infermità mentale che sia palese. Egli osserva che, mentre in questo caso é logico che viga il divieto di consegna, indipendentemente dalla sussistenza della malattia, sarebbe illogico che fosse valida la notificazione quando l'infermità sia reale e non palese.
Aggiunge che la disposizione denunziata darebbe luogo ad una disparità di trattamento, oltre che ad una ingiustificata limitazione del diritto di difesa, perché non consentirebbe all'interessato di fornire successivamente la prova della non palese infermità psichica della persona che ricevette la notificazione.
Rileva in particolare che la neurastenia, pur essendo una grave forma di malattia mentale, che rende il paziente incapace di raccogliere le idee e di esplicare attività richiedenti attenzione e riflessione, e pur comportando perdite di memoria, non potrebbe ritenersi malattia "palese", dato che i sintomi esteriori di essa non sarebbero marcati ed univoci, per cui ben difficilmente verrebbero avvertiti nel corso di un fugace colloquio.
Nel giudizio innanzi a questa Corte, nel quale non vi é stata costituzione della parte privata, é intervenuto il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 20 novembre 1971, con cui chiede che la questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura deduce che, stante la diversità di situazioni in cui viene a trovarsi l'ufficiale giudiziario quando il consegnatario é manifestamente infermo di mente e quando, invece, ha tutta l'apparenza della persona normale, non sussisterebbe la pretesa disparità di trattamento. Né sarebbero violati i diritti di difesa, in quanto, secondo la giurisprudenza, la capacità del consegnatario é da presumere fino a prova contraria.
4. - Con ordinanza del 12 marzo 1970, emessa nel corso di un procedimento penale, il tribunale di Torino poneva in dubbio la legittimità costituzionale dell'art. 169, primo comma, cod. proc. pen., in riferimento all'art. 15, primo comma, Cost., assumendo che la notificazione del decreto di citazione all'imputato, effettuata mediante consegna di copia dell'atto al portiere, non offrirebbe cautele idonee ad evitare la violazione della segretezza della corrispondenza.
Ad avviso del tribunale, nell'ambito di tale concetto, rientrerebbe ogni specie di comunicazione, anche quella effettuata ai privati dall'Amministrazione della giustizia.
Mancando, poi, un atto motivato dell'autorità giudiziaria, non sarebbe operante la limitazione posta dal capoverso del citato art. 15 della Costituzione.
Nel giudizio innanzi a questa Corte, nel quale la parte privata non si é costituita, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato e intervenuto con atto depositato il 21 luglio 1970, chiede che la questione sia dichiarata non fondata.
L'Avvocatura afferma, anzitutto, che il diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza, unitamente agli altri diritti attinenti alla sfera inviolabile della persona umana, assumerebbe dignità di garanzia costituzionale soltanto nei confronti della pubblica autorità, e non anche nei confronti di un privato cittadino, quale é il portiere consegnatario della notificazione.
Esclude, pertanto, che il concetto di comunicazione, contenuto nel precetto costituzionale, possa comprendere la citazione per il giudizio penale. E deduce, altresì, che tale atto processuale, lungi dall'essere riservato alla conoscenza di una o più persone determinate, sarebbe destinato alla più ampia pubblicità, come si desumerebbe anche dalla giurisprudenza di questa Corte sulle norme concernenti le udienze dibattimentali e la pubblicazione degli atti del processo penale.
Sostiene, inoltre, l'Avvocatura che, anche a voler comprendere la citazione nell'ambito della protezione garantita dall'art. 15 Cost., la disciplina del segreto della corrispondenza andrebbe desunta dalla legislazione ordinaria, che prevede l'invio di corrispondenza aperta e per questa non ipotizza la violazione del segreto epistolare.
Tanto meno sussisterebbe una violazione del genere nel caso della norma denunziata, in quanto frutto di una scelta dello stesso legislatore, per meglio garantire la conformità all'originale della copia consegnata.
L'Avvocatura aggiunge, infine, che sarebbe da escludere la violazione di qualsiasi altro precetto costituzionale, pur se si volesse ammettere l'esistenza di un diritto generale alla riservatezza, e che, con la disposizione censurata, il legislatore avrebbe risolto un problema di opportunità politica, considerando preminenti le esigenze di buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia sull'interesse privato alla riservatezza.
5. - Analoga questione di legittimità dello stesso art. 169, primo comma, cod. proc. pen. é stata sollevata, in riferimento agli artt. 2, 15 e 27 Cost., dal pretore di Milano, con ordinanza del 3 marzo 1970, emessa nel corso di un procedimento penale a carico di Gaetano Faranda.
Nell'ordinanza si sostiene che la notificazione del decreto di citazione a giudizio rientrerebbe nella tutela dell'art. 15 Cost.; e si aggiunge che il diritto alla segretezza della corrispondenza sarebbe da annoverare fra i diritti inviolabili dell'uomo.
Il principio della presunzione di non colpevolezza dell'imputato fino alla condanna definitiva subirebbe pregiudizio dalla denunziata disposizione; né potrebbe farsi affidamento sulla discrezione del portiere, il quale, tra l'altro, é soggetto all'obbligo di ottemperare ad ogni richiesta dell'autorità di pubblica sicurezza, ai sensi dell'art. 113, secondo comma, del regolamento per l'esecuzione del T.U. del 1931, n. 773 Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte.
Considerato in diritto
1. - Le cinque ordinanze attengono tutte a dubbi di legittimità costituzionale, sotto profili diversi, dell'art. 169 del codice di procedura penale e, pertanto, le cause possono essere riunite e decise con unica sentenza.
2. - Sono censurati: a) il primo comma dell'art. 169 cod. proc. pen., in riferimento all'art. 15, primo comma, della Costituzione, perché la notificazione mediante consegna di copia dell'atto al portiene non offrirebbe cautele idonee a garantire la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (ord. tribunale Torino 12 marzo 1972); b) insieme al primo, anche il terzo comma, in riferimento agli artt. 2, 15 e 27 Cost., per lo stesso ordine di motivi, oltre che per l'obbligo del portiere di ottemperare ad ogni richiesta dell'autorità di pubblica sicurezza (ord. pretore Milano 3 marzo 1970); c) il quarto comma, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. perché non sarebbe consentito al destinatario della notificazione di fornire la prova della non palese infermità di mente del consegnatario (ord. pretore Sampierdarena 4 settembre 1971); d) il quinto comma, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., in quanto, nel caso di notificazione mediante deposito dell'atto nella casa comunale, si avrebbe decorrenza dei termini per l'impugnazione dalla data di inoltro dell'avviso di avvenuto deposito, e non da quella della conoscenza del provvedimento da impugnare (ord. tribunale Sondrio 23 marzo 1970); e) ancora il quinto comma, in relazione agli artt. 507, secondo comma, e 509, terzo comma, cod. proc. pen., e cioé limitatamente all'ipotesi di opposizione a decreto penale di condanna, in riferimento allo stesso art. 24, secondo comma, Cost. (ord. pretore Trieste 29 aprile 1970).
3. - Quanto alla violazione, denunziata dal pretore di Milano e dal tribunale di Torino, dell'art. 15 della Costituzione, non é da accogliersi l'assunto dell'Avvocatura dello Stato - conforme ad un'autorevole giurisprudenza -, secondo cui la segretezza della corrispondenza e di ogni comunicazione non può richiedersi nel campo penale, ove dominano principi opposti, tra i quali vi é quello della pubblicità del procedimento e degli atti ad esso inerenti.
A prescindere dalla regola, tuttora vigente, del segreto istruttorio (seppure reso, almeno di fatto, meno rigoroso dall'introduzione dell'avviso di procedimento, con l'art. 8 della legge 5 dicembre 1969, n. 932, che ha modificato l'art. 304 cod. proc. pen.), certo non può dirsi che sia nell'interesse dell'imputato la pubblicità data ad una sentenza di condanna, mentre - come la Corte ritiene suo dovere sottolineare - é di gravissimo pregiudizio morale (e spesso anche economico) la diffusione della notizia che taluno sia indiziato di reato (magari tanto ingiustamente, ehe potrebbe seguire la pronunzia di non promovimento dell'azione penale per infondatezza dell'accusa: art. 74, terzo e quarto comma, cod. proc. pen.).
Sono le modificazioni apportate con la "novella" del 1969 ad anticipare la fase di una (relativa) pubblicità degli atti processuali; e la notificazione al portiere (o a chi ne fa le veci) non vulnera la segretezza più che non facciano altre norme dirette, nelle intenzioni, a garantire l'incolpato (e le altre parti private).
La legge di riforma 18 giugno 1955, n. 517, inserendo un nuovo terzo comma nell'art. 169 cod. proc. pen. (sostanzialmente identico al quarto comma dell'art. 139 cod. proc. civ.), con cui si richiede che il portiere sottoscriva l'originale dell'atto notificato e che l'ufficiale giudiziario dia notizia al destinatario, con lettera raccomandata, dell'avvenuta notificazione, vuole raggiungere, a favore dell'interessato, il duplice intento di consentire il controllo del portiere sulla conformità all'originale della copia consegnatagli e di dare al destinatario una maggiore possibilità di conoscenza dell'avvenuta consegna.
V'é da aggiungere che, alla stregua delle norme di autonomia collettiva, tra gli obblighi del portiere (disciplinarmente sanzionati) vi é quello della più assoluta discrezione sulla vita famigliare e sulle condizioni economiche del proprietario e degli inquilini e su quanto altro li riguarda.
Né va, inoltre, taciuto che il portiere deve ottenere, con autorizzazione amministrativa, l'iscrizione in apposito registro tenuto dall'autorità locale di pubblica sicurezza - iscrizione che va rinnovata ogni anno e che é suscettiva di rifiuto e di revoca - (artt. 62 del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773, e 111-114 del relativo regolamento 6 maggio 1940, n. 635).
Non rileva l'argomento che il pretore di Milano trae, a sostegno dell'incostituzionalità, dall'art. 113, secondo comma, del regolamento di pubblica sicurezza, che fa obbligo ai portieri di corrispondere ad ogni richiesta dell'autorità di polizia, in quanto, a parte che é piuttosto strano pensare che questa autorità abbia bisogno di rivolgersi a un portiere per avere notizie di procedimenti penali in corso, si tratterebbe, se mai, di un problema di limiti dell'obbligo imposto dalla norma regolamentare e anche di contemperamento tra obblighi concorrenti ed opposti.
Il dovere incombente sul portiere di corrispondere alle richieste dell'autorità di pubblica sicurezza non é incondizionato né illimitato, concernendo le sole richieste che traggano origine da un'attività di istituto di essa autorità e che siano fatte nel pieno rispetto delle forme previste dalla legge.
D'altronde, non é a dubitare che il presidio dell'art. 15 Cost. sia operante contro le intrusioni dei privati, oltreché contro quelle dei pubblici poteri (sentenza n. 122 del 1970 di questa Corte).
Escluso, così, che la consegna dell'atto processuale al portiere importi di per sé violazione dell'art. 15, primo comma, Cost., diventa superfluo l'eventuale ricorso al secondo comma.
4. - Non sono richiamati a proposito, rispetto al medesimo art. 169, primo e terzo comma, cod. proc. pen., gli artt. 2 e 27 della Costituzione.
Non l'art. 2, dappoiché una volta esclusa la violazione dell'art. 15, che tutela il diritto fondamentale al segreto della corrispondenza e delle altre comunicazioni, viene automaticamente esclusa la violazione dell'art. 2, che quel diritto ricomprende (citata sentenza n. 122 del 1970).
Non l'art. 27, dappoiché l'eventuale rivelazione di notizie concernenti atti processuali relativi agli indiziati di reato e agli imputati non incide sulla presunzione di non colpevolezza, proprio alla stregua della sostanziale differenza, posta a base di esso precetto costituzionale, tra indiziato e imputato, da un lato, e colpevole, dall'altro.
5. - L'ammissibilità (contestata dal pretore di Sampierdarena) della notifica a chi non é palesemente infermo di mente non viola l'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Giustificata che sia - per ragionevoli o addirittura imprescindibili esigenze imposte dal carattere stesso e dagli scopi del rito penale - la notificazione non a mani proprie, non si può richiedere all'ufficiale notificatore (ufficiale giudiziario: articolo 21, n. 1, r.d. 28 maggio 1931, n. 603; aiutante dell'ufficiale giudiziario: artt. 32 e 33 d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229; messo di conciliazione: art. 34, primo comma, stesso decreto; agente di polizia giudiziaria: art. 166, quinto comma, cod. proc. pen., aggiunto dall'art. 11 d.lg.lgt. 5 ottobre 1945, n. 679) la competenza tecnica di uno specialista in psichiatria né lo svolgimento di alcuna indagine sulla capacità di chi riceve l'atto, ma solo quella comune diligenza ed avvedutezza che consente di avvertire lo stato di amentia, rivelata da evidenti e inequivocabili manifestazioni.
Per la pretesa violazione dell'art. 3 Cost., esattamente ha replicato l'Avvocatura dello Stato che non é a parlarsi di diversità di trattamento in casi (sostanzialmente) eguali, essendo, all'opposto, diversa la situazione in cui viene a trovarsi l'ufficiale giudiziario quando il consegnatario sia palesemente infermo di mente e quando abbia tutta l'apparenza della persona normale.
Gli inconvenienti, del resto, sono in pratica pressoché eliminati dalla tempestiva nomina del difensore, il quale, nel sistema del codice di rito, deve essere informato degli atti processuali riguardanti il suo assistito.
D'altro canto, soccorre l'art. 183 bis cod. proc. pen. sulla restituzione in termini; ché, quantunque la giurisprudenza sia estremamente restrittiva nella sua interpretazione, non può giungersi a negare la stessa ragion d'essere della norma, che é quella di rendere possibile l'esercizio del diritto di difesa, allorché l'interessato sia incorso in una decadenza, per non aver osservato un termine per caso fortuito o per forza maggiore.
Orbene, qualora la consegna dell'atto sia stata fatta a chi, per essere infermo di mente, non ne ha avvertito l'importanza, in conseguenza di che non ha provveduto a rimetterlo al destinatario, la presunzione di conoscenza dell'atto ritualmente notificato (cioé notificato nella forma e alla persona indicata nell'art. 169 cod. proc. pen.) non può essere assoluta, ma deve avere un limite invalicabile proprio nell'art. 24, secondo comma, Cost., che, garantendo la difesa, presuppone, ovviamente, che l'interessato sia posto in grado di potersi difendere.
Il che non si verifica se l'atto non viene a conoscenza di lui, per essere stato consegnato (legittimamente) a un demente.
Sarebbe incongruo che l'infermo totale di mente, il quale, non avendo capacità di intendere e di volere, non é imputabile e non incorre nelle pene comminate per i reati che abbia a commettere (art. 85 cod. pen.), sia ritenuto perfettamente compos sui, allorché la sua incapacità di intendere e di volere pregiudichi tanto gravemente il diritto del terzo di difendere la sua innocenza, cioé la sua libertà, e per di più, con divieto d'ingresso alla prova contraria.
Come é noto, la giurisprudenza ammette che l'interessato possa provare che, al momento della consegna della copia dell'atto, il consegnatario era affetto da infermità mentale palese, ai fini dell'accertamento della nullità della notificazione (articolo 179 cod. proc. pen.). Orbene, non é concepibile che, non potendo essere inficiata di nullità la consegna a persona non palesemente inferma di mente (ché sarebbe efficace solo la prova della palese infermità), la sua regolarità formale si risolva in una finzione giuridica, ostativa persino della rimessione in termini, allorché l'infermità effettiva, ma non palese, abbia determinato la distruzione o la distrazione o l'occultamento o, comunque, la mancata consegna dell'atto, con irreparabile danno del destinatario.
6. - A una pronunzia di illegittimità parziale deve, per contro, pervenirsi quanto alle denunce che investono, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., l'ultimo comma dell'art. 169 cod. proc. pen. (ordinanza del tribunale di Sondrio e, limitatamente al caso di notificazione del decreto penale di condanna, ordinanza del pretore di Trieste).
Il principio della decorrenza dei termini - a qualsiasi effetto siano posti - dalla data della conoscenza dell'atto o della situazione processuale, da parte dell'interessato, é stato già accolto da questa Corte con sua sentenza n. 34 del 1970 in tema di cessazione della causa di sospensione del processo civile (art. 297 cod. proc. civ.).
É risaputo che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, in conformità alla dizione della norma (l'art. 179 cod. proc. pen. commina la nullità per la mancata comunicazione dell'avviso di deposito con lettera raccomandata, non per il mancato ricevimento), la notificazione effettuata ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 169 cod. proc. pen. si perfeziona con l'invio dell'avviso raccomandato, all'interessato, dell'avvenuto deposito dell'atto nella casa comunale, cosicché i termini stabiliti dalla legge, rispetto alla notificazione, decorrono dal momento in cui la raccomandata risulta spedita.
Tuttavia, tale comunicazione può risultare vana, vuoi, in via generale, per la ristrettezza dei termini (tre giorni per la dichiarazione di impugnazione, cinque giorni per l'opposizione a decreto penale), vuoi per motivi contingenti (ritardata distribuzione della posta ecc.), sì da rendere impossibile l'esercizio del diritto di difesa.
Ne consegue che la norma deve essere dichiarata illegittima nella parte in cui considera effettuata la notifica per deposito alla data d'inoltro dell'avviso al destinatario, e non a quella di ricezione.
Se é pur vero che, a differenza dell'art. 140 cod. proc. civ., l'art. 169, ultimo comma, cod. proc. pen. non prescrive la raccomandata con ricevuta di ritorno, sicché la prova della ricezione e della data di ricezione non risulta dall'incartamento processuale, é altrettanto vero che tale prova può essere data agevolmente mediante il controllo del registro delle consegne delle raccomandate e la relativa certificazione dell'ufficio postale. Sarebbe, del resto, auspicabile, per maggior sicurezza e speditezza di controllo - anche in assenza di disposizione legislativa - che la spedizione avvenisse per raccomandata con avviso di ricevimento.
L'accenno contenuto nell'ordinanza del tribunale di Sondrio alla "effettiva conoscenza" dell'atto depositato nella casa comunale, ai fini della decorrenza dei termini, non può indurre la Corte ad adottare una soluzione in tal senso: la garanzia costituzionale non si estende sino al punto di sollevare il notificando dall'onere di ritirare l'atto.
7. - La dichiarazione di parziale illegittimità dell'art. 169, quinto comma, cod. proc. pen. assorbe la questione relativa alla spedizione della raccomandata che comunica l'avvenuto deposito del decreto penale di condanna.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 169, quinto comma, del codice di procedura penale, limitatamente alla parte in cui considera effettuata la notificazione per deposito nella casa comunale alla data di inoltro dell'avviso al destinatario, anziché alla data di ricezione;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 169, primo e terzo comma, del codice di procedura penale, sollevate, quanto al primo comma, in riferimento all'art. 15, primo comma, della Costituzione, dal tribunale di Torino e, quanto al primo e terzo comma, in riferimento agli artt. 2, 15 e 27 della Costituzione, dal pretore di Milano con le ordinanze in epigrafe;
3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169, quarto comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Sampierdarena con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1972.
Giuseppe CHIARELLI - Enzo CAPALOZZA
Depositata in cancelleria il 4 maggio 1972.