Sentenza n. 34 del 1970
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SENTENZA N. 34

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 297 del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 febbraio 1968 dal tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Politi Evangelista e Gallo Stefano, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;

2) ordinanza emessa il 7 marzo 1969 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Dalpiaz Lorenzo e Sapienza Francesco, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969.

Visti gli atti di costituzione di Politi Evangelista e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 gennaio 1970 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da Evangelista Politi davanti al tribunale di Palermo nei confronti di Stefano Gallo, il giudice istruttore informava il procuratore della Repubblica presso lo stesso tribunale che erano apparsi dei fatti che concernevano il Gallo ed una terza persona, Pietro Bosco, e nei quali potevano ravvisarsi gli estremi del reato. Rimessa successivamente la causa al collegio, questo, rilevato che in dipendenza di quel rapporto era stata iniziata l'azione penale a carico del Gallo per corruzione e tentata frode nelle pubbliche forniture e ritenuto che la cognizione del reato influiva sulla decisione della controversia civile, sospendeva il processo fino all'esito del giudizio penale, a sensi dell'art. 3 del codice di procedura penale e dell'art. 295 del codice di procedura civile.

Il giudizio penale veniva definito con sentenza della corte di appello di Palermo del 4 aprile 1966, che, a seguito, della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal Gallo, diveniva irrevocabile il 19 luglio successivo.

Il Politi, con ricorso del 20 febbraio 1967, chiedeva al presidente del tribunale la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del processo, rilevando che della conclusione del giudizio penale era venuto a conoscenza soltanto all'atto della presentazione del ricorso stesso e che in quel giudizio non era stato parte né aveva avuto alcun interesse diretto o indiretto da far valere.

All'udienza collegiale del 2 febbraio 1968, dopo che la causa aveva subito vari rinvii, il Politi eccepiva l'illegittimità costituzionale degli artt. 297, 305 e 307 del codice di procedura civile, nonché degli artt. 27 e 28 del codice di procedura penale, in riferimento, rispettivamente, agli artt. 24 e 3 della Costituzione.

Il tribunale, con ordinanza dell'8 febbraio 1968, mentre dichiarava manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 del codice di procedura penale, deferiva a questa Corte "la questione della legittimità costituzionale dell'art. 297 del codice di procedura civile nella parte in cui, coordinandosi con il precedente art. 295 e con l'art. 3 del codice di procedura penale, fa decorrere il termine per la riassunzione del processo sottoposto a sospensione necessaria dalla data della cessazione della causa di sospensione, indipendentemente dalla conoscenza che l'interessato alla riassunzione ne abbia".

2. - Il tribunale osservava che la sollevata questione era evidentemente rilevante e non manifestamente infondata e che il caso presentava note di sostanziale somiglianza con quello esaminato e deciso con la sentenza n. 139 del 1967 di questa Corte, con cui era stata dichiarata la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 305 del codice di procedura civile in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

Il termine semestrale entro il quale il giudizio può essere proseguito o riassunto secondo il tribunale , verrebbe fatto decorrere "direttamente dal verificarsi di avvenimenti che possono essere ignorati dalla parte interessata, in quanto esorbitanti dalle sue ordinarie occupazioni ed esperienze e non fatti oggetto di obblighi od oneri di notifiche o comunicazioni alla parte stessa, a carico di chicchessia".

Questo sistema acquisterebbe speciale rilievo nelle ipotesi in cui la parte colpita é attrice e l'ignoranza del dies a quo del termine per la riassunzione può determinare il passaggio in giudicato della sentenza impugnata o (come nella specie) l'esecutività dell'ingiunzione opposta.

La difesa, in sostanza, non sarebbe garantita in relazione alla vicenda della sospensione, giacché questa sarebbe ordinata in maniera produttiva di svantaggio ad alcuno dei contendenti.

Infatti la parte estranea al processo dalla cui esistenza la sospensione dipende, verrebbe a trovarsi in obiettiva difficoltà, superabile soltanto con l'impiego di una diligenza più che normale e in una posizione di svantaggio rispetto alle parti che in quel processo, invece, siano direttamente impegnate, in ordine alla necessità di avere tempestiva notizia dell'evento giuridico da cui il corso del termine per la riassunzione prende automaticamente avvio.

3. - La stessa questione di legittimità costituzionale veniva sollevata d'ufficio dal pretore di Milano, con ordinanza del 7 marzo 1969, nel procedimento civile vertente tra Lorenzo Dalpiaz e Francesco Sapienza.

Il Dalpiaz aveva chiesto la condanna del Sapienza al risarcimento dei danni conseguenti ad incidente automobilistico ed il processo era stato sospeso in attesa della definizione del giudizio penale a carico del convenuto per le lesioni che questi avrebbe causato al Dalpiaz in quell'incidente.

Dopo che, con sentenza passata in giudicato il 20 ottobre 1966, il reato ascritto al Sapienza era stato dichiarato coperto dall'amnistia del 1966, il Dalpiaz aveva chiesto la riassunzione del giudizio civile ma vi aveva proceduto con ricorso notificato il 22 dicembre 1967 al di là del termine di sei mesi previsto dall'art. 297 del codice di procedura civile. Il pretore, stante ciò, avrebbe dovuto dichiarare l'estinzione del processo civile, ma come si é sopra detto, riteneva rilevante per la specie e non manifestamente infondata l'anzidetta questione di legittimità costituzionale.

Ricordato che codesta questione trovavasi già all'esame della Corte costituzionale, a seguito dell'ordinanza dell'8 febbraio 1968 del tribunale di Palermo, concordava con quel giudice nel ritenere sostanzialmente violati i diritti della difesa "in quanto il termine a quo é fatto decorrere da eventi che, non oggetto di oneri di notifiche o comunicazioni, possono essere ignorati dalla parte interessata cui verrebbe ad imporsi, tramite la normativa surrichiamata, un onere di diligenza ben superiore a quello medio".

4. - Le due ordinanze venivano regolarmente notificate, comunicate e pubblicate.

Davanti a questa Corte, nella causa promossa dal pretore di Milano, non si é costituita nessuna delle parti e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Nella prima causa, invece, si costituiva una delle parti private, il Politi, a mezzo degli avvocati Luigi Maniscalco Basile e Carlo Fornario, con deduzioni depositate il 20 maggio 1968, e spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 23 luglio 1968.

5. - L'Avvocatura, dopo avere richiamato i principi enunciati nella citata sentenza n. 139 del 1967 di questa Corte, osservava che la fattispecie allora considerata era radicalmente diversa da quella prevista e disciplinata dall'art. 297 del codice di procedura civile, e in particolare che due sarebbero gli elementi di caratterizzazione e quindi di differenziazione: "La conoscenza che le parti hanno del fatto interruttivo" e "la continuità dell'assistenza tecnica".

Mentre, infatti, l'evento interruttivo (costituito dalla morte o dall'impedimento del procuratore) può restare ignorato alle parti, con la conseguenza che, ad insaputa di queste, può aversi il passaggio in giudicato o la esecutività, rispettivamente, della sentenza impugnata o dell'ingiunzione opposta, e ciò, specificamente, in contrasto con l'esigenza che sia protetta la parte rimasta priva dell'assistenza del procuratore, nel caso della sospensione, questa é disposta con provvedimento del giudice, il quale rende le parti consapevoli della sospensione del processo e delle ragioni che l'hanno determinata. Da ciò deriva che il verificarsi dell'evento dal quale la legge fa decorrere il termine per la riassunzione del processo, rientra tra le cose prevedibili e previste (quanto meno rispetto all'an) dalle parti e, perché queste ne vengano a conoscenza, é sufficiente che usino la normale ed abituale diligenza.

D'altro canto codesta impostazione troverebbe convalida, sul piano della valutazione complessiva del fenomeno, nella circostanza che, pur in presenza della sospensione, le parti non restano prive dello ius postulandi e continuano, anzi, ad essere assistite dai loro procuratori costituiti ai quali spetta, in non difficile adempimento del mandato ricevuto, di seguire l'andamento del processo che ha causato la sospensione e di provvedere per la prosecuzione del processo sospeso.

La norma impugnata, perciò, secondo l'Avvocatura, non risulterebbe sotto nessun verso in contrasto con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

E per le stesse ragioni sarebbe del pari escluso il contrasto con l'art. 3. L'art. 297 del codice di procedura civile infatti non tratterebbe diversamente i soggetti del processo civile sospeso, "in quanto l'accento della disposizione non va posto sulla eventualità che uno dei soggetti non sia parte del procedimento che ha causato la sospensione e non sia perciò ufficialmente informata del suo esito" e perché "simile eventualità costituisce mera accidentalità rispetto alla circostanza che a tutte le parti nella causa civile é stato reso noto il provvedimento di sospensione e tutte continuano ad esercitare lo ius postulandi nel momento in cui viene a cessare la causa della sospensione e dal quale comincia a decorrere il termine perentorio per la prosecuzione del processo".

6.- La difesa del Politi, con le deduzioni e con la memoria depositata il 14 gennaio 1970, si dichiarava di contrario avviso e sosteneva la fondatezza della sollevata questione.

Deduceva che il nostro sistema processuale sarebbe caratterizzato "dalla imposizione alle parti di una serie di oneri e di termini alla cui mancata osservanza vengono ricollegate decadenze e preclusioni" e che in un sistema del genere, "se si vuole garantire alle parti la possibilità di ottenere la pronuncia di merito che costituisce il fine del processo, si deve ammettere come inderogabile presupposto per la decorrenza di un termine cui siano riconnesse decadenze o preclusioni, che l'evento cui la decorrenza é collegata sia portato a conoscenza delle parti".

Se si ritenesse diversamente, "si verrebbe a subordinare la possibilità della parte di ottenere giustizia a circostanze non dipendenti dalla volontà della parte stessa, ovvero allo svolgimento di una attività (la continua indagine circa il verificarsi di fatti cui si ricolleghino termini perentori) così gravosa da costituire un irragionevole ed insopportabile onere per le parti litiganti".

Coerentemente ai detti principi, il codice di procedura civile prevede generalmente che degli eventi processuali cui é collegata la decorrenza di termini per una parte con oneri e conseguenti decadenze e preclusioni, sia data comunicazione o notizia a cura dell'ufficio o ad opera dell'altra parte. L'art. 297 del codice di procedura civile, invece, fa decorrere il termine per la riassunzione dei processi sospesi ai sensi dell'art. 295 o dell'art. 3 del codice di procedura penale, dalla cessazione della causa di sospensione, indipendentemente dalla conoscenza che di tale cessazione abbia avuto la parte interessata alla riassunzione.

La norma, oggetto di denuncia, sarebbe, quindi, illegittima costituzionalmente, perché l'art. 24 della Costituzione garantisce a tutti la possibilità di adire il giudice e di ottenere una pronuncia di merito sulla propria pretesa, e di non vedersi preclusa tale possibilità se non in conseguenza di fatti od omissioni addebitabili a chi si avvalga di quel diritto; e l'art. 297, come si é detto, ricollega l'estinzione del processo al verificarsi di un fatto obiettivo, non dipendente dalla volontà della parte ed ignoto alla parte medesima.

In secondo luogo, perché non é assicurata l'integrale utilizzabilità del termine concesso per la riassunzione. Ed infine perché, con la notata disciplina (e sotto questo profilo sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione) si dà luogo ad una ingiustificata disparità tra i cittadini dato che si "rende più gravoso per alcuni di loro quelli i cui giudizi vengono sospesi ai sensi dell'art. 295 del codice di procedura civile che per la maggioranza l'esercizio del diritto di ottenere giustizia" e dato che tra le stesse parti del processo civile sospeso, si pone in una evidente posizione di svantaggio quella che non abbia la stessa veste nel processo pregiudiziale.

Osservava ancora la difesa del Politi che in pratica il disposto dell'art. 297 é tale da lasciare le parti sotto la minaccia di una decadenza non sempre evitabile con l'ordinaria diligenza. Sopra la parte del processo civile che non sia tale in quello penale (o nel procedimento civile o amministrativo) pregiudiziale, infatti, grava l'onere di consultare periodicamente i pubblici registri, e trattasi di onere "non poco gravoso" specie nei casi in cui la parte deve adibire allo scopo un apposito legale e sopportare le relative spese, senza poterle ripetere. E può aversi che il passaggio in giudicato della sentenza, dal cui verificarsi comincia a decorrere il termine, derivi da un fatto che non viene annotato nei pubblici registri: con la conseguenza che in un caso del genere solo chi é parte nel processo pregiudiziale é in grado di averne conoscenza.

Nella specie, il Politi non avrebbe avuto e non ha avuto modo di conoscere la sorte dell'impugnazione proposta dal Gallo, giacché delle ordinanze di inammissibilità di cui all'art. 207 del codice di procedura penale non é prevista l'annotazione in pubblici registri e non é consentito alle parti estranee al giudizio l'ispezione del fascicolo nel quale dette ordinanze vengono depositate. Al Politi, quindi, era ed é stato impossibile conoscere il dies a quo per poter riassumere tempestivamente il processo civile. Ed il Gallo invece, quale parte del processo penale, era ed é stato sempre a conoscenza delle vicende e della definizione di quel processo. Di conseguenza, tra le due parti, ai fini della conoscenza dell'evento dalla cui data decorreva il termine per la riassunzione, esisteva una evidente disparità di trattamento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause, instaurate con le ordinanze dell'8 febbraio 1968 e del 7 marzo 1969 rispettivamente del tribunale di Palermo e del pretore di Milano ed aventi ad oggetto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 297, comma primo, del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, della Costituzione, vanno riunite e decise con unica sentenza.

2. - Nelle tre ipotesi previste dal citato art. 297, comma primo (e così considerate dalle ordinanze), la cessazione della causa di sospensione di cui all'art. 3 del codice di procedura penale ed il passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all'art. 295 del codice di procedura civile, potrebbero essere ignorati dalla parte interessata alla prosecuzione del processo "in quanto esorbitanti dal campo delle sue ordinarie occupazioni ed esperienze e non fatti oggetto di obblighi od oneri di notifiche o comunicazioni alla parte stessa, a carico di chicchessia". Ed in particolare, in ordine alla necessità di avere tempestiva notizia di quegli eventi, la parte estranea al processo, dalla cui pendenza é derivata la sospensione, verrebbe ad incontrare una "obiettiva difficoltà, superabile soltanto con l'impiego di una diligenza più che normale" ed a trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto alle altre parti che in quel processo fossero invece direttamente impegnate.

Per tanto la disciplina della sospensione necessaria, ed in special modo nei giudizi di impugnazione e di opposizione, non garantirebbe la difesa e sarebbe inoltre in contrasto con il principio di eguaglianza.

3. - Circa la necessaria conoscenza del modo e del tempo in cui ha luogo la cessazione della causa di sospensione, sono individuabili varie ipotesi ed eventualità.

Qualora le parti del processo civile sospeso e di quello (penale, civile o amministrativo) pregiudiziale siano le stesse, di quell'evento esse di regola sono o sono messe al corrente.

Cio pero non avviene sempre: e ad esempio, l'ordinanza con cui il giudice a quo dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione, é notificata a chi ha proposto l'impugnazione (art. 207 del codice di procedura penale) e non alle altre parti.

Qualora, poi, le parti del processo pregiudiziale siano diverse la conoscenza del ripetuto evento é acquisita dalle parti del processo civile sospeso, attraverso il compimento di atti. A ciò queste attendono direttamente o a mezzo di legali (sopportandone in definitiva l'onere delle spese). Ma in ogni caso, la loro attività non é facile a compiersi é non é sempre conducente.

Ed infatti, nell'ipotesi di sospensione a sensi del citato art. 3 del codice di procedura penale, alle parti del processo civile non é consentito di compulsare i registri generali degli affari penali; e nonostante l'esistenza di un interesse ad avere notizia dello stato del processo penale, del tutto eventuale (in quanto subordinato ad autorizzazione) é il rilascio di certificati o di copie di atti. E nell'ipotesi in cui sia pregiudiziale la risoluzione di una controversia civile, le stesse parti si vengono a trovare in difficoltà o nell'impossibilità pratica di accertare tra l'altro come e quando la sentenza di primo o di secondo grado passa in giudicato per difetto di impugnazione: ad esse, in quanto terzi, infatti, non é dato di conoscere se il relativo termine in concreto decorre dal giorno della pubblicazione della sentenza o da quello della notifica della stessa al procuratore costituito, e quando viene a cessare.

E non potendosi, d'altra parte, far carico ai soggetti interessati di dover svolgere continue indagini al sopraddetto fine, il conseguimento del risultato sperato può non essere immediato o tempestivo.

4. - Solo che si tengano presenti le ipotesi ora prospettate e le eventualità esemplificatamente ricordate e sicuramente rientranti nell'ambito della disciplina legislativa della sospensione necessaria del processo civile, risulta esistente il denunciato contrasto dell'art. 297, comma primo, del codice di procedura civile con gli artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, della Costituzione.

Anche se appare razionale che sia assegnato agli interessati e non all'ufficio il compito di rimettere in moto il meccanismo del processo dopo che sia venuta meno la causa della sospensione, non può dirsi legittimo il criterio secondo cui la decorrenza del relativo termine semestrale é ricollegata a fatti che, in ipotesi non eccezionali né rare (e tutte riflettenti la stessa esigenza), dalle parti del processo sospeso non sono conosciuti non solo all'atto in cui essi si verificano ma neppure successivamente, o sono conoscibili solo con l'impiego di una diligenza più che normale.

In base all'art. 297, comma primo, l'inscientia, originaria e perdurante della parte, può far maturare preclusioni in suo danno.

La parte é per ciò solo posta in posizione di evidente svantaggio; ma lo é anche se la cessazione della causa della sospensione possa da lei essere conosciuta in quanto ciò avviene a mezzo di indagini che non sempre sono producenti e che comunque sono non facili e onerose.

E non si garantisce, in tal modo, il regolare e normale svolgimento del contraddittorio.

Le parti del processo civile sospeso, e segnatamente quelle interessate alla prosecuzione, non hanno assicurato il diritto di difesa in modo effettivo ed adeguato e nel rispetto del principio di eguaglianza.

Deve quindi dichiararsi l'illegittimità costituzionale della norma in esame, in parte qua, perché non fa decorrere il termine per la prosecuzione del processo civile sospeso dal giorno in cui le parti abbiano conoscenza della cessazione della causa di sospensione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 297, comma primo, del codice di procedura civile, nella parte in cui dispone la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione anziché dalla conoscenza che ne abbiano le parti del processo sospeso.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 4 marzo 1970.