Sentenza n.45 del 1972

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 SENTENZA N. 45

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 373 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 1971 dal pretore di Rodi Garganico nel procedimento civile vertente tra Apicella Michele e Francesco e Miglionico Rocco Giuseppe, iscritta al n. 137 del registro ordinanze I971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 del 12 maggio 1971.

Visto l'atto di costituzione di Miglionico Rocco Giuseppe;

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1972 il Giudice relatore Luigi Oggioni.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 30 gennaio 1971 il pretore di Rodi Garganico, quale giudice dell'esecuzione, ha rilevato che Miglionico Rocco aveva iniziato procedimento esecutivo contro Apicella Michele e Francesco, opponenti, in forza della sentenza della Corte d’appello di Bari del 17 marzo 1970 con cui i predetti Apicella erano stati condannati al pagamento di lire 8.664.000, oltre le spese, in favore di esso procedente, e che la richiesta di sospensione della esecuzione di detta sentenza, avanzata alla stessa Corte d’appello ai sensi dell'art. 373 del codice di procedura civile in pendenza di ricorso per cassazione, era stata respinta con ordinanza del 29 settembre 1970. Ciò premesso il giudice a quo ha osservato che la detta norma, attribuendo al giudice d’appello la competenza a decidere, con ordinanza espressamente dichiarata non impugnabile, sulla richiesta di sospensione della propria sentenza gravata di ricorso in Cassazione, e senza quindi che a questa ultima spetti alcun potere in materia, potrebbe "rendere concretamente inutile e vano il riconoscimento meramente astratto del buon diritto del debitore sottoposto ad esecuzione", diritto peraltro certamente compromesso, sempre a dire del pretore, dall'intervento dello stesso giudice che ha pronunciato la sentenza di merito e che quindi "non assicurerebbe l'obiettività inerente all'attività del giudice".

Il giudice a quo, ravvisata nei denunciati inconvenienti la violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, e ritenuta la rilevanza della questione così prospettata in quanto l'eventuale dichiarazione d’illegittimità della norma impugnata "comprometterebbe il diritto del Miglionico a promuovere l'esecuzione", ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti a questa Corte, per l'ulteriore corso.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 119 del 12 maggio 1971.

Nel presente giudizio si é costituito il Miglionico, rappresentato e difeso dall'avv. Carmine Pucillo, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

La difesa eccepisce anzitutto l'irrilevanza della questione e in proposito osserva che il giudizio di legittimità costituzionale investirebbe una norma che attiene alla sospensione della esecutività della sentenza e non del procedimento d’esecuzione, e che dovrebbe essere comunque applicata non dal giudice dell'esecuzione, ma dal giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata per cassazione. Difetterebbe pertanto il nesso di pregiudizialità necessaria fra la questione prospettata e la definizione del giudizio ordinario.

Nel merito, confutando le tesi svolte dalla controparte nel giudizio a quo per sostenere l'illegittimità della norma impugnata in relazione all'art. 25 della Costituzione, profilo questo che peraltro non risulta accolto nell'ordinanza di rinvio, si diffonde nel sostenerne l'infondatezza. Osserva comunque che nessuna analogia potrebbe ravvisarsi fra il procedimento in esame e il procedimento inibitorio previsto dall'art. 351 c.p.c., che riguarda la sospensione della clausola di provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, trattandosi d’ipotesi ovviamente del tutto diverse, onde, contrariamente a quanto asserito dalla controparte nel giudizio a quo, nessun argomento potrebbe trarsi dal previsto controllo del collegio sul provvedimento circa la sospensione adottata dal giudice istruttore, ai sensi dell'art. 351 c.p.c., per inferirne l’illegittimità della norma impugnata.

La circostanza, poi, che sia lo stesso giudice collegiale che ha emesso la sentenza ad essere chiamato a decidere sulla istanza di sospensione non integrerebbe alcuna lesione del diritto di difesa, anche perché, trattandosi di provvedimento da adottarsi dopo la conclusione della fase istruttoria, ed anzi successivamente alla emissione della sentenza di secondo grado sarebbe logica e conforme al nostro sistema processuale l'attribuzione del detto potere direttamente al collegio con esclusione dell'intervento del magistrato istruttore.

Riferendosi infine alla natura meramente ordinatoria della sospensione di cui all'art. 373 c.p.c., afferma che tratterebbesi di provvedimento come tale non impugnabile per cassazione, per cui sarebbe anche infondata la censura di incostituzionalità sollevata in relazione all'art. 111 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con la suindicata ordinanza di rinvio, il pretore di Rodi Garganico, in sede di processo di esecuzione ed in veste di giudice preposto all'emissione dei correlativi provvedimenti, ha posto la questione di legittimità dell'art. 373 del codice di procedura civile. Ciò nel senso che, essendo l'ordinanza di sospensione dell'esecuzione, (sospensione già richiesta davanti al giudice di merito di secondo grado e dallo stesso respinta) dichiarata dal citato articolo "non impugnabile" davanti alla Corte di cassazione, alla quale, come nel caso, sia stato proposto ricorso principale, ne deriverebbe la violazione, sul punto, dell'esercizio del diritto di difesa, tutelato dall'art. 24, secondo comma, Costituzione "in ogni stato e grado del giudizio", nonché la violazione dell'art. 111 capoverso della Costituzione.

2. - La questione va anzitutto esaminata agli effetti e nei limiti del controllo di rilevanza, riservato a questa Corte.

Secondo l'ordinanza, la rilevanza consisterebbe in ciò che l'eventuale dichiarazione di illegittimità dell'art. 373 c.p.c., nella parte riguardante la non impugnabilità del provvedimento del giudice di merito, costituirebbe impedimento al promovimento attuale della sua esecuzione.

Ma, così motivando, l'ordinanza omette di considerare la particolare natura e l'oggetto del giudizio a quo.

L'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n 87, sul funzionamento della Corte costituzionale, condiziona il rinvio ad essa Corte da parte dell'autorità giurisdizionale di provenienza, al requisito che "il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale".

La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ritenuto che deve trattarsi di questione da risolversi come presupposto necessario del giudizio a quo e con incidenza sulle norme cui il giudice é direttamente chiamato a dare applicazione nell'esercizio del suo potere decisorio (sentenze n. 109 del 1964; nn. 60 e 132 del 1970; nn. 46, 78 e 150 del 1971; n. 7 del 1972).

Nel processo di esecuzione, di cui alla ordinanza di rinvio, il contenuto e, nello stesso tempo, i limiti delle istanze rivolte al giudice dagli opponenti al pignoramento, sono consistiti nell'assunto che si trattava di "esecuzione inficiata di nullità alla base, perché promossa senza il relativo precetto, essendo perento quello notificato" e nel chiedere, pertanto, preliminarmente, allo stesso giudice la speciale sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 624 c.p.c.

Ora, é di palese evidenza che il giudice a quo invece di limitarsi a conoscere delle norme applicabili nell'ambito del caso concreto sottoposto alla sua decisione, é risalito, onde sollevare la questione di costituzionalità, ad antecedenti relativi ad una fase pregressa del processo di cognizione. Il che era e rimane irrilevante, perché, nella specie, il giudice non doveva, né direttamente né indirettamente, applicare la norma impugnata, la quale concerne un procedimento (quello cioé relativo alla sospensione dell'esecuzione di una sentenza di secondo grado) totalmente estraneo alla sua competenza ed altresì all'oggetto del giudizio innanzi a lui proposto, limitato all'accertamento dell'inefficacia del precetto.

Di conseguenza, in conformità della citata giurisprudenza di questa Corte, intervenuta in situazioni analoghe, la questione, proposta, sia in riferimento all'art. 24 sia in riferimento all'art. 111 Costituzione, va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile, perché irrilevante, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 373 del codice di procedura civile sollevata con l'ordinanza in epigrafe del pretore di Rodi Garganico, in riferimento agli artt. 24 e 111 Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Luigi OGGIONI

Depositata in cancelleria il 15 marzo 1972.