SENTENZA N. 150
ANNO 1971
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 707, comma primo, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1970 dal pretore di Parma nel procedimento penale a carico di Lamberti Giovanni, iscritta al n. 27 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971.
Udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1971 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
Ritenuto in fatto
Nel procedimento penale a carico di Giovanni Lamberti imputato del reato di cui agli artt. 81 e 388, comma secondo, del codice penale, "essendosi, più volte, fino al 13 maggio 1970 e successivamente, rifiutato di consegnare la figlia alla moglie cui era stata assegnata il 9 maggio 1970 dal presidente del tribunale di Modena in sede di giudizio di separazione" il pretore di Parma, su eccezione di parte, sollevava, con ordinanza del 16 ottobre 1970, la questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 707, comma primo, del codice di procedura civile, "nella parte in cui con l'inciso "senza assistenza di difensore" sancisce il divieto della rappresentanza tecnica davanti al presidente del tribunale nel procedimento di separazione personale dei coniugi", in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.
Sotto il profilo della rilevanza il pretore, premesso che il giudice penale, dovendo decidere in ordine all'imputazione di cui all'art. 388 del codice penale, deve esercitare "un sindacato sul provvedimento della cui applicazione si discute (regolare formazione del titolo, esecutività del medesimo, ecc.)", osservava che l'eventuale declaratoria di illegittimità dell'articolo 707, comma primo, del codice di procedura civile "renderebbe nulla in radice l'ordinanza 9 maggio 1970 del presidente del tribunale di Modena da cui é scaturito l'obbligo dell'affidamento alla madre della figlia minore, facendo di conseguenza venir meno il presupposto del delitto di cui al capo di imputazione".
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, lo stesso pretore riteneva che con il divieto di assistenza a mezzo di difensore si perviene all'assurdo che l'esercizio del diritto di difesa é precluso alle parti proprio in un procedimento in cui vengono emessi provvedimenti destinati a produrrre effetti tra le parti stesse ed anche nei confronti di altre persone ed in cui perciò l'assistenza del patrono sarebbe oltremodo necessaria per consentire a ciascuna delle parti di esporre e far valere le proprie ragioni e di interloquire sull'attività tecnica del giudice. E non varrebbe sostenere in contrario che nella specie si tratta di un procedimento o di provvedimenti di carattere volontario (c.d. volontaria giurisdizione): sarebbe iniquo, infatti, richiamandosi unicamente a determinate categorie giuridiche, negare l'applicabilità dell'art. 24, comma secondo, alla detta fase del procedimento; e comunque, secondo la giurisprudenza di questa Corte, con la volontaria giurisdizione il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio non sono incompatibili.
Davanti a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti private e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il pretore di Parma denuncia, per violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione l'art. 707, comma primo, del codice di procedura civile "nella parte in cui, con l'inciso " senza assistenza di difensore", sancisce il divieto della rappresentanza tecnica davanti al presidente del tribunale nel procedimento di separazione personale dei coniugi".
2. - La questione, così prospettata, é inammissibile per difetto di rilevanza.
La Corte ritiene che la decisione di essa non possa influire nel processo penale nel corso del quale si é avuta l'ordinanza di rimessione.
Non vale sostenere in contrario, come si legge nella detta ordinanza, che il pretore chiamato a giudicare sulla responsabilità penale di un marito imputato del reato di cui agli artt. 81 e 388, comma secondo, del codice penale, per essersi più volte rifiutato di consegnare la figlia alla moglie cui era stata assegnata dal presidente del tribunale competente, nel corso di un giudizio di separazione personale ancora pendente tra i coniugi, debba stabilire se dal provvedimento civile derivino o meno gli obblighi cui si riferisce il citato art. 388 e debba operare un sindacato sul provvedimento della cui applicazione si discute; e che quindi l'eventuale declaratoria di illegittimità del citato art. 707, comma primo, "renderebbe nulla in radice l'ordinanza" del presidente del tribunale, facendo di conseguenza venire meno il presupposto del delitto di cui al capo di imputazione.
Il citato art. 707, comma primo, viene, infatti, applicato, come la Corte ha precisato in altre occasioni (sentenze n. 60 del 1970 e n. 6 del 1971), dal presidente del tribunale. E può essere legittimamente considerato dal tribunale in sede di definizione del giudizio di primo grado, e dagli altri organi della giurisdizione civile, nei procedimenti di appello, di cassazione, di rinvio e di revocazione, ed eventualmente anche in sede di opposizione all'esecuzione dei provvedimenti emessi a sensi dell'art. 708, comma terzo.
Ma non può essere applicato o considerato dal giudice penale, che sia chiamato a conoscere ad es. del reato di cui all'art. 570 del codice penale (cfr. cit. sentenza n. 6 del 1971) o, come nella specie, di quello previsto e punito dagli artt. 81 e 388 dello stesso codice.
Presupposto necessario e sufficiente per la configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice é l'emissione da parte del giudice stesso di un provvedimento immediatamente esecutivo. E tale non può non dirsi quello legittimamente emesso dal presidente del tribunale competente a sensi e per gli effetti di cui al detto art. 707, comma primo, ed al successivo art. 708, e giusta il disposto dell'articolo 189, comma primo, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile.
Al giudice penale, in casi come quello in esame, in sostanza resta inibito di sindacare la legittimità del provvedimento giurisdizionale, esecutivo ed ineseguito, fermo restando peraltro il controllo sull'esistenza dell'atto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 707, comma primo, del codice di procedura civile, proposta, con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 30 giugno 1971.