SENTENZA N. 111
ANNO 1971
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 77 e 78 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, promossi con quattro ordinanze emesse il 10 giugno 1969, il 3 dicembre 1969 ed il 22 aprile 1970 dal tribunale di Roma in altrettanti procedimenti civili vertenti rispettivamente tra Oppedisano Teresa e Giuseppe e l'Opera nazionale per i combattenti, Tamani Maria e Rivaroli Maria, Cuturi Varalda Candida e Varalda Maurilio Guglielmo, Ramarini Francesca e Ramarini Paola ed altri, iscritte al n. 451 del registro ordinanze 1969 ed ai nn. 70, 256 e 340 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.24 del 28 gennaio 1970, n. 82 del 1 aprile 1970, n. 235 del 16 settembre 1970 e n. 311 del 9 dicembre 1970.
Visti gli atti di costituzione di Tamani Maria e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1971 il Giudice relatore Michele Fragali;
uditi l'avv. Vincenzo Sergio, per la Tamani, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Le ordinanze in epigrafe hanno promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 77 e 78 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, nella parte in cui il primo fa divieto di agire in giudizio sulla base di un titolo ereditario senza dar prova che sia stata presentata denuncia dell'eredità o del legato, e il secondo dispone che l'efficacia degli atti inerenti all'eredità o al legato deve in ogni caso essere rilevata d'ufficio dal giudice; il quale deve sospendere il giudizio fino a quando gli atti e i trasferimenti non siano stati regolarizzati.
Le ragioni che hanno indotto i giudici di merito a proporre la questione predetta sono di diverso contenuto. Il tribunale di Roma, nelle ordinanze 10 giugno 1969 e 22 aprile 1970, osserva che le norme denunciate incidono sull'azione con conseguenze che si riflettono anche sulla tutela che spetta al convenuto; al quale essa viene negata, quando, in relazione alla domanda dell'attore, faccia valere nel medesimo giudizio un diritto proprio, come quello al rimborso delle spese giudiziarie sostenute, per il quale é funzionalmente competente lo stesso giudice investito della cognizione della causa: il convenuto non può sostituirsi all'attore nel compimento dell'onere fiscale di cui si tratta. Lo stesso tribunale, in altra ordinanza 10 giugno 1969 ed in quella successiva del 3 dicembre 1969, fa presente che l'omissione, la tardività e la incompletezza della denuncia di successione di per sé comportano adeguate sanzioni pecuniarie, che l'Amministrazione finanziaria ha poteri di accertamento di ufficio del tributo, ed una sua protezione ulteriore potrebbe consistere nella comunicazione di ufficio della sentenza emessa nel giudizio o della stessa domanda giudiziale: la sanzione della preclusione dell'azione arreca un vantaggio ingiustificato al convenuto sottraendolo alla giusta persecuzione giudiziaria e, in conseguenza, dà luogo ad un risultato antitetico a quello voluto dalla Costituzione, quando garantisce a tutti la tutela giurisdizionale dei propri diritti e dei propri interessi legittimi.
2. - Innanzi a questa Corte, delle parti private, si é costituita soltanto Tamani Maria, attrice nella causa di cui all'ordinanza 3 dicembre 1969; la quale ha illustrato le ragioni esposte dal tribunale e ha fatto proprio l'assunto di illegittimità costituzionale delle norme denunciate.
Nella stessa causa e in quella di cui all'ordinanza 22 aprile 1970 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. Il quale ha obiettato che le norme stesse costituiscono stimolo all'adempimento dell'obbligo tributario e concorrono a tutelare l'interesse alla riscossione dei tributi che é dalla Costituzione protetto sullo stesso piano di ogni altro diritto individuale, tanto vero che essa impone di soddisfarne le esigenze anche nel conflitto con un interesse, quale é quello alla inviolabilità del domicilio, non meno fondamentale del diritto alla tutela giurisdizionale. La previsione di sanzioni per l'omessa o irregolare presentazione della denunzia di successione non può rendere illegittimo l'apprestamento di altri strumenti giuridici per la soddisfazione dell'interesse fiscale; la formalità della denunzia di successione é di agevole e semplice esecuzione, non comporta alcun sacrificio economico immediato, tanto più che l'esazione del tributo può essere sospesa fino a quando il diritto fatto valere in giudizio non é definitivamente accertato.
Il vantaggio che deriva al convenuto, di sottrarlo all'azione giudiziaria, é conseguenza di una situazione giuridica in cui l'attore si é volontariamente posto; la Corte costituzionale con sentenza 20 novembre 1964, n. 91, ha ritenuto che non lede il diritto alla tutela giurisdizionale l'analogo onere di denuncia per l'esperimento delle azioni giudiziarie relative a crediti produttivi di reddito soggetto ad imposta, la cui inosservanza é causa della stessa sanzione oggi ritenuta illegittimamente comminata.
3. - Le parti comparse hanno presentato memorie: il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le considerazioni già svolte, la Tamani ha contrastato queste considerazioni sotto il profilo che l'interesse fiscale é salvaguardato dall'art. 68 della legge di registro, che sottopone a registrazione tutte le sentenze anche per titoli da essa ritenuti esistenti; nel caso di transazione l'atto pubblico che la deve documentare é soggetto a registrazione come le sentenze. La Tamani obietta pure che l'onere di denunciare la successione rende difficile l'azione giudiziaria, perché deve essere osservato prima ancora che il giudice decida sulla esistenza del diritto, e rileva l'irrilevanza, nella questione, della citata sentenza di questa Corte del 1964, che si riferisce a giudizi inerenti a crediti di denaro.
4. - All'udienza del 21 aprile 1971 la difesa della parte privata ed il rappresentante dell'Avvocatura generale dello Stato hanno ribadito le rispettive tesi ed insistito nelle conclusioni prese.
Considerato in diritto
1. - Si propone alla Corte una questione analoga ad altra già decisa: la legittimità costituzionale di una norma che impone la denuncia fiscale come presupposto per l'esercizio alla tutela giurisdizionale. La Corte, con la sentenza 20 novembre 1964, n. 91, ha dichiarato non fondata la questione con riguardo alla disposizione dell'art. 250, comma terzo, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, il quale subordina alla denuncia predetta l'esercizio dell'azione giudiziaria, a tutela di un credito produttivo di reddito di ricchezza mobile di categoria A; ed oggi la questione é prospettata con riferimento agli artt. 77 e 78 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, che sottopone l'azione giudiziaria, nella quale si deduca la qualità di erede o quella di legatario, alla denuncia dell'eredità o del legato, agli effetti dell'imposta di successione.
La Corte però, anche prima della sentenza succitata, aveva giudicato che il determinare concrete modalità di esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale lede la garanzia apprestata dall'art. 24, comma primo, della Costituzione soltanto se ne risulti difficile o impossibile l'esplicazione del diritto; entro tali limiti possono imporsi oneri fiscali, purché vi sia connessione fra l'oggetto dei medesimi e la res iudicanda, così da rispondere a criteri di razionalità.
2. - L'onere di denunciare agli uffici tributari la successione o il legato quando si deduce in giudizio la qualità di erede o quella di legatario non é irrazionale, perché é in connessione con il titolo della pretesa o comunque con la legittimazione dell'attore; é di facile ottemperanza perché si risolve in una semplice comunicazione agli uffici predetti dell'evento successorio, sia pure accompagnata da ogni elemento idoneo all'accertamento del tributo. La sanzione della sospensione del processo, con la quale si colpisce l'inosservanza dell'onere, non é sproporzionata al fine della protezione dell'interesse statale all'accertamento e alla riscossione dell'imposta di successione, che, essendo collegato all'esigenza di copertura della spesa pubblica, attiene al regolare funzionamento dei servizi necessari alla vita della comunità, e ne condiziona l'esistenza (sentenze 4 aprile 1963, n. 45, e 16 giugno 1965, n. 50).
Deve disattendersi l'obiezione dell'inutilità della denuncia, sotto il profilo che l'Amministrazione finanziaria può accertare di ufficio il tributo e a sua protezione sono disposte sanzioni pecuniarie contro l'inadempiente all'obbligo imposto dalla legge fiscale; e non vale nemmeno rilevare che l'interesse dell'Amministrazione stessa può essere efficacemente protetto imponendosi altri incombenti che non incidano sul diritto alla tutela giudiziaria. Non é sindacabile in sede di legittimità costituzionale né la scelta legislativa dei mezzi idonei a garantire la pretesa tributaria, né l'apprestamento di più mezzi in concorso reciproco; ed é razionale che l'ordinamento apra all'Amministrazione finanziaria ogni via che conduca alla realizzazione del suo interesse o che l'ordinamento ritiene possa condurvi. Soprattutto deve respingersi il rilievo prospettato dalla parte privata, per cui é sufficiente, al fine di cui si tratta, l'obbligo di sottoporre a registrazione la sentenza; la registrazione, se comporta il pagamento della c.d. imposta di titolo, lo comporta per ciò che il titolo sia soggetto a registrazione, non anche con riferimento all'imposta di successione.
3. - Sennonché due delle ordinanze che hanno proposto la questione delineano, riguardo alle norme denunciate, conseguenze di applicazione ritenute del tutto antitetiche al risultato voluto dalla Costituzione, perché, per un verso, sottrarrebbero il convenuto alla persecuzione giudiziaria, e, per altro verso, negherebbero al medesimo la tutela dei diritti che può far valere unicamente nello stesso giudizio in relazione alla domanda dell'attore, com'é il diritto al rimborso delle spese giudiziarie sostenute.
Sennonché, il vantaggio che il convenuto riceve dalla sospensione sine die del processo é conseguenza del comportamento dell'attore, il quale, se omette di osservare l'onere della denuncia, ovviamente ritiene non essere di suo interesse insistere nel richiedere la protezione giurisdizionale, che é un suo diritto, non un suo dovere.
Quanto al rilievo che la sospensione stessa toglie al convenuto il diritto ad ottenere la condanna dell'attore al rimborso delle spese processuali, la conseguenza deriva da norme diverse da quelle impugnate; cosicché non é opponibile nell'odierna sede.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 77 e 78 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, contenente la legge tributaria sulle successioni, nella parte in cui il primo fa divieto di agire in giudizio sulla base di un titolo ereditario senza dar prova che sia stata presentata denuncia dell'eredità o del legato, e il secondo dispone che, in mancanza di tale denuncia, il giudizio deve essere sospeso fino a quando gli atti e i trasferimenti non siano stati regolarizzati.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 26 maggio 1971.