SENTENZA N. 89
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZI'
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
AVV. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 242 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio 1969 dal pretore di Monopoli nel procedimento penale a carico di Greco Giovanni, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 2 aprile 1969.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 22 aprile 1970 il Giudice relatore Costantino Mortati;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale contro Greco Giovanni, arrestato dal direttore dei magazzini "Gamma" di Monopoli perché colto in flagranza del reato di furto di oggetti esposti in vendita, il pretore di quella città ha sollevato - con l'ordinanza in data 3 febbraio 1969 - questione di legittimità costituzionale dell'art. 242 del codice di procedura penale, il quale consente l'arresto ad opera dei privati, in presenza di determinate condizioni, in riferimento all'art. 13 della Costituzione.
Nell'ordinanza il pretore argomenta innanzi tutto per dimostrare la propria legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità e la rilevanza della specifica questione rispetto al processo in corso.
Sul primo punto, dopo aver richiamato la conforme giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare le sentenze n. 13 e 52 del 1965, il pretore osserva che, pur prescindendo dal rilievo che serie ragioni suggerirebbero di riconoscere la legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità anche al pubblico ministero nel corso dell'istruzione sommaria, é comunque indubbio che il pretore, anche nell'esercizio delle corrispondenti funzioni, resta sempre e soltanto un organo giurisdizionale.
Sul secondo punto egli osserva che, se la norma impugnata risultasse incostituzionale, l'arresto dell'imputato dovrebbe ritenersi illegittimo perché avvenuto fuori dei casi consentiti dalla legge e dovrebbe conseguentemente emanarsi un decreto di scarcerazione ai sensi dell'art. 246, primo comma, del codice di procedura penale. La questione é perciò rilevante e tale rilevanza non viene meno neppure per effetto della concessione della libertà provvisoria, (peraltro condizionata al divieto di dimorare nel comune di Monopoli), disposta col provvedimento stesso, in quanto siffatto beneficio comporta soltanto la conversione di una forma di soggezione in altra, assai più attenuata, ma non una vera e propria liberazione come quella che conseguirebbe all'eventuale decreto di scarcerazione ex art. 246, primo comma, del codice di procedura penale.
Dopo aver disatteso così il contrario indirizzo accolto nella sentenza di questa Corte n. 13 del 1965, il pretore di Monopoli aggiunge che la rilevanza della questione emerge anche dal fatto che la legittimità o meno dell'avvenuto arresto potrebbe condizionare la valutazione, sul piano probatorio, delle dichiarazioni e della condotta dell'imputato nel periodo in cui egli é rimasto in potere del privato.
Passando a dimostrare la non manifesta infondatezza della questione, il pretore muove dalla considerazione che l'art. 13 della Costituzione riserva all'autorità giudiziaria e, in circostanze eccezionali e con determinate limitazioni all'autorità di pubblica sicurezza, il potere di disporre restrizioni della libertà personale dei cittadini e non prevede invece un analogo potere del privato che si trovi presente alla commissione di un reato. Il riconoscimento a favore di questo di un tale potere concreta pertanto una violazione del precetto costituzionale e non può trovare giustificazione in alcuna delle teorie che sono state a questo scopo formulate dalla dottrina.
Respinta la tesi che vede nel privato che procede all'arresto un negotiorum gestor o un organo occasionale dell'autorità di pubblica sicurezza, quella secondo cui l'attività del privato realizzerebbe una semplice fase preliminare rispetto alla presa in consegna dell'arrestato da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, la quale rappresenterebbe l'arresto vero e proprio, e quella secondo cui l'art. 242 del codice di procedura penale, più che fondare un potere di arresto, conterrebbe essenzialmente una causa di giustificazione della condotta del privato che la rende non perseguibile, il pretore osserva che l'arresto ex art. 242 del codice di procedura penale, oltre alla fisica coazione della persona altrui, incide notevolmente sulla personalità morale e sulla dignità sociale del colpito, producendo così quelle altre conseguenze che, secondo un recente orientamento dottrinale, costituirebbero i sicuri connotati distintivi di ogni provvedimento concernente la libertà personale.
Ricordate quindi le ragioni di opportunità che militano a favore dell'introduzione della norma nell'ordinamento positivo, il pretore conclude notando che esse potrebbero trovare accoglimento da parte del legislatore mediante la formulazione di una diversa norma la quale salvaguardi il diritto di libertà personale, mentre se ciò risultasse impossibile non resterebbe che rinunciare alla soddisfazione di tali esigenze di sicurezza e di difesa sociale.
Dopo che l'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 2 aprile 1969, é intervenuto nel processo costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato con deduzioni depositate il 22 aprile 1969.
In esse l'Avvocatura, dopo avere diffusamente illustrato i motivi che hanno indotto il legislatore a riconoscere al privato il potere di arresto in flagranza, mette particolarmente in evidenza come il rispetto della libertà personale non si può spingere fino al punto da consentire l'annullamento della libertà altrui, impedendo quelle forme di autodifesa che sono consentite in tutti gli ordinamenti giuridici.
Rifacendosi all'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che vede nel privato che procede all'arresto ai sensi dell'articolo 242 del codice di procedura penale, un organo dell'amministrazione della pubblica sicurezza, l'Avvocatura illustra quindi come tale costruzione logico - giuridica consenta di superare il denunciato contrasto con l'art. 13 della Costituzione e conclude quindi chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Considerato in diritto
La questione sollevata dal pretore di Monopoli - con cui si eccepisce la illegittimità costituzionale dell'art. 242 del codice di procedura penale, nella considerazione che l'arresto ivi previsto, per opera di un privato, di chi sia colto in flagranza di reato si pone in contrasto con l'art. 13, terzo comma, della Costituzione il quale consente l'adozione di siffatti provvedimenti provvisori restrittivi della libertà personale solo all'autorità di pubblica sicurezza -, non appare fondata.
É esatto che i provvedimenti in parola, costituendo deroga al principio consacrato nel citato articolo, che incentra nella sola autorità giudiziaria ogni potere di disporre misure incidenti sulla libertà delle persone, devono ritenersi di stretta interpretazione, e quindi non suscettibili di applicazione estensiva. Tuttavia é da ritenere che la facoltà conferita al privato dalla norma in contestazione non opera una vera estensione della portata propria della disposizione costituzionale, in quanto il privato, allorché agisce in presenza delle condizioni e rimane nei limiti stabiliti dalla norma stessa, assume la veste di organo di polizia, sia pure straordinario e temporaneo, ed in conseguenza viene a godere, nell'esercizio delle funzioni pubbliche assunte, della stessa speciale posizione giuridica conferita agli ufficiali di polizia giudiziaria, come risulta dal n. 2 dell'art. 357 del codice penale. Ciò non diversamente da quanto avviene nell'ipotesi prevista dall'art. 652 del codice penale che impone al privato, sotto comminatoria di sanzioni penali, di prestare, se richiesto, il proprio aiuto o la propria opera nella flagranza di un reato. Il fatto che in quest'ultima ipotesi il privato obbedisca ad un ordine, conseguente all'accertamento della flagranza stessa da parte di una pubblica autorità, mentre nell'altra agisce di propria iniziativa e sulla base della constatazione della flagranza da lui stesso effettuata, non muta sostanzialmente il tipo di attività giuridica che egli viene ad esplicare nelle due ipotesi, diversificabili pertanto fra loro solo sotto l'aspetto quantitativo della durata del tempo di apprensione del colpevole fino al momento dell'intervento dell'autorità ordinaria di polizia.
In entrambi i casi esaminati si fa applicazione del principio generale della "collaborazione civica" in base al quale ogni cittadino é, secondo i casi, obbligato o facultato a svolgere attività richieste, con carattere di assoluta e urgente necessità, nel comune interesse, per far fronte ad eventi rispetto ai quali, data la loro eccezionalità o imprevedibilità, le autorità costituite non siano in grado di intervenire con la necessaria tempestività, oppure in misura sufficiente al bisogno. Il ricorso al privato nel caso denunciato deve farsi derivare dal richiamo che l'art. 2 della Costituzione fa all'osservanza dei "doveri di solidarietà sociale", e che trova nel diritto vigente numerose specie di applicazione.
La circostanza che il campo di azione consentito al privato dall'art. 242 sia più limitato di quello in cui si muove l'autorità costituita e si limiti alla sola apprensione materiale del reo (e all'eventuale custodia delle cose costituenti il corpo del reato), non comprendendo la compilazione del processo verbale dell'arresto o qualunque comunicazione all'autorità giudiziaria (mentre egli può pretendere dagli uffici di polizia il certificato del fermo da lui operato), discende dalla veste che viene ad assumere di organo straordinario, fornito, come tale, dei soli poteri strettamente necessari ad evitare il pericolo della fuga, e limitatamente al tempo anch'esso strettamente necessario ad operare la consegna dell'arrestato alla più vicina autorità. Analogamente la facoltatività del potere ex art. 242 trova la sua ovvia spiegazione nell'esigenza di evitare al privato l'assunzione dell'obbligo di iniziative che, oltre a presentare pericoli alla propria integrità fisica, possono far sorgere in lui ragioni di dubbio circa la sussistenza dei requisiti che, ai sensi dell'articolo stesso, sono necessari a legittimare l'arresto.
Le considerazioni che precedono conducono a far concludere che la disposizione denunciata non contrasta con il terzo comma dell'art. 13, non facendo a ciò ostacolo né il fatto che quest'ultimo non ricordi espressamente il privato fra gli abilitati all'adozione delle attività ivi menzionate, né la considerazione che alla potestà consentita al privato non si adegui la qualifica di provvedimento, adottata dall'articolo stesso (in realtà detto termine non assume un significato tecnico, e pertanto é da interpretare come includente qualsivoglia misura, comunque adottata dal cittadino nella veste di titolare straordinario di una pubblica funzione, assunta sotto la propria responsabilità). Ciò sempreché l'attività esercitata si mantenga nei limiti derivanti dalla natura stessa del potere consentito, e che inoltre rimanga fermo il rispetto del limite massimo di vigenza di ogni provvedimento provvisorio qual é stabilito dall'art. 13, con la conseguenza che l'inizio del termine di 48 ore prescritto per la comunicazione all'autorità giudiziaria venga sempre fatto decorrere dal momento dell'arresto operato dal privato e non già da quello della consegna da parte sua all'autorità di polizia.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 242 del codice di procedura penale, proposta con l'ordinanza del pretore di Monopoli, in riferimento all'art. 13, terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale Palazzo della Consulta, il 3 giugno 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 10 giugno 1970.