SENTENZA N. 13
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 236 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 febbraio 1964 dal Pretore di Imola nel procedimento penale a carico di Linari Renato, iscritta al n. 46 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 91 dell'11 aprile 1964.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 16 dicembre 1964 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
udito il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Il 23 gennaio 1964 Linari Renato si presentava all'Ufficio di pubblica sicurezza di Imola confessandosi autore di lesioni volontarie poco prima commesse in danno di tale Minganti Ezio. Ritenuta la flagranza, il Linari fu arrestato e denunciato al Pretore di Imola.
Mentre questi procedeva ad accertamenti istruttori relativamente alla entità delle lesioni subite dal Minganti, la difesa dell'imputato sollevò questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 13, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 236 del Codice di procedura penale, che disciplina l'arresto facoltativo in flagranza ad opera degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e della forza pubblica.
Con decreto del 5 febbraio 1964 il Pretore concesse all'imputato la libertà provvisoria; e, con ordinanza in data 10 febbraio successivo, avendo ritenuta la questione di legittimità non manifestamente infondata, sospese il giudizio e rimise gli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 91 dell'11 aprile 1964. Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, assistito dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto di intervento depositato il 30 aprile 1964.
Ad avviso del Pretore mancherebbero nella ipotesi disciplinata dall'art. 236 quei caratteri di eccezionalità, di necessità e urgenza ai quali l'art. 13 della Costituzione subordina l'applicazione di misure restrittive della libertà personale da parte dell'autorità di pubblica sicurezza. Farebbe difetto il carattere della eccezionalità essendo la flagranza e la quasi flagranza fatti tutt'altro che infrequenti nella pratica; e la facoltà di arresto ai sensi della norma impugnata non muoverebbe da una assoluta esigenza di applicazione immediata di provvedimenti restrittivi, come sarebbe invece se tale facoltà fosse limitata ai soli casi, per esempio, di pericolo di fuga dell'imputato o di sottrazione dei corpi di reato.
Altri due addebiti sono dall'ordinanza mossi alla norma impugnata: questa mancherebbe di una tassativa indicazione dei casi nei quali può procedersi all'arresto in flagranza, come é invece richiesto dall'art. 13 della Costituzione; e quindi lascerebbe, tra l'altro, una piena discrezionalità in materia agli organi di pubblica sicurezza. Inoltre attribuendo la facoltà di arresto anche agli agenti di polizia giudiziaria e della forza pubblica, violerebbe i limiti segnati dall'art. 13, il quale, parlando solo di "autorità di pubblica sicurezza", sembrerebbe negare agli agenti la potestà di procedere a provvedimenti restrittivi della libertà personale.
L'Avvocatura dello Stato, premesso che il Pretore sarebbe caduto in un errore materiale riferendosi al secondo piuttosto che al terzo comma dell'art. 13 della Costituzione, rileva che il procedimento penale nel corso del quale é stata sollevata la questione era in fase istruttoria. Non contesta che in tale sede possa promuoversi una questione di legittimità costituzionale, sempre però che ciò avvenga ad opera del giudice istruttore. Nella ordinanza invece non é dato individuare se il Pretore si sia pronunciato nella qualità di giudice istruttore ovvero in quella di pubblico ministero.
L'Avvocatura, inoltre, eccepisce il difetto di rilevanza della questione, non avendo l'ordinanza indicato in alcun modo quale influenza potrebbe avere la dedotta questione di legittimità sulla definizione del giudizio.
Nel merito, l'Avvocatura dello Stato esprime l'avviso che la flagranza non sia affatto priva di quei caratteri di eccezionalità e di necessità e urgenza alla presenza dei quali l'art. 13 della Costituzione subordina i provvedimenti restrittivi della libertà personale da parte dell'autorità di pubblica sicurezza; e rammenta che in questo senso si é espressa anche la opinione della maggioranza in seno all'Assemblea costituente. Inoltre la norma impugnata non manca di indicare, con vario criterio, i reati per i quali può procedersi all'arresto in flagranza; sicché sembrerebbe senz'altro rispettato il disposto costituzionale che esige la tassativa indicazione dei casi nei quali l'arresto può aver luogo.
A proposito dell'ultimo rilievo mosso dal Pretore, l'Avvocatura si sofferma infine a considerare i vari sensi nei quali può intendersi la espressione "autorità di pubblica sicurezza", per pervenire alla conclusione che l'art. 13 non può non essersi riferito anche agli agenti di polizia giudiziaria e della forza pubblica, soprattutto in relazione al carattere di necessità ed urgenza dei provvedimenti in questione, che sembrerebbe escludere una potestà limitata ai soli organi gerarchicamente più elevati.
Considerato in diritto
La Corte osserva che, dopo l'arresto in flagranza, era stata dal Pretore concessa all'imputato la libertà provvisoria. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 236 del Codice di procedura penale era stata poi sollevata senza alcun accenno alla rilevanza della questione stessa.
Deve ritenersi pertanto fondata l'eccezione relativa al difetto di rilevanza.
L'ordinanza si diffonde in varie argomentazioni sul merito della questione, cercando di dar fondamento alla dedotta illegittimità costituzionale dell'art. 236 del Codice di procedura penale; ma é priva di qualsiasi accenno in ordine al rapporto che dovrebbe correre fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in corso, non contenendo neanche una sommaria indicazione del perché il giudizio di cui é stata disposta la sospensione non potrebbe, ai sensi del secondo comma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, trovare la sua definizione senza che prima sia risolta la questione di legittimità costituzionale. Non si tratta di insufficienza o vaghezza, bensì di assoluto difetto del giudizio di rilevanza, del quale manca qualsiasi enunciazione. Lo stato di detenzione dell'imputato, conseguente all'arresto in flagranza, si era risoluto con la concessione della libertà provvisoria, e per quanto riguarda il merito del sospeso procedimento, concernente una imputazione di lesioni personali volontarie, nessun dato emerge dall'ordinanza di rimessione che possa comunque farlo apparire in connessione con la dedotta questione di legittimità costituzionale: ve n'é abbastanza per stabilire che nel caso attuale, trattasi di un difetto di rilevanza risultante prima facie dal testo dell'ordinanza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione sulla legittimità costituzionale dell'art. 236 del Codice di procedura penale, sollevata con ordinanza del 10 febbraio 1964 dal Pretore di Imola, in riferimento, all'art. 13 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 12 marzo 1965.