SENTENZA N. 57
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OCGTONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 145, che ha reso obbligatori erga omnes gli accordi economici 20 giugno 1956 e 17 luglio 1957 concernenti rispettivamente la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale e le relative disposizioni regolamentari, promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1966 dal pretore di Bari nel procedimento penale a carico di Tamma Nicola, iscritta al n. 167 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 del 24 settembre 1966.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 9 aprile 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
In seguito a denuncia dell'Ispettorato del lavoro, il pretore di Bari, in data 15 maggio 1966, emetteva decreto penale di condanna a carico di Tamma Nicola, imputato di contravvenzione agli artt. 1 e 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741, per non aver accantonato presso l'E.N.A.S.A.R.C.O., relativamente a 24 agenti commerciali, le indennità di cui agli artt. 9 e 12 dell'Accordo economico collettivo 20 giugno 1956, recepito nel D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 145.
In sede di opposizione al decreto penale, la difesa del Tamma sollevava le eccezioni di illegittimità costituzionale che il pretore ha ritenuto non manifestamente infondate e ha rimesso a questa Corte, con ordinanza 4 luglio 1966, letta nel pubblico dibattimento, e regolarmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle Camere.
Le censure di incostituzionalità sono proposte nell'ordinanza nel seguente ordine.
a) Incostituzionalità del decreto del Presidente della Repubblica che ha reso obbligatorio erga omnes il predetto Accordo economico riguardante gli agenti e rappresentanti di commercio delle imprese industriali, perché in contrasto con gli artt. 39 e 76 della Costituzione, in riferimento agli artt. 1 e 2 della legge di delega n. 741 del 1959.
Secondo l'ordinanza, é dubbio che il rapporto di agenzia e di rappresentanza commerciale, così come regolato dall'art. 1742 del Codice civile, rientri tra quelli di "collaborazione che si concretino in prestazione d'opera continuativa e coordinata", e di conseguenza che possa essere compreso nei confini della legge di delega. Tuttavia la stessa ordinanza soggiunge che i rapporti di agenzia non sembrano del tutto dissimili da quelli di collaborazione ora indicati, ove si tengano presenti lo spirito della legge n. 741 e le relazioni con cui essa fu presentata al Parlamento.
b) Incostituzionalità del predetto decreto del Presidente della Repubblica per la parte in cui rende obbligatorio erga omnes il disposto degli artt. 9 e 12 del predetto Accordo economico e degli artt. 1, nn. 2 e 3, e 8, ultimo comma, dell'Accordo economico 17 luglio 1957, che pone l'indennità di risoluzione del rapporto a totale carico delle aziende industriali e prevede l'istituzione di fondi di "indennità" e di "assistenza" presso l'E.N.A.S.A.R.C.O., perché in contrasto con gli artt. 39 e 76 della Costituzione, in riferimento agli artt. 1, 4 e 5 della legge n. 741.
L'ordinanza esamina lo svolgimento della disciplina normativa dell'indennità di risoluzione del rapporto di agenzia, per rilevare come gli artt. 9, 12 e 20 dell'Accordo collettivo 20 giugno 1956 avrebbero posto a esclusivo carico delle aziende la detta indennità, che secondo il precedente Accordo collettivo del 1938 era a eguale carico del preponente e dell'agente. Il decreto presidenziale, col recepire le ricordate norme dell'Accordo 1956, che avevano spostato l'onere e il soggetto passivo tenuto a versare l'indennità, avrebbe oltrepassato i limiti della delega, regolando materia estranea alla diretta disciplina del rapporto di lavoro, e avrebbe violato anche l'art. 39 della Costituzione, non ravvisandosi caratteri di eccezionalità e di temporaneità nel sistema così instaurato.
c) Incostituzionalità del decreto presidenziale per contrasto con gli artt. 39, 76 e 41 della Costituzione e 1-4 della legge n. 741, per la parte in cui rende obbligatorio erga omnes il disposto degli articoli del predetti Accordi collettivi che impongono l'accantonamento presso l'E.N.A.S.A.R.C.O. dell'indennità di risoluzione del rapporto e istituiscono un "Fondo indennità", il cui utile é devoluto a fini assistenziali, dedotto l'interesse del 3 per cento.
Si assume nell'ordinanza che tali disposizioni non servono a garantire minimi di trattamento economico e normativo e sono estranee alla materia voluta tutelare dalla legge delegante. L'accantonamento da esse previsto comporterebbe il venir meno dell'immediatezza del rapporto aziende - agenti, con l'interposizione di un ente ad esso estraneo, con gli oneri conseguenti alla istituzione e al funzionamento del Fondo, e l'imposizione di una attività di carattere assistenziale ai non iscritti alle associazioni sindacali. Anche sotto questo riflesso, quindi, vi sarebbe stato, nel decreto impugnato, eccesso della delega.
Inoltre l'obbligatorio accantonamento contrasterebbe con l'art. 41 della Costituzione, in quanto comprimerebbe l'iniziativa economica privata.
Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto di intervento depositato il 14 ottobre 1966.
a) In relazione alla prima censura, in esso si osserva che la legge n. 741, col richiamo, oltre che ai contratti collettivi, agli accordi economici ha manifestato l'intenzione che la disciplina non dovesse limitarsi ai rapporti di lavoro subordinato, ma estendersi anche a rapporti interaziendali e di lavoro non subordinato. La detta legge ha disposto la recepibilità degli accordi economici con riferimento ai lavoratori che fossero parti di "rapporti di collaborazione che si concretino in prestazione d'opera continuativa e coordinata", e tra questi rientra il rapporto di agenzia, com'é regolato dal Codice civile. Gli elementi indicati nell'ordinanza, se escludono una situazione di subordinazione, non escludono una situazione di collaborazione e coordinazione.
b) In relazione alla seconda censura, si osserva che l'aver posto a carico delle imprese l'indennità di risoluzione del rapporto e l'aver istituito presso l'E.N.A.S.A.R.C.O. un Fondo indennità appare aderente ai principi ispiratori della delega contenuta nella legge n. 741, ove si consideri che l'accordo economico non ha fatto che dare esatta applicazione all'art. 1751 del Codice civile. E l'aver dato applicazione al Codice civile non urta contro le esigenze di temporaneità ed eccezionalità a cui la legge n. 741 dovrebbe assolvere, in attesa della situazione dell'art. 39.
Il richiamo, contenuto nell'ordinanza, all'art. 4 della legge di delega non é pertinente, e nell'ordinanza non sono precisati i termini dell'asserito contrasto. Né si ravvisa in che possa consistere il contrasto con l'art. 5, considerato il carattere imperativo della norma del Codice civile che stabilisce l'indennità di risoluzione del rapporto. Comunque, l'accertamento del contrasto con l'art. 5 sarebbe di competenza del giudice di merito.
c) In relazione alla terza censura, si osserva che la stessa ordinanza ha individuata la ragione dell'accantonamento presso l'apposito fondo gestito dall'E.N.A.S.A.R.C.O., nell'"assicurare agli agenti l'effettiva esistenza e disponibilità delle somme loro spettanti". Tale ragione rientra indubbiamente fra quelle dirette ad assicurare minimi di trattamento economico e normativo, di fronte alle possibilità di fallimento, dissesto, amministrazione non oculata delle aziende. Sussiste perciò la correlazione tra mezzo e fine, indicata dalla Corte come elemento atto a far rientrare il provvedimento delegato nei limiti della delega.
Il provvedimento denunciato é anche legittimo nella parte in cui dispone l'accantonamento presso l'E.N.A.S.A.R.C.O., ente di diritto pubblico preesistente agli accordi del 1956 e del 1957. La scelta di tale ente non é in contrasto con i limiti fissati nella delega legislativa, in quanto esso si presentava, alle Associazioni e al legislatore delegante, come l'ente che poteva meglio assolvere alla gestione del Fondo, essendo già istituzionalmente investito delle funzioni di assistenza e di previdenza della categoria.
Né può effettuarsi un esame del merito circa la misura dell'interesse corrisposto dall'E.N.A.S.A.R.C.O. alle imprese, la quale per altro é prossima, se non uguale, a quella che corrispondono le banche per i depositi vincolati. Se, dopo la corresponsione degli interessi, vi é un residuo, non va a beneficio dell'ente, ma é devoluto a fini di assistenza.
Infine, non sussiste contrasto con l'art. 41 della Costituzione.
In udienza la difesa del Presidente del Consiglio ha confermato gli esposti argomenti.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale proposta con l'ordinanza del pretore di Bari investe il D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 145, emanato in base alla legge 14 luglio 1959, n. 741, in quanto si pone in dubbio, col primo motivo, che il rapporto di agenzia rientri tra quelli a cui si riferisce la delega legislativa contenuta nella detta legge.
Va premesso che la legge 14 luglio 1959 si riferisce, oltre che ai rapporti di lavoro subordinato, anche ad altri rapporti che con questo presentano analogie (in particolare, nel concretarsi in una prestazione di lavoro retribuita e nell'aver dato luogo a una disciplina di categoria, mediante accordo o contratto collettivo), ma che non sono riducibili allo schema del contratto di lavoro subordinato.
L'art. 2 della legge enumera questi rapporti, comprendendo in essi quelli "di collaborazione che si concretino in prestazioni d'opera continuativa e coordinata", tra i quali rientra il contratto di agenzia, così com'é regolato dagli artt. 1742 e seguenti del Codice civile.
É noto che l'art. 1742 del Codice civile configura il contratto di agenzia come contratto con cui una parte assume "stabilmente" l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, la conclusione di contratti. La stabilità dell'incarico, posta così dalla legge come essenziale alla struttura del contratto, fa sì che il rapporto trovi necessariamente attuazione nello svolgimento di una attività continuativa.
Può soggiungersi che, nella pratica, l'attività dell'agente assume di solito carattere professionale, il che ha consentito, mediante gli accordi, una disciplina collettiva del rapporto, diretta ad assicurare minimi di trattamento agli appartenenti alla categoria.
Inoltre, il rapporto di agenzia presenta il carattere di "rapporto di collaborazione" che dà luogo a prestazioni d'opera "coordinata", come richiesto dal citato art. 2 della legge n. 741. Il coordinamento in cui si concreta la collaborazione tra preponente e agente é, infatti, richiesto e disciplinato dalla norma di legge che fa obbligo all'agente di agire in conformità delle istruzioni ricevute dal preponente e di fornirgli le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza del singoli affari (art. 1746 Codice civile).
Tale norma, mentre limita l'autonomia funzionale dell'agente, configura la sua opera come attività ausiliaria di quella del preponente.
In tal senso giurisprudenza e dottrina sono concordi nel considerare il rapporto di agenzia come caratterizzato dallo svolgimento di una attività vincolata al preponente da uno stabile rapporto di collaborazione.
Non valgono ad escludere il rapporto di agenzia dall'ambito della legge n. 741 gli elementi a cui si richiama l'ordinanza, indottavi dal considerare la legge stessa nella limitata prospettiva del rapporto di lavoro subordinato.
La libertà di itinerario, che per altro é limitata alla zona assegnata in esclusiva; la libertà di impiego del tempo; il compenso a provvigione, sono elementi che dimostrano che il rapporto non é di lavoro subordinato, non già che non rientri tra i rapporti di collaborazione di cui all'art. 2 della legge.
Né vale, ad escludere il rapporto dalle previsioni della legge, la considerazione che l'agenzia può essere, ed é di solito, organizzata ad impresa, giacché é proprio degli accordi economici collettivi poter avere per oggetto la disciplina di rapporti tra imprenditori. Lo stesso art. 2, col comprendere gli accordi riguardanti rapporti di associazione agraria e di affitto a coltivatore diretto, conferma come intento della legge fosse di assicurare i minimi di trattamento ai lavoratori, anche se titolari di impresa; nei casi predetti, di impresa agricola.
Del resto, che quella innanzi indicata fosse la portata della delega legislativa risulta, oltre che dagli espressi termini di essa, dai lavori preparatori, ricordati nella stessa ordinanza, nei quali é fatta esplicita menzione del rapporto di agenzia.
2. - Con l'ordinanza si deduce, inoltre, l'illegittimità costituzionale del decreto presidenziale 16 gennaio 1961 per la parte in cui rende obbligatorio il disposto degli artt. 9 - 12 dell'Accordo economico collettivo 20 giugno 1956 e degli artt. 1, nn. 2 e 3, e 8, ultimo comma, dell'Accordo 17 luglio 1957, i quali pongono a totale carico delle aziende industriali l'indennità di risoluzione del rapporto e prevedono l'istituzione del fondi di "indennità per la risoluzione del rapporto" e di "assistenza" presso l'E.N.A.S.A.R.C.O., perché in contrasto con gli artt. 39 e 76 della Costituzione, in riferimento agli artt. 1, 4 e 5 della legge n. 741 del 1959.
Anche tali motivi non possono essere accolti.
Non ha fondamento l'affermazione che il decreto presidenziale abbia violato i limiti della delega, col rendere obbligatori i menzionati articoli degli Accordi del 1956 e del 1957, i quali avrebbero spostato, a carico delle imprese industriali, l'onere del pagamento dell'indennità di risoluzione del rapporto.
Un accordo collettivo del 30 giugno 1938, ricordato nell'ordinanza, aveva posto a carico del preponente (della "ditta", secondo il linguaggio dell'accordo) l'indennità di risoluzione, nella misura del 3 per cento sulle provvigioni liquidate (art. 8-9); aveva inoltre previsto un trattamento previdenziale, da attuarsi mediante il versamento del contributo del 3 per cento da parte della ditta, assorbente del trattamento dovuto per l'indennità di risoluzione, e di un pari contributo da parte dell'agente.
L'Accordo del 1956, sostitutivo del precedente, e l'Accordo del 1957, contenente le disposizioni regolamentari previste dal primo, regolarono separatamente l'indennità di risoluzione, dovuta dall'impresa ai sensi dell'art. 1751 dell'intervenuto nuovo Codice civile (art. 9 accordo 1956), e il trattamento di previdenza (art. 11), da attuare mediante il versamento di contributi (del 3 per cento) a carico rispettivamente dell'impresa e dell'agente.
L'art. 9 del detto accordo, pertanto, con lo stabilire la misura dell'indennità, non fece che uniformarsi all'art. 1751 del Codice civile, che aveva posto a carico del preponente tale indennità e aveva rinviato alle norme corporative (o, in mancanza, agli usi o all'equità) la determinazione della misura di essa.
La distinzione del due trattamenti (di risoluzione del rapporto e previdenziale) non spostava l'onere del pagamento dell'indennità, che era sempre stata a carico del preponente (art. 9 cit.), ma faceva solo venir meno il sistema per cui l'adempimento di tale obbligo era assorbito dal versamento del contributo per il trattamento previdenziale.
Comunque, la modifica dell'accordo del 1938, quale che fosse stata, non potrebbe dar luogo a vizio di legittimità costituzionale del decreto di recezione, perché le norme dell'accordo del 1938 non costituivano un limite della delega legislativa, e la previsione dell'indennità a carico del preponente, a norma del Codice civile, rientrava in quel minimo di trattamento economico, che la legge di delega era diretta ad assicurare.
Né si vede in che cosa consista l'asserita violazione dell'art. 5 di tale 1eggé giacché la detta previsione, non soltanto non contrasta con alcuna norma imperativa di legge, ma é rivolta all'attuazione di una norma imperativa, qual é quella dell'art. 1751 del Codice civile.
Fuori luogo é il richiamo all'art. 39 della Costituzione, contenuto nell'ordinanza sotto il riflesso che nel sistema instaurato dagli accordi collettivi non si ravvisano i caratteri della eccezionalità e della transitorietà. Questa Corte ha avuto occasione di affermare il carattere eccezionale e transitorio della legge n. 741, nel senso che la delega legislativa non poteva essere rinnovata per contratti e accordi collettivi successivamente stipulati (sentenza n. 106 del 1962), non già nel senso che dovesse essere dichiarata l'obbligatorietà erga omnes solo di contratti ed accordi collettivi di portata eccezionale e transitoria.
3. - La questione di illegittimità costituzionale del decreto presidenziale viene, infine, proposta in relazione agli articoli degli Accordi collettivi che impongono l'accantonamento presso l'E.N.A.S.A.R.C.O. dell'indennità per la risoluzione del rapporto. Le norme relative, secondo l'assunto fatto proprio dall'ordinanza, sarebbero fuori del campo del minimi di trattamento economi e normativo, che costituiscono il limite della delegazione legislativa.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare (sentenza n. 129 del 1963) che i detti minimi non sono soltanto quelli valutabili quantitativamente e che é legittimo il sistema del preventivo accantonamento di somme presso un soggetto estraneo al rapporto stesso, come un istituto bancario, quando ciò corrisponde alle esigenze del contratto. La ragione della legge n. 741 non era, infatti, soltanto quella di garantire la misura minima del trattamento, ma di assicurare l'osservanza di esso.
La previsione dell'accantonamento, che é il mezzo per assicurare la liquidazione dell'indennità, non é pertanto estranea alla disciplina del rapporto e rientra nei limiti della delega, sussistendo quella correlazione tra mezzo e fine che questa Corte, in precedenti decisioni, ha indicato come condizione di legittimità dei decreti previsti dalla legge n. 741.
Né é al di fuori dei limiti della delega la norma che affida all'E.N.A.S.A.R.C.O. la gestione del Fondo indennità di risoluzione.
É da tener presente che l'E.N.A.S.A.R.C.O. non fu istituito con gli accordi collettivi resi obbligatori dal decreto presidenziale, ma preesisteva ad essi come ente di diritto pubblico, soggetto alla vigilanza del Ministro del lavoro e della previdenza. Anche se originariamente sorto con l'accordo del 1938, esso, come esattamente ha rilevato la difesa del Presidente del Consiglio, si presentava alle Associazioni stipulanti e conseguentemente al legislatore delegato, come l'ente qualificato ad assolvere alla gestione del fondo.
Comunque, l'affidamento all'ente di tale gestione non implicava l'assunzione di obblighi corrispettivi da parte delle associazioni sindacali, né da esso derivava alcun obbligo, per i preponenti, diverso da quello di versare l'indennità di risoluzione, obbligo imperativamente posto dalla legge, e di anticipare tale versamento rispetto al momento della risoluzione del rapporto, che, come si é visto, é il mezzo, non estraneo alla disciplina del minimi garantiti, per assicurare l'adempimento dell'obbligo.
A tale anticipazione corrisponde il diritto agli interessi sulle somme versate. I rilievi dell'ordinanza sulla misura di essi, a parte il loro dubbio fondamento nella realtà, implicano valutazioni di merito estranee al presente giudizio.
Gli eventuali utili di gestione del fondo di risoluzione sono poi destinati non alle spese per il funzionamento dell'ente, ma al fondo di assistenza: destinazione anch'essa non estranea al trattamento che la legge ha voluto garantire, in quanto diretta ad assicurare al lavoratore un'esistenza corrispondente alla dignità della persona umana.
Le esposte ragioni portano ad escludere che il decreto presidenziale impugnato abbia violato i limiti della delega.
Inconferente é il richiamo agli artt. 39 e 41 della Costituzione.
A parte che non é dimostrato che l'art. 39 si riferisca esclusivamente ai rapporti di lavoro subordinato, decisiva é la considerazione che la legge n. 741 del 1959 non é una legge di attuazione dell'art. 39 e l'ambito di essa é quello segnato dai rapporti a cui esplicitamente si riferisce.
Quanto all'art. 41, é da rilevare che dal decreto presidenziale e dagli Accordi con esso resi obbligatori erga omnes non deriva un limite alla libertà di iniziativa economica, tale non potendosi considerare l'obbligo dell'indennità per la risoluzione del rapporto: obbligo che é posto dalla legge per fine di utilità sociale e di tutela del lavoro, e di cui gli accordi collettivi disciplinano l'attuazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 145, che ha reso obbligatori gli Accordi economici collettivi 20 giugno 1956 e 17 luglio 1957, riguardanti la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale, proposta con l'ordinanza del pretore di Bari indicata in epigrafe, in relazione all'intero contenuto dell'Accordo del 1956 nonché alla parte dei due Accordi riguardanti l'indennità di risoluzione del rapporto e l'accantonamento di essa presso l'E.N.A.S.A.R.C.O. (artt. 9 - 12 dell'Accordo 1956 e 1 - 10 e norme transitorie dell'Accordo 1957), ed in riferimento agli artt. 39, 76 e 41 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1968.
Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 6 giugno 1968.