Sentenza n. 129 del 1963
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SENTENZA N. 129

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, del D.P.R. 9 maggio 1961, n. 715, e del D.P.R. 9 maggio 1961, n. 865, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 18 luglio 1962 dalla Corte di appello di Genova nel procedimento civile vertente tra l'impresa edile Cerretti e Colombo e la Cassa edile spezzina di mutualità ed assistenza, iscritta al n, 162 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 3 novembre 1962;

2) ordinanze emesse il 4 agosto 1962 dal Pretore di Eboli nei procedimenti penali a carico di Santese Francesco e Cauceglia Giovanni, iscritte ai nn. 176 e 177 del Registro ordinanze 1962 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 293 del 17 novembre 1962;

3) ordinanza emessa il 13 marzo 1962 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Abbafati Sandro e l'Impresa Antonelli e Benetti, iscritta al n. 206 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 del 19 gennaio 1963.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione in giudizio dell'Impresa Cerretti e Colombo e della Cassa edile spezzina di mutualità ed assistenza;

udita nell'udienza pubblica del 5 giugno 1963 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi l'avv. Francesco Santoro Passarelli, per la Cassa edile, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con atto di citazione del 2 febbraio 1961 la Cassa edile spezzina di mutualità ed assistenza conveniva in giudizio davanti al Tribunale di La Spezia l'Impresa edile "Società a r. l. Cerretti e Colombo" lamentando l'inadempimento degli obblighi sulla medesima gravanti di denuncia dei lavoratori occupati e del versamento dei contributi paritetici nonché dell'indennità al fondo ferie, festività e gratifica natalizia, imposti dal regolamento della Cassa medesima. Contro la sentenza del Tribunale che accoglieva, salvo liquidazione, l'istanza attrice, veniva proposto appello alla Corte di Genova la quale, con sua ordinanza del 18 luglio 1962, sollevava due questioni di costituzionalità ritenute non manifestamente infondate e rilevanti al fine della risoluzione della controversia. La prima, relativa agli artt. da 1 a 7 della legge 14 luglio 1959, n. 741, per violazione dell'autonomia sindacale garantita dall'ultimo comma dell'art. 39 della Costituzione; la seconda riguardante l'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, in quanto norma di recezione degli artt. 34 e 62 del contratto nazionale del lavoro per gli operai addetti alle industrie edilizie ed affini 24 luglio 1959, ed altresì l'articolo unico del D.P.R. 9 maggio 1961, n. 715 (in quanto recepente l'art. 11 del contratto collettivo integrativo per la Provincia di La Spezia 2 ottobre 1959, oltre che l'intero contenuto dell'accordo collettivo 30 settembre 1959 per la costituzione della Cassa edile spezzina di mutualità ed assistenza e dell'accordo collettivo 2 ottobre 1959, diretto anche questo alla costituzione di tale cassa edile ed alla redazione dello statuto e del regolamento della medesima); ciò nella considerazione che le disposizioni denunciate possono apparire in contrasto con gli artt. 70 e 77, primo comma, della Costituzione, per eccesso dei poteri conferiti al Governo con la legge delegante. Mentre, infatti, l'oggetto della delega conferita con la legge n. 741 si identifica e si esaurisce nella emanazione di norme atte ad assicurare ai lavoratori minimi di trattamento economico e normativo, ossia di un trattamento suscettibile di valutazione quantitativa, viceversa i decreti delegati, recependo con forza di legge tutte le clausole dei contratti ed accordi collettivi, si sarebbero spinti oltre l'ambito prestabilito, perché hanno disciplinato sia le modalità di esazione di contributi e di corresponsione del trattamento economico per ferie, gratifica e festività, sia l'istituzione di un ente apposito, la Cassa edile, per le relative operazioni, attribuendo a tale ente un'attività previdenziale ed assistenziale, sancendo ancora l'automatica iscrizione allo stesso di tutti gli operai del settore entro l'ambito della Provincia, e l'imposizione obbligatoria di oneri contributivi a favore dell'ente ed a carico (in misura paritetica) dei datori di lavoro e dei lavoratori interessati, anche se non appartenenti alle associazioni che hanno stipulato i singoli accordi provinciali. Conseguentemente, sospeso il giudizio, disponeva il rinvio degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 novembre 1962, n. 279.

Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale si sono costituiti il 17 settembre 1962 l'appellante S. r. l. "Impresa A. Cerretti e Geom. Colombo" con l'assistenza e difesa dell'avv. Quinto Molignani, ed il 22 novembre 1962 l'appellata "Cassa edile spezzina di mutualità e di assistenza", rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Santoro Passarelli. É altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato in cancelleria il 9 ottobre 1962.

La difesa dell'appellante "Società Cerretti e Colombo", in ordine al secondo motivo, riafferma l'impossibilità di comprendere nella delega conferita al solo scopo di assicurare minimi salariali, le disposizioni dei decreti presidenziali relativi alla facoltà conferita alle associazioni stipulanti di imporre, per il tramite delle Casse dalle medesime istituite nell'esercizio di una loro attività di diritto privato, obblighi ed oneri anche nei confronti di quanti, pur rientrando nella categoria degli edili, non fanno parte delle associazioni predette. Conclude chiedendo, in via principale, che venga dichiarata l'incostituzionalità della legge delegante n. 741, e subordinatamente quella dei due decreti presidenziali denunciati.

La difesa della Cassa edile fa osservare, in ordine alla seconda questione, come sia errato il presupposto da cui muove l'ordinanza secondo cui il trattamento minimo voluto assicurare dalla legge delegante sia esclusivamente quello suscettibile di una valutazione quantitativa, poiché é vero, al contrario, che essa ha avuto ad oggetto di garantire ai lavoratori anche un minimo normativo comprendente tutto quanto attiene alla loro protezione, qual'é conseguibile mediante l'integrale reazione dell'intera disciplina collettiva, con il solo limite della conformità a norme imperative di legge. Tuttavia - anche ad accettare la tesi contraria - non si può contestare che rientri nel concetto di valutazione quantitativa una disciplina che, adeguandosi agli speciali caratteri di mobilità nella occupazione dei lavoratori edili nelle varie stagioni ed imprese, si propone di assicurare loro il compenso dovuto per le ferie, la gratifica e le festività. Alla luce di queste considerazioni non può apparire incostituzionale né quella che impropriamente é stata chiamata nell'ordinanza iscrizione automatica e coatta alla Cassa di tutti gli operai del settore, ed é invece solo individuazione di coloro a favore dei quali essa deve effettuare le sue prestazioni, e neppure la imposizione di un contributo che si adegui al costo dei servizi resi dalla Cassa stessa a favore di tutti gli operai amministrati. Quanto poi alle prestazioni di carattere assistenziale e previdenziale, di cui all'art. 4 dello statuto della Cassa spezzina, fa rilevare come esse siano previste solo in via eventuale, senza imposizione di obblighi, e che comunque, se altrimenti fosse, tali prestazioni sarebbero da considerare integrative della retribuzione (assumendo carattere di salario differito previdenziale) e fanno quindi parte dello status, che la legge-delega ha voluto rendere uniforme per tutti i lavoratori: mentre le prestazioni non obbligatorie della Cassa sono consentite da proventi vari diversi dai contributi e quindi non possono far sorgere alcuna questione di costituzionalità. Conclude chiedendo che la questione proposta sia dichiarata infondata.

L'Avvocatura generale dello Stato ha svolto argomentazioni analoghe a quelle prospettate dalla difesa della Cassa, trovando conforto per esse anche nell'art. 2114 del Cod. civile che, prevedendo espressamente la possibilità per i contratti collettivi di determinare i casi e le forme di previdenza, comprova come la disciplina di tale materia non sia estranea al contenuto proprio dei medesimi. In particolare fa osservare come nel caso delle Casse edili la forma previdenziale, per quanto riguarda i compensi per festività, ha chiaro carattere sostitutivo del diritto spettante al lavoratore, salvo che si pone come erogatore, in luogo dei singoli soggetti datori di lavoro, un soggetto unico che provvede a mezzo dei contributi via via versati.

In data 18 maggio c. a. l'Impresa appellante ha depositato una memoria, nella quale vengono riaffermate le argomentazione già svolte nelle deduzioni, ed é messo in rilievo in primo luogo come, se pure é vero che la percentuale ex art. 34 del contratto collettivo (e solamente essa) sia elemento integrativo del trattamento economico, é altrettanto vero che, costituendo esso una componente del salario, non può venire gravata delle spese inerenti al funzionamento della Cassa, tanto più quando la mercede conseguita di fatto si adegui al minimo contrattuale, perché in tal caso la falcidia costituita dal concorso alle spese predette viene a decurtare tale minimo, ed a porsi perciò in contrasto con l'art. 36 della Costituzione. Si rileva inoltre come dalla legge delegante non possa dedursi il conferimento, che é stato effettuato a favore delle Casse (estranee al rapporto di lavoro), di un potere di rappresentanza di tutti gli appartenenti alla categoria, anche se non iscritti (in violazione dell'art. 39 della Costituzione), considerandolo strumento necessario (mentre tale non é) per la riscossione e l'accantonamento di una parte del salario. Aggiunge che eccesso di delega vi sarebbe anche pel fatto della rimessione alla discrezionalità delle associazioni stipulanti del potere di determinare l'ammontare del contributo. Conclude chiedendo in via principale che i decreti impugnati vengano dichiarati incostituzionali o in subordine, che, in conformità al principio affermato con la

sentenza n. 107 del 1962, sia dichiarata la improponibilità della questione, competendo al giudice di merito l'accertamento del contrasto con norme imperative.

Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha, in data 16 maggio 1963, depositato una memoria, con la quale si fa rilevare come la sola questione da esaminare in questa sede sia quella dell'eccesso di delega, per la presunta recezione di materia che sarebbe estranea al trattamento minimo (questione che trova la sua risoluzione nello stesso testo dell'art. 1 della legge n. 741 che, nel fare riferimento al trattamento economico e normativo, comprende ovviamente tutta la disciplina contrattuale) mentre tutte le altre questioni attinenti al contenuto dei contratti collettivi (come quelle relative ai compiti delle Casse, alla posizione in esse dei non soci, alla natura giuridica dei contributi) rientrano, a tenore della giurisprudenza di questa Corte, nella competenza del giudice ordinario, e comunque esse si palesano infondate.

2. - Nel corso di due procedimenti penali avanti al Pretore di Eboli contro Santese Francesco e Cauceglia Giovanni la difesa degli imputati sollevava eccezione di incostituzionalità dell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032 (e quindi degli artt. 34 e 62 del contratto collettivo con esso recepito) nonché dell'articolo unico dell'altro D.P.R. 9 maggio 1961, n. 865 (e quindi dell'art. 6 del contratto integrativo, reso obbligatorio dal medesimo).

Con due ordinanze di identico contenuto in data 4 agosto 1962 il Pretore ha ritenuto le questioni stesse rilevanti e non manifestamente infondate, e ciò perché, in primo luogo, il decreto n. 1032 viola l'art. 76 della Costituzione in quanto non solo non ha dato vita a norme proprie, sia pure su materia fornita dai contratti collettivi, ma ha recepito tutte le loro clausole, anche se, come quella di cui all'art. 62, nessuna relazione hanno con i minimi di trattamento, cui esclusivamente si riferiva la delega. Inoltre l'art. 62 medesimo, elevando le Casse edili a rappresentanti necessarie di interessi di categoria anche per i non iscritti, viola la libertà sindacale sancita dall'art. 39 della Costituzione, sia perché importa subordinazione delle associazioni non partecipi dell'accordo istitutivo delle Casse mutue all'ordinamento interno di queste ultime, e sia perché obbliga i non iscritti ad un'imposizione contributiva, non prevista dalla legge delegante, ed altresì non determinata direttamente dalla norma delegata bensì rimessa alla determinazione delle associazioni, incorrendo così anche nella violazione dell'art. 23 della Costituzione. Infine la stessa norma sulle Casse edili appare contrastante altresì sia con l'art. 36 (in quanto obbliga il prestatore d'opera a cedere una parte del proprio salario, pur se questo non risulti superiore al minimo) e sia con l'art. 3 perché stabilisce una sanzione solo per i datori di lavoro e non già per i lavoratori che si rifiutino di versare il contributo.

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 17 novembre 1962, n. 293.

Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato in cancelleria il 7 dicembre 1962.

Nelle sue deduzioni l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che non sussiste l'allegata violazione dell'articolo 76 della Costituzione perché il sistema adottato dal legislatore delegato risponde al comando della legge delegante che stabilisce la recezione di "tutte" le clausole dei singoli contratti collettivi; né può validamente sostenersi che le norme sulle Casse edili non attengano al trattamento minimo "economico e normativo". Ugualmente infondata é la eccepita violazione dell'art. 39 (poiché le Casse predette, rivestendo natura di enti assistenziali, non rappresentano le categorie), nonché la violazione dell'art. 23 della Costituzione in quanto i contributi previsti non hanno natura tributaria: comunque, essendo gli stessi imposti mediante decreti delegati, anche volendo attribuire loro una tale natura, sarebbero sempre determinati in conformità al principio costituzionale. Inesistente altresì l'allegato contrasto con l'art. 36 della Costituzione, perché questo non fissa alcuna modalità per il pagamento della retribuzione e consente tutte le forme di corresponsione per equivalente, ivi comprese le previdenze sostitutive. Infine privo di base si palesa il riferimento al principio di eguaglianza in ordine alla sanzione per l'inosservanza di un obbligo, quale quello concernente il versamento dei contributi, che istituzionalmente grava soltanto sui datori di lavoro e non può perciò applicarsi ai lavoratori, essendo costoro i soggetti a favore dei quali il trattamento minimo é disposto. Conclude chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate infondate.

3. - Nel corso di un procedimento civile promosso avanti al Pretore di Roma da Abbafati Sandro contro l'impresa edilizia "Antonelli e Bonetti", il giudice con ordinanza 13 marzo 1962 ha sollevato d'ufficio (disponendo il rinvio degli atti alla Corte costituzionale) questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 del contratto collettivo nazionale di lavoro 24 luglio 1959 per gli operai addetti alle industrie edilizie ed affini, recepito nell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, emanato in virtù della delega contenuta nella legge 14 luglio 1959, n. 741, articolo che stabilisce l'improcedibilità della domanda giudiziale concernente controversie che dovessero sorgere nell'applicazione dei contratti collettivi, qualora, precedentemente, la controversia non sia stata sottoposta all'esame delle competenti associazioni professionali degli industriali e degli operai per sperimentare il tentativo di conciliazione delle parti.

L'incostituzionalità é fatta valere sia nei confronti della legge delegante che delle delegate. I vizi della prima deriverebbero, oltre che dalla violazione dell'autonomia sindacale garantita dall'art. 39 e dalla mancata determinazione dei criteri direttivi di cui all'art. 76 della Costituzione, dal fatto che l'emanazione della legge delegata sarebbe subordinata all'arbitrio delle associazioni stipulanti, per cui nella specie l'iniziativa legislativa apparterrebbe in realtà non al Governo, come sancisce l'art. 71 della Costituzione, ma alle associazioni sindacali di diritto privato; ed inoltre dalla violazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, che assicura a tutti i lavoratori, iscritti o non iscritti ai sindacati postcorporativi, una retribuzione sufficiente. Invero, poiché il comma terzo dell'art. 7 della legge n. 741 dispone che "alle norme che stabiliscono il trattamento di cui sopra si può derogare, sia con accordi o contratti collettivi che con contratti individuali soltanto a favore dei lavoratori", qualora, dopo l'emanazione di un decreto delegato che avesse stabilito la retribuzione minima per una certa categoria, le associazioni sindacali di categoria venissero a determinare un salario minimo più alto. Tale nuova retribuzione non potrebbe essere invocata dai lavoratori non iscritti a quella associazione, né il giudice potrebbe tener conto della stessa nei loro confronti per accertare la retribuzione, dovendo invece, in relazione ai medesimi, essere riconosciuta come retribuzione sufficiente quella fissata, anche se molto tempo prima, dal decreto delegato emanato, in virtù della legge 14 luglio 1959, n. 741; il che, se pure sembra trovare giustificazione, in riferimento al principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, potendosi forse ravvisare una diversità di situazioni soggettive fra lavoratori iscritti e non iscritti all'associazione sindacale di diritto privato, sicuramente pone la legge n. 741 in evidente contrasto con il dettato costituzionale in tema di retribuzione.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 19 gennaio 1963, n. 17. Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 10 aprile 1962.

L'Avvocatura generale dello Stato fa riferimento, rispetto alle denunciate violazioni degli artt. 39, 71, 76 della Costituzione, alle tesi difensive già svolte in relazione ai giudizi di legittimità costituzionale che hanno dato luogo alle sentenze della Corte costituzionale

n. 106 e n. 107 del 1962, e si sofferma soltanto sul nuovo profilo sollevato dal Pretore di Roma, che investe il contrasto con l'art. 36 della Costituzione, osservando che la questione appare infondata in quanto la legge n. 741 del 1959 non stabilisce che un minimo, modificabile pertanto da qualsiasi fonte, se a favore del lavoratore, e pertanto detto limite può ben essere superato dal potere di equità che la norma costituzionale riconosce al giudice, ove la retribuzione sufficiente si riveli più favorevole delle condizioni minime determinate dai contratti recepiti in virtù della legge. Conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

4. - Nella discussione orale le parti rappresentate hanno svolto le argomentazioni di cui alle difese scritte e insistito nelle conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'identità delle questioni sottoposte dalle varie ordinanze rende opportuno che esse vengano decise con unica sentenza.

2. - L'ordinanza della Corte di appello di Genova solleva in via principale la questione della incostituzionalità degli articoli da 1 a 7 della legge delegante n. 741 del 1959 per violazione dell'art. 39, quarto comma, della Costituzione, che ha voluto garantire l'autonomia sindacale per l'emanazione di norme nella materia del lavoro fornite di efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle varie categorie di lavoratori. Il Pretore di Roma solleva la medesima questione, ed inoltre prospetta altre due ragioni di incostituzionalità: la prima di violazione dell'art. 76 per la mancata predeterminazione dei principi e criteri direttivi dal medesimo richiesti, l'altra per contrasto con l'art. 71 della Costituzione, in quanto, subordinando l'esercizio dei poteri delegati al deposito dei contratti collettivi da parte delle associazioni interessate, sottrae al Governo l'iniziativa di cui esso avrebbe dovuto invece liberamente disporre. Tutte le questioni così prospettate sono state già esaminate dalla Corte, la quale ne ha ritenuto l'infondatezza con la sentenza n. 106 del 1962. E poiché non sono stati addotti motivi nuovi a loro sostegno, e neppure esse sono proposte in termini o sotto aspetti diversi da quelli già esaminati, la precedente pronuncia deve essere confermata.

3. - Una questione nuova, invece, solleva l'ordinanza del Pretore di Roma in ordine alla costituzionalità dell'art. 7 della predetta legge n. 741, nella considerazione del suo contrasto con l'art. 36 della Costituzione. Tale questione sarebbe da ritenere fondata se fossero esatti i motivi addotti a suo sostegno, se cioé fosse vero che nell'ipotesi prospettata di un aumento dei minimi salariali resi obbligatori dalla legge di delegazione, che sia stato disposto successivamente alla emanazione di questa, mediante nuovi contratti collettivi di diritto privato e perciò valevoli per i soli iscritti alle associazioni stipulanti, rimanga precluso ai lavoratori a queste estranei il ricorso all'autorità giudiziaria onde ottenere l'adeguazione dei minimi predetti alla nuova situazione sopravvenuta. Una tale interpretazione non é però da accogliere poiché, se l'art. 7 nell'ultimo comma ha esplicitamente ammesso la derogabilità a favore dei lavoratori delle norme recepite dalla legge delegante per effetto di nuove più favorevoli pattuizioni contenute in contratti collettivi o individuali, non ha con ciò inteso escludere l'intervento del giudice. Né l'avrebbe potuto, trovando questo un suo preciso e diretto fondamento nell'art. 36 della Costituzione. Sicché, nel caso ipotizzato dal Pretore nessun dubbio sorge circa la legittimazione dei lavoratori non associati ai sindacati che ebbero a dar vita ai contratti collettivi recepiti nella legge di chiedere ed ottenere la rivalutazione del trattamento economico nei contratti medesimi. Rivalutazione che dovrebbe rinvenire proprio nei nuovi accordi stipulati dai sindacati medesimi uno degli indici rivelatori del mutamento verificatosi e della non corrispondenza ad essa del precedente trattamento.

4. - Le altre censure mosse dalla Corte di Genova, e tutte quelle sollevate nell'ordinanza del Pretore di Eboli si appuntano, le prime, al D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032 (per la recezione effettuata degli artt. 34 e 62 del contratto collettivo nazionale di lavoro in data 24 luglio 1959 per gli operai dell'industria edilizia e affini), nonché al successivo decreto presidenziale 9 maggio 1961, n. 715 (recepente l'art. 11 del contratto collettivo integrativo 2 ottobre 1959 per la Provincia di La Spezia, nonché l'intero contenuto dell'accordo collettivo 30 settembre e 2 ottobre 1959 per la costituzione della Cassa edile spezzina), e le seconde, allo stesso decreto n. 1032 (per la recezione dell'art. 62), nonché all'altro decreto presidenziale 9 maggio 1961, n. 865 (con riferimento all'art. 6 del contratto collettivo integrativo recepito il 30 settembre 1959 da valere per gli operai addetti alle industrie edilizia ed affini della Provincia di Salerno), sempre sotto l'aspetto della violazione dell'art. 76 della Costituzione, per eccesso dalla delega da parte dei decreti menzionati, essendosi ritenuto che essi, in violazione dell'art. 1 della legge n. 741, hanno reso obbligatorio per tutti disposizioni, come quelle denunciate, estranee alla materia da disciplinare.

La risoluzione della questione, prospettata nei termini riferiti, compete alla Corte poiché essa esige l'interpretazione della legge di delegazione onde accertare l'ambito del potere normativo conferito e l'eventuale esorbitanza incorsa nell'esercizio del potere medesimo. Al riguardo é da osservare che gli artt. 1 e 4 della legge n. 741, nel prescrivere al Governo di uniformarsi nell'emanazione delle norme di sua competenza a "tutte" le clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali, nonché del contratti integrativi provinciali cui abbiano fatto rinvio contratti collettivi nazionali, oppure dei contratti collettivi stipulati in sede provinciale da associazioni affiliate ad altre aventi carattere nazionale, hanno imposto a tale attività un duplice limite: e cioé, uno, più particolare e di carattere negativo, sancito nell'art. 5, costituito dal divieto di accogliere disposizioni contrattuali contrastanti con norme imperative di legge (ed operante, come la Corte ha ritenuto con la

sentenza n. 106 del 1962, direttamente sui contratti collettivi, così da precludere l'assunzione delle medesime nei decreti delegati); l'altro, più generale, della corrispondenza delle disposizioni predette al fine specifico voluto perseguire dalla legge stessa (fine che assume nella specie la stessa funzione di predeterminazione dei principi e criteri direttivi richiesta dall'art. 76 onde conferire validità alla delegazione legislativa) di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti alla stessa categoria.

La tesi enunciata dalla difesa della Cassa edile spezzina e dall'Avvocatura dello Stato, secondo cui l'uniformità del trattamento minimo che il legislatore ha voluto assicurare é realizzabile sola a patto di una integrale recezione di tutta la disciplina collettiva, quale che sia il contenuto delle singole norme, purché non derogative di disposizioni imperative di legge, trascura di considerare la generale finalità cui la reazione stessa é indirizzata e nel cui conseguimento deve trovare il suo limite non valicabile.

Si tratta, pertanto, di accertare se le disposizioni denunciate degli accordi o contratti collettivi e di quelli integrativi, le quali tutte si riferiscono agli obblighi derivanti per gli addetti alle industrie edilizie ed affini dalla costituzione di Casse edili, corrispondano alla finalità predetta e pertanto siano suscettibili di farsi valere obbligatoriamente anche in confronto ai non iscritti alle associazioni che li hanno stipulati. Non é sufficiente a contestare tale obbligatorietà la considerazione fatta valere dalla Corte di appello di Genova secondo cui i minimi cui la legge ha riguardo sono solo quelli valutabili quantitativamente, poiché é invece da ritenere che la formula adoperata consenta di includervi ogni specie di pattuizioni necessarie ad assicurare al lavoratore un'esistenza corrispondente alla dignità della persona umana, a tenore del principio generale sanzionato nell'art. 36 della Costituzione. La difesa della Cassa edile spezzina sostiene che le clausole relative alle Casse edili corrispondano a tali requisiti, nella considerazione che le peculiarità delle prestazioni lavorative da parte dei prestatori di opera nell'industria edilizia rendono impossibile l'applicazione della disciplina normale in ordine alle ferie, alla gratifica ed alle festività; e quindi costringono ad attribuire ad appositi enti il compito di riscuotere ed accantonare in conti intestati al nome dei singoli operai una percentuale della paga, da cui sono poi da trarre i compensi di loro spettanza. Senonché l'esistenza di tale asserita inscindibile correlazione fra il fine da conseguire ed il mezzo prescelto risulta smentita sia dallo stesso art. 34 del contratto collettivo 24 luglio 1959, richiamato dal D.P.R. n. 1032 del 1960, il quale dispone che il trattamento economico dovuto per le voci che si sono indicate, e che indubbiamente costituiscono parte integrante del salario, viene assolto dalle imprese mediante la corresponsione di una percentuale complessiva determinabile sulla base di molteplici elementi, percentuale che va accantonata a cura delle imprese stesse presso un istituto bancario (o solo eventualmente presso la Cassa edile, ove esista), e sia dall'art. 5 del citato contratto collettivo integrativo 30 settembre 1959 per gli operai edili della Provincia di Salerno che prevede l'accantonamento mensile presso un istituto bancario delle percentuali relative al trattamento per ferie, gratifica e festività.

Ora, mentre quest'ultima predisposizione rivolta all'assolvimento dell'obbligo imposto dall'art. 34, soddisfa pienamente le esigenze proprie del particolare contratto di lavoro edile, senza far venire meno la immediatezza del rapporto fra datori di lavoro e lavoratori (la cui disciplina costituisce l'oggetto proprio dei contratti collettivi), e non produce alcun aggravio di spese, né decurtazione di salario a danno del lavoratore, sicché la sua estensione a tutti gli appartenenti alla categoria, anche se non iscritti, vale a soddisfare i fini della legge delegante, viceversa la istituzione di Casse edili é effettuabile in conseguenza della assunzione di obblighi corrispettivi da parte delle associazioni che la deliberano, attiene cioé ad una materia estranea alla diretta disciplina dei rapporti di lavoro, cui solamente ha riguardo l'art. 1 della legge delegante, ed ha per effetto di interporre fra i soggetti individuali di tali rapporti un ente estraneo ad essi, con gli oneri conseguenti alla sua istituzione e al suo funzionamento.

Se non é dubbio che la predisposizione di misure di questo ultimo tipo rientra nell'autonomia delle associazioni sindacali ed ha per effetto di vincolare ad esse tutti i loro iscritti, viceversa é da escludere che di esse si possa richiedere il rispetto da parte dei non associati, come invece pretendono di fare tanto il D.P.R. n. 1032 che ha recepito l'art. 62 del citato contratto collettivo (il quale prevede l'istituzione della Cassa e l'art. 11 dell'accordo per la Provincia di La Spezia 2 ottobre 1959 che addossa gli oneri da essa derivanti a tutte le imprese, indipendentemente dalla loro appartenenza alle organizzazioni stipulanti, secondo é ulteriormente specificato dall'art. 5 dello statuto della Cassa, a tenore del quale sono automaticamente iscritti a questa tutti gli operai edili prestanti servizio nella Provincia stessa), quanto il D.P.R. n. 865 (che ha recepito l'art. 6 del contratto collettivo 30 settembre 1959, di analogo contenuto, per la Provincia di Salerno).

Dovendosi ritenere estranei agli interessi voluti tutelare dalla legge delegante i compiti affidati alle Casse, che vengono prospettati come meramente strumentali allo scopo della corresponsione del trattamento retributivo, in quanto non solo non necessari a garantire i minimi ed anzi suscettibili di incidere dannosamente su di essi, a maggior ragione deve ritenersi eccedente dai limiti posti dalla legge l'estensione ai non iscritti delle attività di carattere assistenziale e previdenziale, pure previste dagli statuti e regolamenti delle Casse predette, alle quali rinviano le disposizioni dei contratti collettivi. Anche a volere ammettere, in ipotesi, che sia consentito a questi di disporre speciali forme di assistenza, affidandole ad istituti diversi da quelli considerati dall'art. 38 della Costituzione, non potrebbe mai consentirsi che oneri e prestazioni a tale titolo (proprio perché assicurati attraverso l'opera degli organi e enti di cui alla disposizione ora ricordata) siano da includere dei minimi normativi obbligatori cui ha avuto riguardo il legislatore delegante.

L'accertamento dell'evidente eccesso di delega in cui sono incorse le norme denunciate assorbe ogni indagine circa la violazione di altre norme costituzionali, diverse da quelle dell'art. 76.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni sollevate dalla Corte di appello di Genova e dal Pretore di Roma di incostituzionalità degli artt. da 1 a 7 della legge 14 luglio 1959, n. 741, in relazione agli artt. 39, quarto comma, 71 e 76 della Costituzione;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Pretore di Roma, dell'art. 7, ultimo comma, della legge 14 luglio 1959, n. 741, in relazione all'art. 36 della Costituzione;

3) dichiara l'illegittimità costituzionale:

a) dell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, per la parte con cui rende obbligatori erga omnes l'art. 34, pel riferimento alle Casse edili di cui alla fine del terz'ultimo comma, e l'art. 62 del contratto collettivo 24 luglio 1959 che disciplina l'istituzione di tali Casse per gli operai addetti alle industrie edilizia ed affini;

b) dell'articolo unico del D.P.R. 9 maggio 1961, n. 865, per la parte in cui rende obbligatorio l'art. 6 del contratto collettivo integrativo per la Provincia di Salerno, in relazione all'art. 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

COSTANTINO MORTATI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 13 luglio 1963.