SENTENZA N. 43
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 6 settembre 1952, nn. 1398 e 1400, promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1966 dalla Corte di appello di Firenze nel procedimento civile vertente tra Garone Clara e l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale, iscritta al n. 185 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 29 ottobre 1966.
Visti gli atti di costituzione di Garone Clara e dell'Ente Maremma;
udita nell'udienza pubblica del 21 marzo 1968 la relazione del Giudice Ercole Rocchetti;
udito l'avv. Celso Tabet, per Garone Clara.
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione notificato il 14 novembre 1962, la signora Clara Garone conveniva in giudizio l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale, chiedendo che, dopo che fosse stato esperito il giudizio di legittimità costituzionale di cui si riservava di avanzare richiesta, l'Ente venisse condannato alla restituzione di terreni espropriati nei suoi confronti, siti in Castiglione Val di Cesine e Pomarance, o quanto meno al risarcimento del danni conseguenti all'espropriazione disposta con i decreti presidenziali 6 settembre 1952, nn. 1398 e 1400, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, supplemento ordinario n. 265 del 15 novembre 1952, e ciò perché detti suoi terreni non erano - a suo dire - soggetti ad esproprio ai fini della riforma fondiaria e vi erano soggetti in misura minore.
Deduceva la Garone che i due decreti, emessi in forza della delega contenuta nella legge 21 ottobre 1950, n. 841, dovevano ritenersi incostituzionali, perché si erano nell'emanarli disattesi i criteri fissati dall'art. 4 di quella legge - e quindi violati gli artt. 76 e 77 della Costituzione - in quanto si era rilevata la consistenza della proprietà soggetta a scorporo, non alla data del 15 novembre 1949 e col reddito dominicale al 15 gennaio 1943, così come prescrive il citato articolo 4, ma ad una data diversa; e ciò per essersi utilizzati per il rilievo della consistenza i dati del nuovo catasto entrato in vigore il 1 settembre 1951.
L'Ente Maremma, costituitosi in giudizio con comparsa di risposta 30 gennaio 1963, pur ammettendo che i dati relativi ai terreni espropriati erano stati desunti dal nuovo anziché dal vecchio catasto, vigente alla data indicata nella legge, negava che i terreni fossero stati espropriati in misura maggiore del dovuto e concludeva per l'inammissibilità della domanda di restituzione di essi e l'infondatezza dell'eccezione di illegittimità costituzionale.
Comparse le parti davanti il Presidente istruttore, questi, dopo lungo dibattito, ammetteva su richiesta del convenuto, una consulenza tecnica e, nel commettere al consulente il compito di accertare se la proprietà Garone fosse o no soggetta a scorporo ed in quale misura, gli dava disposizioni di procedere al rilievo della consistenza alla data del 15 novembre 1949 e col reddito dominicale al 1 gennaio 1943 ma adottando tre diversi tipi di calcolo da effettuarsi:
- il primo, con i dati del vecchio catasto e l'esclusione del terreni classificati come boschi o incolti produttivi;
- il secondo, con i dati del nuovo catasto per estensione, qualità di cultura e classe di produttività, escludendo i terreni in esso classificati come boschi o incolti produttivi;
- il terzo, con gli stessi dati del nuovo catasto, ma escludendo dal calcolo oltre i boschi e gli incolti produttivi, anche quei terreni che così avrebbero dovuto essere classificati, per il reddito o altre caratteristiche, ma che non lo erano stati perché il vecchio catasto ignorava la seconda di dette classifiche.
Il consulente rispondeva ai tre quesiti accertando che, con i dati del vecchio catasto vi era eccedenza di esproprio, per circa un quarto in più; con quelli del nuovo vi era difetto per circa un terzo in meno; e con quelli del nuovo, ma con la esclusione del terreni di cui alla terza ipotesi, vi era eccedenza per circa tre quarti in più.
Il Tribunale di Pisa, con sentenza 5 - 23 aprile 1965, superando per irrilevanza la richiesta di rinvio alla Corte costituzionale, rigettava nel merito la domanda della Garone, perché accettava le risultanze del secondo tipo di calcolo, e riteneva in conseguenza che vi fosse difetto e non eccedenza di espropriazione. E per giungere a tale risultato superava l'eccezione mossa dalla difesa dell'attrice, - la quale sosteneva che del dati del nuovo catasto, non ancora pubblicati alla data del 15 novembre 1949 cui si riferisce la legge, non si poteva tener calcolo, almeno quanto alla qualità di cultura e classe di produttività del terreni, senza invadere il campo di accertamento riservato all'autorità amministrativa - affermando che nel caso si trattava soltanto di utilizzare dati, anche se non ancora pubblicati, ma certamente già elaborati dalla competente autorità all'epoca cui si riferisce la legge.
Appellava contro questa sentenza la Garone con atto 22 giugno 1965, col quale riproponeva le sue anteriori richieste, e la Corte di appello di Firenze, con ordinanza 3 giugno 1966, sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per decidere la questione relativa alla legittimità degli impugnati decreti presidenziali, affermando quanto alla non manifesta infondatezza, che non vi era contrasto fra le parti, e quanto alla rilevanza, che la questione stessa era anche influente ai fini della decisione della controversia, potendosi conoscere del merito solo dopo che tale questione fosse stata risolta.
L'ordinanza, debitamente notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 29 ottobre 1966. Con atto depositato in data 18 novembre 1966 si costituiva in giudizio avanti la Corte la signora Clara Garone con gli avvocati Angiolo Adorni Braccesi e Celso Tabet, i quali hanno concluso per la dichiarazione di illegittimità dei decreti presidenziali 6 settembre 1952, nn. 1398 e 1400.
Con atto depositato pure il 18 novembre detto si costituiva in giudizio l'Ente Maremma con l'avv. prof. Guido Astuti, il quale concludeva in via principale per la non rilevanza e infondatezza della questione costituzionale e, in via subordinata, per la dichiarazione di incostituzionalità dei decreti, ma con la consueta formula usata nei casi di illegittimità parziale e facendo salvi gli ulteriori accertamenti da compiersi dal giudice ordinario.
La difesa della Garone, in data 8 marzo c.a. depositava anche una memoria aggiunta.
In tutti i loro scritti le parti ripetevano gli argomenti già ampiamente svolti nelle due fasi di merito.
Considerato in diritto
La Corte di appello di Firenze, quanto alla questione di costituzionalità sollevata dalla difesa dell'attrice, ha fatto proprio il punto di vista del Tribunale di Pisa circa la sua non manifesta infondatezza, ma ha dissentito dalla opinione espressa, che ne escludeva la rilevanza, ritenendo che essa sia invece anche influente ai fini della decisione della controversia, a potendosi conoscere del merito di questa solo dopo che la questione stessa sarà stata risolta".
Tale motivazione dell'ordinanza di rimessione, invero alquanto sobria sul punto della rilevanza, deve ritenersi sufficiente ai fini della introduzione del presente giudizio di legittimità costituzionale, ove si integri con il passo anteriore nel quale la Corte di appello, dopo aver precisato che il Tribunale era pervenuto alla conclusione di negare che vi fosse stato nel caso eccesso di espropriazione, utilizzando a tale scopo i dati del nuovo catasto, pone in rilievo come esso avesse inoltre ritenuto "che sia consentito al giudice ordinario la determinazione del reddito dominicale imponibile alla data del 1 gennaio 1943 ai fondi aventi, in base ai nuovi accertamenti, una consistenza diversa da quella risultante dal vecchio catasto".
In tale rinvio é implicito, ma evidente, un giudizio negativo sulla legittimità dell'operato del Tribunale.
A tal riguardo questa Corte, come risulta da sue numerose sentenze - fra cui le 97 e 99 del 1966 - ha ritenuto che la consistenza del terreni soggetti a scorporo dev'essere quella reale, e non già quella che appare dai dati catastali vigenti all'epoca cui si riferisce la legge, ed ha aggiunto che, per compiere i relativi accertamenti, possono essere utilizzati anche i dati del nuovo catasto a quell'epoca non ancora vigente; ma ha sempre costantemente escluso - vedi da ultimo sentenza 133 del 1967 - che quei dati possono essere presi in considerazione al fine di rilevare mutamenti riguardanti la classe dei terreni e ancor più le valutazioni di estimo catastale.
Non può quindi il giudice ordinario, direttamente o a mezzo di consulente tecnico, oltre che desumere dal nuovo catasto i dati di estensione, utilizzabili certamente, perché più precisi ed incidenti su elementi immutabili nel tempo, rilevare anche le variazioni di culture e riportarle all'anteriorità, compiendo una equiparazione di voci e di tariffe, resa necessaria dalla difformità di esse tra il vecchio e il nuovo catasto (sentenze 133 del 1967 e 28, 84, 98, 99 del 1966).
É ovvio che tutto ciò costituisce attività il cui compimento le parti, entro i termini e con le modalità di cui all'art. 6 della stessa legge 21 ottobre 1950, n. 841, avevano la possibilità di sollecitare con apposito ricorso alla Commissione censuaria centrale, ma che al giudice ordinario non é consentito di compiere.
Ora, tornando al caso in esame, deve rilevarsi che la Corte di appello di Firenze, se, informandosi a tali principi, ha disapprovato l'operato del Tribunale ed ha, col giudizio espresso sulla rilevanza, mostrato di ritenere che l'espropriazione subita dalla Garone debba considerarsi eccedente sulla quantità consentita, non ha rinnovato l'esame di merito, sì che allo stato non può dirsi quello che finirà per essere accertato su tale eccedenza dal giudice competente. La quantità del terreni da espropriare rimane pertanto condizionata ai definitivi accertamenti che l'autorità giudiziaria dovrà effettuare.
Ritenuto ciò, ovvio appare che i decreti presidenziali di espropriazione di che trattasi debbano essere dichiarati incostituzionali. Essi infatti, avendo utilizzato, per determinare la consistenza della proprietà esproprianda, i dati del nuovo catasto entrato in vigore il 1 settembre 1951, per quanto riguarda, non soltanto l'estensione, ma anche la qualità di cultura e la classe di produttività del terreni, non si sono riferiti alla consistenza di quella proprietà alla data del 15 novembre 1949, come prescritto dalla legge 841.
E, disapplicando i principi e i criteri della legge delegante quei decreti hanno violato gli artt. 76 e 77 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 6 settembre 1952, n. 1398 e del D.P.R. 6 settembre 1952, n. 1400, in quanto, per la formazione del piano di espropriazione, si é in essi tenuto conto del dati del nuovo catasto entrato inattuazione nella zona successivamente al 15 novembre 1949, ed in quanto risulti, dagli ulteriori accertamenti, che vi é stato eccesso di espropriazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 aprile 1968.
Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 14 maggio 1968.