Sentenza n. 1 del 1968
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SENTENZA N. 1

ANNO 1968

 

repubblica italiana

in nome del popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione siciliana notificato il 12 ottobre 1967, depositato in cancelleria il 16 successivo ed iscritto al n. 27 del Registro ricorsi 1967, per conflitto di attribuzione tra la stessa Regione e lo Stato, sorto per effetto del D.P.R. 9 agosto 1967 col quale l'avv. Luigi Mazzei venne nominato presidente dell'Ente acquedotti siciliani.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 31 gennaio 1968 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

uditi gli avv. Salvatore Orlando Cascio, Enzo Silvestri e Salvatore Villari, per la Regione siciliana, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.



Ritenuto in fatto

 

1. - Con D.P.R. 9 agosto 1967, emanato sentito il Consiglio dei Ministri e su proposta del Ministro per i lavori pubblici, l'avv. Luigi Mazzei venne nominato presidente dell'Ente acquedotti siciliani.

In relazione a tale decreto la Regione siciliana, con ricorso del 12 ottobre 1967 regolarmente notificato e depositato, ha sollevato un conflitto di attribuzioni con lo Stato, chiedendo l'annullamento del provvedimento, emanato senza che il Presidente della Regione, a norma dell'art. 21, terzo comma, dello Statuto speciale, sia stato invitato a partecipare alla seduta del Consiglio dei Ministri nel corso della quale la nomina venne deliberata.

La ricorrente, dopo aver messo in rilievo che la competenza dello Stato a provvedere alla nomina del presidente dell'E.A.S. è delimitata dalla competenza attribuita alla Regione dalla citata norma dello Statuto speciale, sicché la mancata convocazione del Presidente della Regione si risolve in una lesione delle attribuzioni a questa costituzionalmente assegnate, osserva che l'art. 21, comma terzo, dello Statuto pone in essere una forma di partecipazione della Regione alle funzioni statali, con la conseguenza che l'atto adottato dal Consiglio dei Ministri nell'ambito di una potestà statale ma in presenza di un interesse regionale (nella specie certamente sussistente perché l'E.A.S. ha localizzazione esclusivamente regionale e funzioni che indubbiamente interessano la Regione) lede la competenza regionale se il Presidente della Regione non viene invitato alla riunione, e tale lesione vizia l'atto finale del Capo dello Stato che conclude il procedimento.

La Regione osserva, infine, che l'impugnazione deve considerarsi estesa anche all'avviso di convocazione del Consiglio dei Ministri ed al parere reso da quest'organo - atti dei quali si domanda l'esibizione - e conclude chiedendo che, affermata nei termini innanzi indicati la competenza della Regione, venga annullato l'impugnato decreto presidenziale.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in data 30 ottobre 1967. Nel relativo atto di deduzioni si sostiene l'infondatezza del ricorso per un triplice ordine di ragioni: a) perché l'art. 21 dello Statuto siciliano si riferisce alle deliberazioni e non, come è nella specie, ai pareri emessi dal Consiglio dei Ministri; b) perché la nomina del presidente dell'E.A.S. - ente di Stato, come ammette la stessa Regione - non è materia che interessi la Regione: il relativo potere, secondo i principi affermati dalla Corte (sent. n. 4 del 1966) nell'interpretazione della norma statutaria della quale si afferma la violazione, non tollera interventi regionali che comprometterebbero il carattere di ente statale titolare di funzioni di interesse generale, inquadrate in un programma generale che attua una delle fondamentali riforme economico - sociali; c) infine perché l'art. 21 dello Statuto siciliano consente, non impone la partecipazione del Presidente della Regione al Consiglio dei Ministri, e ciò solo quando quest'ultimo, a seguito di una valutazione politico-discrezionale, ritenga che essa sia opportuna: sicché la Regione non potrebbe mai vantare una pretesa né, ove questa fosse disattesa, lamentare una violazione di competenza. L'Avvocatura conclude chiedendo il rigetto del ricorso.

3. - In una memoria depositata il 13 gennaio 1968 la difesa della Regione contesta le varie argomentazioni opposte dall'Avvocatura dello Stato, ed in particolare osserva: a) che la distinzione fra le varie competenze del Consiglio dei Ministri è irrilevante: anche se nella specie si fosse trattato di un parere, si sarebbe dovuto pur sempre dare applicazione all'art. 21 dello Statuto che riguarda tutti i casi in cui una questione che interessi la Regione sia posta all'ordine del giorno; e va anche tenuto presente che il potere è attribuito nel caso in esame al Capo dello Stato quale organo amministrativo e non quale organo sovrastante a tutti i poteri dello Stato; b) che l'art. 21 inequivocabilmente attribuisce alla Regione una situazione attiva, perché esso non dà al Governo una facoltà - nel qual caso la norma avrebbe dovuto trovar posto nella Costituzione più che nello Statuto - , ma impone un obbligo: la partecipazione del Presidente regionale alle sedute del Consiglio, come hanno riconosciuto sia il Consiglio di Stato (sent. del 24 febbraio 1962, n. 111) che questa Corte (sent. n. 12 del 1963 e n. 4 del 1966), è esercizio di una competenza costituzionalmente garantita, la cui violazione non può non comportare l'invalidità dell'atto; c) che la sent. n. 4 del 1966 di questa Corte, contrariamente all'interpretazione che l'Avvocatura vuol darne, si riferisce solo all'annullamento di ufficio e non afferma affatto che l'art. 21 dello Statuto prenda in considerazione solo le materie riguardanti particolarmente la Regione. La norma statutaria siciliana è diversa dalla corrispondente norma statutaria sarda (art. 47 dello Statuto siciliano) presa in esame dalla Corte in altra occasione (sentenza n. 12 del 1963), e comunque l'atto ora impugnato è di prevalente interesse regionale: l'E.A.S., infatti, è titolare di interessi propri, collegati con interessi statali, ma non solo con questi, e la Regione, che non contesta il potere del Capo dello Stato di emanare il provvedimento di nomina del presidente dell'Ente, afferma solo che la competenza statale non è intaccata dall'intervento del Presidente regionale, nei modi previsti dall'art. 21, in un quadro di partecipazione regionale all'esercizio di funzioni statali che trova espressione anche in altri, macroscopici esempi.

La difesa della Regione passa poi all'esame della giurisprudenza costituzionale per trarne argomento a favore della tesi secondo la quale l'art. 21 dello Statuto contempla un'attività che rientra nella sfera delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, e mette in evidenza che, nella specie, ricorre addirittura un prevalente interesse regionale, come è dimostrato: a) dall'art. 14, lett. g, dello Statuto, che attribuisce alla Regione la legislazione esclusiva in materia di opere pubbliche eccettuate quelle di interesse prevalentemente nazionale (l'art. 3 D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878, fra queste non contempla gli acquedotti, né per essi è stata seguita la particolare procedura, ivi prevista, che richiede che la Regione sia sentita quando si tratti di includere altre opere nell'elenco); b) dai compiti attribuiti dalla legge all'E.A.S., il quale, per quanto riguarda gli acquedotti comunali e consortili agisce nell'interesse di enti collegati istituzionalmente con la Regione; c) dai finanziamenti dell'Ente, erogati non solo dallo Stato, ma anche dalla Regione; d) dalla circostanza che per la scelta delle opere da finanziare l'E.A.S. deve prendere intese con la Regione. Dall'insieme di questi elementi - così conclude la difesa regionale - risulta esistente un qualificato interesse regionale che giustifica il chiesto annullamento dell'atto.

4. - L'Avvocatura dello Stato, in una memoria depositata il 12 gennaio 1968, ribadisce che le deliberazioni del Consiglio dei Ministri nelle materie che interessano particolarmente le Regioni rimangono atti di esclusiva competenza statale, sicché l'intervento del Presidente regionale modifica la composizione dell'organo statale, ma non comporta una partecipazione della Regione alla formazione degli atti relativi; riafferma che l'art. 21 dello Statuto consente e non impone la partecipazione del Presidente regionale alla riunione del Consiglio dei Ministri; e assume che, comunque nella specie il ricorso è infondato. Su quest'ultimo punto, l'Avvocatura osserva: a) nel procedimento di nomina del presidente dell'E.A.S. il Consiglio dei Ministri è competente ad emettere un parere d'ordine politico, e perciò si è fuori dell'ambito dell'art. 21 dello Statuto che si riferisce alle sole deliberazioni; b) non ci si trova di fronte ad una materia che interessi la Regione, perché l'interesse contemplato dalla norma statutaria deve essere di ordine giuridico e non di mero fatto, come si ricava dalla stessa giurisprudenza costituzionale: l'intervento del Presidente regionale è da escludersi allorché il Governo deliberi su materie che, interessando l'intera comunità, per ciò stesso interessano le singole regioni; c) la nomina del presidente dell'E.A.S., che non attiene alle funzioni dell'Ente, è estrinsecazione di un potere statale che non interferisce minimamente nella sfera di competenza della Regione: e quando - così conclude l'Avvocatura - lo Statuto ha voluto realizzare una partecipazione regionale a nomine statali (ad esempio per la destinazione del magistrati alle Sezioni regionali della Corte del conti), lo ha fatto in forma espressa.

5. - Dell'udienza pubblica le parti hanno illustrato le rispettive tesi e conclusioni.



Considerato in diritto

 

1. - L'art. 2 del R.D. 23 febbraio 1942, n. 369, contenente norme per l'esecuzione della legge 19 gennaio 1942, n. 24, relativa all'istituzione dell'Ente acquedotti siciliani, stabilisce che il presidente di tale ente venga nominato con decreto del Capo dello Stato, emanato su proposta del Ministro per i lavori pubblici "sentito il Consiglio dei Ministri".

Per decidere il presente ricorso - col quale, dolendosi che il suo Presidente non sia stato invitato a partecipare alla seduta del Consiglio dei Ministri nel corso della quale venne deliberata la nomina dell'avv. Luigi Mazzei a presidente dell'Ente, la Regione siciliana impugna il relativo D.P.R. 9 agosto 1967 - occorre preliminarmente accertare se il terzo comma dell'art. 21 dello Statuto siciliano attribuisca al Presidente regionale il diritto a partecipare alle riunioni del Consiglio dei Ministri nelle quali si decida su materie che interessano la Regione ovvero se tale disposizione, come sostiene l'Avvocatura dello Stato, si limiti a consentire che il Governo inviti il Presidente regionale tutte le volte in cui, nell'esercizio di un suo apprezzamento politico, ne ravvisi l'opportunità.

La Corte ritiene valida la prima tesi, non sembrando che la seconda trovi fondamento in alcun apprezzabile argomento. Già in occasione della controversia decisa con la sentenza n. 4 del 1966 la Corte, portando il suo esame sull'esistenza di un interesse della Regione nel caso di specie, esplicitamente disattese un'interpretazione dell'art. 21 dello Statuto che avrebbe escluso la configurabilità stessa di un conflitto di attribuzione. Da tale precedente non c'è ragione di discostarsi. Ed invero, mentre da un canto la lettera della norma statutaria, nella sua forma imperativa, inequivocabilmente considera il Presidente regionale come titolare di una competenza, la sua ratio conferma che lo Statuto ha voluto che nelle materie nelle quali sia presente un interesse regionale e che siano di tale importanza da giustificare l'intervento del più alto organo governativo, i relativi provvedimenti non vengano adottati senza la partecipazione di chi, in forza dello stesso Statuto, rappresenta la Regione e può perciò far valere le valutazioni che da quell'interesse siano ispirate. In altri termini, la disposizione in esame, valutata logicamente nel quadro del complesso sistema giuridico che con meccanismi di vario tipo regola i rapporti fra Stato e Regione, non può non essere interpretata nel senso che quando occorra un interesse regionale di una certa qualificazione (del che appresso si dirà), decisioni di grande rilievo siano adottate, pur rientrando nella competenza statale, con la partecipazione della Regione. E se il particolare procedimento previsto dall'art. 21 è predisposto perché tale esigenza trovi adeguata soddisfazione, non v'è dubbio che lo scopo della norma sarebbe frustrato ove al Governo si riconosce la libera e non sindacabile valutazione del presupposto dal quale consegue la legittimazione del Presidente regionale ad intervenire alle riunioni del Consiglio

2. - Nel merito la difesa dello Stato ha sostenuto che nel procedimento di cui all'art. 2 del R.D. 23 febbraio 1942, n. 369, il Consiglio dei Ministri è chiamato a svolgere un'attività meramente consultiva, sicché non si sarebbe in presenza di una vera e propria deliberazione e, quindi, della fattispecie regolata dalla norma statutaria invocata dalla ricorrente. Ad avviso della Corte anche questa eccezione non ha fondamento, e ciò perché - a prescindere dalla questione se l'art. 21, terzo comma, dello Statuto non debba essere interpretato nel senso che, in presenza di un interesse regionale, là dove c'e competenza del Consiglio dei Ministri, quale che sia il suo contenuto, sussista l'obbligo di invitare il Presidente regionale - è da escludere che la formula "sentito il Consiglio dei Ministri" significhi che nella specie quest'organo non eserciti una vera e propria funzione decisoria. Una tale conclusione negativa non può certo essere giustificata dalla circostanza che la nomina del presidente dell'ente acquedotti avviene su proposta del Ministro per i lavori pubblici e con decreto presidenziale: il vigente ordinamento, infatti, non conosce atti esterni del Consiglio dei Ministri, e d'altra parte la posizione costituzionale di quest'ultimo impone di ritenere che tutte le volte in cui esso sia chiamato a pronunziarsi su una certa materia, le sue deliberazioni (a meno che dalla legge attributiva della competenza non risulti chiaramente il contrario) determinino il contenuto del provvedimento, sì che di fronte ad esse gli ulteriori atti ministeriali e presidenziali assumano la funzione di mera attuazione.

3. - Risolte in tal modo le due questioni preliminari, resta da accertare se la nomina del presidente dell'ente acquedotti siciliani è materia che interessi la Regione nel senso previsto dall'art. 21 dello Statuto siciliano. Per decidere questo punto nessun rilievo ha la circostanza che l'ente, come risulta dalla legge 19 gennaio 1942, n. 24, è inquadrato nell'amministrazione dello Stato: tale circostanza, infatti, giustifica la competenza statale a provvedere alla nomina, ma non esclude l'applicabilità del procedimento stabilito dalla norma statutaria che per definizione presuppone, appunto quella competenza. Il problema, invece, va posto in termini affatto diversi: si tratta, infatti, di vedere se con l'indubbio interesse generale, che giustifica l'attribuzione del potere deliberante allo Stato, concorra un interesse della Regione del grado richiesto dall'art. 21 dello Statuto.

In proposito la Corte, richiamando la sua precedente giurisprudenza ed in particolare i concetti esposti nella sentenza n. 4 del 1966, ritiene che a giustificare la particolare competenza attribuita alla Regione non siano sufficienti né il criterio di un interesse puramente di fatto né il criterio della localizzazione territoriale o degli effetti locali delle attività cui le deliberazioni statali si riferiscano: non il primo, perché proprio le ragioni esposte al n. 1) impongono che siano presi in considerazioni solo interessi giuridicamente qualificati; non il secondo, perché anche attività locali o effetti che si producono nell'ambito territoriale della Regione possono corrispondere ad un interesse tipico ed esclusivo dello Stato. Occorre pertanto giungere alla conclusione che la norma statutaria si riferisce solo all'interesse che si colleghi alla Regione come ente esponenziale di poteri giuridici di autonomia.

Posta questa premessa, l'indagine deve essere volta ad accertare se l'ordinamento giuridico consideri la materia de qua come tipicamente statale ovvero se esso dia rilevanza ad un interesse regionale. La risposta nel secondo senso non sembra dubbia. A prescindere dalla circostanza che lo stesso regime comune di appartenenza degli acquedotti tiene conto dell'interesse locale che ad essi si connette in riferimento alla loro estensione territoriale (cfr. art. 824 Codice civile in relazione all'art. 822), è decisiva la considerazione che, accanto alle norme contenute nei vari Statuti speciali (ed in forza delle quali, ad esempio, la Regione sarda ha potuto emanare la legge regionale 20 febbraio 1957, n. 18, istitutiva dell'ente sardo acquedotti e fognature), la Costituzione - art. 117 - esplicitamente attribuisce anche alle regioni comuni la materia degli acquedotti di interesse locale. E non è senza importanza che la stessa legge statale 4 febbraio 1963, n. 129, abbia disposto (art. 1, comma terzo) che le Regioni concorrano alla elaborazione del piano regolatore generale degli acquedotti, in applicazione di un principio di coordinamento degli interessi regionali e dell'interesse statale che la Corte - sentenza n. 4 del 1964 - ha ritenuto essenziale al rispetto delle competenze costituzionali attribuite alle Regioni in questo specifico settore. Considerate in questo quadro generale, le norme dello Statuto siciliano (art. 32, relativo al demanio delle acque pubbliche; art. 14, lett. i, concernente la competenza legislativa in materia; art. 14, lett. g, attributivo della competenza in tema di lavori pubblici) e le disposizioni di attuazione (D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878, che non considera gli acquedotti fra le opere ritenute di prevalente interesse nazionale), confermano che nella materia qui esaminata la Regione siciliana è titolare di un interesse giuridicamente rilevante, tale da corrispondere - trattandosi di un ente che opera esclusivamente in Sicilia (art. 1 della legge 19 gennaio 1942, n. 24) e per l'attività del quale la stessa legislazione statale (art. 2 cpv. del Decr. legt. Pres. 17 aprile 1948, n. 774) prevede un'intesa con la Regione - al particolare interesse che il procedimento previsto dall'art. 21 dello Statuto presuppone. Né a diversa conclusione può pervenirsi per il fatto che la presente controversia riguarda un atto di nomina e non già il funzionamento dell'ente: a parte la considerazione che l'ordinamento contempla casi in cui si realizza un concorso della Regione proprio in tema di nomine (e ciò, come ha messo in evidenza la difesa della ricorrente, perfino in ipotesi riguardanti la preposizione ad uffici esclusivamente statali), sicché non può dirsi che si tratti di una forma di cooperazione estranea ai tipi previsti dalla legislazione, è del tutto evidente che l'interesse alla funzione non è dissociabile dall'interesse alla scelta di chi alla funzione è preposto con poteri che, come accade nel caso di specie (cfr. art. 2 cpv. del R.D. 23 febbraio 1942, n. 369), sono decisivi per il suo esercizio.

4. - Deve pertanto riconoscersi che provvedendo alla nomina del presidente dell'ente acquedotti siciliani senza che il Presidente della Regione sia stato invitato a partecipare alla riunione del Consiglio dei Ministri nel corso della quale essa fu deliberata, lo Stato, pur esercitando una competenza propria, ha precluso l'esercizio di una competenza costituzionale della Regione. Il relativo provvedimento va di conseguenza annullato ai sensi degli artt. 38, 39 e 41 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

accogliendo il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione siciliana con l'atto di cui in epigrafe:

a) dichiara che spetta al Presidente della Regione siciliana partecipare al Consiglio dei Ministri per la deliberazione della nomina del presidente dell'Ente acquedotti siciliani (art. 2, R.D. 23 febbraio 1942, n. 369);

b) annulla il D.P.R. 9 agosto 1967, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 31 agosto 1967, concernente la nomina dell'avv. Luigi Mazzei a presidente di detto ente per la durata di un quadriennio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI.

 

Depositata in cancelleria il 14 marzo 1968.