SENTENZA N. 4
ANNO 1964
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 4 febbraio 1963, n. 129, intitolata: "Piano regolatore generale degli acquedotti e delega al Governo ad emanare le relative norme di attuazione", promosso con ricorso del Presidente della Regione autonoma della Sardegna, notificato il 30 marzo 1963, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale l'8 aprile successivo ed iscritto al n. 2 del Registro ricorsi 1963.
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1963 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi l'avv. Pietro Gasparri, per la Regione sarda, e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 30 marzo 1963, la Regione sarda ha impugnato la legge 4 febbraio 1963, n. 129, intitolata: "Piano regolatore generale degli acquedotti e delega al Governo ad emanare le relative norme di attuazione". In particolare la Regione ha chiesto la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, e 5 della legge statale per contrasto con gli artt. 3, 4, 6 e 14 dello Statuto speciale per la Regione sarda.
2. - L'art. 1 della legge impugnata, disponendo che il Ministro dei lavori pubblici é autorizzato a predisporre un piano regolatore generale degli acquedotti per tutto il territorio dello Stato, utilizzando, per i territori indicati nell'art. 3 della legge 10 agosto 1950, n. 646, e successive modificazioni (tra i quali é compresa la Sardegna), il servizio acquedotti e fognature della Cassa per il Mezzogiorno e sentendo le Regioni a Statuto speciale e, ove esistenti, le Regioni a statuto normale, avrebbe invaso, in primo luogo, la sfera di competenza legislativa primaria della Regione in quanto attiene all'"esercizio dei diritti demaniali.. sulle acque pubbliche" (art. 3, lett. e, dello Statuto), ai "lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione" (art. 3, lett. a) tra i quali sono necessariamente da ricomprendere gli acquedotti, data la connessione di questi con le acque pubbliche sulle quali la Regione ha diritto di proprietà ai sensi dell'art. 14 dello Statuto; e alla "urbanistica" (art. 3, lett. f), in quanto una pianificazione in materia di acquedotti non può non rientrare nella pianificazione generale "urbanistica"; e, in secondo luogo, la sfera di competenza legislativa regionale cosiddetta concorrente in materia di industria (art. 4, lett. a), di grande e media bonifica (art. 4, lett. c), di produzione e distribuzione dell'energia elettrica (art. 4, lett. e), di assunzione dei pubblici servizi (art. 4, lett. i), tutte quante collegate inevitabilmente con la materia degli acquedotti. E poiché, secondo l'art. 6 dello Statuto, la Regione esercita le funzioni amministrative nelle materie nelle quali ha competenza legislativa, e la legge non le ha riconosciuto, invece, nient'altro se non una competenza consultiva, anche quest'articolo dello Statuto sarebbe stato violato, come risulterebbe violato anche l'art. 14, secondo il quale la Regione é succeduta allo Stato in tutti i diritti di proprietà patrimoniale e demaniale, comprese le acque, stante che non si può pianificare in materia di acquedotti senza contemporaneamente pianificare in materia di utilizzazione delle risorse idriche.
3. - L'art. 2 della legge impugnata, disponendo alle lettere a e b che il piano deve "considerare le esigenze idriche di tutti gli agglomerati urbani e rurali" sulla base di criteri che la legge stessa determina, e deve "accertare la consistenza delle varie risorse idriche esistenti ... e indicare quali gruppi di risorse idriche siano ... da attribuire a determinati gruppi di abitati ...", violerebbe le disposizioni dell'art. 3, lett. f ed e, nonché gli artt. 6 e 14 dello Statuto, secondo i quali alla Regione spetta di legiferare ed amministrare in materia di urbanistica e di acque pubbliche. In queste stesse violazioni, ma anche nella violazione delle norme statutarie in materia di lavori pubblici di esclusivo interesse regionale (art. 3, lett. e) e di igiene e sanità (art. 4, lett. i), incorrerebbero poi le norme contenute nel medesimo art. 2, lett. c e d, della legge impugnata, che attribuiscono al Ministero la competenza a determinare "gli schemi sommari delle opere occorrenti per la costruzione di nuovi acquedotti o la integrazione o sistemazione di quelli esistenti.. e redigere un preventivo generale di spesa", nonché a elaborare "gli schemi sommari delle opere occorrenti per il corretto e razionale smaltimento dei rifiuti liquidi". Anche la norma contenuta nella lett. e di quest'articolo 2 della legge, che attribuisce al Ministero dei lavori pubblici il compito di "armonizzare l'utilizzazione delle acque per il rifornimento idrico degli abitati col programma per il coordinamento degli usi congiunti delle acque ai fini agricoli, industriali e per la navigazione", violerebbe non soltanto le norme statutarie sopra ricordate, ma anche quelle dell'art. 3, lett. d (agricoltura, piccole bonifiche ed opere di miglioramento agrario e fondiario), dell'art. 4, lett. a (industria), e dell'art. 4, lett. c (opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria), dello Statuto.
4. - L'art. 3, secondo comma, della legge, che stabilisce, per il termine che intercorre dalla data di deliberazione del progetto di piano sino alla data di entrata in vigore delle norme di attuazione, la riserva delle acque, che si prevede di utilizzare, ai sensi e per gli effetti dell'art. 51 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, violerebbe la competenza della Regione a imporre vincoli siffatti quale proprietaria delle acque pubbliche (art. 14 dello Statuto) dell'Isola e l'altra a disciplinare l'esercizio dei diritti demaniali sulle acque stesse (art. 3, lett. l, dello Statuto).
5. - L'art. 4, primo comma, della legge impugnata dispone che per il periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore della legge il Ministero dei lavori pubblici di concerto con quello per il tesoro é autorizzato a conferire incarichi a enti e a liberi professionisti, e ad assumere personale temporaneo specializzato per quanto occorre ai fini della formulazione del piano. Questa norma, sostiene la Regione, viola la competenza regionale anche per la materia dell'"ordinamento degli uffici" e dello "stato giuridico ed economico del personale" (art. 3, lett. a). Ciò peraltro non comporterebbe che alla Regione non debba essere devoluta una parte degli stanziamenti previsti dal secondo comma di quest'articolo e dall'art. 6 della legge, anche in conformità dell'art. 8 dello Statuto, che prevede tra le entrate della Regione "i contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere pubbliche".
6. - Infine l'art. 5 delega al Governo di emanare norme per consentire l'attuazione del piano e dispone che, nell'esercizio della delega, il Governo debba tener presente la competenza attribuita alla Regione in materia di acquedotti e di lavori pubblici di interesse regionale dall'art. 117 della Costituzione.
Se, sostiene la Regione, il fatto che la norma non faccia parola della competenza in materia di acquedotti delle Regioni a Statuto speciale e segnatamente della Sardegna, significhi che il legislatore statale voglia negare siffatta competenza, anche detta norma sarebbe viziata, per le ragioni già esposte, di illegittimità costituzionale.
7. - Nelle deduzioni che l'Avvocatura dello Stato ha depositato il 19 aprile 1963, si sostiene in linea principale che il piano previsto dalla legge impugnata trova il suo fondamento e la sua legittimità nell'art. 13 dello Statuto per la Sardegna, giusta il quale lo Stato dispone con il concorso della Regione un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'Isola. É in osservanza di questa norma che il terzo comma dell'art. 1 della legge dispone che per la formulazione del piano devono essere sentite le Regioni a statuto speciale e, ove esistenti, le Regioni a statuto normale. Inoltre, la legge é stata emanata per il soddisfacimento di interessi nazionali e anche questo la mette al riparo dalla censura di incostituzionalità, stante che l'art. 3, primo comma, dello Statuto, dispone che anche la legislazione primaria regionale deve rispettare gli interessi nazionali. A sostegno di questa tesi, l'Avvocatura richiama la sentenza n. 12 del 16 febbraio 1963 di questa Corte, pronunziata nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale 26 ottobre 1961, intitolata: "Utilizzazione locale degli idrocarburi provenienti dalle coltivazioni in Sardegna".
Da questa premessa fondamentale l'Avvocatura trae i motivi per respingere le censure mosse alla legge dalla Regione, segnatamente quelle contro l'art. 1. Le norme che prevedono che spetti alla Regione di legiferare in materia di esercizio dei diritti demaniali sulle acque pubbliche, di lavori pubblici di esclusivo interesse delle Regioni, di urbanistica, di industria, di produzione e distribuzione dell'energia elettrica, di assunzione dei pubblici servizi, riguardano l'attuazione di singole opere, o il compimento di singole attività, non già la determinazione di un piano di sviluppo e risanamento idrico nell'interesse nazionale, che non può essere vietato allo Stato di predisporre e promuovere. La competenza della Regione avrà modo di esercitarsi in un secondo momento, quando si passerà all'attuazione del piano, secondo quanto del resto prevede la stessa legge nell'art. 5, dalla previsione del quale sarebbe errato escludere, come fa la difesa regionale, le Regioni a statuto speciale. Dal fatto che la formulazione del piano é legittimamente attribuita allo Stato, perdono valore i rilievi mossi dalla Regione alle norme contenute nell'art. 2, che prevedono atti in necessaria relazione con la formulazione del piano: argomento questo che vale anche per la ricordata norma dell'art. 3 della legge che regola la riserva delle acque per il periodo che intercorrerà tra l'approvazione del piano e l'entrata in vigore delle norme di attuazione.
L'art. 4, poi, che prevede, come si é visto, il conferimento di incarichi e l'assunzione di personale temporaneo per gli studi necessari alla formulazione del piano e per questa stessa formulazione, riguarda compiti che debbono essere assolti per conto dell'Amministrazione dello Stato, alla quale non può essere perciò negata la esclusiva competenza di regolare i propri rapporti con gli enti e le persone incaricati di codesti compiti. Né può essere sostenuta la tesi che, ciò nonostante, debba essere devoluta alla Regione una parte dei fondi stanziati per la predisposizione del piano previsto dalla legge. Anche sotto questo profilo vale l'argomento principale fatto valere dall'Avvocatura che, nel caso, si tratta di formulare un piano di competenza dello Stato. Aggiunge la difesa dello Stato, che, se fosse poi vera la tesi che allo Stato non spetti alcuna competenza in materia di acquedotti, la conseguenza sarebbe che non solo le spese del piano dovrebbero essere a carico della Regione, ma che non potrebbe trovare applicazione in Sardegna la legge 3 agosto 1949, n. 589, che subordina la concessione di contributi ai Comuni per la costruzione di acquedotti, alla compilazione di un piano da parte del Ministro dei lavori pubblici, e nemmeno le norme che regolano gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, che pure opera in Sardegna sulla base di piani e programmi che essa stessa predispone.
Conclude chiedendo che la Corte respinga in ogni sua parte l'impugnativa per illegittimità della legge.
8. - In una memoria depositata il 26 novembre 1963, la difesa della Regione ribatte le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, insistendo segnatamente sul punto che la legge impugnata non prevede una programmazione economica, per la quale, entro certi limiti, si potrebbe ammettere la competenza statale, ma una pianificazione tecnica urbanistica, e una parallela e complementare programmazione di interventi finanziari. Non può essere dubbio, secondo la difesa, che un piano tecnico in materia di acquedotti costituisca una maniera tipica di esercitare una competenza che la Regione ha in materia di "acque pubbliche", "lavori pubblici di interesse regionale" e di "urbanistica"; e codesta competenza, anche se può essere coordinata con quella dello Stato, non può essere ridotta, come dalla legge impugnata é ridotta, a un semplice intervento consultivo, tanto più che l'art. 5 della legge fa salva la competenza delle Regioni in fase di attuazione. Né la competenza dello Stato, e quindi la legittimità della legge, può essere fondata sull'art. 13 concretato nella legge 11 giugno 1962, n. 588, e al quale non può essere ricondotto il piano degli acquedotti, che concerne genericamente il territorio tutto dello Stato e tocca una materia di specifica competenza regionale.
9. - Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato il 14 novembre 1963 una memoria, nella quale sostiene:
a) la tesi che la legge impugnata stabilisce un piano di lavori d'interesse nazionale mediante norme di carattere generale, lasciando alle leggi delegate d'attuazione, per le quali é previsto il rispetto delle competenze regionali, le norme specifiche per l'attuazione degli acquedotti nelle singole Regioni. Si tratta cioè di un piano nazionale, e dunque d'interesse nazionale, e in quanto tale applicabile in ogni Regione sia a statuto ordinario sia a statuto speciale;
b) la tesi che la Regione non ha competenza in materia di acquedotti né essa può esserle attribuita dall'interprete, muovendo dalle finalità di altre competenze regionali o dal riferimento economico a queste altre competenze espressamente conferite alla Regione.
10. - Nell'udienza dell'11 dicembre 1963 le difese delle parti hanno illustrato le tesi sostenute negli scritti difensivi e insistito nelle già prese conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La questione fondamentale, e che assorbe tutte le altre sottoposte all'esame della Corte, é questa: se lo Stato sia, oppure non, competente a emanare leggi che abbiano per loro contenuto la formulazione di programmi e piani, riguardanti l'intero territorio statale, comprese in questo le Regioni a statuto speciale, e relativi all'intera economia del Paese o a questo o a quel settore di essa.
Posta in questi termini, la questione non può non essere risolta se non positivamente, nel senso, cioè, che é lo Stato ad avere una competenza siffatta; e non può non averla, perché soltanto ad esso spetta la tutela degli interessi generali. Detto diversamente, l'efficacia della legge statale non si arresta, in questi casi, ai confini della Regione sia a statuto ordinario, sia a statuto speciale. La Corte ha già affermato questo principio nella sentenza n. 12 del 1963 proprio con riferimento alla Sardegna. Esso ha il suo fondamento nell'altro dell'unità dello Stato, della quale le autonomie regionali sono un'articolazione, e trova espressione nel rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, imposto esplicitamente o implicitamente come limite della potestà legislativa regionale e sancito per la Sardegna negli artt. 3 e 4 dello Statuto.
Che il piano generale degli acquedotti sia un piano ispirato a un preminente e fondamentale interesse nazionale e che esso possa essere collegato, entro certi limiti, con le riforme economico-sociali, delle quali é parola nelle previsioni legislative sopra ricordate degli statuti speciali, non pare possa essere revocato in dubbio. Vero é che la difesa della Regione ha tentato di distinguere tra "programmazione economica" e "pianificazione tecnica urbanistica" collegata ad una parallela e complementare programmazione di interventi finanziari, per ammettere la competenza statale ad emanare soltanto norme che abbiano ad oggetto la prima, vale a dire la "programmazione economica". Ma, a prescindere dalla fondatezza di una distinzione siffatta, che può accettarsi assegnando alla "programmazione economica" una significazione ampia e generica, tale, cioè, da abbracciare l'intera economia del Paese al fine di segnare le grandi linee direttive dello sviluppo economico della collettività, non ritiene la Corte che essa possa essere invocata per giustificare una dichiarazione di illegittimità della legge impugnata.
In realtà, un piano generale per gli acquedotti, che si proponga di assicurare i rifornimenti idrici a tutta la popolazione della Repubblica, o, come dicono i tecnici, di "normalizzare", con riferimento a certi parametri quantitativi e temporali, la soddisfazione di un bisogno primario e fondamentale degli abitanti, non può essere impostato se non secondo una visione generale delle necessità del Paese e con riferimento ai mezzi finanziari necessari a risolvere il problema e alla assegnazione di codesti mezzi ai vari settori secondo un ordine di preferenze che non può essere fissato se non dal legislatore statale. E d'altra parte é difficile negare che un piano, il quale si proponga le finalità sopra enunciate, non sia riconducibile a quelle modificazioni delle "infrastrutture" (come usa dire), che sono condizione e, insieme, parte delle riforme economico- sociali che lo Stato é tenuto a perseguire secondo gli indirizzi e col rispetto dei limiti posti dalla Costituzione.
2. - Ciò, tuttavia, non significa che la competenza statale in questo campo sia così assorbente da limitare ogni altra competenza regionale fino ad eliminarla affatto. Qualora si affermasse un principio di questo genere, si correrebbe il rischio di vedere compromessa l'autonomia regionale e perfino negata la stessa sua ragione d'essere, che é quella di dare soluzioni appropriate ai problemi particolari di ciascuna Regione e tutela adeguata ai relativi interessi.
Occorre perciò che in questo campo il preminente interesse generale, del quale é portatore lo Stato, si coordini e si concilii con l'interesse particolare del quale é portatrice la Regione, quando dalla impostazione generale del piano si scenda alla sua specificazione concreta. Soprattutto in questa fase, che é la fase di realizzazione del piano generale attraverso piani regionali, deve intervenire il necessario coordinamento dell'opera statale con quella regionale, nell'ambito e nel rispetto delle competenze statutarie delle singole Regioni.
É stata questa, del resto, la via seguita dal legislatore per la formulazione del piano organico di rinascita della Sardegna, previsto dall'art. 13 dello Statuto speciale, e per gli interventi straordinari nell'Italia meridionale e insulare ad opera della Cassa del Mezzogiorno. Nel primo caso il piano é disposto dal Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno col concorso della Regione autonoma della Sardegna, concorso che si realizza mediante la partecipazione del Presidente della Giunta regionale con voto deliberativo alle deliberazioni del Comitato dei Ministri, e mediante l'intesa tra gli organi tecnici della Regione e la Cassa per il Mezzogiorno nella fase di predisposizione del piano generale e dei programmi annuali e pluriennali nell'ambito di quello, tutti sottoposti, poi, all'approvazione del Comitato dei Ministri come sopra integrato (artt. 1, 3 e 4 della legge 11 giugno 1962, n. 588). Nel secondo caso, i programmi particolari delle opere relative alla Sicilia e alla Sardegna sono predisposti dalle Amministrazioni delle Regioni d'intesa con la Cassa per il Mezzogiorno, competente poi ad approvarli, e nell'ambito di un piano o programma generale predisposto e approvato dal Comitato dei Ministri (art. 25 della legge 10 agosto 1950, n. 646). In virtù di questa legge e delle successive che l'hanno modificata e integrata (segnatamente quella 29 luglio 1957, n. 634), é stato predisposto e approvato ed é già in fase di avanzata attuazione il "piano di normalizzazione" dei rifornimenti idrici per tutti i "centri abitati" della Sardegna (come fu ricordato al Senato durante la discussione della legge impugnata), sulla base del quale sono state poste a carico totale dello Stato le opere principali di raccolta e di adduzione delle acque, ivi compresi i serbatoi, nonché, per la maggior parte dei centri abitati, quelle di distribuzione interna e degli impianti e reti di fognatura, che la legislazione precedente poneva a carico dei Comuni (artt. 5 della legge 10 agosto 1950, n. 646, e 6 della legge 29 luglio 1957, n. 634).
Né si può dire che la legge impugnata abbia seguito una via diversa, trascurando l'esigenza che l'opera d'intervento statale si coordini con quella regionale per assicurare che l'attività pianificatrice dello Stato non si compia col sacrificio dell'autonomia regionale, ma, al contrario, mediante questa e nel rispetto delle competenze della Regione, nell'ambito del quale gli statuti le riconoscono e delimitano. Il piano generale, infatti, deve essere in primo luogo formulato sentite le Regioni, e trattandosi appunto di un piano generale, non poteva essere disposto altrimenti. Pretendere, come sostiene la difesa regionale, che in questa fase si dovesse procedere d'intesa con la Regione, significherebbe rendere impossibile la definitiva redazione del piano generale, che, necessariamente, deve operare una sintesi delle diverse esigenze locali e fondarsi su criteri unitari. In secondo luogo le norme di attuazione del piano che, per la delega contenuta nell'art. 5, devono essere emanate dal Governo, entro il termine di tre anni dall'entrata in vigore della legge, devono tener conto delle competenze delle Regioni, ovviamente non soltanto di quelle a statuto ordinario, ma altresì, e a maggior ragione, di quelle a statuto speciale (nel che, del resto, le parti concordano), e, per quel che riguarda la Sardegna, di quanto é già stato legittimamente predisposto e compiuto dalla legislazione precedente ed é in via d'attuazione nel territorio dell'Isola, mediante l'opera concorde dello Stato e della Regione.
Da quanto precede risulta chiaro che le questioni sollevate dalla difesa regionale nei confronti delle norme contenute negli articoli impugnati della legge devono ritenersi assorbite. Quelle norme, infatti, pongono soltanto i criteri direttivi del piano regolatore, ne costituiscono, cioè, la premessa necessaria o, come quella dell'art. 3, secondo comma, relativa alla riserva delle acque ai sensi dell'art. 51 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, lo strumento temporaneo e indispensabile per rendere possibile a suo tempo l'attuazione del piano, e sono pertanto esplicazione puntuale e legittima dei poteri che, come si é visto, lo Stato ha in questa materia;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni sollevate dalla Regione sarda sulla legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 4 febbraio 1963, n. 129, intitolata: "Piano regolatore generale degli acquedotti e delega al Governo ad emanare le relative norme di attuazione", in riferimento agli artt. 3, 4, 6 e 14 dello Statuto speciale per la Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1964.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 1964.