Sentenza n. 29 del 1964
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SENTENZA N. 29

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, secondo comma, e 8, ultimo comma, del D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, promosso con ordinanza emessa il 20 marzo 1963 dal Tribunale di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Bettaccini Giuseppe ed altri e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 104 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 153 dell'8 giugno 1963.

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Bettaccini Giuseppe ed altri;

udita nell'udienza pubblica del 22 gennaio 1964 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

udito l'avv. Giuseppe Guarino, per Bettaccini Giuseppe ed altri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 20 marzo 1963 nel procedimento civile instaurato dal signor Giuseppe Bettaccini e da altri tredici operai permanenti dello Stato cessati dal servizio contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale il Tribunale di La Spezia, parzialmente accogliendo un'istanza degli attori, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 8, "primo ed ultimo comma rispettivamente", del decreto legislativo presidenziale n. 20 dell'11 gennaio 1956 in relazione agli artt. 3, 76 e 77 della Costituzione.

Nell'ordinanza il Tribunale, premesso che con legge 20 dicembre 1954, n. 1181, il Governo venne delegato ad emanare nuove norme sullo statuto degli impiegati dello Stato e che al n. 13 dell'art. 2 si stabiliva, fra l'altro, che il nuovo statuto dovesse disciplinare anche il trattamento di quiescenza con determinazione dell'aliquota della retribuzione fondamentale da assumere a base della liquidazione del predetto trattamento e di quello previdenziale nonché delle relative trattenute, osserva che l'art. 10 del decreto presidenziale delegato, dopo aver riconosciuto il diritto dei salariati di ruolo all'integrale trattamento pensionistico a carico dello Stato, ha stabilito il principio che lo Stato subentra nei diritti dei salariati, delle loro vedove e dei loro orfani alla pensione o quota di pensione relativa all'assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti per i servizi resi dal 1 gennaio 1926 che siano valutati anche per la pensione statale. Secondo l'ordinanza é rilevante per il giudizio in corso e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale norma che ha dettato una disciplina che esula dai limiti e dai criteri direttivi dettati dalla legge di delega, la quale, oltre tutto, é ispirata al fine di predisporre una migliore tutela ed una più adeguata previdenza di tutti i dipendenti dello Stato; si osserva altresì che il salariato, avendo contribuito con distinte ritenute alla formazione tanto del fondo pensione statale quanto del fondo pensione invalidità, vecchiaia e superstiti, matura per ciò stesso il diritto ai due trattamenti pensionistici con la conseguenza della illegittimità di una norma che vi ponga limiti non consentiti. Il citato art. 10, oltre che contrastare con gli artt. 76 e 77 della Costituzione per il denunziato eccesso di delega, violerebbe secondo l'ordinanza anche l'art. 3 della Costituzione in quanto "conservando la pensione I.N.P.S. ai salariati in servizio e togliendola a quelli a riposo, non tratta i salariati dello Stato in modo uguale agli altri lavoratori".

La stessa ordinanza denunzia infine l'illegittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 8 del decreto delegato n. 20 del 1956 che ha retrodatato al 1 maggio 1952 l'applicazione della norma, contenuta nel primo comma dello stesso articolo, che aumenta per i salariati dello Stato la ritenuta in conto entrata del Tesoro:

nessuna disposizione della legge di delega può infatti ritenersi abbia consentito siffatta retrodatazione.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri il 26 aprile 1963, comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento il 24 aprile 1963 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 153 dell'8 giugno 1963.

Nel presente giudizio non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri; si sono costituiti con atto 28 giugno 1963 e con la difesa degli avvocati Giuseppe Guarino e Franco Santini il signor Giuseppe Bettaccini e tutti gli altri attori del giudizio di merito.

Nell'atto di costituzione viene richiamata la precedente legislazione in tema di trattamento di quiescenza dei salariati di ruolo dello Stato; si sostiene che il Governo é incorso in un inequivocabile eccesso di delega, giacché l'art. 2, n. 13, della legge delegante n. 1181 del 1954 gli consentiva solo il riordinamento della pensione statale e non anche quello della pensione a carico dell'I.N.P.S. , ed in una patente violazione del principio di eguaglianza; si conclude con la richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale non solo delle menzionate disposizioni della legge delegata, ma anche degli artt. 18 e segg. del R.D.L. 31 dicembre 1925, n. 2383, e degli artt. 14 e segg. del R.D. 28 giugno 1933, n. 704.

Nella memoria depositata il 9 gennaio 1964 le parti costituite hanno osservato che in base alla legislazione precedente la pensione statale veniva liquidata ai salariati previa deduzione di quella a carico dell'I.N.P.S. e che la nuova disciplina disposta dall'art. 10 del decreto delegato (integrale liquidazione della pensione statale e incameramento allo Stato della pensione invalidità, vecchiaia e superstiti), se in sostanza lascia invariato il risultato pratico, viene ad instaurare un sistema che dal punto di vista giuridico é profondamente diverso, in quanto detta ex novo la regolamentazione di due istituti affatto distinti - pensione statale e pensione I.N.P.S. - laddove la delega riguardava solo ed esclusivamente la pensione statale. Il nuovo regime é anche sostanzialmente illegittimo, perché senza ragione giustificatrice lo Stato priva il salariato di un diritto maturato nei confronti dell'I.N.P.S. per effetto dei contributi versati. La violazione del principio di eguaglianza é resa evidente non solo dal diverso trattamento del salariato secondo che sia in servizio o a riposo, ma anche dall'eguale trattamento di due situazioni diverse: quello del comune dipendente dello Stato che é assoggettato ad un'unica ritenuta e riceve un solo trattamento pensionistico e quella del salariato che raggiunge lo stesso risultato pur essendo stato sottoposto a due ritenute distinte ed autonome. I contributi già versati dai salariati possono costituire solo a loro favore un diritto, rispetto al quale lo Stato é del tutto estraneo e la disciplina dettata dalla norma denunziata é dipesa dal fatto che il legislatore delegato ha esercitato retroattivamente il potere conferitogli, mentre nel silenzio della legge di delega egli avrebbe dovuto rispettare il principio generale dell'irretroattività ed avrebbe potuto disporre solo per l'avvenire.

Nell'udienza pubblica del 22 gennaio 1964 l'avv. Giuseppe Guarino ha ribadito le tesi sostenute nell'atto di costituzione e nella memoria.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte non può portare il suo esame sugli artt. 18 e segg. del R.D.L. 31 dicembre 1925, n. 2383, e sugli artt. 14 e segg. del R.D. 28 giugno 1933, n. 704 - dei quali la difesa del Bettaccini nell'atto di costituzione ha chiesto la dichiarazione di incostituzionalità - giacché il giudizio incidentale di legittimità costituzionale é circoscritto nei confini fissati dall'ordinanza di rimessione e non può riguardare, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo sentenze nn. 119 e 127 del 1963), nuove eccezioni sollevate dalle parti.

2. - Nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione viene sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10 e 8, "primo ed ultimo comma rispettivamente", del D.P.R. n. 20 dell'11 gennaio 1956. Ma dalla motivazione si ricava con assoluta certezza che la prima norma sottoposta al controllo di costituzionalità non é quella del primo comma dell'art. 10, bensì l'altra contenuta nel successivo secondo comma. Individuata così la disposizione effettivamente denunziata, la Corte, nell'esercizio del suo potere di interpretare l'ordinanza ai fini della determinazione dei limiti del giudizio di legittimità costituzionale, accerta preliminarmente che quello attuale ha ad oggetto l'art. 10, secondo comma, e l'art. 8, ultimo comma, del D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20.

3. - La Corte é chiamata a decidere, in primo luogo, se la norma contenuta nell'art. 10, secondo comma, del D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, emanato in forza dell'art. 2, n. 13, della legge delegante 20 dicembre 1954, n. 1181, in quanto stabilisce che lo Stato subentra nei diritti dei salariati e delle loro vedove ed orfani alla pensione o quota di pensione relativa all'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti per i servizi resi dal 1 gennaio 1926 valutati anche per la pensione statale, abbia ecceduto i limiti della delega.

L'argomento addotto dall'ordinanza di rimessione ed ampiamente sviluppato dalla difesa del Bettaccini é basato sull'assunto che, essendo la norma delegante rivolta esclusivamente al riordinamento della pensione statale, il legislatore delegato, mentre legittimamente nel primo comma dell'art. 10 ha stabilito che questa venga ai salariati corrisposta in misura integrale, non avrebbe potuto disporre, come ha fatto nel successivo comma, anche la disciplina relativa alla pensione a carico dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. Ma la censura non ha fondamento, perché non tiene conto del fatto che le norme dettate dall'art. 10, primo e secondo comma, riguardano il trattamento di quiescenza che al salariato di ruolo ed agli aventi diritto compete per i servizi, e solo per questi, resi allo Stato e valutati ai fini della pensione statale: sicché rientrava certamente nei poteri del Governo, in virtù della delega contenuta nell'art. 2, n. 13, della legge delegante, quello di definire, ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza per i Servizi resi allo Stato, i rapporti salariati – Stato - I.N.P.S. scaturenti dal vigente sistema di ritenute.

A sostegno di tale conclusione sta la considerazione che il legislatore delegato in sostanza non ha modificato il complessivo trattamento di quiescenza che ai salariati competeva in base alla precedente legislazione, in conformità della quale essi, assoggettati durante il servizio alla ritenuta in conto entrate del Tesoro (ma in misura ridotta rispetto agli altri dipendenti) ed ai contributi per l'assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti, percepivano la pensione statale nell'ammontare risultante dalla previa detrazione della pensione I.N.P.S. I vari provvedimenti - R.D. 24 dicembre 1924, n. 2114, "testo unico delle disposizioni legislative sullo stato giuridico e sul trattamento economico dei salariati dello Stato"; R.D.L. 31 dicembre 1925, n. 2383, "norme per il trattamento di quiescenza dei salariati statali"; R.D. 28 giugno 1933, n. 704, "norme per il funzionamento presso l'Amministrazione dello Stato dei servizi inerenti alla liquidazione delle pensioni"; D.L. C. P. S.13 agosto 1947, n. 833, "miglioramenti sui trattamenti di quiescenza" - hanno disciplinato sempre unitariamente e nell'ambito della normativa relativa al trattamento statale di quiescenza le conseguenze derivanti dalla duplice ritenuta, e ciò conferma che il legislatore delegato, mantenendo fermo il già vigente divieto di cumulo delle due pensioni e limitandosi ad articolarlo diversamente al solo fine di una semplificazione contabile, non é incorso in alcun eccesso nei riguardi della legge di delega che gli conferiva il potere di dettare una nuova disciplina sul trattamento di quiescenza di tutti i dipendenti dello Stato e, perciò, anche dei salariati. E non é senza rilievo la circostanza che lo stesso Parlamento con l'articolo unico della successiva legge 13 agosto 1957, n. 762, che ha aggiunto il comma 3 bis all'art. 10 in esame, ha espressamente confermato il vigore del secondo comma che forma oggetto del presente giudizio.

Stando così le cose, non hanno valore tutte le considerazioni contenute nell'ordinanza e negli atti difensivi che, presupponendo un eccesso di delega, pongono in evidenza la diversità istituzionale della pensione statale e della pensione I.N.P.S. per dedurne che il legislatore delegato non avrebbe potuto limitare o addirittura annullare un diritto (e cioè quello alla pensione invalidità, vecchiaia e superstiti) già maturato attraverso la ritenuta dei relativi contributi. Ed invero, mentre non si può porre in proposito alcuna questione di retroattività, é sufficiente osservare che il diritto sorge da una norma che lo attribuisce, sicché la censura altro non ripropone se non lo stesso problema di eccesso di delega che la Corte, per le cose dette, ritiene vada risolto negativamente.

Non ha influenza, infine, il fatto che questa Corte con sentenza n. 28 del 27 maggio 1961 dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 27 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, in relazione alla legge di delega n. 218 del 4 aprile 1952, giacché le questioni di eccesso di delega vanno esaminate e risolte con esclusivo riferimento alle rispettive leggi di delegazione.

4. - Escluso ogni eccesso di delega, la Corte non ravvisa nel disposto dell'art. 10, secondo comma, una violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

Dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione si desume che il Tribunale ha ravvisato tale violazione sotto un duplice profilo: quello del diverso trattamento fatto ai salariati secondo che siano in servizio o a riposo e l'altro del diverso trattamento fatto ai salariati dello Stato nei confronti degli altri lavoratori.

Quanto al primo punto, la violazione del principio di eguaglianza risulterebbe dal terzo comma dello stesso art. 10 (ora parzialmente riformato dalla legge 13 agosto 1957, n. 762), il quale ha stabilito che al salariato di ruolo in servizio e che alla data in cui ha effetto il decreto delegato abbia acquisito il diritto alla pensione I.N.P.S. il disposto del secondo comma si applica solo al momento della cessazione dal servizio. Ma va osservato che le due norme confrontate regolano situazioni diverse, per le quali legittimamente il legislatore ha potuto dettare discipline diverse (cumulabilità della pensione I.N.P.S. con lo stipendio; non cumulabilità della pensione statale con la pensione I.N.P.S.) con apprezzamento discrezionale che in quanto non arbitrario si sottrae al sindacato di questa Corte.

A non diverso risultato conduce il confronto fra il trattamento dei salariati e quello degli altri dipendenti dello Stato, sul quale ha particolarmente insistito la difesa del Bettaccini. Ed in effetti non si tratta, come si sostiene, di un trattamento uguale (diritto ad una sola pensione) di due situazioni diverse (una sola ritenuta per i comuni dipendenti; una duplice ritenuta per i salariati). A parte la diversità delle percentuali di ritenuta in conto entrata del Tesoro (che per i salariati era determinata nella misura del 4 per cento: cfr. R.D.L. 31 dicembre 1925, n. 2383), sta il fatto che, essendo diversamente regolati i presupposti del diritto a pensione statale e quelli del diritto a pensione I.N.P.S. , non é esatto che l'intera disciplina sia identica, potendo verificarsi il caso che il salariato al momento della cessazione dal servizio non possa godere della pensione statale ed abbia invece maturato il diritto alla pensione invalidità, vecchiaia e superstiti. La duplice ritenuta costituisce, cioè, la premessa di un più sicuro trattamento previdenziale, secondo le direttive di una politica sociale che il legislatore delegato ha voluto mantener ferma anche per il futuro, come si evince dal disposto degli artt. 8 e 12 (unificazione della ritenuta in conto entrata del Tesoro, abolizione della assicurazione invalidità vecchiaia e superstiti per i salariati nominati dopo il 1 luglio 1956, ma obbligo dello Stato di aggiornare la posizione assicurativa eventualmente già costituita qualora al momento della cessazione dal servizio non sia maturato il diritto alla pensione statale).

Né, infine, può dirsi che ai salariati dello Stato venga fatto un trattamento deteriore rispetto agli altri lavoratori. Vero é che nella recente legislazione previdenziale (art. 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218) viene affermato, come questa Corte ha accertato (sentenza n. 28 del 27 maggio 1961), il principio del cumulo delle pensioni maturate in base a distinte contribuzioni assicurative; ma é altrettanto vero che la disciplina relativa ai salariati statali trova la sua giustificazione nel fatto che il cumulo non é consentito solo quando (o nei limiti in cui) i servizi resi con iscrizione obbligatoria all'assicurazione siano valutati anche per la pensione statale, con la chiara conseguenza che anche per questi lavoratori, ove tale coincidenza totale o parziale non vi sia, si applica la regola del cumulo dei due trattamenti di quiescenza.

5. - La seconda questione sottoposta all'esame della Corte riguarda la legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 8 del decreto delegato, denunziato per eccesso di delega. Mentre, infatti, legittimamente il Governo, in forza della delega contenuta nell'art. 2, n. 13, della legge delegante, avrebbe modificato, nel primo comma del predetto articolo, la misura della ritenuta in conto entrate del Tesoro, disponendone l'aumento dal 4 al 6 per cento, non altrettanto legittimamente, secondo l'ordinanza di rimessione e l'assunto delle parti, ne avrebbe stabilita la decorrenza dal 1 maggio 1952. Nessuna norma della legge delegante, infatti, consentiva di dare alla disposizione un'efficacia retroattiva e perciò il Governo nell'esercizio della delega non avrebbe potuto disporre che per l'avvenire.

La Corte ritiene che anche nel fissare la data di decorrenza della disciplina delegata il Governo debba osservare i principi ed i criteri direttivi della legge delegante, in conformità dell'art. 76 della Costituzione, e che, di conseguenza, si debba, in relazione alle singole leggi di delega, accertare se il legislatore delegato abbia il potere di conferire alle norme un'efficacia retroattiva. Tuttavia nella specie la questione non appare fondata. L'art. 8, infatti, non si limita ad aumentare per i salariati di ruolo la ritenuta in conto entrate del Tesoro - realizzando così una disciplina unitaria per tutti i dipendenti dello Stato - ma accolla allo Stato, nel secondo comma, i contributi per l'assicurazione invalidità vecchiaia e superstiti anche per la parte che in base alla legislazione vigente sarebbe dovuta dai salariati: ed é per entrambe le disposizioni che l'ultimo comma stabilisce la decorrenza dal 1 maggio 1952, coincidente con la data di entrata in vigore della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria. L'art. 8, valutato in questa sua inscindibile unità, non appare fonte di una disciplina retroattiva del sistema delle ritenute, giacché esso dispone solo una diversa imputazione delle ritenute già effettuate, senza con ciò minimamente ledere la posizione degli interessati, ma anzi con loro vantaggio: i salariati, infatti, pur conservando la situazione previdenziale determinata dal versamento dei contributi I.N.P.S. anche se accollati allo Stato, proprio in forza dell'ultimo comma dell'art. 8 hanno acquistato il diritto alla restituzione di quanto, a titolo di ritenuta in conto entrate del Tesoro e di ritenuta I.N.P.S. , era stato trattenuto sulle paghe in misura maggiore rispetto alla complessiva percentuale del 6 per cento;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione proposta con ordinanza 20 marzo 1963 del Tribunale di La Spezia, relativa alla legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, e dell'art. 8, ultimo comma, del D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, contenente "disposizioni sul trattamento di quiescenza al personale statale", in relazione alla legge di delega 20 dicembre 1954, n. 1181, e in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, e, per quanto riguarda la prima disposizione, anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 1964.