Sentenza n. 126 del 1962
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SENTENZA N. 126

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, promosso con ordinanza emessa il 7 dicembre 1961 dal Pretore di Tortona nel procedimento penale a carico di Vanzetto Eliseo ed altri, iscritta al n. 12 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 24 febbraio 1962.

Udita nella camera di consiglio del 27 novembre 1962 la relazione del Giudice Antonino Papaldo.  

Ritenuto in fatto 

Con ordinanza del 7 dicembre 1961 il Pretore di Tortona, nel procedimento penale a carico di Vanzetto Eliseo ed altri ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per contrasto con l'art. 16 della Costituzione, in quanto la disposizione denunziata ammetterebbe limitazioni alla libertà di locomozione e di soggiorno anche per motivi attinenti alla pubblica moralità. L'ordinanza, notificata e comunicata, rispettivamente, il 19 ed il 13 dello stesso mese di dicembre, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 24 febbraio 1962, n. 51, ed iscritta al n. 12 del Registro ordinanze del 1962.

Nessuno si é costituito, né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Considerato in diritto 

Con sentenza 21 giugno 1960, n. 45, la Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ritenendo che la disposizione predetta non sia in contrasto con gli artt. 13 e 16 della Costituzione per avere demandato all'autorità di pubblica sicurezza l'emissione dell'ordine di rimpatrio senza traduzione. Con ordinanza n. 23 del 20 marzo 1962 la stessa questione é stata dichiarata manifestamente infondata.

Con l'ordinanza di cui in epigrafe il Pretore di Tortona ha proposto questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 2 della legge del 1956 ma per un motivo diverso da quello esaminato con la sentenza e l'ordinanza ora indicate. Mentre nei giudizi precedenti la questione prospettata era quella della violazione delle norme costituzionali per il fatto che erano stati conferiti all'autorità di pubblica sicurezza poteri spettanti a quella giudiziaria, nell'ordinanza in esame la violazione dell'art. 16 della Costituzione é dedotta in quanto l'art. 2 rende possibile la limitazione della libertà di locomozione e di soggiorno anche per motivi attinenti alla pubblica moralità.

Così prospettata, la questione é nuova rispetto alla legge del 1956 e, pertanto, non può essere dichiarata manifestamente infondata per effetto della sentenza e dell'ordinanza sopraindicate. Potrebbe esserlo per effetto della sentenza n. 2 del 14 giugno 1956, con la quale la Corte, in riferimento all'art. 157 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, dichiarò che le persone pericolose per la pubblica moralità costituiscono una minaccia alla "sicurezza" ai sensi dell'art. 16 della Costituzione. Senonché, essendo intervenuta una nuova legge, la Corte ritiene che la questione debba essere riesaminata, così come, del resto, era stato fatto con la sentenza sopraindicata del 21 giugno 1960 rispetto all'altra questione sollevata nei riguardi dello stesso art. 2 della legge 27 dicembre 1956. Nel caso attuale il riesame deve essere fatto con sentenza, nella stessa camera di consiglio, non essendo possibile rinviare la causa all'udienza, stante che nessuno si é costituito, né é intervenuto.

Con la sentenza del 1956 la Corte ebbe a precisare che, per quanto si riferisce alla moralità, non dovrà certo tenersi conto delle convinzioni intime del cittadino di per se stesse incoercibili, né delle teorie in materia di morale, la cui manifestazione, come ogni altra del pensiero, é libera o disciplinata da altre norme di legge. Ma i cittadini hanno diritto di non essere turbati ed offesi da manifestazioni immorali, quando queste risultino pregiudizievoli anche alla sanità, o creino situazioni ambientali favorevoli alle sviluppo della delinquenza comune.

Dopo queste precisazioni fatte dalla Corte con la sentenza del 1956, non ci può essere dubbio circa l'esatto significato delle parole "pubblica moralità", contenute nell'art. 2 della legge 27 dicembre di quello stesso anno.

Il pericolo per la pubblica moralità, ai sensi di tale disposizione, altro non é che un aspetto del pericolo per la sanità o la sicurezza. Se anche la disposizione non avesse fatto menzione della pubblica moralità, i motivi attinenti ad essa, quali furono delineati nella sentenza di questa Corte e presupposti, a seguito della sentenza stessa, dalla disposizione in esame, sarebbero rimasti egualmente compresi tra quelli in base ai quali possono essere emanati i provvedimenti ivi indicati.

Ai sensi della norma denunziata, non può dirsi pericoloso per la pubblica moralità colui che proclami o pratichi principi morali difformi da quelli correnti né colui che viva trascurando ogni principio morale, se e fino a quando egli con la sua condotta non metta in essere un pericolo per la pubblica sicurezza o per la sanità. Questa Corte, nella sentenza suindicata, riportò un brano dei lavori preparatori della Costituzione, dove si faceva cenno dell'accattonaggio e della prostituzione come di cause che potevano dar luogo all'emissione del foglio di via obbligatorio. In realtà non é possibile negare che la prostituzione sia fonte di gravi pericoli per la sanità e, nello stesso tempo, per la pubblica sicurezza. Né questo é il solo caso in cui tale congiunto pericolo si verifica (si pensi al traffico di stupefacenti); così pure esistono altri comportamenti contrari alla pubblica moralità che importano pericolo per la sicurezza (per esempio, la tratta delle donne).

In conclusione, poiché nel pericolo per la pubblica moralità deve essere sempre insito, secondo la corretta interpretazione da darsi all'art. 2 più volte richiamato, un pericolo per la sanità o per la sicurezza, non può riscontrarsi in tale disposizione un contrasto con l'art. 16 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423: "Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità", in riferimento all'art. 16 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1962.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1962.