SENTENZA N. 45
ANNO 1960
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente
Avv. GIUSEPPE CAPPI
Prof. TOMASO PERASSI
Prof. GASPARE AMBROSINI
Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423: "Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità", promosso con ordinanza emessa l'11 maggio 1959 dal Pretore di Montevarchi nel procedimento penale a carico di Gavilli Egisto, iscritta al n. 73 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 155 del 2 luglio 1959.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 25 maggio 1960 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Raffaello Bronzini, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
In data 9 ottobre 1957 il Questore di Arezzo emetteva il foglio di via obbligatorio nei confronti di Gavilli Egisto, ingiungendogli di recarsi nel Comune di Montevarchi entro lo stesso giorno 9 ottobre 1957.
Non essendosi il Gavilli presentato nei termini e nel luogo predetto, il Commissario di p. s. di Montevarchi denunciava all'Autorità giudiziaria il Gavilli Egisto per contravvenzione al foglio di via obbligatorio, a norma dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.
Con ordinanza in data 11 maggio 1959 il Pretore, peraltro, sollevava di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 suddetto, in relazione all'art. 13 della Costituzione e, sospeso il giudizio, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza veniva regolarmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato.
Non veniva, invece, notificata al Gavilli, essendo questi, nel frattempo, deceduto il 2 novembre 1958 a Torino.
Si costituiva il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, depositando atto di intervento il 4 giugno 1959.
Nell'atto suddetto e nella successiva memoria, presentata il 21 gennaio 1960, l'Avvocatura sosteneva:
a) che l'art. 2 della legge impugnata era stato redatto in base alla decisione della Corte costituzionale n. 2 del 1956;
b) che la precedente decisione della Corte costituzionale non precludeva però l'esame della odierna questione di legittimità;
c) che la questione era, tuttavia, manifestamente infondata perché:
1) nessuna correlazione esiste tra l'art. 13 e l'art. 16 della Costituzione, riferendosi il primo esclusivamente alla libertà personale in senso proprio e ristretto, intesa come libertà nelle manifestazioni fisiche della propria vita individuale; mentre il secondo riguarda esclusivamente la libertà di locomozione o la scelta del domicilio,
2) d'altro canto nessun accostamento sarebbe possibile, secondo l'Avvocatura, tra il provvedimento di rimpatrio obbligatorio e la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la quale la stessa legge n. 1423 del 1956 stabilisce che é attribuita alla competenza dell'Autorità giudiziaria. Nel primo caso, infatti, si tratta di limitazioni particolari, mentre nel secondo caso si crea, nei confronti del sorvegliato, una indefinita serie di obblighi e prescrizioni che esorbitano dai limiti della libertà di locomozione e di soggiorno, incidendo più direttamente sulla libertà personale di cui all'art. 13, come, del resto, ha affermato la sentenza n. 11 del 1956 della Corte costituzionale.
All'udienza l'Avvocato dello Stato ha insistito nelle precedenti conclusioni.
Considerato in diritto
La Corte, anche se taluno potesse ritenere che sulla base delle precedenti decisioni emanate nel periodo anteriore alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, si sarebbe potuto dichiarare manifestamente infondata la questione sollevata dal Pretore di Monte varchi, giudica che, in vista della gravità e della delicatezza che le questioni del genere presentano in ogni tempo ed anche in vista delle diffuse argomentazioni addotte dal Pretore, non si debba negare il riesame della questione stessa in riferimento alla nuova legge.
Si può così riassumere il punto fondamentale esposto con l'ordinanza: il rimpatrio con foglio di via obbligatorio, importando una restrizione della libertà personale, deve essere disposto, a norma dell'art. 13 della Costituzione, con provvedimento emesso e convalidato dal magistrato; donde l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge del 1956, che ne demanda l'emanazione alla Autorità di pubblica sicurezza.
L'ordinanza tende a dimostrare che gli artt. 13 e 16 della Costituzione sono intimamente connessi, in quanto la libertà di circolazione e la libertà di soggiorno altro non sono che manifestazioni della libertà personale, le cui restrizioni devono essere sempre disposte nei modi e nelle forme previste dall'art. 13: l'ordine di rimpatrio importa restrizione della libertà personale.
La Corte non trova fondato il presupposto da cui prende le mosse l'esposto ragionamento. Che la Costituzione abbia voluto assicurare la tutela della libertà in tutte le sue manifestazioni, é certo; ma non é esatto che qualunque limitazione della libertà debba essere ricondotta sotto la disciplina dell'art. 13.
Negli artt. 13 e seguenti sono considerati i vari aspetti sotto cui la libertà si manifesta e si tutela e sono enunciate, da un lato, le garanzie appropriate e, dall'altro, la possibilità di limitazioni. L'art. 13, nel dichiarare inviolabile la libertà personale, si riferisce alla libertà della persona in senso stretto, come risulta dalle esemplificazioni del secondo comma: detenzione, ispezione, perquisizione. Trattasi, quindi, di quel diritto che trae la sua denominazione tradizionale dall'habeas corpus. Ecco perché questa Corte nella sentenza n. 2 del 14 giugno 1956 ritenne che le norme relative ai provvedimenti del rimpatrio con foglio di via obbligatorio non contrastassero con l'art. 13, salvo che in due punti: la traduzione del rimpatriando e la possibilità che si potesse provvedere in base a semplice sospetto.
Nell'ordinanza in esame l'art. 2 della legge 27 dicembre 1956 viene denunziato esclusivamente sotto il riflesso della competenza dell'organo che ha il potere di disporre il rimpatrio. Sotto tale aspetto, che é l'unico che qui viene in considerazione, la Corte deve riconoscere che, nel formulare la norma denunziata, il legislatore non si é messo in contrasto con i criteri enunciati nella richiamata sentenza. L'ordine di rimpatrio non consente l'esercizio di alcuna coercizione. Il soggetto, cui l'ordine é stato impartito, non può essere tradotto al luogo del rimpatrio, salvo che a seguito della sentenza di condanna. Sussiste, quindi, una limitazione alla libertà di circolazione e di soggiorno ai sensi dell'art. 16 della Costituzione, ma non una restrizione della libertà personale ai sensi dell'art. 13.
Non é esatto affermare che la situazione di chi é obbligato al rimpatrio sia assimilabile a quella di chi era sottoposto all'ammonizione secondo gli allora vigenti artt. 170 e seguenti della legge di pubblica sicurezza. Con la sentenza n. 11 del 19 giugno 1956 la Corte rilevò che l'ammonizione si risolveva in una sorta di degradazione giuridica in cui taluni individui venivano a trovarsi per effetto della sorveglianza di polizia cui erano sottoposti attraverso tutta una serie di obblighi, di fare e di non fare, fra cui quello di non uscire prima e di non rincasare dopo di una certa ora non era che uno fra gli altri che la speciale commissione poteva prescrivere. Ora, come si é detto, l'ordine di rimpatrio non importa alcuna conseguenza di questo genere, perché lascia integra la libertà della persona soggetta all'ordine di rimpatrio, ponendo soltanto limiti alla possibilità di movimento e di soggiorno: limiti sul contenuto dei quali nella presente controversia non é stata sollevata questione.
Dal che si deduce che non illegittimamente l'art. 2 della legge del 1956 ha demandato l'emissione dell'ordine di rimpatrio, senza traduzione, all'Autorità di pubblica sicurezza;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423: "Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità", in riferimento agli artt. 13 e 16 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 1960.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.
Depositata in Cancelleria il 30 giugno 1960.