SENTENZA N. 110
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
Dott. Giuseppe VERZÌ
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, della legge 10 luglio 1959, n. 459, e dell'art. 2, ultimo comma, del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, promosso con ordinanza emessa il 21 febbraio 1962 dalla Corte d'assise d'appello di Palermo nel procedimento penale a carico di Sparacino Agostino ed altri, iscritta al n. 82 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 9 giugno 1962.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 28 novembre 1962 la relazione del Giudice Aldo Sandulli,
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
In un procedimento penale a carico di Sparacino Agostino e altri 34 imputati, condannati dalla Corte di primo grado per avere, in associazione, commesso vari reati contro il patrimonio, fu sollevata da alcuni dei difensori, innanzi alla Corte d'assise d'appello di Palermo, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, della legge 10 luglio 1959, n. 459, e dell'art. 2, ultimo comma, del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, in relazione all'art. 79 della Costituzione. La legge n. 459 ha per oggetto la delegazione al Presidente della Repubblica per la emanazione di provvedimenti di amnistia e indulto; l'art. 2, ultimo comma, di essa riguarda la possibilità di avvalersi o meno della delega del potere di indulto per alcuni reati espressamente indicati; l'art. 2 del D.P.R. n. 460 é quello attraverso il quale il potere di scelta é stato esercitato, escludendo dall'indulto uno solo dei reati per i quali la legge aveva dato facoltà di concederlo.
La Corte ritenne non manifestamente infondata la questione attinente al fatto che, conferendo al Capo dello Stato la facoltà di concedere o meno l'indulto per i reati indicati nell'ultimo comma dell'art. 2 della legge, il Parlamento gli avrebbe attribuito - in contrasto con l'art. 79 della Costituzione e con quanto praticato dalla stessa legge in relazione al potere di amnistia (per la quale fu, invece, la legge a indicare tassativamente i reati ai quali non si estendeva) - un potere "discrezionale ed autonomo", instaurando, per giunta, una distinzione, quanto al modo di concedere l'amnistia e l'indulto, non ricavabile dall'art. 79 della Costituzione. Pertanto, ritenuta, in dissenso dal Pubblico Ministero, non irrilevante tale questione - potendo, la dichiarazione di illegittimità costituzionale, "comportare la implicita inclusione nel beneficio, previsto in via generale nella prima parte dell'art. 2, di quei reati che ne sono esclusi con le impugnate disposizioni" -, la Corte di Palermo sospese il giudizio, ordinando la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza é stata notificata alle parti private non presenti al dibattimento e al Presidente del Consiglio dei Ministri ed é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Essa é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 giugno 1962, n. 145.
Innanzi a questa Corte si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocato generale dello Stato, che ha depositato in data 18 marzo 1962 un atto d'intervento.
Premessa una diffusa disamina della prassi legislativa successiva alla Costituzione, dei lavori preparatori della legge di delega del 1959 e dello stato della dottrina costituzionale sui poteri di amnistia e indulto, in esso si conclude per la dichiarazione di infondatezza della sollevata questione, osservando che tale conclusione é necessaria tanto se si accolga la tesi che il potere di amnistia e indulto sia un potere non rinunciabile del Parlamento, dato che il Parlamento non vi ha rinunciato nel caso in esame "sol perché ha sottoposto al Capo dello Stato una alternativa propria dell'esercizio o meno, in certi casi, del potere medesimo", quanto se si accolga la tesi che il Parlamento possa "delegare" il potere in questione con la fissazione di criteri e principi direttivi, dato che ciò appunto il Parlamento ha fatto.
In ordine poi al particolare profilo relativo alla diversità dei poteri conferiti con la legge al Capo dello Stato per la concessione, rispettivamente, dell'amnistia e dell'indulto, l'Avvocato dello Stato osserva che esso non può interessare ai fini della presente causa, nella quale - dati i limiti della rilevanza e dell'impugnativa - importa stabilire se contrasti o meno con l'art. 79 della Costituzione il modo in cui la legge ha regolato l'esercizio del potere di indulto e non anche quello in cui ha regolato l'esercizio del potere di amnistia (che non viene in alcun modo in questione).
All'udienza di trattazione, l'Avvocato dello Stato ha insistito nei medesimi sensi.
Considerato in diritto
1. - La Corte é stata investita del giudizio di legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 2 della legge 10 luglio 1959, n. 459, intitolata "delegazione al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e di indulto" e dell'ultimo comma dell'art. 2 del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, intitolato "concessione di amnistia e indulto".
Non può esser dubbio che anche quest'ultimo provvedimento sia da considerare un "atto avente forza di legge", come tale suscettibile del sindacato della Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione. Oltre alla natura di legge dell'atto del Parlamento, sulla base del quale deve procedersi, ai sensi dell'art. 79 della Costituzione, alla emanazione di provvedimenti di amnistia e indulto, e al fatto che la citata disposizione costituzionale denomina "delegazione" il contenuto di tale atto, appaiono decisive in tali sensi due circostanze: la prima é che i provvedimenti di amnistia e indulto sono atti normativi destinati a operare nel campo dei reati e delle pene, che la Costituzione riserva alla legge (art. 25); la seconda é che la formula dell'art. 79 é il risultato della elaborazione e semplificazione (non innovativa sul punto) di un testo, nel quale i provvedimenti in questione venivano espressamente indicati col nome di "decreti legislativi". In effetti, i provvedimenti di amnistia ed indulto adottati successivamente all'entrata in vigore della Costituzione sono stati posti in essere tutti (compreso quello di cui si discute) nelle forme proprie dei decreti legislativi.
2. - Nel merito, la Corte non ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale sottopostale.
Quest'ultima riguarda soltanto il fatto che con la legge 10 luglio 1959, n. 459, e precisamente con l'ultimo comma dell'art. 2, sia stato consentito un potere di indulto sotto certi profili "discrezionale ed autonomo". Per decidere tale questione é sufficiente, dunque, stabilire se l'art. 79 della Costituzione consenta alla legge che disponga l'adozione di provvedimenti di amnistia e indulto di lasciare che, in sede di emanazione dei relativi decreti legislativi, venga esercitato un qualche potere di scelta. Orbene, non tanto e non soltanto dall'impiego, nell'art. 79, del concetto di "delegazione", quanto dalle esigenze di tecnicismo e di tempestività che - come risulta dalle discussioni parlamentari - ispirarono l'Assemblea costituente a disporre che i provvedimenti di amnistia e indulto non fossero adottati dalle Camere, ma "su legge di delegazione delle Camere", risulta che il citato articolo intese sicuramente consentire che attraverso i decreti legislativi di amnistia e indulto venisse esercitato un qualche potere di scelta
3. - Ove, poi, la questione sottoposta alla Corte dovesse essere intesa nel senso che nel caso in esame la legge di delegazione avrebbe conferito un potere non adeguatamente specificato e delimitato, essa sarebbe egualmente infondata.
La Corte ritiene che anche le leggi di delegazione previste dall'art. 79 della Costituzione debbano contenere un'adeguata specificazione e delimitazione dei poteri conferiti. Indipendentemente dalla assimilabilità di esse alle leggi previste dall'art. 76, ciò discende da un principio cardinale dell'ordine costituzionale vigente, in base al quale, nelle materie riservate alla legge (come, appunto, la materia dei reati e delle pene, dove operano i provvedimenti di amnistia e indulto), il Parlamento, quando pur gli sia consentito di conferire poteri ad altri organi od enti, non può operare tale conferimento se non con adeguata specificazione e delimitazione dei poteri conferiti (come é stato più volte affermato da questa Corte a partire dalla sentenza n. 4 del 1957, fino alle sentenze nn. 35 e 48 del 1961 e nn. 5 e 54 del 1962).
Ciò premesso, non può dirsi tuttavia che la legge 10 luglio 1959, n. 459, non abbia sufficientemente specificato e delimitato il potere da essa delegato. Mentre escludeva espressamente dall'indulto i reati militari e finanziari, essa dispose che il potere stesso venisse esercitato per la generalità dei reati e fissò l'entità massima delle misure di clemenza, consentendo al decreto di attuazione una possibilità di esclusione dell'indulto limitata a pochissime figure di reati: quelle prevedute negli artt. 278, 416, 519, 520, 521, 575, 628, 629, 630 del Cod. penale, nonché negli artt. da 531 a 536 dello stesso Codice e nell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75. Di tale limitato potere di scelta, il D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, si avvalse poi accordando l'indulto per una soltanto delle figure di reato per cui era stato consentito il potere di esclusione (quella prevista dall'art. 278, riguardante l'offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica).
É da tener presente che le figure delittuose per le quali fu accordato il potere di esclusione dall'indulto possono essere raggruppate - a parte quella, già menzionata, per la quale l'indulto fu concesso - , in cinque categorie, comprendenti una l'associazione a delinquere (art. 416), un'altra l'omicidio (articolo 575), e, le rimanenti, reati tra loro omogenei, particolarmente gravi, lesivi, rispettivamente, della libertà sessuale (artt. 519, 520, 521), del patrimonio mediante violenza alle persone (artt. 628, 629 e 630), o riguardanti la repressione dell'istigazione e dello sfruttamento della prostituzione (artt. da 531 a 536 del Cod. pen. e art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75). Nella legge é contenuta cioé la direttiva di una particolare ponderazione nella concessione dell'indulto per le anzidette figure di reati, tutte particolarmente ripugnanti alla coscienza sociale. E ciò é sufficiente a far ritenere osservato l'art. 79 della Costituzione.
4. - Resta da esaminare l'ulteriore profilo di illegittimità prospettato nell'ordinanza di rinvio, consistente nel fatto che la legge di delegazione impugnata ebbe a fare un trattamento diverso per l'amnistia e per l'indulto, lasciando al Governo un certo potere di scelta unicamente per quest'ultimo e non anche per la prima.
Anche sotto il profilo in esame la questione sollevata, in relazione all'ultimo comma dell'art. 2 della legge di delegazione, non appare fondata. Infatti nulla esclude che il Parlamento, nel suo criterio politico insindacabile dalla Corte, faccia uso del potere di delega con maggiore rigidità per l'amnistia e con minore rigidità per l'indulto.
5. - Dalla dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell'ultimo comma dell'art. 2 della legge 10 luglio 1959, n. 459, discende necessariamente una identica dichiarazione a proposito dell'analoga questione relativa all'ultimo comma dell'art. 2 del D. P. R. 11 luglio 1959, n. 460, impugnato per invalidità derivata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe, relativa alla legittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 2 della legge 10 luglio 1959, n. 459, e dell'ultimo comma dell'art. 2 del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460, in riferimento all'art. 79 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1962.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ
Depositata in cancelleria il 20 dicembre 1962.