Sentenza n. 67 del 1962
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SENTENZA N. 67

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40, promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1961 dalla Corte costituzionale in due giudizi per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana, iscritta al n. 207 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 323 del 30 dicembre 1961 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 68 del 23 dicembre 1961.

Udita nell'udienza pubblica del 30 maggio 1962 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Guido Aula, Giovambattista Adonnino e Pietro Virga, per la Regione siciliana.

Ritenuto in fatto 

In due giudizi per conflitto di attribuzione proposti con ricorsi del 28 settembre 1960 e del 12 giugno 1961 sono stati impugnati, innanzi a questa Corte, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, rispettivamente, il decreto dell'Assessore alle finanze per la Regione siciliana 16 maggio 1960, n. 424, e 18 febbraio 1961, n. 356. Con questi due decreti, del tutto analoghi, l'Assessore, nell'esercizio della facoltà conferitagli dall'art. 1 della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, ha stabilito speciali regimi di imposizione una tantum dell'imposta generale sull'entrata relativamente ad alcune categorie di entrate per l'anno 1960 e per l'anno 1961.

Nella trattazione dei giudizi questa Corte ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale della cennata legge regionale 30 giugno 1956, n. 40.

Con ordinanza n. 57 del 10 novembre 1961 la Corte ha osservato che la difesa della Regione assume che detta legge avrebbe operato, in mancanza di norme di attuazione, il trapasso delle funzioni amministrative dagli organi dello Stato a quelli della Regione, onde, costituendo essa la fonte dei poteri esercitati dall'Assessore, legittimi devono considerarsi i decreti sopra cennati. Ciò posto, ha ritenuto che per risolvere i ripetuti conflitti é necessario stabilire se l'Assemblea regionale é legittimata a trasferire all'Assessore la facoltà di regolare l'imposta generale sull'entrata.

Con la stessa ordinanza la Corte ha proceduto alla riunione dei giudizi per conflitto di attribuzione e ne ha rinviato la trattazione, perché questa potesse aver luogo unitamente a quella della questione di legittimità costituzionale.

In data 28 novembre 1961 l'ordinanza é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Regione siciliana e comunicata al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana; é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 323 del 30 dicembre 1961 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 68 del 23 dicembre 1961.

Nel giudizio di legittimità costituzionale così instaurato, si sono costituiti il Presidente del Consiglio dei Ministri, depositando deduzioni in data 11 gennaio 1962 e il Presidente della Regione siciliana, depositando deduzioni in data 9 gennaio 1962.

Per il Presidente del Consiglio dei Ministri, l'Avvocatura dello Stato rileva che la legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, é costituzionalmente illegittima per un duplice ordine di considerazioni: perché trasferisce all'Assessore poteri e facoltà spettanti al Ministro e che solo una legge statale può trasferire ad organi regionali; perché estende tale facoltà a prodotti, che le leggi nazionali espressamente escludono (legumi secchi) o non contemplano.

Sotto il primo profilo si richiama la sentenza n. 9 del 1957 di questa Corte. E si aggiunge che la necessità dell'intervento di particolari norme legislative statali, che regolino il passaggio, dallo Stato alla Regione, delle funzioni e degli uffici statali in materia di tributi in genere e d'imposta generale sull'entrata in specie, é resa ancor più evidente dal decreto-legge presidenziale 12 aprile 1948, n. 507, e dalla legge regionale 1 luglio 1947, n. 3, che hanno attuato un regime provvisorio in materia tributaria, in attesa che siano emanate le norme di attuazione, previste dall'articolo 43 dello Statuto siciliano.

Anche per quanto attiene al secondo profilo, l'Avvocatura fa richiamo alla cennata sentenza, particolarmente dove si afferma che rispondendo "ad una esigenza fondamentale per l'economia e l'eguaglianza di tutti i cittadini, a qualsiasi parte del territorio della Repubblica appartengano, che l'obbligazione tributaria si ricolleghi ad un sistema unitario, in ordine alle caratteristiche di ciascun tributo, ai cespiti colpiti e alle modalità della riscossione, é palese, che, anche a questa esigenza, occorre sia subordinata la legislazione regionale".

Ed é evidente - conclude l'Avvocatura - che non rispetta questi limiti una legge regionale, la quale attribuisca all'Assessore poteri più ampi di quelli consentiti al Ministro ed estenda particolari regimi d'imposizione a prodotti non previsti o espressamente esclusi dalla legge nazionale, ponendo in tal modo in essere una grave sperequazione fra i contribuenti.

Si conclude, pertanto, chiedendo che la Corte dichiari costituzionalmente illegittima e, conseguentemente, annulli la legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40.

La difesa della Regione, mentre in precedenza ha individuato la fonte della potestà dell'Assessore nella ripetuta legge n. 40, in questa sede, abbandonando tale tesi, nega la illegittimità costituzionale del provvedimento regionale, assumendo che esso non ha operato alcun trasferimento di potestà amministrativa dallo Stato alla Regione.

Bisogna distinguere - avverte la Regione - tra trasferimento degli uffici e passaggio delle funzioni. Quest'ultimo é avvenuto automaticamente per effetto della entrata in vigore dello Statuto (art. 20), mentre il trasferimento degli uffici é subordinato alla emanazione di norme di attuazione.

É esatto - si soggiunge - che nella ipotesi in cui per l'esercizio delle funzioni sia necessario disporre dell'organizzazione burocratica dello Stato, il passaggio di esse é praticamente rinviato al momento in cui, mediante idonee norme di attuazione, venga disposto il trasferimento degli uffici alle dipendenze della Regione. Tuttavia ciò non si verifica quando - come nella specie - siffatto esercizio non presuppone necessariamente un rapporto di supremazia nei confronti dei titolari degli uffici statali preesistenti. E che tale situazione ricorra per la determinazione dei regimi di I.G.E. si desume dalla considerazione che essa ha carattere regolamentare e, quindi, normativo. Pertanto, si impone ai destinatari non già in forza di un rapporto di supremazia speciale, bensì per il carattere imperativo erga omnes, che viene riconosciuto a tutte le norme regolamentari.

La legge in discussione, quindi, aveva l'unico scopo di disciplinare poteri amministrativi già trasferiti all'Assessore alle finanze, nel senso di estenderli anche ai prodotti caratteristici dell'economia siciliana, cioè alle fave secche ed alla manna.

La riprova di ciò - argomenta la Regione - si ha nella constatazione che il decreto assessoriale 30 dicembre 1955, n. 320, con il quale l'imposta generale sull'entrata era stata prevista anche per detti prodotti, non fu registrato alla Corte dei conti, avendo questa negato il visto con provvedimento della Sezione di controllo del 12 aprile 1956. E fu per superare tale ostacolo, cioè per estendere, e, quindi, per disciplinare il potere dell'Assessore e non già per trasferirlo, che fu emanata la ripetuta legge.

Essendo, poi, tale potere - come già detto - di natura regolamentare, esso deve ritenersi attribuito alla Regione entro gli stessi limiti di quello legislativo.

Dal che consegue che l'indagine demandata a questa Corte dovrebbe essere intesa a stabilire se le determinazioni in questione violino o meno i limiti cui é soggetta la potestà legislativa della Regione in materia di I.G.E.

Tale indagine metterebbe in evidenza la legittimità dell'operato dell'Assessore, posto che, se le ripetute determinazioni fossero state prese dall'Assemblea regionale, non si sarebbe neppure dubitato della legittimità costituzionale di esse, in quanto le norme che le contemplano si inquadrano a pieno nell'ambito dei principi e degli interessi cui si ispira la legislazione dello Stato.

Rileva, infine, la Regione, che le ripetute determinazioni - relative al momento e alle modalità di pagamento del tributo - non attengono alla fase della "imposizione", ma a quella della "riscossione".

In proposito fa presente che questa opinione, condivisa anche dalla giurisprudenza (Cassaz., 1a Sez., 6 maggio 1957, n. 1531; Trib. Firenze, 3 aprile 1950, n. 842) é propria dell'Amministrazione finanziaria statale la quale, in base ad essa, ha sempre sostenuto, ad esempio, la legittimità dell'accertamento della evasione per un determinato periodo, e cioè globalmente, per tutti gli atti economici compiuti in tale periodo. E ciò perché l'art. 8 della legge organica dell'I.G.E. concerne solo le modalità della riscossione, lasciando fermo il principio per il quale é soggetta ad imposta ogni entrata conseguita in corrispondenza di cessione di beni e di prestazioni di servizi.

Ma in materia di riscossione il passaggio delle funzioni dallo Stato alla Regione é già intervenuto in forza del D.L.C.P.S. 30 giugno 1948, n. 507.

Onde se si accetta l'opinione dell'Amministrazione finanziaria statale non dovrebbe neppure porsi il problema relativo al passaggio delle funzioni degli organi statali a quelli regionali.

La Regione conclude, chiedendo che sia dichiarata legittima la legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, con ogni conseguenziale pronuncia in ordine ai conflitti di attribuzione pendenti innanzi a questa Corte in relazione ai decreti dell'Assessore regionale alle finanze emessi in base alla legge stessa.

Ai sensi dell'art. 10 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria nella quale tiene a sottolineare che la questione promossa d'ufficio dalla Corte, quale si rileva univocamente dall'ordinanza 10 novembre 1961, riguarda esclusivamente la legittimità costituzionale della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, in quanto con essa é stata trasferita all'Assessore la facoltà di regolare l'I.G.E., attribuita al Ministro per le finanze dall'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348. Onde la impossibilità - a rigore - di discutere, in questa sede, la illegittimità costituzionale della legge regionale sotto l'altro profilo: essere cioé in contrasto con i principi della legislazione statale e con gli interessi nazionali.

Per dimostrare il proprio assunto l'Avvocatura richiama ancora una volta la sentenza n. 9 del 1957 di questa Corte, dove essa esclude che la Regione possa sostituire lo Stato nelle funzioni e negli organi senza che siano intervenute al riguardo particolari norme legislative. E afferma che successive sentenze, pronunciate nei riguardi della Sicilia e delle altre Regioni a Statuto speciale, hanno ribadito tale principio, precisando che soltanto norme di leggi statali possono trasferire alla Regione funzioni dello Stato, in attuazione dei precetti statutari.

Nega, poi, l'Avvocatura che la determinazione di speciali regimi di imposizione in materia di I.G.E. non implichi, come invece sostiene la difesa regionale, anche un trasferimento degli uffici e, comunque, una dipendenza di questi dall'Assessore. E ciò perché siffatta determinazione non può prescindere dal potere di controllo sugli organi esecutivi e di decisione dei ricorsi gerarchici avverso i loro atti.

Contesta, poi, l'Avvocatura che i poteri esercitati dall'Assessore siano di natura regolamentare e che attengano non gia all'imposizione e all'accertamento del tributo, ma soltanto alla fase della "riscossione" di esso.

Ed, invero, gli artt. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, 12 del D.L.C.P.S. 27 dicembre 1946, n. 469, e 13 del D.L. 3 marzo 1948, n. 799 - richiamati nella legge regionale impugnata - riguardano "speciali regimi di imposizione" ed autorizzano il Ministro per le finanze a disporre che per alcuni beni o servizi l'accertamento sia effettuato non con riguardo ai singoli atti economici ma con riferimento al volume degli affari, ovvero l'imposta sia applicata con aliquote condensate in rapporto al numero presunto dei passaggi imponibili.

Se si trattasse, poi, di poteri regolamentari, la legge - osserva l'Avvocatura - sarebbe costituzionalmente illegittima, avendo questa Corte precisato che la potestà regolamentare in Sicilia spetta alla Giunta e non agli Assessori.

Nella stessa memoria la difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene di dover ribadire che i decreti assessoriali, anche a prescindere dalla illegittimità costituzionale della legge regionale sulla quale si fondano, sono incostituzionali per se stessi, in quanto esorbitano dai poteri che la legge stessa attribuisce all'Assessore e, violando i principi delle leggi nazionali, esorbitano altresì dalla competenza della Regione e contrastano con il regime tributario vigente nel restante territorio dello Stato.

All'uopo l'Avvocatura ripete, sostanzialmente, le argomentazioni già svolte nei ricorsi per regolamento di competenza proposti avverso i ripetuti decreti e svolte più ampiamente nelle memorie relative a tali ricorsi.

Si conclude chiedendo, in via principale, che la Corte dichiari la legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, costituzionalmente illegittima e, conseguentemente, annulli i decreti assessoriali 16 maggio 1960, n. 424, e 18 febbraio 1961, n. 356. Subordinatamente, qualora sia dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale della legge regionale, si chiede che siano accolti i ricorsi per regolamento di competenza e che sia, quindi, dichiarata l'incompetenza della Regione e, per essa, dell'Assessore alle finanze ad emanare le norme contenute nei ridetti decreti, con l'annullamento dei medesimi.

Nell'udienza del 30 maggio 1962 la difesa delle parti ha insistito nelle precedenti argomentazioni e conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - Le cause riunite per conflitti di attribuzione, di cui ai ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 settembre 1960 e del 12 giugno 1961, sono state congiuntamente discusse con la questione sollevata d'ufficio con l'ordinanza di questa Corte del 10 novembre 1961, riguardante la legittimità costituzionale della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, invocata dalla Regione siciliana a fondamento dei poteri esercitati dall'Assessore alle finanze con i decreti 16 maggio 1960, n. 424, e 18 febbraio 1961, n. 356. Data la diversità dell'oggetto dei giudizi, le due cause riunite sui conflitti di attribuzione e la causa sulla legittimità costituzionale della legge n. 40 devono essere decise con separate sentenze: la presente sentenza si riferisce alla questione di legittimità costituzionale; con altra sentenza di pari data sono decisi i due giudizi sui conflitti di attribuzione.

2. - Con l'ordinanza n. 57 del 10 novembre 1961, la Corte sollevava d'ufficio, in via incidentale, la questione di legittimità costituzionale della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, che, secondo la difesa della Regione, in mancanza di norme di attuazione, avrebbe operato, relativamente alla imposta generale sull'entrata, il trasferimento delle funzioni e degli organi dallo Stato alla Regione, legittimando i decreti che hanno dato luogo al cennato duplice conflitto di attribuzione. E non v'ha dubbio che la Corte possa sollevare d'ufficio, in un giudizio per conflitto di attribuzione, la questione di legittimità costituzionale di una norma in base alla quale il conflitto deve essere risolto.

3. - L'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, e successive leggi integrative (D.L. 7 giugno 1945, n. 386; D.L.C.P.S. 27 dicembre 1946, n. 469; D.L. 3 marzo 1948, n. 799, ecc.) dà al Ministro per le finanze la facoltà di disporre con propri decreti speciali regimi di imposizione dell'imposta generale sull'entrata. Eguale facoltà conferisce all'Assessore alle finanze l'art. 10 della legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, estendendo l'imposta alle entrate derivanti dal commercio delle fave secche e della manna.

4. - Ciò premesso, per risolvere i conflitti in oggetto occorre vedere se l'Assemblea regionale poteva trasferire all'Assessore la facoltà, riconosciuta al Ministro con legge statale, di regolare l'imposta I.G.E. nei suoi vari momenti. Occorre cioè esaminare la legittimità costituzionale della su riferita legge regionale n. 40.

Tale indagine non é preclusa dal fatto che il giudizio principale é costituito tra le stesse parti che avrebbero potuto elevare, in via principale, la stessa questione di legittimità costituzionale; la mancata impugnativa, in via principale, di una legge lesiva dell'ordinamento giuridico non può eliminare la possibilità di difendere, sia pure in via incidentale, le posizioni giuridiche di cui le stesse parti sono titolari in quanto soggetti dell'ordinamento stesso (ordinanza della Corte costituzionale n. 22 del 1960).

Con la cennata ordinanza n. 22 del 1960 questa Corte sollevava, in via incidentale e ad istanza di parte, in un giudizio per conflitto di attribuzione, la questione della legittimità costituzionale delle disposizioni legislative in base alle quali il conflitto doveva essere risolto. A maggiore ragione la questione può sollevarsi d'ufficio, data la natura del procedimento costituzionale, che si svolge in piena autonomia dal giudizio principale (articolo 22 Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale) e indipendentemente dall'impulso di parte; né vi ostano le disposizioni degli articoli 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1.

5. - L'ordinanza di questa Corte n. 57 del 10 novembre 1961 ha così posto i limiti del presente giudizio: se cioè la facoltà data al Ministro per le finanze dall'art. 10 della legge n. 348 del 1944 e successive modificazioni poteva essere trasferita all'Assessore regionale alle finanze con la legge regionale n. 40 del 1956.

Pertanto, considerando come fonte dei poteri dell'Assessore la legge n. 40, per risolvere la questione di legittimità costituzionale di questa legge occorre esaminare il contenuto dei poteri trasferiti.

6. - Le facoltà attribuite al Ministro dalla legge statale n. 348 riguardano la regolamentazione dell'imposta I.G.E. nelle varie fasi del suo iter: oggetti colpiti dal tributo (prodotti ortofrutticoli, ecc.), accertamento e sistemi speciali d'imposizione con particolare riguardo al momento impositivo e alle modalità di pagamento. Identiche facoltà sono state trasferite all'Assessore con la legge regionale n. 40, con possibilità di estendere la imposta a prodotti non contemplati dalla legge statale (fave secche e manna).

Non v'ha dubbio che la legge regionale in esame opera un trasferimento di competenza da un organo statale ad un organo regionale in materia tributaria e in modo particolare per l'imposta generale sull'entrata con conseguente passaggio di funzioni e di uffici dalla organizzazione dello Stato alla Regione.

Tale passaggio non può avvenire che con una legge dello Stato.

Questa Corte con costante giurisprudenza ha ritenuto che il riconoscimento generico, nella Regione siciliana, di potestà legislativa ed amministrativa in materia tributaria non importa il trasferimento automatico dallo Stato alla Regione delle funzioni e degli uffici statali in materia tributaria. il trasferimento deve essere regolato da particolari norme legislative ed ha soggiunto che in mancanza di tali disposizioni é inibito agli organi regionali di esercitare competenze amministrative spettanti allo Stato sulla base delle leggi vigenti (sent. nn. 6, 9, 11, 19 del 1957; n. 45 del 1958).

Non é ammissibile che con atto unilaterale dell'Assemblea siciliana siano sottratte funzioni ed organi rientranti nella competenza dello Stato, menomando l'organizzazione dei relativi servizi. Infatti, per il passaggio di funzioni e di organi alla Regione limitatamente alla riscossione dei tributi, con esclusione delle fasi che la precedono, é occorsa la legge 12 aprile 1948, n. 507, che, regolando la disciplina provvisoria dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione siciliana, dispone all'art. 2, primo comma, che "La Regione siciliana riscuote direttamente le entrate di sua spettanza". E tale situazione non può certo essere modificata con la legge regionale.

Lo stesso principio é stato affermato dalla riportata giurisprudenza della Corte ed é del resto sancito dalla disposizione VIII, commi secondo e terzo, delle norme transitorie della Costituzione, la quale stabilisce che "Leggi della Repubblica regolano, per ogni ramo della pubblica Amministrazione, il passaggio delle funzioni statali alle Regioni... nonché il passaggio di funzionari dello Stato...".

7. - La difesa della Regione, non tenendo conto dei limiti segnati al presente dibattito dall'ordinanza di questa Corte n. 57 del 1961, in contrasto col precedente sistema difensivo, sostiene che la fonte dei poteri dell'Assessore non é da ricercare nella legge regionale n. 40, che non li avrebbe trasferiti, ma semplicemente disciplinati. Il passaggio delle funzioni sarebbe avvenuto per effetto dell'entrata in vigore dello Statuto della Regione siciliana, in virtù del principio che dove vi é potestà legislativa vi é anche potestà amministrativa; soltanto il trasferimento degli uffici sarebbe subordinato alla emanazione delle norme di attuazione.

Ma l'invocato parallelismo tra le due potestà conferite alla Regione non é, nella specie, invocabile perché, come si é dimostrato, é in contrasto sia con le riferite leggi vigenti, sia con la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale occorrono norme di attuazione per il passaggio sia delle funzioni che degli uffici (sentenza n. 9 del 1957).

8. - Infine, la tesi che la determinazione di speciali regimi per l'imposta sull'entrata impropriamente si ritiene che attenga alla fase della imposizione, mentre invece si riferisce alla fase della riscossione del tributo, é in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte. La quale ha precisato che la riscossione dell'imposta riguarda essenzialmente il materiale adempimento dell'obbligazione tributaria, mentre la precedente fase dell'accertamento si riferisce agli atti necessari per la determinazione e la valutazione dei presupposti e dei vari elementi del debito d'imposta (sentenze nn. 13 e 14 del 1957).

Il motivo con cui si sostiene che la determinazione dei regimi dell'I.G.E. ha carattere regolamentare rimane assorbito.

9. - Pertanto, la legge regionale 30 giugno 1956, n. 40, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara la illegittimità costituzionale della legge regionale siciliana 30 giugno 1956, n. 40, che trasferisce all'Assessore regionale per le finanze la facoltà prevista dall'art. 10 del D.L.L. 19 ottobre 1944, n. 348, e successive modificazioni, riguardante provvedimenti in materia di imposta generale sull'entrata, in riferimento agli artt. 36 e 43 dello Statuto della Regione siciliana.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1962.