SENTENZA N. 47
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, e degli artt. 216, 217 e 218 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 novembre 1960 dal Pretore di Venezia nel procedimento penale a carico di Pasqualetto Umberto e Pasqualetto Eucherio, iscritta al n. 28 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1 aprile 1961;
2) ordinanza emessa il 13 maggio 1961 dalla Corte d'appello di Bologna nel procedimento penale a carico di Mastrandrea Sebastiano, iscritta al n. 89 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 29 luglio 1961.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 4 aprile 1962 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio:
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento penale pendente dinanzi al Pretore di Venezia a carico di Pasqualetto Umberto e Pasqualetto Eucherio, imputati, fra l'altro, dei reati di cui all'art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736 (emissione di assegni a vuoto), ed all'art. 2I7 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (bancarotta semplice), la difesa eccepì la illegittimità costituzionale dei detti articoli, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Il Pretore, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione, con ordinanza 15 novembre 1960, sospendeva il giudizio, rinviando gli atti alla Corte costituzionale.
Nell'ordinanza il Pretore rileva che i decreti legislativi n. 1736 del 1933 e n. 267 del 1942 furono emanati in virtù della delega contenuta nelle leggi 30 dicembre 1923, n. 2814, e 4 giugno 1931, n. 659, le quali non prevedevano l'emanazione di norme penali da parte del Governo. Si sarebbe così verificato un eccesso dai limiti della delega - stessa, in contrasto con quanto disposto dall'art. 76 della Costituzione. Tale vizio, anche se riguardante leggi anteriori alla entrata in vigore della Costituzione, sarebbe rilevabile in sede di giudizio di legittimità costituzionale.
L'ordinanza, notificata il 6 dicembre 1960 al Presidente del Consiglio dei Ministri, é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1 aprile 1961.
Nessuno si é costituito dinanzi a questa Corte.
2. - Nel corso del procedimento penale pendente davanti alla Corte d'appello di Bologna a carico di Mastrandrea Sebastiano, imputato dei delitti di cui agli artt. 216 (bancarotta fraudolenta), 217 (bancarotta semplice) e 218 (ricorso abusivo al credito) del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, la difesa eccepì l'illegittimità costituzionale delle dette norme per eccesso dall'ambito della delega legislativa, sia per motivi analoghi a quelli di cui all'ordinanza del Pretore di Venezia, innanzi menzionata, sia per violazione dell'altro precetto di cui all'art. 76 della Costituzione, secondo cui la legge delegante deve contenere una limitazione temporale dell'esercizio della potestà delegata, mentre nessuna limitazione del genere sarebbe stabilita nelle richiamate leggi di delega.
La Corte d'appello, con ordinanza 13 maggio 1961, dichiarava manifestamente infondata la prima questione, ma non la seconda, che riteneva di sottoporre alla Corte costituzionale nei termini enunciati dalla difesa del Mastrandrea.
L'ordinanza, notificata il 20 maggio 1961 al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 29 luglio 1961.
3. - In questa seconda causa si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
L'Avvocatura rileva, preliminarmente, che nell'ordinanza di rinvio la Corte d'appello di Bologna, nell'enunciare i termini della questione di legittimità costituzionale sottoposta alla Corte, ha fatto specifico riferimento solo all'art. 2 della legge 30 dicembre 1923, n. 2814, ed all'articolo unico della legge 4 giugno 1931, n. 659.
L'art. 2 suddetto riguarderebbe soltanto l'obbligo per il Governo di sottoporre il progetto del decreto contenente il nuovo Codice di commercio al parere delle competenti Commissioni parlamentari, e la legge n. 659 del 1931, a sua volta, riguarderebbe soltanto la facoltà del Governo di pubblicare separatamente singoli libri o titoli del Codice stesso. Risultando osservati i detti incombenti, inconferente sarebbe il richiamo alle norme indicate nell'ordinanza di rinvio.
Comunque l'Avvocatura, nel caso potessero superarsi questi rilievi - in ordine ai quali, peraltro, non formula specifiche conclusioni -, osserva, nel merito, che la questione é infondata, poiché, in materia di sindacato di legittimità costituzionale per eccesso di delega di provvedimenti legislativi anteriori alla Costituzione, occorre richiamarsi ai principi vigenti per il precedente ordinamento costituzionale dello Stato. E fra tali principi non vi sarebbe quello della prefissione di un termine da parte del legislatore delegante al legislatore delegato, così come dovrebbe argomentarsi ex art. 3, n. 1, della legge n. 100 del 31 gennaio 1926, ed in base alla sentenza della Corte costituzionale 24 gennaio 1957, n. 37, la quale avrebbe sostanzialmente identificato i detti principi soltanto nell'obbiettiva esistenza della delega e nell'obbligo per il Governo di mantenersi nei limiti da questa segnati.
La proposta questione dovrebbe, pertanto, essere dichiarata infondata.
Considerato in diritto
1. - Le due cause, per identità di oggetto, vanno riunite e decise con unica sentenza.
2. - Non ha importanza il rilievo, in ordine al quale la stessa Avvocatura dello Stato non ha inteso formulare specifiche conclusioni, che nell'ordinanza della Corte d'appello di Bologna siano stati erroneamente citati gli articoli di legge che hanno dato luogo alla questione di legittimità costituzionale devoluta al giudizio di questa Corte. Si tratti di mero errore materiale o propriamente di errore, a giudizio della Corte ciò non rileva quando, come nel caso in esame, chiari, e per giunta semplici, sono i termini della questione. Nella sua ordinanza, infatti, la Corte d'appello di Bologna precisa siffatti termini, riferendosi ad una "mancata osservanza del principio costituzionale secondo cui la legge delegante deve contenere una limitazione temporale della delega stessa". Nel senso della non importanza dell'erronea citazione degli articoli di legge ritenuti costituzionalmente illegittimi, quando però é chiaro qual é la questione di costituzionalità da decidere, é costante la giurisprudenza di questa Corte (vedi, fra le altre, le sentenze 22 gennaio 1957, n. 28; 4 luglio 1957, n. 122).
3. - La questione sollevata dalla Corte d'appello di Bologna deve essere per prima esaminata, perché decisiva ed assorbente rispetto alla questione sollevata dal Pretore di Venezia, che é circoscritta all'esame della legittimità o meno delle disposizioni penali in materia di bancarotta semplice e di emissione di assegni a vuoto per assunto eccesso dalla delega legislativa. Infatti, qualora quella questione fosse fondata, cadrebbero tutte le disposizioni della legge delegata, e con esse le disposizioni cui si riferisce il Pretore di Venezia, e sarebbe, quindi, frustraneo passare all'esame dell'eccesso dalla delega da quest'ultimo denunciato.
Ma la detta questione non ha fondamento.
La Corte costituzionale nell'ammettere il sindacato di legittimità sulle leggi delegate anteriori alla Costituzione ha precisato che la sua indagine deve essere rivolta all'accertamento dell'esistenza della delega legislativa e della limitazione, posta al Governo ed insita nella delega, di mantenersi entro i confini della medesima (sentenza 24 gennaio 1957, n. 37). Con la sentenza dell'11 luglio 1961, n. 53, ha riaffermato l'ammissione del sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi delegate anteriori alla Costituzione, ed ha precisato che ciò deve avvenire in riferimento non alle norme della Costituzione in materia, bensì ai "principi generalmente validi in tutti gli ordinamenti in cui viga la divisione dei poteri". Di questo criterio la Corte faceva puntuale applicazione, negando che potesse essere motivo di illegittimità di una legge di delegazione anteriore alla Costituzione l'inosservanza di questa o quella norma dell'art. 76 della Costituzione, "segnatamente di quelle che impongono la determinazione di principi: o criteri direttivi o la fissazione di un termine di tempo". E tale pronuncia va confermata.
4. - Nemmeno fondata é la questione proposta dal Pretore di Venezia, circa l'eccesso dalla delega, sul riflesso che le leggi deleganti non prevedevano l'emanazione di norme penali
Anche tale questione é stata varie volte esaminata da questa Corte e ritenuta non fondata, e segnatamente con la ricordata sentenza dell'11 luglio 1961, n. 53. Con questa, infatti, la Corte a proposito proprio dell'art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933; n. 1736, che é l'articolo sul quale si é soffermato il Pretore di Venezia e che riguarda la sanzione penale per la emissione di assegni a vuoto, ebbe espressamente ad escludere che la mancanza di esplicita menzione nella norma delegante dell'adozione di disposizioni penali non abbia dato al Governo il potere di includere nel nuovo Codice quelle disposizioni, giacché "l'ampia formula della delegazione, la circostanza che il Codice di commercio già prevedesse e punisse, sia pure con diverse previsioni, i reati connessi con la materia degli assegni bancari, e la necessità di armonizzare queste norme con i criteri e gli orientamenti del nuovo Codice penale, consentivano di affermare che il legislatore delegato non aveva travalicato i limiti della delega concessagli". Questi principi, che qui vanno riaffermati, sono integralmente applicabili in riferimento anche all'altra disposizione citata dal Pretore di Venezia, ossia l'art. 217 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, riguardante la bancarotta, giacché la legge di delegazione in base alla quale fu emanato il detto decreto, contenente le disposizioni sul fallimento, é la stessa legge presa in considerazione nella richiamata sentenza di questa Corte. Di più, la materia dei reati fallimentari era già contemplata nei precedenti codici che prevedevano e punivano la bancarotta semplice e fraudolenta, sia pure sotto aspetti e con sanzioni in parte diversi da quelli riscontrabili nella legge fallimentare attuale, ma in modo equivalente e con corrispondenza delle pene.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunisce i due giudizi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate:
- la questione di legittimità costituzionale degli artt. 216, 217 e 218 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, proposta dalla Corte d'appello di Bologna, con ordinanza 13 maggio 1961, in riferimento all'art. 76 della Costituzione;
- la questione di legittimità costituzionale dell'art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, e del citato art. 217 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, proposta dal Pretore di Venezia, con ordinanza 15 novembre 1960, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1962.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 7 giugno 1962.