Sentenza n. 53 del 1961
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SENTENZA N. 53

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1960 dal Pretore di Trieste nel procedimento penale a carico di Ivancich Guido, iscritta al n. 53 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 137 del 4 giugno 1960.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 giugno 1961 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel corso di un procedimento penale davanti al Pretore di Trieste, la difesa dell'imputato dott. Guido Ivancich sollevò la questione dell'illegittimità costituzionale dell'art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, che contiene disposizioni penali in materia di emissione di assegni bancari, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione. Il Pretore, ritenuta la questione rilevante per la definizione del giudizio di merito e non manifestamente infondata, sospese il giudizio e rinviò gli atti a questa Corte con ordinanza che é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 4 giugno 1960.

2. - Da quanto si legge nell'ordinanza, le questioni di legittimità costituzionale sarebbero due: in primo luogo, la norma impugnata violerebbe il limite della delega legislativa conferita al Governo, in quanto le norme di delegazione contenute nella legge 30 dicembre 1923, n. 2814 (delega ad emanare nuovi Codici), e nella legge 4 giugno 1931, n. 659 (delega al Governo di pubblicare anche separatamente singoli libri o titoli del nuovo Codice di commercio), non delegavano esplicitamente il Governo ad emanare norme penali.

In secondo luogo, sarebbero illegittime anche le norme di delegazione in quanto non osservano i precetti della Costituzione in tema di delegazione (principi e criteri direttivi, tempo limitato, oggetto definito).

3. - Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, mediante deposito delle deduzioni il 24 marzo 1960.

La difesa dello Stato premette che l'esame della legittimità costituzionale delle deleghe legislative anteriori all'entrata in vigore della Costituzione deve essere limitato al controllo della esistenza e della estensione della delega; sarebbe questa la costante giurisprudenza della Corte.

Ora la legge 30 dicembre 1923, n. 2814, ha conferito al Governo poteri amplissimi per l'emanazione di nuovi Codici di commercio, per la marina mercantile e di procedura civile, poteri specificati ed ampliati con leggi successive e per il Codice di commercio con la ricordata legge 4 giugno 1931, n. 659.

Di più, la portata di queste norme sarebbe stata oggetto di interpretazione autentica con la legge 19 maggio 1941, n. 501, giusta la quale la delega al Governo doveva intendersi come estesa non soltanto alle materie contenute nei Codici preesistenti, ma anche a quelle connesse e tale da consentire al legislatore delegato di sistemare in maniera più organica tutta la materia "sia dando ai nuovi Codici contenuto e denominazione diversi, sia disciplinando particolari istituti in leggi distinte".

In questo quadro trova collocazione il decreto già ricordato del 21 dicembre 1933 che disciplina l'assegno bancario.

Stando così le cose, non era necessario un esplicito conferimento di poteri per la emanazione di norme penali, sia perché queste in taluni istituti si collegano così strettamente alla materia della quale vogliono assicurare la tutela penale che la delega relativa a quegli istituti si estende necessariamente, senza bisogno di specificazione, anche alle norme penali, sia perché la delega con tenuta nella legge del 1923 e nelle successive leggi, consentendo di regolare la materia contenuta nel Codice di commercio, autorizzò il Governo ad emanare anche le norme penali, visto che queste erano già ampiamente contenute nel vecchio Codice di commercio. In particolare l'art. 344 di questo Codice stabiliva sanzioni penali per le stesse ipotesi di reati previste dall'art. 116 del R.D. n. 1736 del 1933.

L'Avvocatura conclude chiedendo di dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata.

La parte privata non si é costituita.

4. - Nell'udienza del 21 giugno 1961, l'Avvocatura dello Stato si é rimessa alle argomentazioni e alle conclusioni contenute nelle difese scritte.  

Considerato in diritto 

1. - I quesiti ai quali la Corte deve rispondere sono due: il primo relativo alla legittimità costituzionale delle leggi 30 dicembre 1923, n. 2814, e 4 giugno 1931, n. 659, che autorizzavano il Governo, l'una ad emanare un nuovo Codice di commercio, l'altra a pubblicare di questo medesimo Codice separatamente libri o titoli; il secondo relativo alla legittimità dell'art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, che prevede e punisce reati connessi con la materia dell'assegno bancario. In altri termini, la Corte deve accertare la legittimità costituzionale delle leggi di delegazione e di alcune norme della legge delegata.

Peraltro, nella sostanza i due quesiti, piuttosto che due questioni distinte, rappresentano due aspetti di una medesima questione di costituzionalità: quella delle norme contenute nel ricordato art. 116 del decreto delegato n. 1736 del 1933 che é poi anche la questione proposta dall'ordinanza del Pretore di Trieste. Tuttavia essa é infondata sia sotto l'uno, sia sotto l'altro aspetto.

2. - La Corte ha già affermato la sua competenza a conoscere della legittimità costituzionale delle delegazioni legislative anteriori alla entrata in vigore della Costituzione, ma ha anche segnato quali sono i limiti dei quali occorre ricercare l'osservanza da parte del legislatore delegante e di quello delegato nell'esercizio dei rispettivi poteri: limiti che, come é ovvio, non possono essere puntualmente quelli segnati dalle norme contenute nell'art. 76 della Costituzione, ma discendono da principi generalmente validi in tutti gli ordinamenti in cui viga la divisione dei poteri (cfr. sentenza n. 37 del 24 gennaio 1957).

Più specificamente, e per rimanere nei confini del presente giudizio, questi limiti possono essere così stabiliti: la legittimità di una delegazione legislativa discende dall'esistenza di una legge di delegazione che abbia a oggetto una materia chiaramente definita e dalla osservanza, da parte del legislatore delegato, dell'estensione data alla delega. Codesti limiti, in conseguenza, possono essere diversi per ciascuna delegazione, ma, una volta posti, devono trovare da parte del Governo puntuale osservanza. Non può perciò essere motivo di illegittimità di una legge di delegazione anteriore alla entrata in vigore della Costituzione, l'inosservanza di questa o di quella norma dell'art. 76 Cost., segnatamente di quelle che impongono la determinazione di principi e criteri direttivi o la fissazione di un termine di tempo, alle quali si richiama l'ordinanza del Pretore di Trieste.

3. - Le due ricordate leggi di delegazione autorizzavano, come s'é visto, il Governo a emanare un nuovo Codice di commercio e a pubblicare separatamente libri o titoli di questo medesimo nuovo Codice: il decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, si tenne esattamente nell'ambito della delegazione. Non vale opporre, come oppone l'ordinanza, che né la prima, né la seconda legge di delegazione autorizzassero il Governo a emanare norme penali. L'ampiezza della delegazione, la circostanza che già il Codice di commercio nell'art. 344 prevedeva e puniva, sia pure con diverse previsioni sanzionate da pene diverse, i reati connessi con la materia degli assegni bancari, la necessità di armonizzare queste norme con i criteri e gli orientamenti del nuovo Codice penale già pubblicato nel frattempo, consentono di affermare che il legislatore delegato non travalicò i limiti segnati dalla delega, che deve, pertanto, ritenersi esercitata legittimamente.

Dal che consegue che é superfluo richiamare la legge 19 maggio 1941, n. 501, che, interpretando autenticamente le delegazioni precedenti per la emanazione di nuovi Giudici, consentì di disciplinare anche le materie connesse con i Giudici preesistenti, ma da questi non regolate, e di procedere alla sistemazione più organica di queste materie, sia dando contenuto e denominazione diversa ai nuovi Codici, sia disciplinando particolari istituti con leggi distinte.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza del Pretore di Trieste del 20 febbraio 1960, sulla legittimità costituzionale dell'art. 116 del R D. 21 dicembre 1933, n. 1736.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1961.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1961.