SENTENZA N. 70
ANNO 1961
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 10 della legge 23 maggio 1950, n. 253, promosso con ordinanza emessa l'11 giugno 1960 dal Pretore di Palermo nel procedimento civile vertente tra Miraglia Costantino ed altri e Saccone Giuseppe ed altri, iscritta al n. 92 del Registro ordinanze 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 315 del 24 dicembre 1960.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 22 novembre 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di una causa di cessazione della proroga legale di una locazione, l'11 giugno 1960 il Pretore di Palermo rimetteva a questa Corte una ordinanza con la quale sollevava la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 23 maggio 1950, n. 253. Secondo l'ordinanza, che é stata notificata il 19 luglio 1960, tale norma, là dove demanda al Genio civile, sentite le parti, l'accertamento delle condizioni tecniche che impongono lo sgombero dell'immobile, contrasterebbe con l'art. 24 della Costituzione ledendo il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale: essa, infatti, toglie al giudice il potere di scegliere il consulente tecnico, di guidarlo, controllarlo ed eventualmente sostituirlo; affida l'accertamento ad un organo amministrativo non sempre competente; sottrae al giudicante il potere di disponibilità e di valutazione della prova; perciò limita e offende il diritto del cittadino ad avere giustizia.
É vero - prosegue l'ordinanza - che il giudice può procedere al controllo di legittimità dell'accertamento tecnico, rilevarne talora contraddizioni e incongruenze e chiedere all'ufficio informazioni e chiarimenti; ma l'ingiustizia deriva ugualmente dal fatto che il parere del Genio civile, pur essendo analogo a quello di un consulente tecnico, ha nel merito efficacia vincolante per il giudice: ingiustizia tanto maggiore in quanto esso si traduce in una dichiarazione sommaria e scheletrica, nella quale la formula tralaticia "sentite le parti", a cui non corrisponde molto spesso una soddisfacente audizione di esse, dà solo la parvenza di garanzia processuale "ad un ibrido procedimento amministrativo con parentela giudiziale".
2. - La Presidenza del Consiglio, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuta con deduzioni depositate il 5 agosto 1960.
L'Avvocatura dello Stato rileva, innanzi tutto, che l'accertamento del Genio civile non é un atto amministrativo e non differisce in sostanza dal parere che il giudice può chiedere a un consulente tecnico: esso é un atto istruttorio, sottoposto, come ha stabilito la Cassazione (sent. n. 2102 del 1959), a controllo del giudice, che ne deve esaminare la conformità alla legge, nonché interpretare il contenuto, e può rilevarne errori di valutazione, contraddizioni o incongruenze, chiedere informazioni all'ufficio che l'ha emesso, ordinarne la rinnovazione.
Dato ciò, l'art. 10 della legge 23 maggio 1950 n. 253, - a parere dell'Avvocatura dello Stato - non contrasta con l'art. 24 della Costituzione che afferma l'uguale diritto dei cittadini di agire e difendersi in giudizio con le modalità regolate dalla legge comune secondo le caratteristiche speciali dei diversi procedimenti (Corte costituzionale, sentenze nn. 46 e 118 del 1957): la norma impugnata non fa che adeguare alle particolari esigenze del caso i modi di prova preordinati dal Codice di rito; del resto non può tacersi che, da un lato, il Codice stesso prevede possibili deroghe legislative al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice (artt. 116 Cod. proc. civ. e 2700, 2702, 2709, 2733, 2735, 2738 Cod. civ.), mentre, dall'altro, l'accertamento del Genio civile non é del tutto vincolante per il giudice benché questi non possa evitarlo.
Considerato in diritto
1. - Benché l'ordinanza di rinvio sembri riferirsi all'intero art. 10 della legge, l'impugnazione é evidentemente circoscritta a quelle parti dell'articolo in cui, ai fini della cessazione della proroga, é demandato al Genio civile l'accertamento delle condizioni dell'immobile e della necessità dello sgombero, cioè al n. 1, seconda parte, e al n. 2, seconda parte.
Queste norme sono state oggetto d'una interpretazione che, oramai consolidata in giurisprudenza, é accolta dalla quasi unanimità della dottrina: si é ritenuto e si ritiene che l'accertamento del Genio civile vincoli il giudice nel merito e che questi abbia su di esso press’a poco un controllo di legittimità: può rilevare violazioni di leggi, contraddizioni o palesi incongruenze, nonché patenti errori di valutazione, chiedere chiarimenti e persino disporre la rinnovazione totale dell'atto, ma non può nominare un diverso consulente, né ricavare da altre fonti il suo convincimento.
Se questa é la portata delle norme, e non v'é ragione di dubitarne, la Corte costituzionale ritiene che esse contrastino con l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. Infatti, la singolarità del procedimento, che esse impongono, non garantisce compiutamente quel diritto alla difesa a cui si ispira tale articolo.
2. - Già é sintomatico che l'accertamento, così come é deferito al Genio civile dal cit. art. 10, nn 1 e 2, si svolga in modo tanto abnorme: la libertà d'apprezzamento del giudice é limitata in relazione ad un singolo rapporto sostanziale senza che dalla natura del rapporto si possa trarre un motivo plausibile della particolarità di tale disciplina.
La tutela processuale dei diritti delle parti ne apparisce, per ciò solo, seriamente compromessa se é vero che l'esistenza d'un diritto implica, in virtù dell'art. 24 della Costituzione, la possibilità di farlo valere dinanzi all'Autorità giudiziaria coi mezzi offerti in generale dall'ordinamento giuridico; possibilità che le norme impugnate comprimono sensibilmente poiché esse limitano la libertà d'apprezzamento del giudice proprio sul punto principale della controversia: di modo che, su questo punto, almeno nella sostanza, la decisione della causa finisce per essere sottratta al giudice ordinario, dipendendo dal giudizio d'un organo amministrativo.
3. - L'accertamento del Genio civile, pur essendo atto istruttorio, tuttavia é opera d'un ufficio amministrativo, e si compie, per di più, in occasione d'una lite in cui si contende non su interessi legittimi, ma su diritti soggettivi. La conseguenza é che, siccome la cessazione della proroga dipende soltanto da tale atto, che non può essere sindacato nel merito, il diritto soggettivo alla fine ha una difesa, nella sua intensità, effettivamente incompleta: l'atto del Genio civile, benché costituisca una tappa del processo, é disciplinato come un qualunque provvedimento amministrativo, quasi che il locatore e il locatario avessero non un diritto - onere, ma piuttosto un interesse legittimo, alla prova. Il che non rappresenta solo una chiara anomalia, ma importa fatalmente un difetto di tutela in rapporto agli artt. 24 e 3 della Costituzione: infatti, con ciò si impedisce all'interessato di avvalersi degli strumenti di prova garantiti, in generale, a chi é parte in un giudizio.
4. - Infine, tra i motivi che inducono a dichiarare l'illegittimità delle norme impugnate sta anche questo, che esse non assicurano affatto il contraddittorio. In realtà l'ufficio del Genio civile deve sentire le parti, ma può farlo e lo fa separatamente per ciascuna, né le loro dichiarazioni sono verbalizzate o portate a conoscenza del giudicante; anche se si instaurasse avanti al Genio civile un vero e proprio contraddittorio (il che, a dire il vero, non avviene), resterebbe sempre il fatto che il giudice ne é estraneo: tanto più in quanto l'accertamento del Genio civile molto spesso é concluso, e la legge lo consente, quando ancora non si é promossa l'azione giudiziale; aperto, prima o dopo, il processo, dinanzi al magistrato le parti potranno difendersi su tutto fuorché sul punto decisivo della causa: potranno cioè rilevare contraddizioni ed errori manifesti dell'atto in cui s'é concluso l'accertamento, ma non sono ammessi a discutere direttamente sulla realtà della situazione da accertare: insomma, su di essa, non partecipano attivamente od in mutuo contraddittorio allo svolgimento essenziale del processo. Le norme impugnate contrastano perciò con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione poiché il diritto alla difesa é compromesso allorché il contraddittorio non sia assicurato e sussistono ostacoli processuali a far valere le ragioni delle parti (sent. 8 marzo 1957, n. 46, di questa Corte).
5. - In conclusione, la seconda parte dell'art. 10, n. 1, dato che si limita a demandare al Genio civile l'accertamento della situazione a cui si riferisce la prima parte della stessa norma, é totalmente illegittima. Non ne consegue con ciò un vuoto legislativo poiché l'accertamento sarà fatto dal giudice secondo le leggi e con nomina eventuale d'un consulente.
A sua volta, la seconda parte dell'art. 10, n. 2, oltreché demandare al Genio civile l'accertamento della necessità dello sgombero, gli consente di valutare la possibilità dello sloggio temporaneo senza allontanamento dell'inquilino. Essa é illegittima solo in quanto attribuisce tale competenza al Genio civile. Perciò, caduta la norma, l'accertamento non solo sulla necessità dello sgombero, ma anche sulla possibilità d'uno sloggio temporaneo, sarà fatto dal giudice coi mezzi che la legislazione vigente gli offre.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale, in riferimento all'articolo 24 della Costituzione, dell'art. 10, n. 1, della legge 23 maggio 1950, n. 253, nella parte in cui esso demanda al Genio civile l'accertamento delle condizioni tecniche e della necessità dello sgombero dell'immobile, e dell'art. 10, n. 2, della stessa legge in quanto l'accertamento della indispensabilità dello sgombero e della possibilità d'uno sgombero temporaneo é demandato al Genio civile.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 1961.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1961.