Sentenza n. 71 del 1960
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SENTENZA N. 71

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 83 del R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, promosso con ordinanza emessa il 25 settembre 1959 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Sgaramella Gaetano e la ditta Zazzetta Biagio, iscritta al n. 127 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 19 dicembre 1959.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 23 novembre 1960 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso d'una lite sorta fra il sig. Gaetano Sgaramella e la ditta Biagio Zazzetta, il primo invocava contro la seconda l'articolo 83 del R. D. 29 giugno 1939, n. 1127. Io Sgaramella, titolare d'un brevetto per modello industriale relativo a un certo tipo di tappo travasatore di liquido, sosteneva che i tappi travasatori prodotti e messi in commercio dalla ditta Zazzetta, costituendo imitazione pedissequa, ledevano il proprio diritto di privativa; chiedeva perciò che il Tribunale di Milano, a norma del ricordato art. 83, estensibile ai modelli industriali (art. 1 R.D. 25 agosto 1940, n. 1411), inibisse alla ditta Zazzetta la fabbricazione e l'uso di quei tappi.

Il convenuto si difendeva eccependo, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale della disposizione citata, per eccesso rispetto alla delega contenuta nel R. D. L. 24 febbraio 1939, n. 317, convertito in legge 2 giugno 1939, n. 739.

Il Tribunale di Milano accoglieva l'eccezione e rimetteva gli atti a questa Corte con un'ordinanza del 25 settembre 1959 regolarmente notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 19 dicembre 1959.

2. - L'ordinanza del Tribunale di Milano ricorda come il R.D. 24 febbraio 1939, n. 317, avesse delegato al Governo l'esercizio di potestà legislativa affinché si desse attuazione, in testi separati per le invenzioni, per i modelli e per i marchi, al R.D. 13 settembre 1934, n. 1602, che aveva disciplinato tutta insieme la materia, ma non era mai entrato in vigore.

Secondo il Tribunale, i poteri dati al Governo non andavano più in là delle facoltà di riunire e dividere in tre leggi le norme contenute nell'unico testo del R.D. 13 settembre 1934, n. 1602, di coordinare queste disposizioni per una disciplina organica delle singole materie, infine, di integrare, modificare o sopprimere le norme stesse allo scopo di coordinarle e armonizzarle con le convenzioni internazionali e con le altre leggi dello Stato. Ne deriverebbe che il Governo non avrebbe potuto emanare norme nuove o integrare le vecchie se non in funzione delle ricordate esigenze di coordinamento e di armonizzazione. Perciò, siccome l'art. 83 R.D. 1939, n. 1127, ha introdotto un istituto completamente nuovo (inibitoria in corso di causa) senza che lo imponessero o suggerissero quelle esigenze, esso sarebbe costituzionalmente illegittimo per evidente eccesso di delega.

3. - La Presidenza del Consiglio é intervenuta, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni presentate il 17 novembre 1959 e ha depositato una memoria il 10 novembre 1960.

Essa, innanzi tutto, contesta che la legge di delegazione avesse conferito al Governo poteri meramente formali di adattamento delle disposizioni preesistenti: da alcune sentenze di questa Corte (n. 37 del 26 gennaio 1957 e n. 42 del 27 giugno 1958) risulterebbe, al contrario, come il Governo potesse anche emanare norme nuove nella materia che era stata oggetto di delega. In particolare, poi, dal preambolo e specialmente dall'art. 3 della legge di delegazione si ricaverebbe espressamente che il Governo aveva, anzi, poteri di integrazione, modificazione e soppressione connessi con lo scopo di predisporre una disciplina organica in fatto di invenzioni, di modelli e di marchi: senza contare che nella stessa funzione di coordinamento, inteso quale spinta a conseguire un armonico sviluppo dell'ordine giuridico, rientrerebbe, in generale, come ha dichiarato una sentenza della Corte (n. 16 del 26 gennaio 1957), anche il compito di colmare le lacune delle leggi preesistenti.

Del resto, a parere dell'Avvocatura dello Stato, la norma impugnata non costituirebbe nemmeno una modificazione sostanziale della disciplina predisposta dal R.D. n. 1602 del 1934: il Governo, introducendo l'inibitoria con l'art. 83 del R.D. n. 1127 del 1939, non avrebbe fatto altro che "integrare e rendere più efficace e generale" una tutela preventiva già in vigore ma limitata al sequestro e perciò insufficiente.

A parte ciò, conclude l'Avvocatura dello Stato, l'inibizione é una misura cautelare che, a rigore, si sarebbe potuta chiedere al giudice indipendentemente dalla norma impugnata: esisteva, infatti, nel nostro ordinamento, quel potere cautelare generale che ebbe poi consacrazione nell'art. 700 Cod. proc. civ. relativo ai provvedimenti d'urgenza. Insomma, la legge delegata, con l'articolo 83, non sarebbe andata più in là dell'applicazione, nel campo dei brevetti, di un istituto già vigente. Di qui, l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale promossa con l'ordinanza 25 settembre 1959 del Tribunale di Milano.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 83 del R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, contiene una norma che non era nel R.D. 13 settembre 1934, n. 1602 (cioè nel decreto da attuare in tre testi separati), né nelle leggi anteriori che disciplinavano la stessa materia delle privative industriali: infatti, queste leggi e quel decreto non conoscevano se non la descrizione e il sequestro degli oggetti fabbricati dal presunto violatore del diritto di brevetto, mentre la norma impugnata consente che ne sia inibita anche la fabbricazione in corso di causa.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, l'art. 83 del R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, non avrebbe fatto altro che adattare per il caso una azione generale cautelate già esistente nell'ordinamento e poi consacrata nell'art. 700 del Cod. proc. civ., relativo ai provvedimenti d'urgenza. Ma questa tesi non può essere accolta, essendo certo che l'esistenza d'un potere generale cautelare, all'epoca dell'emanazione del R.D. n. 1127 del 1939, era recisamente negata anche dalla quasi totalità della dottrina. Tale potere, del resto, non fu riconosciuto nemmeno dal progetto del Cod. proc. civ., che, proprio nel tempo in cui veniva emanato il R.D. n. 1127 del 1939, era sottoposto all'esame delle Assemblee legislative: quello che é ora l'art. 700 Cod. proc. civ. fu introdotto solo più tardi, dopo il gennaio del 1940.

2. - Dato ciò e poiché si tratta di poteri esercitati quando l'attuale Costituzione non era in vigore, resta solo da accertare, attraverso l'esame della legge di delegazione, se il Governo avesse avuto la potestà di introdurre norme nuove rispetto a quelle del R.D. n. 1602 del 1934 e delle leggi anteriori.

A tal proposito l'attenzione della Corte, come in occasione delle sentenze n. 37 del 1957 e n. 42 del 1958, si é fermata specialmente sul secondo comma dell'art. 3 R.D. 24 febbraio 1939, n. 317, nel quale é detto: "Il Governo del Re... provvederà altresì a coordinare... le disposizioni richiamate dal precedente comma, al fine di disciplinare organicamente le singole materie, integrando, modificando, sopprimendo le disposizioni stesse, anche per armonizzarle con le convenzioni internazionali, esecutive nel Regno, e, in generale, con le altre leggi dello Stato".

Al Governo era stato demandato di raccogliere e coordinare in tre testi separati, a cominciare da quello relativo ai brevetti per invenzioni industriali, le disposizioni contenute nel R.D. n. 1602 del 1934, mai andato in vigore; ma poteva e doveva modificare e sopprimere alcune di esse, che la legge di delegazione non indicava quali fossero, e utilizzare, invece, altre norme contenute nelle leggi anteriori al 1934. Ciò é chiarito anche dal preambolo, quinto comma, del decreto di delegazione e sembra incontroverso.

Questi poteri, il cui esercizio implicava, dunque, una scelta fra disposizioni del R.D. n. 1602 del 1934 e precetti contenuti in leggi più antiche, mostrano già di per sé, come la potestà conferita al Governo andasse oltre lo scopo del mero coordinamento formale di norme preesistenti e sostanzialmente intangibili. La relazione, che accompagna il disegno di conversione in legge del decreto di delegazione, precisa come alcune vecchie disposizioni si sarebbero dovute riprodurre per sostituirle "fra l'altro a quelle dell'anzidetto decreto del 1934 che non possono essere messe in attuazione".

3. - Di più, da tutto il contenuto del R.D.L. n. 317 del 1939 si desume che al Governo si chiedeva una disciplina completa di tutta la materia delle privative industriali, come dei modelli e dei marchi (va ricordata anche la sentenza n. 42 del 1958 di questa Corte): disciplina che, pertanto, dovendosi tenere conto di necessità sopraggiunte dopo il 1934 e di nuove esperienze, non era attuabile con le sole disposizioni del R.D. n. 1602 del 1934 e delle leggi precedenti. Occorrevano più ampi poteri che non fossero quelli di semplice coordinamento e adattamento delle norme già scritte. Questi poteri furono appunto conferiti con l'ultima parte del citato art. 3, secondo comma, della legge di delegazione, per il quale il Governo poteva integrare, oltre che modificare e sopprimere, i precetti contenuti nel R.D. n. 1602 del 1934.

La relazione, richiamata poco fa, non mancava di osservare in proposito che il Governo aveva avuto "i necessari poteri non solo per coordinare, ma anche per integrare le disposizioni da mandare in attuazione": con il che essa, distinguendo, contrapponeva la funzione integrativa alla funzione coordinatrice di quelle disposizioni, mentre il R.D. n. 317 del 1939, sempre nell'art. 3, secondo comma, lasciava intendere che l'integrazione si dovesse fare, oltreché per lo scopo di armonizzare il R.D. n. 1602 del 1934 con gli accordi internazionali e con le vecchie leggi, anche per un altro fine.

Infatti, l'osservazione del Tribunale di Milano, secondo cui il Governo poteva integrare, modificare e sopprimere le norme del R.D. n. 1602 del 1934 (a parte le esigenze del coordinamento) "solo" per adattarle alle convenzioni internazionali e alle leggi dello Stato, non può essere accolta; vi si oppone, fra l'altro, il testo stesso dell'art. 3, secondo comma: "integrando, modificando, sopprimendo, "anche" per armonizzarle ecc.": l'armonizzazione rispetto agli accordi internazionali e alle leggi interne era soltanto uno degli scopi per cui le disposizioni del R.D. n. 1602 del 1934 dovevano essere integrate, modificate e soppresse dal Governo.

Ma l'altro scopo, in vista del quale si era data al Governo una così ampia potestà di integrazione, non identificandosi nel coordinamento, come risulta anche dalla relazione, non poteva essere se non quello di completare e aggiornare con norme nuove la disciplina preesistente.

4. - Se ne conclude che il Governo, emettendo con l'art. 83 del R.D. n. 1127 del 1939 un precetto che integrava la tutela preventiva già contenuta nelle disposizioni precedenti, non é andato oltre i limiti dei poteri attribuitigli dalla legge di delegazione. Tanto più in quanto con ciò introduceva una norma che si poteva dire vigente presso altri paesi aderenti alle convenzioni internazionali relative ai brevetti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, proposta con l'ordinanza del 25 settembre 1959 del Tribunale di Milano, sulla legittimità costituzionale dell'art. 83 del R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, in relazione alla legge di delegazione R.D.L. 24 febbraio 1939, n. 317.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI.

 

Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 1960.