LARA TRUCCO
PROCREAZIONE
ASSISTITA: LA CONSULTA, QUESTA VOLTA, DECIDE DI (ALMENO IN PARTE) DECIDERE
(Corte costituzionale, sentenza n. 151 del 2009) *
(per gentile
concessione della Rivista “Giurisprudenza Italiana”)
Sommario: 1. I
precedenti giurisprudenziali in materia. – 2.
Le argomentazioni della Corte costituzionale. – 3. La decisione di parziale accoglimento. – 4. Segue: …e la decisione
di accoglimento “parziale”. – 5.
L’impatto sistemico della pronuncia.
1. I precedenti giurisprudenziali in materia
La decisione n. 151
del 2009 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi i commi 2 e 3
dell’art. 14 della l. 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita, nel prosieguo, “Legge n. 40”), giunge attesa ma con
esiti che, per certi versi, non era lecito sicuramente attendersi, se si
conviene nel ravvisare una varietà di profili procedurali[1]
su cui essa avrebbe potuto fondare una decisione di inammissibilità, specie per
come la questione le era stata prospettata ab
origine, a dimostrazione di come, quando lo ritenga necessario, la Corte
non manchi di modulare il proprio sindacato sul requisito della “rilevanza”[2].
Limitando comunque, in questa sede, la nostra attenzione
prioritariamente ai profili attinenti al merito della questione, è
preliminarmente opportuno constatare come la sentenza in commento rappresenti
l’approdo di un percorso portato avanti dalla giurisprudenza sia ordinaria, sia
amministrativa, che ha condotto al progressivo “scardinamento” della Legge n.
40 e delle connesse regole di attuazione contenute nelle “Linee guida in
materia di procreazione medicalmente assistita” (D.M. della Salute, 21 luglio 2004,
aggiornato dal D.M. 11 aprile 2008, nel prosieguo, “Linee-guida”). Tali norme,
infatti, per le ragioni che meglio si vedranno nel prosieguo, sono state talora
considerate incompatibili con principi di carattere costituzionale.
A ciò si è pervenuti, per vero, attraverso un’articolazione
di posizioni giurisprudenziali. In occasione, infatti, delle prime pronunce in
materia (ci riferiamo, segnatamente, alla decisione del Tribunale di Catania
del 2004[3]
ed a quelle del T.A.R. Lazio del 2005[4]),
rese quando ancora erano “vive” le ragioni dell’approvazione del testo, nelle
argomentazioni giudiziali ebbe «il suo più grande rilievo», unitamente alle
interpretazioni di ordine letterale[5]
e sistematico[6],
il richiamo all’“intenzione del legislatore”[7],
il quale, per stessa ammissione degli organi giudicanti, finì per imporre «un
ancor più attento (se possibile) scrupolo deontologico e un ancor più rigoroso
autocontrollo nell’esercizio dei propri poteri e nell’adempimento dei propri
doveri [si intende, da parte dei giudici], onde non arrogarsi – con l’alibi del
perseguimento di una maggiore “giustizia sostanziale” – il potere di dare o
negare e a quali condizioni la salute e la vita[8]».
Un simile habitus
mentale è andato però affievolendosi man mano che la normativa sulla
procreazione assistita ha trovato applicazione, avvalorando la presenza di
problematicità tali da far affiorare innanzi agli organi giudiziali
«ingiustizie» ed «irrazionalità» della legge[9],
così reputate, sulla scorta della dottrina più sensibile a questi temi,
rispetto ai principi e valori costituzionali[10].
Un primo momento di notevole frizione[11]
si è avuto in occasione della controversia sottoposta al Tribunale di Cagliari
nel 2005[12]
chiamato ad affrontare «uno degli aspetti cruciali, più complessi, delicati e
controversi[13]»
della Legge n. 40: quello relativo all’analisi preimpianto.
Nell’occasione, oggetto del contendere era infatti stato il
diritto, da parte di soggetti portatori di patologie trasmissibili per via
genetica che avevano fatto ricorso alle tecniche di procreazione assistita, di
poter espletare questo tipo di analisi sugli embrioni fecondati, in vista di
non procedere all’innesto nell’utero materno di entità embrionarie risultate
malate. Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto in precedenza, in questo
caso, il giudice cagliaritano, ritenendo di non poter definire il procedimento
indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 13 della Legge n. 40, aveva deciso di rivolgersi alla
Corte costituzionale, prospettando la violazione, da parte della menzionata
normativa, degli artt. 2, 3 e 32 Cost.[14].
La Corte finì però per eludere la trattazione nel merito della questione
sottopostale (v. Corte cost., ord. n. 369/2006[15]), preferendo
trincerarsi, attraverso una serie di strategie argomentative che non mancarono
di far trapelare una qualche sua difficoltà ad occuparsi della questione,
dietro un sostanziale non liquet, col
risultato di lasciare sostanzialmente impregiudicata la questione[16].
Vistosi dunque restituire praticamente intatto l’oggetto
indubbiato, il Tribunale di Cagliari, tenuto conto, tra l’altro, di come
«neppure dai lavori parlamentari [fosse] possibile trarre elementi univoci che
[giustificassero] l’affermazione secondo cui la diagnosi preimpianto sarebbe
vietata anche nella specifica ipotesi in cui la stessa sia stata richiesta, ai
sensi del 5° comma dell’art. 14, al fine di ricevere adeguata informazione
sullo stato di salute dell’embrione destinato all’impianto» reputò a quel punto
preferibile ed anzi “doveroso”, tra le varie interpretazioni possibili del
testo, abbracciare quella maggiormente capace di assicurare una «lettura
costituzionalmente orientata della norma», ritenendo tale quella favorevole al
riconoscimento della piena legittimità dell’accertamento diagnostico
preimpianto, alla luce, in primis,
del fondamentale valore della salute umana, disattendendo contestualmente (ex art. 5, L. 20 marzo 1865, n. 2248,
all. E), in quanto contra legem, la
norma di rango secondario contenuta nelle Linee-guida conformanti il divieto[17].
Il quadro venutosi così a creare sul versante relativo
all’analisi preimpianto è stato confermato dalla giurisprudenza del Tribunale di
Firenze del 2007, secondo cui non solo la legge non prevederebbe un divieto di
preimpianto, ma addirittura sottintenderebbe l’opportunità di svolgerlo[18],
e compiutamente definito dalla decisione (pressoché contestuale a quella del
giudice fiorentino) del T.A.R. Lazio del 2008[19],
con cui sono state annullate le Linee-guida del 2004 là dove, integrando la
parte censurata dai giudici ordinari (contenuta nelle Misure di Tutela
dell’embrione), statuivano che ogni indagine relativa allo stato di salute
degli embrioni creati in vitro
sarebbe dovuta limitarsi ad essere di tipo osservazionale. Sicché, all’indomani
di tali pronunce, è stato gioco-forza per il legislatore, pure in scadenza di
mandato, prendendo atto delle intervenute soppressioni ex parte iurisprudentiae, mettere mano a nuove Linee-guida (v. D.M.
11 aprile 2008)[20].
2. Le argomentazioni della Corte costituzionale
Intervenuto dunque così, sia pure
solo a livello giurisprudenziale, il riconoscimento della facoltà di procedere
all’analisi genetica preimpianto degli embrioni (qui si fermano il Tribunale di
Cagliari e il T.A.R. Lazio[21])
la successiva attenzione, del tutto conseguentemente, si è concentrata sia sul persistente divieto (salvo le ipotesi previste dall’art.
14, 3° comma della Legge n. 40) di crioconservazione degli embrioni che fossero
risultati malati, sia sul connesso obbligo di creazione ed impianto contestuale nell’utero della donna di tre entità embrionarie
(trattandosi, allo stato attuale delle conoscenze, dell’ammontare massimo
trasferibile in un’unica soluzione, idoneo a scongiurare al possibile eventuali
ipotesi di congelamento delle entità embrionarie soprannumerarie) a fronte
della possibilità, conseguente a quella giurisprudenza, in caso di accertata
presenza di embrioni malati, di procedere all’innesto di un numero inferiore[22].
È stato lo stesso T.A.R. Lazio,
nella decisione del 2008 poco più sopra menzionata, a farsi carico di
tali problematiche, prospettando una nuova questione alla Corte costituzionale.
Dal canto suo, anche il Tribunale di Firenze, di lì a breve, si sarebbe fatto
portatore, davanti alla Consulta, di un ulteriore profilo controverso, dato
dall’assunta inefficacia dell’analisi preimpianto in quelle ipotesi in cui, per
bene operare, sarebbe stato necessario per il medico poter disporre di un
numero superiore di embrioni rispetto a quello massimo consentito dalla Legge
n. 40[23].
Dopo aver selezionato e rilevato i profili «largamente coincidenti» delle due vicende, il giudice delle
leggi ha optato per la trattazione congiunta delle questioni prospettatele. La
Corte ha preso le mosse dalla considerazione per cui, con l’escludere la
possibilità di creare un numero di embrioni superiore a tre, senza in alcun
modo tener conto delle variabili che possono condizionare l’esito di ogni
specifico caso, il divieto di cui al 2° comma, dell’art. 14, della Legge n. 40,
avrebbe finito per mortificare gli obiettivi della legge stessa, data
l’evenienza, di più probabile realizzazione rispetto a situazioni in cui vigano
parametri dotati di maggiore flessibilità, che i tre embrioni prodotti
potessero non risultare in grado di dare luogo alla gravidanza voluta. Infatti,
l’eccessiva rigidità del limite posto in via legislativa al numero di embrioni impiantabili
avrebbe finito per compromettere il principio che, come lo stesso giudice
costituzionale ha evidenziato, in materia di pratica terapeutica deve
rappresentare «la regola di fondo», vale a dire, l’autonomia responsabile del
medico.
In particolare, coll’impedire al
medico di valutare il trattamento più adeguato per ogni paziente, in modo tale
da poter procedere di volta in volta a quantificare il limite numerico di
embrioni da impiantare sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze
tecnico-scientifiche, lungi dal risultare idoneo ad assicurare «un serio
tentativo di procreazione assistita» come preconizzato dalla legge, il predetto
limite avrebbe piuttosto finito per aumentare i rischi di pregiudizio per la
salute della donna, per la possibile insorgenza di patologie collegate alla
reiterazione dei cicli di stimolazione ovarica. Inoltre, tale pratica, si
sarebbe posta in contrasto frontale con il principio della gradualità e della
minore invasività della tecnica di procreazione assistita (espresso all’art. 4,
comma 2, della Legge n. 40). E, soprattutto, col principio di eguaglianza: in
costanza, infatti, del divieto di procedere a riduzioni embrionarie selettive
(v. art. 14, comma 4 della Legge n. 40), la previsione di un trattamento identico
in presenza di situazioni in cui siano maggiori le possibilità di attecchimento
dell’embrione l’applicazione della medesima metodica, avrebbe finito per
portare al probabile presentarsi di gravidanze plurime.
Di qui dunque la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale della previsione normativa della creazione di un
numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni considerazione delle
condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla
procedura di procreazione medicalmente assistita, per violazione,
rispettivamente, dell’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna
«– ed eventualmente […] del feto – ad esso connesso»; e dell’art. 3, riguardato
sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di
uguaglianza.
Esaminato con ciò l’iter argomentativo della Corte ed
anticipatone, nelle sue grandi linee, il punto di approdo, è opportuno ora fare
un passo indietro per segnalare come, al di là dei profili comuni ai due casi
esaminati, il “materiale” somministrato dai giudici di merito sia stato, a
conti fatti, più abbondante, specie nella parte fornita dal tribunale
fiorentino, rispetto a quello poi effettivamente utilizzato nel dar forma alla
decisione.[24].
Beninteso, ciò non solo è nella possibilità della Corte ma
il fatto di rimodellare e amalgamare financo i tratti essenziali delle
questioni prospettatele può dirsi del tutto fisiologico e corrispondente ai
metodi decisionali del giudice costituzionale. Quel che però preme rimarcare è
come, nel caso di specie, la tecnica di componimento/scomposizione di quanto
pervenuto alla Consulta sia stata portata alle estreme conseguenze, risultando,
sia pure “in controluce”, determinante nell’intero iter decisorio.
In particolare, mentre il Tribunale capitolino avrebbe
fornito un contributo essenziale dal punto di vista argomentativo, col
prospettare una «motivazione» (in punto d’illegittimità della normativa
impugnata) «particolarmente lucida ed articolata[25]»,
l’ingresso, da parte del Tribunale fiorentino, nel giudizio di
costituzionalità, sembrerebbe aver svolto una funzione “di compensazione”, sul
versante procedurale (prima ancora che “di merito”[26]),
determinante, in particolare, nel giudizio di ammissibilità della questione,
fornendo al giudice costituzionale “un oggetto” più “solido” (in quanto di
rango certamente primario, senza dover procedere ad alcun tipo di traslazione
contenutistica tra norma di rango secondario e primario, secondo quanto invece
prospettato dal giudice amministrativo[27])
su cui pronunciarsi; ma anche argomentazioni più approfondite circa la medesima
ammissibilità, pure sotto il profilo dell’impossibilità di fornire
interpretazioni adeguatrici delle norme impugnate (praticamente assenti
nell’esposizione del giudice amministrativo).
A quest’ultimo riguardo è anzi possibile ritenere in modo
ancor più decisivo che questa sorta di “doppio binario” giurisprudenziale,
abbia, nel caso di specie, fornito della necessaria concretezza la questione[28].
Ciò, là dove si convenga nel ritenere che l’impugnativa delle norme contenute
nelle Linee-guida (ivi incluso l’art.
14, 2° e 3° comma) innanzi al T.A.R.
Lazio, prescindendo da una controversia in atto[29],
per superare il vaglio del giudizio di rilevanza avrebbe necessitato di una dilatazione – invero improbabile – di
tale requisito al punto da toccare la “mera applicabilità teorica della norma”.
Mentre, come s’è in parte anticipato, i contorni della rilevanza relativamente
al caso affrontato dal Tribunale fiorentino sono parsi più netti sin dalla
prospettazione del caso controverso (in disparte l’eventualità di una fictio litis, in presenza di azioni tout court “di accertamento contrattato”
giudiziale di un diritto[30]).
3. La decisione di parziale accoglimento
Da ultimo, di sicuro interesse è la
costruzione del dispositivo, considerato che l’art. 14, 2° comma, della Legge n. 40 è stato dalla Corte dichiarato
illegittimo limitatamente alle parole «ad un unico e contemporaneo impianto,
comunque non superiore a tre», sulla base
della soluzione di parziale accoglimento prospettata dal Tribunale fiorentino (nel pressoché totale silenzio, sul punto, del giudice
amministrativo). Per cui resta in piedi la parte della disposizione che prevede
che «Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione
tecnico-scientifica» anche come recepita dalle Linee-guida, «non devono creare
un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario»[31].
Tornando alla vicenda che ha dato
impulso all’ordinanza del Tribunale fiorentino, sembrerebbero dunque esser
venute meno anche quelle ragioni, legate, come si diceva, all’obbligo per i
medici di impiantare comunque tre embrioni, che ancora portavano alcuni centri
di fecondazione a ritenere pressoché inutile procedere all’analisi
preimpianto, dato il divieto, anche ove ne fosse emersa l’opportunità, di procedere “al rialzo” rispetto al limite
massimo imposto dalla Legge n. 40[32].
Le risultanze dell’analisi preimpianto, specie in situazioni “a rischio”,
dovrebbero quindi rientrare a pieno titolo nell’ambito delle condizioni
prognostiche sulla cui base viene medicalmente valutato il numero “necessario”
di embrioni da formare e da trasferire all’interno dell’utero della paziente[33],
considerato che, come evocato all’inizio, proprio la richiesta di poter
procedere a questo tipo di analisi è stata alla base dell’intervento del
giudice costituzionale, costituendo a tutti gli effetti un presupposto della
sua decisione[34].
Ma anche la prospettazione, come
lecita, dell’analisi preimpianto pone una serie di questioni difficilmente
risolvibili a prescindere da un intervento del legislatore in materia[35].
In particolare, tra i profili maggiormente candidati ad essere sottoposti allo
scrutinio della Corte si trova la disparità di trattamento affiorante fra coppie
portatrici di malattie geneticamente trasmissibili a seconda che siano sterili
oppure fertili, considerato che, allo stato, solo le prime hanno accesso alle
tecniche di procreazione, e pertanto solo ad esse sarebbe dato di sperare di
generare figli sani; mentre le seconde si troverebbero a dover confidare nella
“buona sorte” per non trasmettere ai figli i propri geni malati[36].
In quest’ottica (senza voler qui considerare la “spinosa”
questione dell’accesso alle tecniche da parte di donne single e di coppie femminili), è stata considerata un’occasione
quanto meno perduta la mancata estensione, in sede di aggiornamento delle
Linee-guida, dell’accesso alla riproduzione assistita oltre che dei soggetti
portatori di malattie virali sessualmente trasmissibili (v. disposto relativo
all’art. 4 della Legge, recante “accesso alle tecniche”), anche di quelli
affetti da malattie genetiche[37].
Comunque sia, preme
ora rilevare come, con riguardo al versante dei “beni giuridici”
coinvolti, la decisione in commento consolidi quella giurisprudenza
costituzionale che, in materia di
pratica terapeutica, reputa la regola di autonomia e di responsabilità del
medico «un punto di incrocio dei principi di questa materia»[38].
Ciò che, peraltro, non comporta il riconoscimento al medico di un potere
sconfinato, essendo, infatti, egli, chiamato, come chiarisce la Corte nel caso
in esame, da un lato, ad operare «con il consenso del paziente», e, dall’altro
lato, ad effettuare «le necessarie scelte professionali» alla luce delle «acquisizioni
scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si
fonda l’arte medica». D’altro canto, la lettura congiunta della decisione in
commento coi precedenti resi dal giudice costituzionale in materia (richiamati,
peraltro, dalla Corte, nel caso in esame) porta a rilevare come ciò non
significhi nemmeno che al legislatore sia senz’altro preclusa ogni possibilità
di intervenire, purché gli interventi legislativi «sul merito delle scelte
terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza» non nascano «da valutazioni
di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore», ma, posto «l’“essenziale
rilievo” che, a questi fini, rivestono “gli organi tecnico-scientifici”» prevedano l’elaborazione di indirizzi
fondati sulla «verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle
evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma
nazionali o sovranazionali – a ciò deputati»[39].
Infine, la pronuncia in commento sembra consolidare quella
più lontana giurisprudenza volta a tutelare, prima di altri tipi di interessi,
la vita e la salute fisica e psichica della donna, dimostrando, inoltre, in
senso innovativo, più di una qualche attenzione nei confronti delle aspettative
di gravidanza della donna stessa (anche al prezzo del sacrificio delle entità
embrionarie). Ciò che costituisce un
passo in avanti nella direzione di riconnettere il riconoscimento della
situazione giuridica di vantaggio ad esigenze più intimamente individuali, a
prescindere dall’esclusiva connessione col valore della salute, da un
lato, e del “peso” della malattia, dall’altro lato[40].
4. Segue: …e la decisione di accoglimento “parziale”
Come segnala la stessa Corte in un passaggio chiave della
propria pronuncia, sarebbe stata la stessa Legge n. 40, col predefinire il
limite massimo di embrioni
impiantabili, ad acconsentire al rischio che alcuni di essi potessero non dare
luogo a gravidanza, ammettendo, almeno implicitamente, un affievolimento della
loro salvaguardia dovuto alla «necessità di individuare un giusto bilanciamento
con la tutela delle esigenze di procreazione», «in conformità alla finalità
proclamata dalla legge».
In tale prospettiva, all’intervento demolitorio del giudice costituzionale andrebbe ascritto il
merito di aver ricondotto a coerenza una normativa contraddittoria, peraltro,
conformemente al bilanciamento di valori operato dal legislatore;
d’altro canto, esso ha condotto contestualmente la Corte a limitare al massimo
il suo intervento sul testo della Legge n. 40, operando, com’è stato
opportunamente osservato, «“col cesello” piuttosto che con “la scure”»[41],
col fare prima di tutto salvo il
principio per cui le tecniche di produzione non devono creare un numero di
embrioni superiore a quello strettamente necessario (secondo accertamenti
demandati, nella fattispecie concreta, al medico).
Proprio nell’ottica di stretta
necessità di produzione e, conseguentemente, di crioconservazione, degli
embrioni può poi essere inquadrata la scelta del giudice costituzionale di prendere
le distanze dalla soluzione di parziale “manipolativo” accoglimento,
prospettata dal Tribunale di Firenze in riferimento al 3° comma dell’art. 14
della Legge n. 40 (che avrebbe dato luogo ad una normativa di risulta del
seguente tenore: “Per grave e documentata causa relativa allo stato di salute
della donna è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi”); optando
invece per una pronuncia di accoglimento “parziale” di tipo additivo
(attraverso la dichiarazione d’illegittimità costituzionale del disposto “nella parte in cui non prevede che il
trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, come previsto
in tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della
donna”).
La distanza tra le due soluzioni è di tutto rilievo,
considerato che, mentre nel primo caso, la decisione della Corte avrebbe finito
per sopprimere il principio generale di divieto di crioconservazione previsto
dalla legge; la soluzione accolta dalla Consulta risulta invece essere meno tranchante e, pertanto meno
destabilizzante dell’intero impianto normativo[42],
consentendo al giudice costituzionale di considerare le ipotesi di lecito
ricorso da parte dei medici alla crioconservazione alla stregua di “deroghe”
«al principio generale di divieto di crioconservazione di cui al comma 1
dell’art. 14».
Ad ogni modo, ci sembra che pur senza che «The cryopreservation of embryos [is]
routinely available as an integral part of infertility services[43]»,
la questione della crioconservazione
embrionale continui a costituire una “lacuna normativa”, data la
possibilità, di procedere a questo tipo di metodica[44]. Ciò che, prima come “eccezione”, ora,
come “deroga”, con riguardo alle entità
embrionarie soprannumerarie risulta tanto più problematico se si
considera, da un lato, l’imprescindibilità della buona cura degli embrioni
crioconservati[45]
per il mantenimento delle loro potenzialità “di vita”[46];
e, dall’altro lato, che, nel prossimo futuro, il progredire delle biotecnologie
non potrà che contribuire ad acuire il fenomeno, data la crescente facilità di
produzione embrionale e di scoperta di
nuove patologie genetiche, oltre che di approfondimento della conoscenza di
quelle già note. Sicché sempre più numerose potranno verosimilmente risultare
le ragioni di opposizione all’impianto e di “abbandono” degli embrioni: per cui
si tratterà di stabilire quale delle immaginabili soluzioni sia “più etica”:
procedere alla loro immediata distruzione o, all’opposto, procedere alla loro
crioconservazione sine die;
consentire di poter fare su di essi attività di ricerca scientifica; o, ancora,
prevederne la facoltà di donazione.
5. L’impatto sistemico della pronuncia
Da ultimo, è opportuno almeno accennare al valore sistemico
della pronuncia, considerato che la dottrina più attenta e sensibile a questi
temi non ha mancato di mettere a fuoco le implicazioni di breve e lungo periodo
di certe chiusure del giudice costituzionale in materia di diritti
fondamentali, trincerandosi, appena possibile, dietro a carenze logico-formali
dei provvedimenti di rimessione delle questioni di costituzionalità. Anche se,
per vero, a favore di tale orientamento, si pongono coloro i quali hanno messo
in luce l’inadeguatezza obiettiva di taluni aspetti del giudizio costituzionale
in materia, ritenuto, così come strutturato, inidoneo a garantire l’effettiva
tutela di diritti fondamentali: ad esempio, per la nota mancanza di accesso
diretto, per la fisiologica dilatazione dei tempi del processo, nonché per
l’assenza di tutela cautelare. Ma al proposito c’è chi evidenzia come sia stata
invece la Corte stessa in qualche occasione ad “arretrare” rispetto alla gamma
di strumenti decisori di cui dispone[47],
sul presupposto che l’assunzione di un ruolo “attivo” della Corte
costituzionale in materia rappresenti un elemento imprescindibile e «in molti
casi un passo opportuno sulla strada di un “diritto vivente” condiviso e più
solido», idoneo «fors’anche a prevenire “rigurgiti” legislativi che comportino
addirittura passi indietro rispetto alla faticosa ricerca giurisprudenziale,
nelle pieghe ordinamentali, di punti di equilibrio tra i diversi interessi
costituzionali che si confrontano[48]».
In quest’ultimo senso, lungi dal costituire una valorizzazione del ruolo
“giudiziale”, il sostanziale silenzio della Consulta avrebbe finito col
produrre una vera e propria mortificazione delle richieste di ausilio dei
giudici, inducendoli, specie nei casi più problematici, con sempre maggiore
frequenza a cercare conforto e conferme circa la “bontà” delle loro decisioni
nel circuito giudiziario sovra e trans-nazionale (Corte di Lussemburgo e Corte
di Strasburgo)[49],
ma anche straniero (per esempio, Corte Suprema Americana)[50].
Più in generale, l’attribuzione ai giudici a
quibus di una sorta di sindacato ermeneutico diffuso di costituzionalità,
attraverso la via dell’interpretazione adeguatrice, avrebbe finito per
costringerli (il ridetto “caso Cagliari” può dirsi emblematico) a portare
avanti soluzioni fortemente – e secondo alcuni eccessivamente – estensive del
dettato della legge e dello stesso dettato costituzionale[51].
Con più specifico
riguardo al contenzioso amministrativo, va notato un ulteriore profilo,
derivante dal potere dei giudici di eventualmente annullare atti di stretta, e
talvolta inscindibile, attuazione delle norme di rango primario. Di ciò avrebbe
potuto offrire un efficace esempio il caso affrontato
dal T.A.R. Lazio che, una volta vistosi restituire la questione, avrebbe
potuto procedere ad annullare ulteriormente le Linee-guida in quanto
contrastanti con principi di carattere costituzionale, pur nella perdurante
vigenza di un identico disposto di rango legislativo.
Forse conscia del
problema, la Corte ha però come s’è detto adottato essa stessa l’iniziativa di
sgomberare il campo dalle regole incostituzionali, ridando smalto al suo ruolo
fondamentale di “custode delle libertà individuali” che le affida la
Costituzione.
* La questione è stata sollevata con sentenza emessa
il 21 gennaio 2008 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e con
ordinanze del 12 luglio e del 26 agosto 2008
del Tribunale ordinario di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. 159,
323 e 382 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nelle Gazz. Uff. nn. 22, 44 e 50, I serie speciale, dell’anno 2008, nel
procedimento amministrativo promosso dalla Warm (World Association Reproductive Medicine), contro il Ministero della
Salute ed altro, e nel procedimento civile instaurato da C.M. e R.G. avverso il
Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l..
[1] Dei
profili procedurali della questione si occupa approfonditamente, in questo
sito, Chinni, La
procreazione medicalmente assistita tra “detto” e “non detto”. Brevi
riflessioni sul processo costituzionale alla Legge n. 40/2004.
[2] Prima
della decisione della Corte e sia pur con esclusivo riferimento alla
sentenza-ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale del
T.A.R. Lazio del 2008 (v. infra, la
nota n. 19), le questioni relative alla “rilevanza” (oltre a quelle concernenti
“il merito” della questione) sono emerse in occasione del “Seminario
preventivo” svoltosi a Ferrara il 18 aprile 2008, sul tema, i cui atti sono
contenuti nel volume Dalla provetta alla
Corte. La legge n. 40 del 2004 di nuovo a giudizio, a cura di R. Bin, G.
Brunelli, A. Guazzarotti, A. Pugiotto, P. Veronesi, Torino 2008: si vedano,
specificamente, i contributi di Arconzo, G. D’Amico, Deffenu, Galipò, Manetti,
Penasa, Pugiotto, Trucco (per qualche ulteriore spunto, all’indomani dell’atto
di promovimento del Tribunale di Firenze, cfr. inoltre infra, § 2). In particolare, ha attirato l’attenzione la
sollevazione della questione con sentenza anziché con ordinanza ex art. 23
della l. n. 87 del 1953, ritenuta irrituale specie in quei casi, come quello di
specie, in cui questo atto «che si potrebbe definire “anfibio” se non
addirittura “a due teste”», non si limiti ad “introdurre” in via
“interlocutoria” il giudizio costituzionale, ma presenti un contenuto decisorio circa il merito dei giudizi a quibus, tale da snaturarne la sostanza (cfr. Girelli,
E’ consentito sollevare questione di
legittimità costituzionale con sentenza?); in un’ottica più pragmatica, si
è invece condiviso la scelta del giudice costituzionale di non assumere una
posizione eccessivamente rigorosa sulle questioni “di forma”, dando la priorità
alla “sostanza” della questione (cfr. Chinni,
La procreazione
medicalmente assistita tra “detto” e “non detto”, cit.).
[3] Cfr.
Trib. Catania, sez. I civ., 3 maggio 2004, in Giur. It., 2088 e segg.
[4] Cfr.
T.A.R. Lazio, sez. III-ter, 9 maggio
2005, n. 3452, in Foro amm. TAR,
2005, 5, 1579 e segg.; e Id., 2005, del 23 maggio 2005, n. 4046-7, ibidem, 1591.
[5] Più
precisamente, in questa prima fase è stata valorizzata la lettura congiunta
della dizione «finalità terapeutiche e diagnostiche», contenuta nella Legge n.
40, radicando con ciò l’idea che non potesse esservi finalità diagnostica
dissociata da possibilità terapeutica, ovvero che la finalità diagnostica
sarebbe dovuta essere – e non sarebbe potuta non essere – strumentale al
successivo intervento terapeutico, chiamato a sua volta a presentare una qualche
probabilità di riuscita. Ciò comportava che se la finalità diagnostica fosse
stata fine a se stessa, nel senso di “limitarsi” a rendere nota la presenza di
eventuali patologie senza essere supportata da nessuna tecnica idonea a
rimediare all’anomalia riscontrata, veniva considerata vietata dalla Legge. Su
questa base, il T.A.R. del Lazio nella sentenza del 9 maggio 2005, cit.
(confermata successivamente dalle pronunce n. 4046 e 4047 del 23 maggio 2005,
citt.), ha fatto salve le Linee-guida del 2004, tra le altre, proprio nella
parte in cui disponevano che «ogni indagine relativa alla salute degli embrioni
creati in vitro, ai sensi dell’art. 14 comma 5, [sarebbe dovuta] essere di tipo
osservazionale», sostenendo che l’ipotesi di diagnosi preimpianto concernente
le qualità genetiche dell’embrione non rientrasse nei casi consentiti dalla
legge, e che anzi sarebbe finita per ricadere nel divieto di selezione a scopo
eugenetico, pur trattandosi di un caso di “eugenetica negativa”, volta, cioè, a
far sì che non nascano persone portatrici di malattie ereditarie e non a
perseguire scopi di miglioramento della specie umana (cfr. altresì a tale
riguardo le note n. 20 e n. 37).
[6] In
particolare, a sostegno dell’esclusione della liceità della diagnosi
preimpianto hanno deposto elementi tratti dalla disciplina complessiva della
procedura di procreazione medicalmente assistita disegnata dalla Legge n. 40, e
precisamente: la previsione della revocabilità del consenso solo fino alla
fecondazione dell’ovulo; il divieto di creazione di embrioni in numero
superiore a quello necessario per un unico impianto (reputato) obbligatorio
quindi per tutti gli embrioni (art. 14,
2° comma); e il divieto di crioconservazione e di soppressione di embrioni
(art. 14, 1° comma).
[7]
Particolarmente, dall’interpretazione della Legge n. 40 alla luce degli scopi
dalla stessa perseguiti e dei suoi criteri ispiratori sarebbe emersa la
preoccupazione di restringere entro limiti rigorosi la ricerca scientifica
sugli embrioni, «in via generale vietata salvo le eccezioni previste dalla
legge», «nonché l’intento di garantire in tale ottica la massima tutela della
salute e dello sviluppo dell’embrione» (così Trib. Catania, 3 maggio 2004, in Giur. It., 2004, 2089).
[8] Così
Tribunale di Catania, 3 maggio 2004, cit., 2089.
[9] Ci si riferisce, in particolare, a quanto
prospettato nei ricorsi che hanno dato impulso al gruppo di decisioni del
T.A.R. Lazio del 2005, citt.
[10] Tra le
prime voci dottrinali che misero in luce problemi di incostituzionalità della
Legge n. 40, v. Manetti, Profili di illegittimità costituzionale
della legge sulla procreazione medicalmente assistita, in Pol. Dir., 2004, 453 e segg., che «ancor
prima delle singole disposizioni» ritenne esser «la legge nel suo complesso a
mostrarsi radicalmente incostituzionale»; Caggia,
Procreazione assistita, realizzazione
esistenziale dei soggetti e funzione del diritto (brevi riflessioni su alcuni
problemi di costituzionalità della L. 19 febbraio 2004, n. 40), in Giur. It., 2004, 2093, che evidenziò
«alcune delle contraddizioni e delle rigidità presenti nell’impianto
normativo»; e Tripodina, Studio sui possibili profili
d'incostituzionalità della legge n. 40 del 2004 recante "Norme in materia
di procreazione medicalmente assistita", in Dir. pubbl., 2004, 501 e segg., che soffermò la sua attenzione
sulle implicazioni della prevalenza, nel testo legislativo, dei diritti
dell’embrione rispetto ad altri valori costituzionalmente garantiti.
[11]
Nell’occasione cominciò infatti a farsi spazio, sul piano esegetico, l’idea che
il tenore letterale dell’art. 13 della Legge non sarebbe stato ostativo ad
un’interpretazione favorevole dell’analisi preimpianto (e più estensivamente,
alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni) a condizione che si fossero
perseguite finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche, ritenendosi,
anzi, questa, una delle poche interpretazioni del disposto compatibile con i
principi costituzionali in materia di tutela della salute. In particolare, nei
casi come quello in esame, sarebbe entrato in gioco – piuttosto che il comma 3
– , il comma 5 dell’art. 14 della legge n. 40/2004, che riconosce ai componenti
della coppia che ha avuto accesso alla procreazione medicalmente assistita il
diritto di essere informati, a loro richiesta, “sullo stato di salute di
embrioni prodotti e da trasferire nell’utero”, rivendicandosi la presenza di un
vero e proprio obbligo della struttura sanitaria di praticare la diagnosi
preimpianto in una prospettiva di solo beneficio per i soggetti legittimati
richiedenti il trattamento.
[12] Trib.
Cagliari, 16 luglio 2005, n. 5026, in Giur.
It., 2006, 6, 1167 e segg.
[13] Così Banchetti, Procreazione medicalmente assistita, diagnosi preimpianto e (fantasmi
dell’) eugenetica, in Giur. It.,
2006, 6, 1169-70.
[14] Più precisamente,
nell’ordinanza di rimessione il giudice cagliaritano prospettò la violazione
degli artt. 2 e 32 Cost. sotto il profilo, da un lato, del rischio di danni
biologici dell’embrione dovuti al periodo di crioconservazione (in seguito al
rifiuto d’impianto da parte della donna) e, dall’altro lato, di minaccia per la
salute della donna derivante dall’impossibilità di accertare lo “stato”
dell’embrione. L’art. 3 della Carta costituzionale fu invece chiamato in campo
per la ingiustificata disparità di trattamento che la Legge n. 40 avrebbe
provocato tra la posizione dei genitori ai quali è riconosciuto il diritto
all’informazione sulla salute del feto nel corso della gravidanza attraverso
l’amniocentesi e quella della coppia nella fase della procreazione assistita
che precede l’impianto a cui invece analoga conoscenza non è accordata.
[15] Cfr. Corte
cost., 9 novembre
2006, n. 369, in Giur. It., 2007,
1617 e segg..
[16] Come già osservato
in altra occasione (cfr. Trucco, La procreazione medicalmente assistita al
vaglio della Corte costituzionale, in Giur.
It., 2007, 1622). Si vedano, a conforto di tale posizione, per esempio, Celotto, La Corte costituzionale «decide di non decidere» sulla procreazione
medicalmente assistita, in Giur.
cost., 2006, 3849; Tripodina, Decisioni giurisprudenziali e decisioni
politiche nell'interpretazione del diritto alla vita, ivi, 3850; M. D’Amico, Il giudice costituzionale e
l’alibi del processo, ivi, 3859; e A. Morelli, Quando la Corte decide di non decidere. Mancato
ricorso all'illegittimità conseguenziale e selezione discrezionale dei casi).
[17] Cfr. Trib.
Cagliari, 24 settembre 2007, in Foro It.,
2007, I, 3245 e segg. (spec. il § 6).
[18] Cfr. Trib.
Firenze, 17 dicembre 2007, in Foro It.,
2008, I, 632. Per un’analisi critica di tale pronuncia v. Pellizzone, Fecondazione assistita e interpretazione costituzionalmente conforme.
Quando il fine non giustifica i mezzi, in Giur. cost., 2008, 553 e seg., che rileva come sia il tribunale
fiorentino, sia quello cagliaritano sarebbero andati «al di là della lettera e
della ratio della legge, la quale
vieta la diagnosi preimpianto senza lasciare spazio a diverse posizioni
interpretative».
[19] Cfr.
T.A.R. Lazio, sez. III-quater, 21 gennaio 2008, n. 398, in Foro It. 2008, 4, 207 e segg..
[20] Deve
peraltro segnalarsi come la soppressione, dal disposto delle Linee-guida,
dell’analisi di tipo osservazionale non abbia mancato di ingenerare ambiguità
interpretative: a fronte infatti di chi ravvisa in essa l’eliminazione di un
vincolo (alla possibilità di espletare l’analisi preimpianto, anche a fini
diagnostici), si pone chi, invece, ne considera l’idoneità a far (ri)emergere
il divieto di analisi preimpianto nella sua interezza (dunque, pure
relativamente all’analisi di tipo osservazionale), essendo stata tenuta ferma
la proibizione di «ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica».
[21] Per quanto
riguarda il Tribunale di Firenze nella decisione del 2007, cit., v. la nota
successiva.
[22] È stato
il Tribunale di Firenze nella decisione
del 2007 cit., ammessa la possibilità di espletamento dell’analisi preimpianto,
tra i primi giudici a disporre (esplicitamente) la crioconservazione degli embrioni malati «sino
all’esito della tutela di merito». A tale conclusione esso pervenne,
presupponendo, da un lato, l’illiceità di “trattamenti sanitari” che fossero
derivati da eventuali obblighi di impianto (ex
art. 32 Cost.) di embrioni malati, e facendosi carico, dall’altro lato, almeno
in parte, della sorte delle entità embrionarie assoggettate a verifica. A tale
riguardo, può non essere privo di significato il fatto per cui, pur essendo
state messe a punto nell’aprile 2008, le “nuove” Linee-guida ministeriali
tengano in considerazione le decisioni del Tribunale di Cagliari e del Tar
Lazio ma non questa ordinanza, pure coeva, del Tribunale fiorentino (v. il
testo).
[23] Cfr. Trib.
Firenze, ordd. 12 luglio e 26 agosto 2008 citt.
[24] Ciò con riguardo sia al
parametro, sia all’oggetto (e, per certi versi, pure, come vedremo,
all’impianto strutturale del dispositivo: cfr. infra, §§ 3 e 4). Così relativamente al parametro, il Tribunale di
Firenze, oltre agli artt. 3 e 32 Cost. aveva chiamato altresì in campo gli
artt. 2 e 13 Cost.; quanto, poi, all’oggetto, esso aveva prospettato
l’incostituzionalità, oltre che del 2°, anche del 1° comma dell’art. 14 della
Legge n. 40, (v. l’ord. dell’11 luglio 2008), che, invece, il giudice
costituzionale ha fatto salvo (sia pur nei modi che si vedranno al § 4); ed
inoltre aveva sollevato la questione d’incostituzionalità dell’art. 6, 3°
comma, laddove prevede la irrevocabilità del consenso da parte della donna
all’impianto in utero degli embrioni creati (v. le ordd. dell’11 luglio 2008 e
del 23 agosto), e dell’art. 14, 4° comma, che vieta la riduzione embrionaria di gravidanze
plurime: tuttavia entrambe le questioni sono state dichiarate manifestamente
inammissibili dalla Corte costituzionale.
[25] Così Casaburi, in nota alla sentenza del
T.A.R. Lazio del 21 gennaio 2008, cit., 209.
[26] Tre,
fondamentalmente i profili su cui si è incentrata la quaestio prospettata dal T.A.R. Lazio nella sentenza-ordinanza del
21 gennaio 2008, cit.:
1) il primo dubbio di legittimità ha investito l’art. 14 in rapporto
all’art. 3 Cost., con riguardo all’«intrinseca irrazionalità» e violazione del
«canone di ragionevolezza» da parte della previsione normativa, data
l’inidoneità della predeterminazione del numero di embrioni da impiantare di
favorire il conseguimento della finalità della legge di «favorire la soluzione
dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità umana,
garantendo la tutela di tutti i soggetti coinvolti».
2) Il secondo ha riguardato la «disparità di trattamento» tra donne che la
disciplina impugnata avrebbe generato, in considerazione del fatto che
situazioni in se stesse diverse avrebbero finito per soggiacere allo stesso
trattamento predeterminato per legge.
3) Infine, il terzo è stato sollevato con riguardo all’art. 32 Cost.
evidenziando il rischio, seguendo le metodiche stabilite dalla normativa, di
produrre nelle pazienti sindromi da iperstimolazione ovarica, tra l’altro, in
violazione del principio, a cui la Legge n. 40 dichiara di ispirarsi, di
“minore invasività” delle cure.
Tali argomentazioni sono riprese dal Tribunale di Firenze ed
arricchite, da un lato, di dati statistici «a conferma […] dell’insuccesso
della Legge in questione» (v. ord. dell’11 luglio, cit., 27 e seg.; e ord. del
23 agosto, cit., 143); e, dall’altro lato, di tutta una serie di considerazioni
sulle implicazioni di “tipo etico” derivanti dall’assunzione di determinate
scelte. Inoltre il Tribunale fiorentino ha sottoposto al vaglio del giudice
costituzionale l’art. 6, 3° comma e l’14, 4° comma della legge n. 40,
rispettivamente, «a corollario» e «di conseguenza», rispetto alle altre
prospettazioni (v., al proposito, altresì la nota n. 24).
[27] Secondo il
T.A.R. Lazio, infatti, la previsione delle
Linee-guida impugnata, pur proposta avverso un atto a contenuto generale di
fonte secondaria, avrebbe toccato, in realtà, l’articolo 14, commi 2 e 3, della
Legge n. 40 «atteso che tali norme regolamentari costituiscono letterale e
pedissequa espressione della legge».
[28] Cfr. sul
punto altresì Chinni, La
procreazione medicalmente assistita tra “detto” e “non detto”.
[29] Al
riguardo, si rammenti che, tra le eccezioni di inammissibilità prospettate al
giudice delle leggi, vi è stata quella concernente la carenza di interesse diretto
della parte ricorrente nel giudizio a quo,
su cui nel giudizio di merito si era formato il giudicato. La Corte, tuttavia,
nella decisione in commento evita di addentrarsi nella sostanza del problema,
ritenendo, in un’ottica formale che «Neppure tale eccezione [meritasse]
accoglimento, avendo il TAR non implausibilmente affermato che sulla
legittimazione ad agire della Warm non vi [fosse] alcuno spazio di riesame,
essendosi, sul punto, formato il giudicato, secondo quanto si evincerebbe dalla
sentenza di rinvio del Consiglio di Stato».
[30] Nel caso
di specie, infatti, come rivela l’ord. dell’11 luglio, “Le responsabili del
Centro convenuto […] [concordavano] sul merito della vicenda” (v. pag. 23); dal
canto loro, secondo quanto riportato dall’ord. del 23 agosto, si erano
riservati la “vittoria di spese, diritti e onorari di giudizio solo per il non creduto caso di
contestazione da parte del Centro medico convenuto” (v. pag. 136).
[31] In tale prospettiva, secondo gli operatori del settore, «Le principali linee di innovazione internazionali hanno portato
ad una maggiore modulazione e personalizzazione delle terapie, tendenti a
migliorare la qualità embrionaria più che la quantità, ed a privilegiare una forte
limitazione del numero di embrioni trasferiti in utero, limitando altresì la
quantità di embrioni crioconservati». Il percorrimento di tale strada consentirebbe «oggi in alcuni paesi un
tasso di gravidanza cumulativo doppio di quello italiano, un tasso di
gemellarità contenuto all'1%, l'azzeramento delle gravidanze multiple con
relativi ricoveri in unità di terapia intensiva neonatale, il contenimento
della esposizione a farmaci della paziente», ed altresì un «notevole
contenimento della spesa sanitaria, rappresentata per la maggior parte proprio
dall'assistenza ai prematuri da gravidanza multipla nonché dalla reiterazione
dei trattamenti per molteplici cicli» (così gli Operatori del settore
della cura dell’infertilità ed i rappresentanti della Società Italiana di
Ginecologia ed Ostetricia nel Position
paper messo a punto a Bologna, il 18 aprile 2009, in https://www.sismer.it/download/allegati/fn000023.doc, 1).
[32] Invece, secondo
quanto emerge dalla Relazione del
ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Sullo stato di attuazione della legge
contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita, presentata
al Parlamento, il 25 marzo 2009 (in https://www.iss.it/binary/rpma/cont/relazioneministroattivit_centri2007.pdf, a pag. 6) l’impianto degli embrioni “al ribasso”, ovvero in
numero inferiore ai tre previsti dalla Legge n. 40, viene di fatto già
praticata. Precisamente: nel 2007, il
49,1 % dei trasferimenti è avvenuto con 3 embrioni (50,9% nel 2006); il 30,5%
con 2 (30,4% nel 2006); e il 20,4 % con 1 (18,7% nel 2006).
[33] Al
proposito, premesso «che è impossibile
potere prevedere con precisione le capacità di sviluppo di ogni singolo
ovocita, e quali e quanti ovociti saranno destinati a produrre embrioni vitali
una volta inseminati», l’evidenza clinica dimostrerebbe che i fattori che
maggiormente influiscono sulla prognosi sono: età della partner femminile;
qualità del liquido seminale; precedenti fallimenti; tipo di risposta ovarica
(così nel Position paper, cit., p.
2).
[34] V. in
particolare l’ordinanza del Tribunale di
Firenze dell’11 luglio 2008, cit., 23 e seg., e quella del 23 agosto, cit., a
pag. 141. Sul punto, e più in generale sulle ricadute applicative della
sentenza, v. M. D’Amico, in
occasione del convegno svoltosi a Milano il 3 luglio 2009, dal titolo La fecondazione assistita dopo la sentenza della
Corte: nuovi spazi e nuovi problemi (dattiloscritto).
[35] Cfr. sul
punto Di Genio, Il primato della scienza sul diritto (ma non
su i diritti) nella fecondazione assistita, in www.forumcostituzionale.it, 20 maggio
2009, 3. Con riguardo poi al “come intervenire”, e più in generale alle
questioni “di metodo” relative ad ambiti eticamente sensibili, cfr., da ultimo,
Ruggeri, Il testamento biologico e la cornice costituzionale (prime notazioni),
ivi, 3 e segg. In particolare, sulle implicazioni della “svolta”, in senso
maggioritario, del nostro ordinamento, relativamente alla normazione
concernente i diritti fondamentali ed il ruolo del giudice costituzionale cfr. Sorrenti, La decisione e la regola. Prime note su alcune tendenze in atto nel
sistema politico (a margine del caso Englaro), 25 maggio 2009, 5 e segg.
[36] In
quest’ottica, si segnala il “salto in avanti” compiuto, per quanto è dato
sapere, dal Tribunale di Bologna (la notizia è riportata, tra gli altri, dal
Corriere della Sera OnLine: «Fecondazione assistita anche per coppie non
sterili». Il Tribunale di Bologna: sì all’analisi preimpianto dell’embrione,
del 1° luglio 2009) che avrebbe riconosciuto anche alle coppie non sterili che
abbiano già avuto bambini concepiti naturalmente, nati però, con gravi
patologie di origine genetica, la possibilità di accedere all’analisi
preimpianto, affermando che «il divieto di diagnosi preimpianto pare
irragionevole e incongruente col sistema normativo se posto in parallelo con la
diffusa pratica della diagnosi prenatale, altrettanto invasiva del feto,
rischiosa per la gravidanza, ma perfettamente legittima», ritenendola dunque
«ammissibile come il diritto di abbandonare l’embrione malato e di ottenere il
solo trasferimento di quello sano».
[37] Che, tuttavia, il tema dell’ampliamento e
della regolamentazione dell’analisi preimpianto sia del tutto estranea
all’attuale agenda di governo è dato constatare dalle dichiarazioni rilasciate
all’indomani della decisione della Consulta da esponenti di primo piano del
Ministero della salute, i quali, hanno anzi messo nuovamente in dubbio la
liceità dell’analisi preimpianto, appellandosi alla perdurante vigenza (ex art. 13, 3°, comma lett. b)) del divieto di diagnosi preimpianto
per finalità eugenetiche (v. la conferenza stampa del 27 maggio 2009, in https://www.governo.it/Presidente/AudioVisivi/dettaglio.asp?d=46129). La reazione dei medici non si è fatta attendere,
asseverando, a pochi giorni di distanza, tra i «cardini fondamentali»
della proprio “protocollo” d’azione «Nel caso in cui
la coppia richieda la conoscenza dello stato di salute dell’embrione», la
«possibilità di diagnosi genetica preimpianto con
proibizione di esami a finalità eugenetica» (così nel documento “Sulle
modalità procedurali della PMA dopo la sentenza della Corte Costituzionale
sulla Legge 40\2004” messo a punto dalle Società
Italiane di Medicina della Riproduzione il 29 maggio 2009; reperibile, tra
l’altro, in https://www.cecos.it/news/RICCIONE_%20Documento_Societ%C3%A0.pdf). Interessante è notare come a questo tipo di impegno essi
siano giunti facendo propria la definizione di “finalità
eugenetica” data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (così come ripresa
dalla Carta di Nizza (!)), che la considera alla stregua di «A coercive policy [directed against whole
populations] intended to further a reproductive goal, against the rights,
freedoms, and choices of the individual» escludendo pertanto «Under the above definition, knowledge-based,
goal-oriented individual or family choices to have a healthy baby do not
constitute eugenics» (v. Review of Ethical Issues in Medical Genetics, WHO,
Geneve, 2003, reperibile, tra l’altro,
in https://www.who.int/genomics/publications/en/ethical_issuesin_medgenetics%20report.pdf, 17).
[38] Così Corte
cost., 26 giugno
2002, n. 282, in Giur. It.,
2002, 2006 segg.
[39] Così Corte
cost., 26 giugno
2002, n. 282, cit.; successivamente consolidata dalla sentenza 14
novembre 2003, n. 338, in Giur.
cost., 2003, 3547 e segg. Sul tema, con specifico riguardo alle
biotecnologie, v. il volume dei Quaderni
del "Gruppo di Pisa" curato da
D’Aloia, Bio-tecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia
costituzionale, Torino, 2004.
[40] Cfr. sul punto
e più in generale sugli approcci seguiti nel mettere a punto il testo della
Legge n. 40, Bagni, l'argomento comparatistico nel dibattito
parlamentare sulla procreazione assistita, in Pol. Dir., 2008, 648 e seg.
[41] Così (e
sulle implicazioni di questo tipo di “politica decisoria”) Chinni, La procreazione medicalmente assistita tra “detto” e “non detto”.
[42] Ciò
anche, del resto, in linea con la giurisprudenza resa in materia, attenta a
scongiurare il rischio di finire per pregiudicare l’intero impianto normativo,
inaugurata all’atto di dichiarare inammissibile il quesito referendario che
aveva ad oggetto l’intero testo di legge, reputando la Legge n. 40
«costituzionalmente necessaria», in quanto «prima legislazione organica relativa
ad un delicato settore» e dunque da annoverarsi tra le leggi «a contenuto
costituzionalmente vincolato» (così Corte cost., 13 gennaio 2005, n. 45, in Giur. It., 2005, 2017 e segg., le cui
implicazioni sono esaminate con scrupolo da Tega,
Referendum sulla procreazione assistita:
del giudizio di ammissibilità per valori, in Quaderni costituzionali, 2005, 385 e segg.; dal canto suo, altra
parte della dottrina, non ha mancato da subito di puntualizzare come il fatto
che la Legge n. 40 fosse stata riconosciuta come «legge costituzionalmente
necessaria», non per questo l’avrebbe resa «costituzionalmente legittima in
toto» v. Modugno, La fecondazione assistita alla luce dei
principi e della giurisprudenza costituzionale, in Rass. parlam., 2005, 379).
[43] Secondo
quanto auspica l’European Society of Human
Reproduction and Embryology (ESHRE) nel Position paper del 2008, reperibile in https://www.docstoc.com/docs/2985594/Good-Clinical-Treatment-in-Assisted-Reproduction-An-ESHRE-position-paper,
4.
[44] A tale, riguardo, non ci nascondiamo che la questione andrebbe esaminata tenendo conto,
ancora più a monte, delle tecniche sperimentali sui gameti (segnatamente,
liquido seminale ed ovociti), che stanno dando risultati assai promettenti (cfr.
i dati contenuti nella Relazione del 25 marzo 2009, cit.), specie
se confrontati con quelli concernenti gli embrioni (se si considera che essi
consentono di effettuare uno o più tentativi di trattamento senza
stimolazione ovarica e senza prelievo chirurgico, ponendo, per di più,
questioni meno pressanti dal punto di vista etico). Riportiamo qui di seguito
in forma grafica le percentuali di
gravidanze ottenute su trasferimenti eseguiti da tecniche “di scongelamento”,
rispettivamente, di embrioni ed ovociti, e da tecniche “a fresco”, nell’anno
2007 (come contenute nella Relazione,
a pag. 41):
Ciò premesso,
dalla Relazione emerge che:
- gli embrioni
scongelati trasferiti sono stati il 76,5%, i non sopravvissuti, il 23,5%;
mentre gli ovociti scongelati inseminati 49,6%, ed i degenerati, il 50,4%;
- le
percentuali di gravidanze sugli scongelamenti di embrioni sono ammontate al
14,7% (pari al 15,7% dei trasferimenti eseguiti); sugli scongelamenti di
ovociti sono state del 10,9% (pari al 13,5% dei trasferimenti eseguiti); mentre
in applicazione delle tecniche “a fresco” sono state del 19,6% rispetto ai
cicli iniziati (pari al 25,5% dei trasferimenti eseguiti);
- le gravidanze
gemellari sono state dell’8,7% con embrioni; del 16,2% con ovociti; e del 18,7%
in applicazione delle tecniche “a fresco”;
- le
gravidanze trigemine sono state dell’1,0% con embrioni; dell’1,5% con ovociti;
e del 3,5% in applicazione delle tecniche “a fresco”.
[45] In
quest’ottica può essere inquadrato l’innalzamento
dei livelli qualitativi di tutti i centri che utilizzano cellule umane a scopo
terapeutico previsto a livello europeo, in particolare, dalla Dir. 2004/23/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004 (attuata nel nostro ordinamento dal D. Lgs. 6 novembre 2007, n. 191), conformemente a quanto
stabilito dall’ESHRE, nel Position paper del 2008, cit., 4.
[46] Si
rammenti, al proposito, la vicenda di Laina Beasley, una bimba californiana
nata nel febbraio 2005 dopo che l’embrione era stato conservato per 13 anni.
[47] Inoltre
vi è chi ravvisa nel coinvolgimento della Corte in tali tematiche concreti
rischi di sovraesposizione politica e mediatica, idonee a comprometterne il
ruolo super partes ed in fondo
l’immagine, propendendo dunque per favorire l’adozione di soluzioni idonee a
disinnescare i profili di maggior criticità di questioni “politicamente
sensibili” come quelle riguardanti la materia in esame.
[48] Così Malfatti, Il “caso Cagliari”, tra gli
indicatori di nuovi orizzonti, nei rapporti tra giurisdizioni: verso un
“controllo diffuso” di costituzionalità di normative di settore?, in Dalla provetta alla Corte. La legge n. 40 del 2004 di nuovo a giudizio, cit.,
158.
[49] Esemplare,
al proposito, Cass. Civ., 22 settembre 2008, n. 23934, in Mass. Giur. It., 2008, 1356, in tema di trasmissione del cognome
materno ai figli, e, per la motivazione, in Foro
It., 2008, I, 3097 e segg..
[50] Esemplare,
al riguardo, Cass. Civ., 16 ottobre 2007, n. 21748, in Rep. Giur. It., 2007, voce “Persone fisiche e giuridiche”, nn. 125,
127-129, relativa al c.d. “caso Englaro”, e, per la motivazione, in Nuova Giur. Comm., 2008, I, 83 segg.; v.
amplius sulla vicenda, da ultimo, Fatta, Il conflitto di attribuzioni sul
“caso Englaro” e la “cattiva battaglia” giudici-legislatore: quale sorte per la
tutela dei diritti umani? in Giur. It.
2009, 1630 ss..
[51] Cfr. sul
punto Ruotolo, Alcuni eccessi
nell’uso della “interpretazione conforme a …”, in Giur. cost., 2007,
1220-1; e Morelli, I valori fondamentali della persona e
tecniche di interpretazione costituzionalmente orientata della nuova disciplina
in materia di procreazione medicalmente assistita, in Dir. Famiglia, 2005, 2, 237 e segg.