DANIELE CHINNI
LA PROCREAZIONE
MEDICALMENTE ASSISTITA TRA “DETTO” E “NON DETTO”. BREVI RIFLESSIONI SUL
PROCESSO COSTITUZIONALE ALLA LEGGE N. 40/2004
(Corte costituzionale, sentenza n. 151 del 2009) *
(per gentile
concessione della Rivista “Giurisprudenza Italiana”)
Sommario: 1. Premessa - 2. La
sentenza-ordinanza del TAR Lazio e la sua ammissibilità. Questioni di
contenitore… - 3. Segue: … e di
contenuto. - 4. Le quaestiones
fiorentine inammissibili e il precedente dell’ordinanza n.
369/2006. - 5. L’accoglimento e il mancato ricorso all’illegittimità
conseguenziale. - 6. Quel che resta del divieto di crioconservazione. - 7.
L’intervento sull’art. 14, co. 3: davvero soltanto una «additiva»? - 8.
Politica, Corte, giudici.
1. Premessa
La decisione che qui si
commenta presenta taluni profili strettamente inerenti la giustizia costituzionale
sui quali è opportuno compiere alcune brevi riflessioni, anche in ragione degli
effetti di non poco momento che possono spiegare sul merito della questione[1].
2. La sentenza-ordinanza del TAR Lazio e la sua
ammissibilità. Questioni di contenitore…
In
prima battuta, merita soffermarsi sul fatto che la Corte, nel dichiarare non
fondata l’eccezione che chiedeva l’inammissibilità della quaestio del TAR Lazio perché sollevata con sentenza anziché con
ordinanza, ha ribadito il principio per cui «la circostanza non comporta
inammissibilità […] posto che, come si desume dalla lettura dell’atto, nel
promuovere questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo ha disposto la sospensione del
procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria della
Corte costituzionale, sì che a tale atto, anche se autoproclamantesi
“sentenza”, deve essere riconosciuta natura di “ordinanza”, sostanzialmente
conforme a quanto previsto dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953»[2].
In
dottrina, in verità, si era dubitato della possibilità di richiamare quei
«clementi»[3]
precedenti giurisprudenziali per risolvere l’odierno ostacolo processuale,
ritenendo trovarsi «di fronte ad un vero e proprio provvedimento decisorio con
cui si solleva anche questione di legittimità costituzionale: un atto che si
potrebbe definire “anfibio” se non addirittura “a due teste”»[4].
Per dichiarare l’ammissibilità della quaestio
sarebbe stato necessario, secondo tale opinione, un intervento interpretativo
sanante da parte del giudice delle leggi, tale da «distinguere nel complessivo
testo della sentenza quella parte idonea a costituire la sostanza
dell’ordinanza di rimessione prevista dall’art. 23 della legge n. 87/1953, che, quindi,
verrebbe “recuperata” ermeneuticamente dal Giudice delle leggi»[5].
La
Corte, nel richiamarsi seccamente e senza indugio ai precedenti
giurisprudenziali, sembra effettivamente aver compiuto un assai semplice
«intervento di ortopedia costituzionale»[6],
interpretando come sostanzialmente
ordinanza di rimessione ciò che in effetti, almeno pro parte, tale era, pur se sotto le “mentite spoglie” di sentenza.
Il giudice costituzionale ha, in altri termini,
saggiamente preferito soprassedere sul mancato rispetto, da parte del
TAR Lazio, della mera forma, evitando «un rigore che sarebbe potuto apparire
come una “fuga” dal sindacato sulla legge n. 40/2004»[7],
consapevole che è proprio in questo tipo di giudizi di costituzionalità che «si
percepisce ancor più chiaramente, rispetto ad altri casi, come la funzione del
giudice delle leggi sia, davvero, quella di rendere «giustizia costituzionale»[8];
funzione, questa, che sarebbe rinnegata nel caso in cui la scelta per una
pronunzia d’inammissibilità non fosse sostenuta da argomentazioni dotate di una
significativa capacità di persuasione»[9].
Insomma, volendo valorizzarle, le ragioni (formalistiche, diremmo) per una
pronuncia d’inammissibilità v’erano[10],
ma imboccare quella strada avrebbe significato sfuggire nuovamente alla
questione sostanziale[11]
e alle responsabilità costituzionali della Corte che da quella venivano
evocate.
3.
(Segue) … e di contenuto
Qualche
ulteriore questione circa l’ammissibilità della quaestio legitimitatis sollevata dal TAR Lazio poteva presentarsi
tanto «sotto il profilo dell’impossibilità di fornire interpretazioni
adeguatrici delle norme impugnate (praticamente assenti nell’esposizione del
giudice amministrativo)»[12],
quanto sotto il profilo della rilevanza. Sotto quest’ultimo aspetto vanno
segnalati i dubbi avanzati tanto con riguardo al fatto che il giudice
amministrativo aveva censurato l’art. 14, commi 2 e 3, L. 40/2004 perchè
quest’ultimo era pedissequamente riprodotto nelle “Linee guida” impugnate nel
giudizio principale, deducendone «l’applicabilità diretta nel caso di specie»[13],
quanto in riferimento all’incidentalità del giudizio costituzionale, stante la
supposta carenza d’interesse diretto della ricorrente nel giudizio a quo[14].
Con
riguardo all’assenza del tentativo di interpretazione conforme a Costituzione,
chi scrive ritiene di condividere l’opinione di quanti hanno osservato che «non
[era] davvero possibile esperire con successo una diversa interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa in esame»[15].
Del resto, pur assurgendo l’interpretazione adeguatrice, ormai, a “terzo
requisito”, assieme a quelli della rilevanza e della non manifesta
infondatezza, per potere il giudice a quo
“aprire il portone” del Palazzo della Consulta, è stata la stessa
giurisprudenza costituzionale a confermare come, quando sia palese che la
lettera stessa della disposizione censurata si oppone ad una sua esegesi
condotta secondo i canoni dell’interpretazione costituzionalmente conforme, «tale
circostanza segna il confine, in presenza del quale il tentativo interpretativo
deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale»[16].
Per
quel che concerne, invece, le questioni circa la rilevanza, se problemi non
sembra porli l’impugnativa di disposizioni di legge letteralmente riprodotte
dalle “Linee guida” – perchè, come è stato correttamente osservato, se la fonte
regolamentare è conforme alla fonte legislativa che la legittima «è la legge a
violare la Costituzione»[17]
- diversamente può dirsi circa il carattere d’incidentalità. È noto, infatti,
come possa accadere che la Corte si avventuri «in una verifica dei presupposti
processuali del giudizio a quo»[18],
in ipotesi giungendo a conclusioni diverse da quelle del giudice remittente,
tali da dichiarare la quaestio
inammissibile. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte si è limitata ad un
controllo sulla motivazione della sentenza-ordinanza, rilevando come il TAR
avesse «non implausibilmente affermato che sulla legittimazione ad agire della
Warm [parte ricorrente nel giudizio
amministrativo, n.d.a.] non vi era alcun spazio di riesame, essendosi, sul
punto, formato il giudicato, secondo quanto si evincerebbe dalla sentenza di
rinvio del Consiglio di Stato»[19].
4. Le quaestiones fiorentine inammissibili e il precedente dell’ordinanza n. 369/2006.
Se la
Corte è stata particolarmente “clemente” nei confronti della sentenza-ordinanza
di rimessione del TAR Lazio al momento del vaglio, sotto più profili, della sua
ammissibilità, non lo è stata altrettanto nei riguardi di alcune delle quaestiones prospettatele dal Tribunale
di Firenze con le due distinte ordinanze. I giudici fiorentini, infatti,
avevano censurato anche l’art. 6, co. 3, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e
32 Cost., l’art. 14, co. 1, in riferimento agli artt. 3 e 32, 1° e 2° comma,
Cost. e l’art. 14, co. 4, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost. La Corte si è
pronunciata, con riguardo a tali censure, nel senso della manifesta
inammissibilità: per difetto di rilevanza in relazione alla quaestio concernente l’art. 6, co. 3,
poiché si chiedeva la declaratoria d’illegittimità costituzionale «al solo fine
di dare coerenza al sistema»; per difetto di motivazione sulla rilevanza, in
relazione alle quaestiones sull’art.
14, 1° e 4° comma.
A
prima vista, nulla da eccepire circa le decisioni della Corte: le disposizioni
impugnate paiono effettivamente irrilevanti nei giudizi principali e, comunque,
le ordinanze di rimessione difettano di una specifica motivazione sul punto,
limitandosi entrambe a motivare sulla rilevanza in relazione al solo art. 14,
commi 2 e 3[20].
Tuttavia, nell’analisi di tale punto della sentenza in esame v’è da tenere
presente il precedente dell’ordinanza n. 369
del 2006[21], con la quale la
Corte aveva dichiarato inammissibile la quaestio
legitimitatis allora sollevata dal Tribunale di Cagliari nei confronti
dell’art. 13 della Legge n. 40 per la «evidente contraddizione» in cui riteneva
fosse incorso il giudice a quo nel
censurare una specifica disposizione nella parte relativa ad una norma che,
secondo l’impostazione della stessa ordinanza di rimessione, sarebbe stata però
desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché
dall’interpretazione dell’intero testo legislativo «alla luce dei suoi criteri
ispiratori». Come si è già accennato, tale «scarna ordinanza»[22]
della Corte fu oggetto di attente critiche da parte della dottrina, che non
mancò di osservare come in nessuna contraddizione fosse caduto il giudice
remittente - il quale, invece, aveva tentato una interpretazione conforme a
Costituzione del disposto normativo utilizzando «il classico e tradizionale
argomento sistematico»[23]
- e come, in verità, la Corte avesse «artatamente cercato appigli processuali
per non decidere nel merito la questione»[24].
Non solo, da più parti si evidenziò come «se davvero dall’illegittimità
costituzionale dell’art. 13 fosse scaturita una incostituzionalità dell’art. 14
della stessa o addirittura di tutta la legge (!), la Corte avrebbe potuto
servirsi della dichiarazione d’illegittimità conseguenziale di cui all’art. 27,
comma 2, l. n. 87 del 1953 che ha utilizzato
in altri casi in modo ben più pesante di quanto non avrebbe dovuto fare
[allora]»[25].
Orbene,
non è da escludere, anzi è assai probabile, che «quel non felicissimo
precedente processuale»[26]
abbia “pesato” allorchè i due giudici fiorentini hanno inteso sollevare
questione di legittimità costituzionale[27].
Si vuole dire, in altri termini, che i giudici a quibus, nel timore di andare incontro ad una nuova pronuncia
d’inammissibilità da parte della Corte, hanno censurato assieme alle norme
rilevanti per il loro giudizio quelle che, seppur non attualmente applicabili,
avrebbero potuto esserlo “in potenza” e che, come (e assieme a) quelle altre,
ledevano i medesimi principi costituzionali. Questioni, pertanto, effettivamente
irrilevanti, e in quanto tali agilmente dichiarate inammissibili, ma pur sempre
frutto della (discutibile) giurisprudenza della Corte nella materia de qua. È proprio in ragione di ciò che,
pertanto, non può che salutarsi con favore il ripensamento del giudice delle
leggi, evidentemente resosi conto che «quella (sbagliata) pretesa schiaccia il
giudice a quo in un vicolo cieco da
cui non è dato uscire in alcun modo: se egli impugna solo alcune disposizioni legislative, la questione sarebbe contraddittoria;
se impugna tutte le disposizioni
legislative espressive di una medesima norma, anche estranee al giudizio
principale, la questione sarebbe irrilevante»[28].
5. L’accoglimento e il mancato ricorso
all’illegittimità consequenziale
Ciò
che, però, desta ancora (e di nuovo) perplessità, è il mancato ricorso, almeno
in parte, all’istituto dell’illegittimità conseguenziale. Se, difatti, le
disposizioni di cui si è or ora parlato erano irrilevanti nei giudizi
principali, e in quanto tali non potevano essere ricomprese dai giudici a quibus nel thema decidendum da sottoporre alla Corte, potevano ben essere
dichiarate illegittime in via conseguenziale, ricorrendone i presupposti.
La
Corte non ha, sino ad oggi, chiarito quale sia il nesso di conseguenzialità che
deve sussistere perché possa applicarsi l’istituto di cui all’art. 27, L. 87/1953[29]. Quel che è
certo, però, è che lo ha utilizzato in più occasioni, finanche andando a
colpire norme identiche o analoghe a quelle censurate principaliter; utilizzo, quest’ultimo, che ha suscitato critiche in
dottrina[30]
e che, tuttavia, ha trovato anche consenso poiché in tal modo, si è detto, si
riescono a tutelare diritti fondamentali[31].
Ora, è
agevole sostenere che la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art.
14, commi 2 e 3, poggi essenzialmente sulla necessità, pur nel bilanciamento
costituzionalmente necessario[32],
di dare prioritaria tutela alla vita e alla salute fisica e psichica della
donna rispetto ad altri interessi[33].
Se ciò è vero, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale poteva essere
agevolmente estesa, per lo meno, all’art. 6, co. 3, e all’art. 14, co. 4. Il
primo, stabilendo che il consenso alla procreazione medicalmente assistita non
può più essere revocato una volta fecondato l’ovulo, oltre ad evocare «contesti
tutt’altro che piacevoli»[34],
viola senza ombra di dubbio quel diritto alla salute della donna[35]
che, invece, la pronuncia costituzionale ha inteso preservare dall’inadeguato
bilanciamento con il diritto alla vita dell’embrione compiuto dalla normativa
del 2004. Il secondo, prevedendo il divieto di riduzione embrionaria di
gravidanze plurime, allo stesso modo si pone in contrasto con l’art. 32 Cost.,
se non nella sua interezza, quantomeno nella parte in cui non prevede che
siffatta riduzione possa essere compiuta a tutela della salute della madre[36].
Ambedue le disposizioni, in altri termini, danno prioritaria tutela
all’embrione, sacrificando irragionevolmente il diritto alla salute della
donna, in ciò incorrendo, analogamente alle norme dichiarate illegittime, in
vizio di costituzionalità: perchè, allora, non espungerle dall’ordinamento?
6. Quel che resta del divieto di
crioconservazione
Valutazioni diverse vanno fatte, invece, in
riferimento all’art. 14, co. 1, il quale, come noto, prevede il divieto di
crioconservazione e soppressione degli embrioni, fermo restando quanto previsto
dalla legge sulla interruzione volontaria di gravidanza.
All’indomani
della sentenza-ordinanza del TAR Lazio, da più parti si richiedeva alla Corte
di ampliare il thema decidendum «incompleto
ma non equivoco nei suoi termini essenziali»[37],
ricomprendendovi la sopra citata disposizione o, in alternativa, ricorrere allo
strumento dell’illegittimità conseguenziale per rimediare a quella che si
reputava essere una omissione del giudice amministrativo[38].
La Corte non ha seguito né l’una né l’altra indicazione, il che non desta
sorpresa, almeno a chi scrive. In particolare non sorprende, a differenza di
quanto si è detto con riguardo agli artt. 6, co. 3, e 14, co. 4, il mancato
ricorso all’illegittimità conseguenziale. Senza ombra di dubbio la declaratoria
d’illegittimità dell’art. 14, commi 2 e 3, ha effetti tutt’altro che
irrilevanti nei confronti del comma 1 del medesimo articolo: come è stato
correttamente osservato «la liceità della crioconservazione è [ora]
indiscutibile, perchè gli embrioni, se non vengono impiantati [per scelta
medica], non possono che essere congelati»[39].
Tuttavia, l’ampia deroga che così si riconosce al divieto di cui all’art. 14,
co. 1, non è tale da inficiarne la validità, poiché quest’ultimo «mantiene
intatta la sua operatività nei confronti delle parti private e di un loro
eventuale, arbitrario, ripensamento, ma non vige, ex art. 32 Cost., nei
confronti del medico, nella misura in cui la sua decisione di non procedere
all’impianto degli embrioni, lungi dall’essere arbitraria, può e deve essere
dettata esclusivamente da considerazioni di natura sanitaria»[40].
Se così è, come sembra, il ricorso all’istituto di cui all’art. 27 L. 87/1953 sarebbe stato
estremamente discrezionale, finendo per l’eliminare una norma che, seppur
discutibile, non era però in insanabile contrasto con le finalità perseguite
attraverso la pronuncia di accoglimento[41],
che è quello, tra i casi tipici di intervento in via conseguenziale da parte
della Corte costituzionale, che avrebbe potuto essere chiamato a sostegno di
una siffatta decisione del giudice costituzionale. In altri termini, eliminato
il limite legislativo dei tre embrioni e stabilito altresì che il trasferimento
di quelli debba essere realizzato non appena possibile ma senza pregiudizio
della salute della donna, il divieto di crioconservazione è stato “svuotato” di
quel contenuto che poteva ritenersi lesivo dell’art. 32 Cost., rimanendo
altresì valido in altre e distinte ipotesi.
7. L’intervento sull’art. 14, co. 3: davvero
soltanto una «additiva»?
Quanto
detto or ora circa la mancata illegittimità conseguenziale dell’art. 14, co. 1,
apre il varco ad ulteriori e distinte riflessioni, stavolta “interne” alla
decisione della Corte.
La
Corte, difatti, ha adottato un dispositivo “minimale” nei confronti dell’art. 14,
co. 3, limitandosi ad aggiungere, come si è detto, che l’impianto degli
embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza
pregiudizio della salute della donna. Tuttavia, le considerazioni svolte dalla
Corte a sostegno tanto di tale addizione quanto, soprattutto, dell’annullamento
parziale dell’art. 14, co. 2, fanno ritenere che se «in precedenza [la
disposizione in esame] contemplava l’ipotesi di una sospensione temporanea del
trattamento, dovuta a fenomeni patologici imprevedibili e assolutamente
ostativi, che poteva essere seguita da
una interruzione definitiva soltanto nel caso in cui questi fenomeni si
rivelassero incurabili (o permanessero comunque per un tempo così lungo da
escludere la praticabilità dell’impianto) [...] attualmente essa contempla
invece primariamente l’ipotesi di una interruzione
definitiva del trattamento, dovuta a cause di salute non necessariamente
eccezionali e imprevedibili, ma anche ordinarie e prevedibili, quando esse
appaiano, ad insindacabile giudizio del medico, tali da sconsigliare
l’impianto»[42].
In altri termini, è proprio la declaratoria d’illegittimità costituzionale a
mettere in dubbio la persistente validità della struttura stessa dell’art. 14,
co. 3, che è da quella significativamente incisa, tanto da porre nel nulla le
eccezionali condizioni legittimanti la sospensione[43].
Stando così le cose, la Corte sarebbe potuta intervenire sul testo della
disposizione eliminando quelle eccezionali condizioni, così da depurarlo di locuzioni verbali di fatto caducate dalla
pronuncia d’accoglimento e, soprattutto, da consegnare agli interpreti un testo
di assai più semplice (e chiara) lettura[44].
Ciò era ampiamente nelle possibilità del giudice delle leggi, dal momento che
l’art. 14, co. 3, era parte del thema decidendum[45],
e, dunque, non sarebbe neppure stato necessario fare ricorso all’istituto
dell’illegittimità conseguenziale. La Corte, invece, ha optato per un
intervento, come detto, “minimale” sul disposto legislativo, confidando nel
fatto che le argomentazioni utilizzate a sostegno della pronuncia
d’accoglimento sono tali da portare ad una interpretazione della disposizione
fortemente manipolativa: si è lasciato agli interpreti, in primis ai
giudici, l’onere di dissinescare le contraddizioni, che sembrano evidenti, tra
motivazioni a sostegno dell’accoglimento e dispositivo sull’art. 14, co. 3.
8. Politica, Corte, giudici
Proprio
la scelta della Corte di intervenire “col cesello” piuttosto che con “la scure”
nei confronti dell’art. 14, co. 3, denota, a parere di chi scrive,
l’(inevitabile) generale atteggiamento di self-restraint
del giudice delle leggi al momento di affrontare la risoluzione delle quaestiones legitimitatis aventi ad
oggetto la Legge n. 40.
Le
questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio e dal Tribunale
di Firenze erano particolarmente delicate perché si ponevano, da un lato,
all’incrocio tra scienza e diritto e perché, dall’altro, portavano
pericolosamente la Corte nell’agone politico, essendo i temi legati alla
procreazione medicalmente assistita oggetto di profondo e acceso dibattito, tra
le forze politiche e nella società civile. Proprio queste innegabili difficoltà
avevano fatto temere per una pronuncia d’inammissibilità[46],
la quale «non pregiudica nulla, rinvia ad altro momento o ad altra sede la
soluzione del problema ed evita l’insorgere di contrasti interni ed esterni»[47].
La Corte ha, invece, svolto il proprio ruolo di giudice costituzionale, di
garante dei diritti fondamentali, «accantonando le astratte dispute ideologiche
e rivolgendo la propria attenzione alle questioni che affliggono la vita delle
persone. Questioni reali e palpitanti, come è attestato dalle ordinanze di
rinvio non meno che dalla sofferta giurisprudenza formatasi in questi anni
sull’applicazione della legge n. 40»[48].
Nel
far ciò, tuttavia, il giudice delle leggi non poteva certo “dimenticare” quel
clima di rovente scontro politico-ideologico che aveva caratterizzato
l’adozione della Legge n. 40[49],
che aveva portato alla richiesta di più referendum abrogativi[50]
e che l’aveva già chiamato in causa in precedenza[51].
Di qui, probabilmente, l’astensione dall’uso dell’istituto dell’illegittimità
conseguenziale e il cauto accoglimento “parziale” della questione concernente
l’art. 14, co. 3. La Corte, in altri termini, è intervenuta con la “scure”
della declaratoria d’incostituzionalità laddove proprio non poteva farne a
meno, astenendosi dal farlo dove ha reputato che le tecniche interpretative,
suffragate ora dalle argomentazioni da essa stessa proposte, potessero ottenere
per altre vie i medesimi risultati. Il rischio, avvertito dal giudice delle
leggi, era quello di utilizzare la Costituzione come una “clava” nei confronti
di una delle parti, trasformandola da cosa di tutti a cosa solo di alcuni
contro altri[52],
altresì delegittimando la giustizia costituzionale e l’organo che la assicura,
quando, tutt’al contrario, «c’è bisogno di un contesto di condivisione della
Costituzione, perché da ciò dipende l’efficacia della giustizia costituzionale;
e c’è bisogno di una giurisprudenza costituzionale che, a sua volta, non
danneggi, anzi promuova tale contesto»[53].
L’utilizzo
del “cesello”, tuttavia, ha un prezzo: quello delle (ora ancora maggiori)
disarmonie interne alla legge, delle incostituzionalità dichiarate tra le linee,
cui, lo si è già detto, saranno gli operatori giuridici, e i giudici primi tra
tutti, a dare soluzione. Per un accoglimento che ha messo in luce la necessaria
tutela del diritto alla salute della donna nel corso della terapia della
fecondazione assistita (il “detto”), sono rimaste nel corpo della legge talune
disposizioni che quello stesso diritto alla salute mettono in pericolo e che
pure, stante la chiarezza delle argomentazioni utilizzate dalla Corte, in via
interpretativa sono riconducibili ad armonia con la Costituzione[54]
o, tutt’al più, possono essere rese inoperanti[55]
(il “non detto”). Insomma, ancora una volta il giudice delle leggi, per
svolgere il proprio ruolo, chiede l’aiuto dei giudici comuni e della loro
sensibilità costituzionale[56],
fornendoli peraltro di una guida certa: la tutela della salute della donna.
* La questione è stata sollevata con sentenza emessa
il 21 gennaio 2008 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e con
ordinanze del 12 luglio e del 26 agosto 2008
del Tribunale ordinario di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. 159,
323 e 382 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nelle Gazz. Uff. nn. 22, 44 e 50, I serie speciale, dell’anno 2008, nel
procedimento amministrativo promosso dalla Warm (World Association Reproductive Medicine), contro il Ministero della
Salute ed altro, e nel procedimento civile instaurato da C.M. e R.G. avverso il
Centro di procreazione assistita Demetra s.r.l..
[1] Del merito della questione se ne è
già occupata compiutamente, in questo stesso numero della Rivista, Trucco, Procreazione assistita:
la Consulta, questa volta, decide (almeno in parte) di decidere. In questa sede ci limiteremo ad evidenziare, in
particolare, gli effetti che talune scelte processual-costituzionali del
giudice delle leggi potranno sortire sul tessuto legislativo della legge n. 40.
[2] Così Corte cost., 30 dicembre 1997,
n. 452, in Giur. Cost., 1997, 4007.
Tale argomentazione è poi stata richiamata anche da Id., 3 maggio 2002, n. 153,
ivi, 2002, 1295, e, implicitamente,
da Id., 18 marzo 2005, ivi, 2005,
999.
[3] Ruggeri-Spadaro,
Lineamenti di giustizia costituzionale,
Torino, 2009, 183.
[4] Girelli,
È consentito sollevare questione di legittimità costituzionale con
sentenza?, in questa Rivista,
2008, 1905. Nelle occasioni precedenti, al contrario, si trattava di
provvedimenti col nome di sentenza ma dal contenuto esclusivamente di ordinanza
di rimessione.
[5] Girelli,
È consentito, cit., 1905.
[6] Per utilizzare l’efficace espressione
di Pugiotto, Ben oltre il “caso Cossiga”: le importanti novità della sentenza n. 154
del 2004, in www.forumcostituzionale.it.
[7] Riprendendo le parole di Girelli, È consentito, cit., 1905, il quale, tuttavia, le utilizzava per sostenere
l’esatto contrario di quanto si è detto nel testo.
[8] Silvestri,
La Corte costituzionale nella svolta di
fine secolo, in Storia d’Italia, Ann.
14, Legge Diritto Giustizia, a cura di Violante in collaborazione con
Minervini, Torino, 1998, 941.
[9] G. D’Amico,
Ragionevolezza, flessibilità e coerenza
scientifica delle norme in materia di creazione e crioconservazione degli
embrioni, in Dalla provetta alla
Corte. La legge n. 40 del 2004 di nuovo a giudizio, a cura di
Bin-Brunelli-Guazzarotti-Pugiotto-Veronesi, Torino, 2008, 70.
[10] Del resto, Zagrebelsky, Principî e
voti. La Corte Costituzionale e la politica, Torino, 2005, 77, ha
sottolineato come «una qualche ragione di inammissibilità, è quasi sempre
possibile rilevarla».
[11] La legge n. 40/2004, difatti, era
già giunta al cospetto della Corte poco dopo la sua approvazione. In tale
occasione il giudice delle leggi aveva adottato una ordinanza
d’inammissibilità, non poco criticata in dottrina: cfr. Corte cost. 9 novembre
2006, n. 369, in questa Rivista, 2007,
1617, con nota di Trucco, La procreazione
medicalmente assistita al vaglio della Corte costituzionale, ma v. anche Celotto, La Corte
costituzionale «decide di non decidere» sulla procreazione medicalmente
assistita, in Giur. Cost., 2006,
3846; Tripodina, Decisioni giurisprudenziali e decisioni
politiche nell’interpretazione del diritto alla vita (riflessioni a margine
dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 369 del 2006), ibidem, 3849; M. D’Amico, Il giudice
costituzionale e l’alibi del processo, ibidem,
3859; Morelli, Quando la Corte decide di non decidere.
Mancato ricorso all’illegittimità conseguenziale e selezione discrezionale dei
casi (nota a margine dell’ord. n. 369 del 2006), in www.forumcostituzionale.it; Morsiani,
“A buon intenditor poche parole”, in www.forumcostituzionale.it.
[12] Trucco,
Procreazione assistita, cit. L’assenza del tentativo di interpretazione conforme
era stato notato da più parti: cfr., ad esempio, Deffenu, Alcuni buoni
motivi per non dichiarare (quantomeno) inammissibile una quaestio eticamente sensibile, in Dalla provetta alla Corte, cit., 83; Penasa, La legittimità (costituzionale) sta nel mezzo (legislativo)? La legge
n. 40 nuovamente davanti alla Corte costituzionale, in Dalla provetta alla Corte, cit., 168.
[13] Trucco,
Fecondazione medicalmente assistita: un
altro tentativo di adire la Corte costituzionale, in Dalla provetta alla Corte, cit., 205. Così, però, secondo l’A. «il
sindacato della Corte finirebbe per operare in via, per così dire,
“sostitutiva” rispetto al giudizio del giudice amministrativo (a cui
spetterebbe eventualmente di intervenire successivamente sulla norma
regolamentare), per cui l’incidenza della disposizione impugnata nel processo
in corso verrebbe ad identificarsi nella diretta utilità, per il giudice a quo, di vedersi deciso in sede di
giudizio costituzionale lo stesso motivo di ricorso su cui dovrebbe
pronunciarsi (in riferimento ad una norma identica) nel giudizio
amministrativo».
[14] Cfr. Trucco, Fecondazione
medicalmente assistita, cit., 206, secondo la quale la mancanza della
legittimazione ad agire della ricorrente nel giudizio principale potesse essere
“sintomo” della presenza di un difetto di rilevanza assoluto per
inapplicabilità della norma.
[15] Pugiotto,
Questione eticamente sensibile non significa questione inammissibile,
in Dalla provetta alla Corte, cit.,
181.
[16] Così Corte cost., 20 giugno 2008, n. 219, in questa Rivista,
2009, 1101. Sulla interpretazione conforme v. ora, da ultimo, M. D’Amico-B. Randazzo (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche
argomentative, Torino, 2008.
[17] Pugiotto,
Questione eticamente sensibile, cit.,
180. Nel caso di specie ciò è ancor più vero, se solo si considera che alla
disposizione di legge poteva essere inequivocabilmente attribuito uno ed un solo
significato e che, pertanto, anche la fonte regolamentare non poteva da quello
discostarsi, senza incorrere in violazione di legge.
[18] Dolso, sub art. 134, in Comm. Cost., a cura di Bartole-Bin, Padova,
2008, 1150.
[19] La Corte, difatti, correntemente si limita
ad un controllo sulla «non manifesta implausibilità» della motivazione addotta
dal giudice a quo circa la rilevanza
della questione, poichè «un controllo più penetrante comporterebbe un’invasione
della sfera di competenza riservata al giudice remittente perché valutare funditus la rilevanza significherebbe
stabilire quale norma è effettivamente applicabile al caso e ciò implica una
serie di giudizi nella ricostruzione del fatto e nell’interpretazione delle
norme giuridiche, che sono riservati, appunto, al giudice della fattispecie
controversa. La carenza assoluta di controllo potrebbe comportare, invece, che
la Corte debba decidere su questioni proposte solo pretestuosamente e, con ciò,
l’elusione del requisito dell’incidentalità» (Cerri,
Corso di giustizia costituzionale,
Milano 2001, 169).
[20] Ad onor del vero, la seconda
ordinanza del Tribunale di Firenze – la n. 382 – un (flebile) tentativo di
motivare specificamente circa la rilevanza dell’art. 6, comma 3, lo compie,
affermando che l’irrevocabilità del consenso al trattamento di PMA allorquando
sia avvenuta la fecondazione dell’ovulo, da detta disposizione prevista,
renderebbe inutile il diritto dei ricorrenti a procedere a diagnosi di c.d.
preimpianto, oramai ammessa dal diritto vivente.
[21] Corte cost. 9 novembre 2006, n. 369,
cit.
[22] Celotto,
La Corte costituzionale, cit., 3847.
[23] Celotto,
La Corte costituzionale, cit., 3849.
Nello stesso senso, Tripodina, Decisioni giurisprudenziali, cit., 3852;
M. D’Amico, Il giudice costituzionale, cit., 3861; Veronesi, Tra diagnosi
genetiche, numero di embrioni e obbligo d’impianto: la legge n. 40 sempre sotto
la lente, in Dalla provetta alla
Corte, cit., 222.
[24] Così Tripodina, Decisioni
giurisprudenziali, cit., 3850, ma in senso analogo anche M. D’Amico, Il giudice costituzionale, cit., 3859, che parlava di “rinuncia al
giudizio” e Celotto, La Corte costituzionale, cit., 3849, il
quale peraltro vedeva in tale decisione «un ulteriore segnale di quanto sia
difficile per il diritto cercare di disciplinare temi che implicano
significativi profili meta-giuridici».
[25] M. D’Amico,
Il giudice costituzionale, cit.,
3861. Nello stesso senso Morelli,
Quando la Corte, cit.; Trucco, La procreazione medicalmente assistita, cit.; Morsiani, “A buon intenditor poche parole”, cit.; Celotto, La Corte
costituzionale, cit., 3849; Tripodina, Decisioni giurisprudenziali, cit.,
3852; Majorana, Uno strumento potenzialmente incisivo nelle
mani della Corte costituzionale (del quale probabilmente non si avvarrà),
in Dalla provetta alla Corte, cit.,
149; Veronesi, Tra diagnosi genetiche, cit., 222.
[26] Pugiotto,
Questione eticamente sensibile, cit.,
183.
[27] Il “peso” di detta pronuncia si
avverte esplicitamente allorché il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza 382,
nel motivare la censura dell’art. 6, co. 3, afferma come questa sia necessaria
«al fine di dare coerenza ad un sistema normativo che con una censura limitata
[...] ai soli commi 2 e 3 dell’art. 14 permarrebbe comunque viziato da una sua
disarmonia interna (evidenziata dalla Corte costituzionale nella ordinanza n.
369 del 2006)».
[28] Pugiotto,
Questione eticamente sensibile, cit.,
183.
[29] Sul punto, da ultimo, Morelli, L’illegittimità conseguenziale delle leggi. Certezza delle regole ed
effettività della tutela, Rubbettino, 2008, passim.
[30] V., tra gli altri, A.M. Sandulli, Il giudizio sulle leggi. La cognizione della Corte costituzionale e i
suoi limiti, Milano, 1967, 71 ss.; Rossi–Tarchi,
La dichiarazione di illegittimità
conseguenziale nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale,
in Aa. Vv., Strumenti e tecniche di
giudizio della Corte costituzionale, Milano, 1988, 634 ss.; Romboli, Illegittimità costituzionale conseguenziale e formazione
«giurisprudenziale» delle disposizioni processuali, in Giur. Cost., 1992, 4371 ss.
[31] Brunelli,
Significative convergenze: illegittimità
derivata di norme analoghe e sentenze manipolative, in Scritti in memoria di Livio Paladin, I, Napoli, 2004, 343 ss.
[32] Cfr. Modugno, La
fecondazione assistita alla luce dei principi e della giurisprudenza costituzionale,
in Rassegna parlamentare, 2005, 361 e segg.,
[33] In questo senso v. Trucco, Procreazione assistita, cit., ma anche Manetti, La sentenza sulla pma, o del legislatore che volle farsi medico, in
www.costituzionalismo.it
[34] Veronesi,
La legge sulla procreazione assistita
alla prova dei giudici e della Corte costituzionale, in Quad. Cost., 2004, 533, il quale coglie
significativamente «la somiglianza con la violenza maturata dopo il venir meno
dell’iniziale consenso della vittima al rapporto sessuale».
[35] Cfr. Veronesi, La legge
sulla procreazione assistita, cit., 533; Modugno,
La fecondazione assistita, cit., 398;
Manetti, Profili di illegittimità costituzionale della legge sulla procreazione
medicalmente assistita, in Politica
del diritto, 2004, 456 e segg., la quale efficacemente mette in luce come
«la fattispecie, per la sua invadenza nel corpo femminile – che non è
momentanea né trascurabile, ma prefigura niente meno che un obbligo di
gravidanza – costituisce in verità una condizione di servitù personale
inconcepibile nei moderni ordinamenti giuridici».
[36] La stessa Corte (Cons. in diritto,
6.1.) riconosce che il limite legislativo dell’unico e contestuale impianto di
non più di tre embrioni «determina, in quelle ipotesi in cui maggiori siano le
possibilità di attecchimento, un pregiudizio di diverso tipo alla salute della
donna e del feto, in presenza di gravidanze plurime, avuto riguardo al divieto
di riduzione embrionaria selettiva di tali gravidanze di cui all’art. 14, comma
4, salvo il ricorso all’aborto». Da ciò sembra potersi dedurre che, nell’ottica
della Corte, venendo meno il limite legislativo previsto all’art. 14, co. 2, verrebbe
meno anche il «pregiudizio di diverso tipo alla salute della donna e del feto».
Di tale “matematica” conseguenza sia però lecito dubitare, potendo in ipotesi
verificarsi quel pregiudizio anche se, come oggi è all’indomani della pronuncia
della Corte, si proceda alla procreazione medicalmente assistita sulla base
delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche.
[37] Pugiotto,
Questione eticamente sensibile, cit.,
182. Nello stesso senso anche Brunelli,
Strategie, argomentative e processuali,
per approdare ad un’illegittimità costituzionale, in Dalla provetta alla Corte, cit., 39. Contra Arconzo, La probabile inammissibilità della quaestio sollevata dal TAR Lazio sulle misure di
tutela degli embrioni, in Dalla
provetta alla Corte, cit., 20 e segg., secondo il quale, da un lato, il non
aver impugnato l’art. 14, co. 1, comportava contraddittorietà della quaestio tale da renderla inammissibile
e, dall’altro, la Corte non avrebbe potuto ampliare il thema decidendum perchè ciò le sarebbe consentito solo
nell’eventualità di mero errore materiale, il che non sarebbe stato nel caso di
specie.
[38] Di quest’avviso Pugiotto, Questione eticamente sensibile, cit., 182; Bonciani, Un’ipotesi di
illegittimità consequenziale: l’art. 14, comma 1, della Legge n. 40 del 2004,
in Dalla provetta alla Corte, cit.,
33; Brunelli, Strategie, argomentative e processuali,
in Dalla provetta alla Corte, cit.,
39. Contra Arconzo, La probabile
inammissibilità, cit., 22, e G. D’Amico,
Ragionevolezza, flessibilità e coerenza scientifica,
cit., 73, secondo i quali l’eventuale
declaratoria d’illegittimità dei commi 2 e 3 dell’art. 14 non avrebbe dovuto,
necessariamente, comportare l’illegittimità del divieto generale di
crioconservazione di cui al comma 1 della medesima disposizione.
[39] Manetti,
La sentenza sulla pma, cit.
[40] Manetti,
La sentenza sulla pma, cit.
[41] Cfr. Romboli, Illegittimità
costituzionale conseguenziale, cit., 4372.
[42] Manetti,
La sentenza sulla pma, cit.
[43] Ancora Manetti, La sentenza
sulla pma, cit. Sul punto
cfr. anche Recentissime a cura di
Ruotolo, in questa Rivista, 2009,
1323-1324.
[44] Il testo risultante da un tale
intervento, ulteriore oltre a quello additivo compiuto dalla Corte e che
avrebbe dovuto eliminare le parole “grave e documentata”, “ di forza maggiore”
e “non prevedibile al momento della fecondazione”, sarebbe stato il seguente:
«Qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per
causa relativa allo stato di salute della donna è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data
del trasferimento, da realizzare non appena possibile, senza pregiudizio per
la salute della donna».
[45] Lo stesso giudice fiorentino,
peraltro, con la seconda delle ordinanze di rimessione aveva proposto alla
Corte un intervento sulla disposizione in esame tale, per un verso, da
eliminare ogni riferimento al trasferimento degli embrioni non appena possibile
e, per l’altro, da prevedere una generale deroga al divieto di
crioconservazione in caso di grave e documentata causa relativa allo stato di
salute della donna.
[46] Pugiotto,
Questione eticamente sensibile, cit.,
179 e segg.; Deffenu, Alcuni buoni motivi, cit., 81 e segg.; Manetti, La procreazione assistita tra ordinarietà ed emergenza, in Dalla provetta alla Corte, cit., 10.
[47] Zagrebelsky,
Principî e voti, cit., 78.
[48] Manetti,
La sentenza sulla pma, cit.
[49] Sulle cui «premesse culturali» v. le
attente osservazioni di Brunelli,
Strategie, cit., 35 e segg.
[50] O, meglio, di un «plurireferendum»,
con ciò intendendosi la «presentazione contemporanea di più iniziative di
abrogazione popolare (ed eventualmente di più decisioni del corpo elettorale)
aventi ad oggetto una medesima legge, i cui quesiti risultino in vario modo
sovrapposti» (così Carnevale, Ragioni,
pretese e reali, della prassi del «plurireferendum» ugualmente orientato (in
margine all’attuale vicenda dei referendum in tema di procreazione
medicalmente assistita, in I
referendum sulla fecondazione assistita, a cura di Ainis, Milano,
2005, 56).
[51] In sede, appunto, di giudizio
d’ammissibilità dei referendum: cfr.
Corte cost., 28 gennaio 2005, nn. 45-46-47-48-49, in questa Rivista, 2005, 2017 e segg. Per una
analisi di dette pronunce v. i diversi contributi in I referendum sulla
fecondazione assistita, cit., 317 e segg.
[52] Così, quasi testualmente, Zagrebelsky, La legge e
la sua giustizia, Bologna, 2008, 296.
[53] Zagrebelsky,
La legge, cit., 296.
[54] È il caso, visto poc’anzi, dell’art.
14, co. 3, e delle eccezionali condizioni legittimanti la sospensione del
trattamento di fecondazione assistita.
[55] Ci si riferisce, in questa sede,
all’art. 6, co. 3, che in verità già prima della sentenza in commento era stato
ritenuto «incoercibile» (v., sul punto, Modugno,
La fecondazione assistita, cit., 398;
Veronesi, La legge sulla procreazione assistita, cit., 533; ora di quest’idea
anche Manetti, La sentenza sulla pma, cit.) e all’art.
14, co. 4, che oggi può essere interpretato nel senso che la riduzione di
gravidanze plurime è consentita qualora lo esiga la tutela del diritto alla salute
della donna. Come si ricorderà, nel testo ci si era dimostrati perplessi sulla
scelta della Corte di non ricorrere nei confronti di tali disposizioni
all’istituto dell’illegittimità conseguenziale. La perplessità rimane, poiché
espungerle dall’ordinamento avrebbe senz’altro “fatto chiarezza”; è anche vero,
però, che i loro effetti incostituzionali, come si è provato a dire, possono
essere annullati anche per via interpretativa.
[56] Sui rischi di una tale tecnica v. le
riflessioni, in relazione al caso in esame ma con valenza generale, di Deffenu, Alcuni buoni motivi, cit., 81 e segg., e Malfatti, Il “caso
Cagliari” tra gli indicatori di nuovi orizzonti, nei rapporti tra
giurisdizioni: verso un “controllo diffuso” di costituzionalità di normative di
settore?, in Dalla provetta alla
Corte, cit., 151 e segg., nonché, ora, quelle di Trucco, Procreazione assistita, cit.