- 01-07-2024

La sent. n. 115 del 2024 è stata resa dalla Corte a seguito della sollevazione delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, c. 3, del d.lgs. n. 39 del 2010, nella parte in cui fa decorrere il termine di prescrizione delle azioni di responsabilità, nei confronti dei revisori legali dei conti e delle società di revisione, dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento, in riferimento sia all’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca, sia all’art. 24 Cost., per violazione del diritto di difesa.

La Corte afferma di esse la non fondatezza.

Nello specifico, essa ritiene non manifestamente irragionevole che il legislatore abbia adottato un termine che si colloca a un livello di tutela minima del danneggiato, essendo quest’ultimo favorito dalla responsabilità solidale del revisore. 

Per le medesime ragioni, la Corte afferma la non manifesta irragionevolezza della previsione che vuole che la decorrenza della prescrizione dal deposito della relazione operi anche rispetto ai danni conseguenti all’inadempimento dell’obbligazione assunta dalla società di revisione.

Inoltre, quanto al rischio che una condotta dolosa del revisore renda occulti i danni cagionati alla società, viene chiarita la possibilità, in tal caso, di applicazione di una delle cause di sospensione della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno spettante alla società, che ha conferito l’incarico, nei confronti del revisore.

Passando poi a considerare l’azione risarcitoria che possono far valere i soci e i terzi la Consulta chiarisce come, nei loro confronti, il deposito della relazione da parte del revisore identifichi una condotta «che non è ancora di per sé produttiva di danni». Ed infatti, a fronte del fatto illecito, il dies a quo della prescrizione dell’azione risarcitoria di soci o di terzi non può essere quello del deposito della relazione, che è antecedente al momento in cui si possono produrre danni e sono, dunque, identificabili i soggetti danneggiati. Detto altrimenti, il dies a quo della prescrizione di un’azione risarcitoria non può retrocedere a un momento che precede lo stesso perfezionamento del fatto illecito produttivo di danni, cui testualmente fa riferimento la norma codicistica. Ciò che se ne conclude è che per ovviare al contrasto manifesto della disposizione indubbiata con il principio di ragionevolezza e con la tutela del danneggiato, è sufficiente limitare il raggio applicativo della medesima disposizione alle sole azioni con cui la società, che ha conferito l’incarico di revisione, fa valere il danno conseguente all’erronea o inesatta revisione.

Rispetto, invece, all’illecito nei confronti dei soci e dei terzi la responsabilità viene considerata «sempre di natura aquiliana», operando, pertanto, l’ordinaria durata quinquennale della prescrizione. Infine, quanto al dies a quo, viene chiarito che è anche qui il Codice civile ad assicurare «che il termine di prescrizione non possa iniziare a decorrere prima che si sia compiuto il fatto illecito e prima che si siano prodotti danni».