Sentenza n. 149 del 2025

SENTENZA N. 149

ANNO 2025


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti, sorto a seguito della sentenza del Tribunale ordinario di Cagliari 28 maggio 2025, n. 848, promosso dalla Regione autonoma della Sardegna con ricorso notificato il 27 giugno 2025, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 5 del registro conflitti tra enti 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia;

visto l’atto d’intervento di Riccardo Fercia per sé medesimo;

udita nell’udienza pubblica del 24 settembre 2025 la Giudice relatrice Maria Rosaria San Giorgio;

uditi gli avvocati Omar Chessa e Antonio Saitta per la Regione autonoma della Sardegna, nonché l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 24 settembre 2025.


Ritenuto in fatto

1.– Con il ricorso del 27 giugno 2025, iscritto al n. 5 reg. confl. enti del 2025, la Regione autonoma della Sardegna, in persona del vice-Presidente pro tempore, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato (e, per esso, della Presidenza del Consiglio dei ministri), del Tribunale ordinario di Cagliari, in persona del presidente pro tempore, e del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spettava allo Stato e, per esso, al Tribunale di Cagliari, stabilire, con la sentenza 28 maggio 2025, n. 848, che «"l’accertamento della violazione delle norme in materia di spese elettorali”, compiuto nella predetta sentenza, "rimane insindacabile dal Consiglio regionale, [quando] quest’ultimo assumerà le sue determinazioni sulla decadenza, tenendo fermo quanto accertato in questa sede”».

1.1.– La sentenza del Tribunale di Cagliari ha deciso, in primo grado, un giudizio civile introdotto con il rito di cui all’art. 281-decies del codice di procedura civile, in materia di ineleggibilità e di sanzioni elettorali ai sensi dell’art. 22 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69). Il giudizio ha avuto ad oggetto l’impugnazione da parte di Alessandra Todde – già proclamata eletta Presidente della Regione autonoma della Sardegna, all’esito delle elezioni regionali svoltesi il 25 febbraio 2024 – dell’ordinanza-ingiunzione emessa nei suoi confronti, in data 20 dicembre 2024, dal Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari.

Tale ordinanza-ingiunzione, a seguito dell’accertamento di una serie di irregolarità a carico della candidata Alessandra Todde in ordine alle spese elettorali, aveva irrogato nei confronti della stessa una sanzione amministrativa pecuniaria, in applicazione degli artt. 7 e 15 della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica), come richiamati dagli artt. 3, comma 1, e 5, comma 3, della legge della Regione Sardegna 27 gennaio 1994, n. 1

(Norme per la disciplina, la trasparenza e il contenimento delle spese per la campagna elettorale nelle elezioni per il Consiglio regionale e abrogazione della legge regionale 16 maggio 1984, n. 32). Nella motivazione del provvedimento, inoltre, il Collegio regionale di garanzia elettorale aveva osservato che, «stante l’accertata violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale», si impone[va] «la decadenza dalla carica del candidato eletto» e, in dispositivo, aveva ordinato la «trasmissione della presente ordinanza-ingiunzione al Presidente del Consiglio regionale per quanto di Sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna».

Il Tribunale di Cagliari ha respinto l’impugnazione di Alessandra Todde, che era stata articolata sia con riguardo alla sanzione pecuniaria inflitta, sia con riguardo alla «prospettata decadenza» dalla carica di Presidente della Regione.

1.2.– Nel presente giudizio, la Regione autonoma della Sardegna chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di Cagliari limitatamente alle parole, prima riportate, che si rinvengono al punto 16 della motivazione.

A sostegno della richiesta, la Regione autonoma deduce la violazione di parametri costituzionali e statutari. Sono evocati, in particolare, gli artt. 24, secondo comma, 97, secondo e terzo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, 111, primo e secondo comma, 113, ultimo comma, 116, primo comma, 118, primo comma, e 122, primo comma, della Costituzione, nonchè l’«art. 6 C.E.D.U. in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.». Ancora, si deduce la violazione degli artt. 6, 15 e 19 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), anche in combinato disposto con gli artt. 1 e 22 della legge statutaria regionale 12 novembre 2013, n. 1 (Legge statutaria elettorale ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto speciale per la Sardegna), dell’art. 17 del regolamento del Consiglio regionale della Sardegna e dell’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna).

1.3.– In fatto, la Regione ricorrente riporta alcuni stralci dell’ordinanza-ingiunzione del Collegio regionale di garanzia elettorale, asserendo che, con tale provvedimento, l’organo collegiale avrebbe «imposto» al Consiglio regionale sardo di pronunciare la decadenza di Alessandra Todde dalla carica di Presidente della Regione. Ricorda di aver proposto dinanzi a questa Corte, avverso detta ordinanza, ricorso per conflitto di attribuzione tra enti, iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti del 2025.

Riferisce, inoltre, la ricorrente che, con la sentenza in questa sede impugnata, il Tribunale di Cagliari ha confermato l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie, ritenendo sussistenti tutte le violazioni contestate. Quanto, invece, alla sanzione della decadenza, la sentenza ha rilevato che «il provvedimento contestato non ha disposto la decadenza ma, ritenendo che le violazioni accertate comportassero detta conseguenza, ha disposto la trasmissione degli atti al Presidente del Consiglio regionale», cui sarebbe rimessa la competenza a pronunciarsi sulla decadenza.

Nella parte finale della motivazione, al punto 16, il Tribunale di Cagliari ha affermato che «l’accertamento della violazione delle norme in materia di spese elettorali», effettuato in sentenza, «rimane insindacabile dal Consiglio regionale» e che quest’ultimo «assumerà le sue determinazioni sulla decadenza, tenendo fermo quanto accertato in questa sede». Tali affermazioni, secondo la ricorrente, determinerebbero «un’inaccettabile invasione delle competenze costituzionalmente proprie della Regione Sardegna, e per essa esercitate dal Consiglio regionale».

1.4.– In diritto, la Regione autonoma premette di non voler mettere in discussione la decisione del Tribunale di Cagliari in ordine alla fondatezza, o meno, delle doglianze in quella sede dedotte da Alessandra Todde. Piuttosto, essa intende censurare solo la menzionata parte finale della sentenza, ove si è statuito che, nei confronti del Consiglio regionale, «rimane insindacabile» quanto stabilito nella sentenza medesima.

La ricorrente riassume il quadro normativo di riferimento, richiamando i connotati di specialità dell’autonomia regionale sarda, ex artt. 116, primo comma, e 122, primo comma, Cost., e afferma che la competenza del Consiglio regionale a dichiarare la decadenza dei propri membri (prevista espressamente dall’art. 6 del d.P.R. n. 250 del 1949) avrebbe «natura sicuramente amministrativa», con richiami anche alla giurisprudenza costituzionale. Ne conseguirebbe, in virtù del «principio del parallelismo tra attribuzioni legislative e amministrative», che la Regione autonoma della Sardegna, in quanto dotata di competenza legislativa in materia, sarebbe titolare anche della «potestà amministrativa in ordine all’accertamento delle cause di ineleggibilità e incompatibilità».

In tale quadro, pur riconoscendo che «eventuali determinazioni future del Consiglio regionale in ordine alle ipotesi di ineleggibilità e decadenza di Alessandra Todde siano sottoponibili a sindacato giudiziale, se impugnate dinanzi ad un’autorità giurisdizionale», la Regione ricorrente rimprovera al Tribunale di Cagliari di essere intervenuto «"a monte”», prima, cioè, del vaglio rimesso al Consiglio regionale, avanzando «la pretesa di indirizzare, con una sentenza resa in un processo civile inter alios, l’attività amministrativa futura dell’assemblea rappresentativa regionale, vincolandola previamente a quanto già accertato nella sentenza».

Peraltro, la sentenza sarebbe incorsa in un’evidente contraddizione ‒ oltre che nella lesione delle richiamate attribuzioni regionali – nella parte in cui ha affermato che «"non rientra nella competenza del Collegio di garanzia né in quella del Tribunale adito per l’impugnazione dell’ordinanza ingiunzione, pronunciare l’eventuale decadenza della ricorrente. La competenza è rimessa dalla legge al Consiglio regionale” […], per poi subito dopo negare al Consiglio stesso il potere di accertare i fatti e di attribuire loro la corretta qualificazione giuridica». Se deve considerarsi esatta la prima affermazione, osserva la Regione ricorrente, allora all’organo consiliare «non si può negare la plena cognitio in ordine all’accertamento dei fatti e alla loro qualificazione», senza vincoli derivanti da una pronuncia giudiziale rispetto alla quale la Regione stessa sia rimasta estranea.

Il presente conflitto avrebbe «"tono costituzionale”», trattandosi di un caso di cattivo esercizio o sviamento del potere, con indebita interferenza nella sfera di competenza costituzionale della Regione autonoma della Sardegna. Infatti, la sentenza del Tribunale di Cagliari manifesterebbe «la volontà di predeterminare l’esito del giudizio del Consiglio sin dalla fase istruttoria», muovendo «dal convincimento di poter esercitare detto potere, con ciò pretendendo di guidare l’esercizio della competenza consiliare senza averne titolo», e, come tale, costituirebbe atto idoneo ad innescare un conflitto intersoggettivo. Il provvedimento più volte citato del Tribunale non sarebbe «solo invalido in sé, in quanto difforme dalle disposizioni legislative vigenti e in contrasto con norme di rango costituzionale», ma lo sarebbe «anche per sé, poiché esprime, per l’appunto, la volontà e la pretesa di imporre al Consiglio regionale di adottare il provvedimento decadenziale secondo le linee predeterminate nella sentenza».

1.4.1.– La non spettanza allo Stato del potere di vincolare le decisioni del Consiglio regionale in materia di decadenza di Alessandra Todde viene, anzitutto, argomentata sulla base dei principi del giusto processo, desunti dagli artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., nonché «d[a]ll’art. 6 della C.E.D.U., in riferimento all’art. 117, primo comma Cost.»: principi i quali troverebbero «svolgimento nell’art. 2909 c.c.», che enuncia il principio della cosa giudicata limitandone gli effetti alle sole parti del giudizio, ai loro eredi o aventi causa. La sentenza del Tribunale di Cagliari, pertanto, non potrebbe «intimare alcunché al Consiglio».

1.4.2.– Sotto altro profilo, si sostiene che la pretesa del giudice cagliaritano di rendere insindacabile, da parte del Consiglio regionale, l’accertamento svolto nella sentenza impugnata negherebbe il «principio costituzionale di separazione tra amministrazione e giurisdizione», come risultante dal «combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, 97, primo e secondo comma [recte: secondo e terzo comma], 102, primo comma, 104, primo comma, e 113, ultimo comma, della Costituzione»: ciò, sulla premessa secondo cui le attività consiliari di accertamento e di qualificazione giuridica dei fatti dalla cui verificazione dipendono effetti quali l’ineleggibilità, l’incompatibilità e la decadenza dei consiglieri regionali avrebbero «natura propriamente amministrativa». Sono richiamate le «fonti che attribuiscono questa funzione ai consigli regionali» e, in particolare, per quanto riguarda la Regione autonoma della Sardegna, l’art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, il quale dispone che «[l]a comunicazione di cui al comma 10 dell’articolo 15 della legge n. 515 del 1993 [quella del Collegio regionale di garanzia elettorale relativa all’accertamento definitivo delle violazioni di cui ai commi 7, 8 e 9 dello stesso art. 15] è indirizzata al presidente del Consiglio regionale, che pronuncia la decadenza ai sensi del proprio regolamento». Anche a voler ritenere che tale previsione sia stata abrogata dall’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, che nella materia delle ineleggibilità e incompatibilità rende oggi applicabili «le leggi statali», troverebbe comunque applicazione l’art. 15, comma 10, della legge n. 515 del 1993, da leggersi «in combinato disposto» con l’art. 4, lettera g) – recte: art. 5, comma 4, lettera g) – della legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), da cui si desume che la competenza a pronunciare la decadenza dei propri membri spetta al Consiglio regionale, come sarebbe confermato anche dall’art. 6 del d.P.R. n. 250 del 1949.

In quanto attività amministrativa, quella svolta dal Consiglio regionale ricadrebbe nella sfera di applicazione degli artt. 24, secondo comma, 97, secondo e terzo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, e 113, ultimo comma, Cost., con conseguente «regime di separatezza» rispetto alla funzione giurisdizionale, la quale non potrebbe invadere l’ambito riservato a quella amministrativa. Viene richiamata, sul punto, la giurisprudenza costituzionale che – in particolare con la sentenza n. 70 del 1985 – ha negato la spettanza, agli organi giudiziari, del potere di dettare le linee dell’indirizzo amministrativo regionale.

1.4.3.– Nel ribadire la sussistenza del «tono costituzionale» dell’odierno conflitto, la Regione ricorrente argomenta poi anche la violazione dell’art. 15 statuto speciale, nella parte in cui riserva al legislatore regionale la disciplina dei casi di ineleggibilità.

1.4.4.– Sarebbe inoltre violato l’art. 19 del medesimo statuto di autonomia, che riserva al Consiglio regionale la competenza ad adottare il proprio regolamento interno. Dall’art. 17 di quest’ultimo (che disciplina, tra l’altro, le competenze consiliari in ordine all’esame delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità) si dovrebbe desumere che «le attività giuntali e assembleari di esame e proposta debbono svolgersi in maniera "libera”, ossia procedendo ad autonome valutazioni dei fatti e della loro qualificazione giuridica».

1.4.5.– Posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche le norme di attuazione degli statuti speciali possono essere evocate a fondamento di un ricorso per conflitto di attribuzione, nel caso di specie verrebbe in rilievo l’art. 6 del d.P.R. n. 250 del 1949, che rimette al Consiglio regionale (art. 6, secondo comma) la pronuncia della decadenza dei membri della Giunta regionale «che vengano a trovarsi in una delle condizioni di incompatibilità previste dallo statuto speciale per la Sardegna relativamente alla funzione di Consigliere regionale» (art. 6, primo comma).

Pur se la sentenza del Tribunale di Cagliari ha formalmente riconosciuto la competenza consiliare, essa – osserva il ricorso – «non sembra riconoscerla sostanzialmente», avendo qualificato il proprio vaglio come «insindacabile» dal Consiglio regionale.

1.5.– In via subordinata, la Regione ricorrente, «senza che ciò possa configurare una surrettizia impugnazione della contestata sentenza», deduce poi un’ulteriore doglianza a sostegno del proprio ricorso.

Si sostiene che il contenuto dell’accertamento compiuto dal Tribunale di Cagliari, oggetto del preteso vincolo di insindacabilità, sarebbe anch’esso «intrinsecamente lesivo delle competenze costituzionalmente attribuite alla Regione» in quanto, anzitutto, sorretto da un presupposto interpretativo erroneo. Non potrebbe, infatti, ritenersi (come affermato dal Tribunale di Cagliari) che la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 sia applicabile, oltre che ai consiglieri regionali, anche al Presidente della regione eletto a suffragio universale e diretto. Infatti, si osserva, all’epoca dell’entrata in vigore della menzionata legge regionale, l’art. 36, primo comma, dello statuto speciale prevedeva ancora l’elezione del Presidente della Giunta regionale da parte del Consiglio regionale: di conseguenza, «[l]a disciplina del 1994 […] non contemplava né poteva evidentemente contemplare l’ipotesi che il Presidente di Regione fosse una carica direttamente, anziché indirettamente, elettiva». Una volta introdotta, nel 2001, l’elezione diretta del Presidente della regione, la posizione e lo status di quest’ultimo «si differenziano non poco da quello dei ‘comuni’ consiglieri regionali» e, inoltre, «vige un sistema di elezione che è, evidentemente, diverso da quello dei "comuni” consiglieri regionali sotto diversi profili». Di conseguenza, la disciplina regionale sulla rendicontazione delle spese elettorali, risalente al 1994, non potrebbe essere applicata al Presidente della regione elettivo.

Inoltre, prosegue il ricorso, quella stessa disciplina regionale non potrebbe oggi trovare applicazione in base a quanto stabilisce l’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, che fa rinvio – quanto alla materia delle ineleggibilità e incompatibilità e fino all’approvazione di una disciplina regionale ai sensi dell’art. 15 dello statuto speciale – alle sole leggi statali. Da ciò conseguirebbe che l’art. 7, comma 6, della legge n. 515 del 1993 (la cui violazione è stata contestata dalla sentenza del Tribunale di Cagliari), insieme al relativo impianto sanzionatorio, non potrebbe essere ritenuto riferibile al sistema elettorale della Regione Sardegna, in quanto sarebbe la stessa legge n. 515 del 1993, all’art. 20, comma 1, ad escludere l’applicabilità di quella disposizione per le elezioni dei Consigli regionali.

Il ragionamento del Tribunale di Cagliari sarebbe errato anche laddove ha affermato la piena compatibilità, con la mutata forma di governo regionale, del combinato disposto tra la legge n. 515 del 1993 e la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994. Tale assunto non terrebbe conto «della specificità del sistema elettorale» regionale nel nuovo assetto costituzionale, nel quale, alla figura del Presidente della regione, «non si possono applicare norme […] pensate e strutturate sulla figura astratta di un soggetto candidato in un solo collegio (e non nell’intera regione), interessato all’acquisizione di voti di preferenza personali, inserito in una lista di partito (e non a capo di una coalizione)».

Peraltro, considerando che la forma di governo sarda si basa sul meccanismo del "simul stabunt, simul cadent” (di cui agli artt. 15 e 35 dello statuto speciale), dovrebbe vieppiù escludersi il potere del Tribunale di Cagliari «di comminare la sanzione della decadenza a carico del Presidente di Regione elettivo e di determinare con ciò l’automatico scioglimento del Consiglio regionale, ponendo un vincolo interpretativo della legge a carico del Consiglio regionale». Le ipotesi di dissoluzione degli organi regionali di direzione politica sarebbero, infatti, tassative e, in quanto deroghe al principio democratico di sovranità, sarebbero «di stretta interpretazione». Ne conseguirebbe che la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994, in virtù del canone di interpretazione costituzionalmente conforme, non potrebbe essere interpretata «come se attribuisse al Tribunale cagliaritano il potere di azionare il dispositivo del simul stabunt simul cadent, che sta alla base della forma di governo regionale».

2.– Nel giudizio ha spiegato intervento ad opponendum Riccardo Fercia, componente del Collegio di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Cagliari, assumendo la difesa tecnica di sé stesso. Peraltro, nel corso dell’udienza pubblica di discussione del ricorso, lo stesso ha dichiarato di rinunciare all’intervento.

3.– Si sono costituiti in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della giustizia, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per il rigetto del ricorso della Regione autonoma della Sardegna «siccome inammissibile o, comunque, manifestamente infondato».

Ad avviso della difesa statale, il ricorso sarebbe inammissibile «in quanto i vizi prospettati dalla Regione rispetto al giudizio definito con la sentenza del Tribunale di Cagliari si prestano ad essere qualificati come vizi deducibili in sede di gravame attraverso i mezzi di impugnazione riconosciuti dall’ordinamento».

Né sarebbe configurabile l’asserita violazione della prerogativa, riconosciuta al Consiglio regionale, di dichiarare la decadenza dalla carica elettiva. Invero – si osserva – la necessità, per l’organo consiliare, di prendere atto della violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, per come accertata dal Collegio regionale di garanzia elettorale, andrebbe considerata «quale conseguenza immediata e diretta di quello stesso principio di separazione dei poteri che viene assunto dalla ricorrente come violato». Una volta, infatti, che il Collegio regionale di garanzia elettorale abbia verificato i rendiconti delle spese elettorali e abbia accertato violazioni, l’organo giurisdizionale è chiamato ad esercitare le proprie funzioni di verifica mediante provvedimenti idonei ad acquisire l’autorità del giudicato. Per contro, «spetta […] alle assemblee elettive prendere atto dell’accertamento stesso e delle relative conseguenze».

Il potere assembleare di pronunciare la decadenza sarebbe, dunque, «ontologicamente vincolato dall’accertamento compiuto in sede giurisdizionale, in quanto conseguenza immediata e diretta della fisiologica applicazione del principio di divisione dei poteri, da cui consegue l’esclusione dell’esorbitanza del potere giudiziario dai suoi limiti naturali».

Nell’impugnata sentenza del Tribunale di Cagliari mancherebbe del tutto una chiara manifestazione della volontà di esondare dal perimetro della giurisdizione, posto che anzi il giudice civile ha riconosciuto espressamente che «non rientra nella competenza del Collegio di Garanzia né in quella del Tribunale adito per l’impugnazione dell’ordinanza-ingiunzione, pronunciare l’eventuale decadenza della ricorrente» e che «[l]a competenza è rimessa dalla legge al Consiglio regionale». Per converso, il versante relativo all’accertamento della violazione delle norme in materia di spese elettorali non potrebbe ritenersi sottratto al Tribunale.

Il Consiglio regionale, del resto, non potrebbe modificare, con un «voto politico», l’esito degli accertamenti compiuti in sede giurisdizionale, avendo piuttosto «un ruolo di presa d’atto e adozione del conseguente atto amministrativo di decadenza». Verrebbe dunque a mancare, nel caso di specie, il tono costituzionale del conflitto: a giudizio delle parti resistenti «dietro l’apparente enunciazione di una invasione delle sue prerogative legislative la Regione si limita a denunciare quello che, al più, potrebbe integrare un error in iudicando attinente al concreto esercizio della giurisdizione e non i suoi confini». Si osserva, anzi, che è stata la stessa Alessandra Todde a riconoscere implicitamente la giurisdizione del Tribunale di Cagliari, nel momento in cui ella ha proposto appello avverso la sentenza n. 848 del 2025 e ha in quella sede contestato, nel merito, le stesse affermazioni del Tribunale che costituiscono l’oggetto dell’odierno conflitto.

L’Avvocatura aggiunge che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il conflitto di attribuzione «può riguardare atti giurisdizionali purché esso non si risolva in un improprio mezzo di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, essendo ammissibile solo allorquando si contesti in radice l’esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del ricorrente».

4.– Con memoria depositata il 3 settembre 2025, la Regione autonoma della Sardegna ha svolto ulteriori difese.

4.1.– In replica ai rilievi di inammissibilità del ricorso dedotti dalla difesa statale, la Regione osserva che l’odierno giudizio ha ad oggetto, unicamente, il «cattivo governo della funzione giurisdizionale esercitata nel caso di specie dal Tribunale di Cagliari», che, «nel decidere una controversia nella quale non si trattava di un provvedimento del Consiglio regionale, ha inteso vincolare quest’ultimo nell’esercizio delle proprie attribuzioni amministrative non ancora attivate». Non verrebbe, dunque, contestato un error in iudicando, ma lo «straripamento del potere giudiziario compiuto dal Tribunale il quale, violando i limiti oggettivi e soggettivi del giudicato ex art. 2909 c.c., ha invaso e menomato al tempo stesso le attribuzioni amministrative regionali assistite da ferme garanzie fondate nella Costituzione e nello Statuto speciale sardo». Ne deriverebbe la violazione del principio della separazione dei poteri, canonizzato anche all’art. 34, comma 2, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).

Anche laddove il Tribunale di Cagliari ha affermato che la competenza a dichiarare la decadenza appartiene al Consiglio regionale, ciò costituirebbe – alla luce delle affermazioni poi compiute nella parte della sentenza contestata – «un riconoscimento meramente formale di un’attribuzione che lo stesso Tribunale svuota di ogni valenza sostanziale dal momento che, poche righe appresso, nega all’organo regionale qualsiasi ambito di autonomia nell’esercizio delle proprie competenze».

In definitiva, secondo la Regione, venendo in discussione «l’autonomia del Consiglio regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni in materia elettorale», non sussisterebbe alcun rischio «che l’odierno ricorso "si risolva in un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale” (sent. n. 81 del 2012)». Né, conformemente alla giurisprudenza costituzionale, rileverebbe la circostanza che la sentenza del Tribunale di Cagliari sia attualmente sub iudice, in quanto appellata dinanzi alla Corte d’appello di Cagliari.

4.2.– Nel merito, la ricorrente sottolinea che il proprio ricorso, mediante il primo motivo, ha fatto valere un ben preciso «profilo del principio di separazione» tra funzione giurisdizionale e funzione amministrativa, ossia «quello che vieta al potere giudiziario di indirizzare il compimento di attività amministrative future, comprimendo indebitamente il margine di valutazione discrezionale degli organi amministrativi». Non sarebbe, invece, in discussione il potere/dovere del giudice di accertare la validità di atti amministrativi a seguito della loro impugnazione in sede giurisdizionale. La prospettazione difensiva avversaria non sarebbe corretta, in quanto ometterebbe di considerare la «regula del relativismo soggettivo del giudicato, che […] impedisce alla sentenza di produrre effetti nei confronti di chi non è stato parte del giudizio». I profili di possibile violazione della sfera di competenza regionale, da parte dell’ordinanza-ingiunzione emessa dal Collegio regionale di garanzia elettorale, non avrebbero potuto costituire oggetto di legittimo accertamento da parte del giudice cagliaritano, essendo piuttosto rimessi alla cognizione di questa Corte mediante il parallelo ricorso iscritto al n. 2 del reg. confl. enti del 2025.

Fondato sarebbe, altresì, il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, secondo cui l’accertamento compiuto dal Tribunale di Cagliari sarebbe lesivo, nel suo contenuto, della sfera costituzionale di competenza della Regione autonoma della Sardegna. Infatti – si sottolinea – la pronuncia impugnata «assume che il Consiglio sia vincolato ad applicare una decisione giudiziale in contrasto con la legge e con norme di rango costituzionale». Del resto, la Regione autonoma della Sardegna, non essendo parte del procedimento civile, non potrebbe interporre appello. Il Consiglio regionale, «e, per questo, la Regione Sardegna, non avrebbero altra occasione di difendere le proprie attribuzioni se non proponendo ricorso per conflitto intersoggettivo dinanzi a questa Ecc.ma Corte».


Considerato in diritto

1.– La Regione autonoma Sardegna (reg. confl. enti n. 5 del 2025) ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato (e, per esso, della Presidenza del Consiglio dei ministri), del Tribunale di Cagliari, in persona del presidente pro tempore, e del Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, in relazione alla sentenza 28 maggio 2025, n. 848, con la quale il Tribunale di Cagliari ha respinto il ricorso che Alessandra Todde – proclamata eletta alla carica di Presidente della Regione autonoma della Sardegna, in esito alle consultazioni elettorali regionali del 25 febbraio 2024 – aveva presentato contro l’ordinanza-ingiunzione emessa, a suo carico, dal Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari.

La Regione ricorrente ritiene lese le proprie prerogative di livello costituzionale, concernenti la competenza del Consiglio regionale a dichiarare la decadenza dalle cariche elettive regionali, per effetto delle affermazioni contenute nella sentenza al punto 16, ove si legge che «l’accertamento della violazione delle norme in materia di spese elettorali», compiuto dal giudice civile, «rimane insindacabile dal Consiglio regionale, [quando] quest’ultimo assumerà le sue determinazioni sulla decadenza, tenendo fermo quanto accertato in questa sede».

In tal modo lo Stato avrebbe manifestato, «in modo inequivoco», la pretesa di vincolare l’organo consiliare a quanto accertato nella sentenza, indirizzandone l’attività ai fini di «comminare la sanzione della decadenza a carico del Presidente di Regione elettivo e di determinare con ciò l’automatico scioglimento del Consiglio regionale» mediante «il dispositivo del simul stabunt simul cadent».

Simile pretesa sarebbe lesiva, anzitutto, degli artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., nonché dell’«art. 6 della C.E.D.U., in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.», i cui principi troverebbero «svolgimento nell’art. 2909 c.c.», che fissa la regola della cosa giudicata limitandone gli effetti alle sole parti del giudizio, ai loro eredi o aventi causa. La sentenza del Tribunale di Cagliari, resa nei confronti di Alessandra Todde e del Collegio regionale di garanzia elettorale, non potrebbe «intimare alcunché al Consiglio», non essendo stato, quest’ultimo, parte in causa.

Sotto altro profilo, il Tribunale avrebbe violato il «principio costituzionale di separazione tra amministrazione e giurisdizione», come risultante dal «combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, 97, primo e secondo comma [recte: secondo e terzo comma], 102, primo comma, 104, primo comma, e 113, ultimo comma, della Costituzione»: ciò, sulla premessa secondo cui le attività consiliari di accertamento e di qualificazione giuridica dei fatti idonei a determinare la decadenza dei consiglieri regionali avrebbero «natura propriamente amministrativa». L’attività amministrativa dovrebbe rimanere separata da quella giurisdizionale, affinché quest’ultima non invada l’ambito riservato alla prima. Invece, il Tribunale di Cagliari, mediante i contestati passaggi del punto 16 della sentenza, avrebbe finito per dettare le linee dell’indirizzo amministrativo regionale, con ciò interferendo nell’attività di spettanza del Consiglio regionale.

Sarebbero lesi, inoltre, l’art. 15 statuto speciale, nella parte in cui riserva al legislatore regionale la disciplina dei casi di ineleggibilità, e l’art. 19 dello stesso statuto, che stabilisce la competenza del Consiglio regionale ad adottare il proprio regolamento interno. Dall’art. 17 di quest’ultimo (che disciplina, tra l’altro, le competenze consiliari in ordine all’esame delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità) si dovrebbe desumere che «le attività giuntali e assembleari di esame e proposta debbono svolgersi in maniera "libera”, ossia procedendo ad autonome valutazioni dei fatti e della loro qualificazione giuridica».

Il Tribunale di Cagliari avrebbe, ancora, violato l’art. 6 del d.P.R. n. 250 del 1949, che reca le norme di attuazione dello statuto speciale. Tale parametro, pur espressamente riferito ai casi di incompatibilità, confermerebbe la competenza consiliare nella materia delle ineleggibilità «tenuto conto che "il più contiene il meno”».

In via subordinata, la Regione ricorrente deduce la non spettanza allo Stato – «sotto un diverso profilo» – del potere di vincolare le decisioni del Consiglio regionale sardo «in materia di decadenza della Dr.ssa Alessandra Todde, Presidente e componente del Consiglio regionale a quanto deciso dal Tribunale di Cagliari con la sentenza n. 848 del 2025». La lesione delle competenze costituzionali di essa ricorrente deriverebbe anche dal contenuto dell’accertamento compiuto dal Tribunale, in quanto basato su una serie di presupposti interpretativi erronei, afferenti alla normativa applicabile al caso di specie. In particolare, la Regione autonoma sostiene che – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Cagliari – la legge reg. Sardegna n. 1 del 1994 non sarebbe ormai più applicabile, in quanto superata dalla nuova forma di governo regionale imperniata sull’elezione diretta, a suffragio universale, del Presidente della Regione. Né la sentenza avrebbe correttamente colto il significato del rinvio alle leggi statali, di cui all’art. 22, comma 2, della legge statut. n. 1 del 2013, tale da far venire in rilievo l’art. 20 della legge n. 515 del 1993: quest’ultima disposizione, osserva la Regione, espressamente esclude, per le elezioni regionali, l’applicabilità degli artt. 7 e 15 della medesima legge n. 515 del 1993, ossia delle norme applicate dal Collegio regionale di garanzia elettorale per muovere le contestazioni ad Alessandra Todde. Il ragionamento svolto dal Tribunale, d’altro canto, non avrebbe tenuto conto della «specificità del sistema elettorale» per l’elezione alla presidenza della Regione, caratterizzato da regole diverse da quelle vigenti per l’elezione dei consiglieri regionali, né avrebbe considerato l’automatica operatività del meccanismo del "simul stabunt, simul cadent”, di cui agli artt. 15 e 35 dello statuto di autonomia, secondo il quale le vicende che determinano l’interruzione del mandato di un organo producono automaticamente il venir meno pure dell’altro: meccanismo che il Tribunale di Cagliari non potrebbe azionare.

2.– La difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per essersi limitata la Regione autonoma a censurare meri errores in iudicando della sentenza del Tribunale di Cagliari.

3.– Ma, in disparte la considerazione che il Ministro della giustizia non può, in linea di principio, essere parte di un conflitto tra Stato e regioni (vedi sentenza n. 148 in pari data), vi è un profilo di inammissibilità il cui esame costituisce un prius logico rispetto alla predetta eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato.

3.1.– Va premesso che questa Corte, con la citata sentenza n. 148 del 2025, ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Regione autonoma della Sardegna e avente ad oggetto l’ordinanza-ingiunzione del 20 dicembre 2024, emessa dal Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari. Questa Corte ha dichiarato che non spettava allo Stato e, per esso, al Collegio regionale di garanzia elettorale, di affermare, nella motivazione della citata ordinanza-ingiunzione, che «si impone la decadenza dalla carica del candidato eletto» e, per l’effetto, di disporre «la trasmissione della presente ordinanza/ingiunzione al Presidente del Consiglio Regionale per quanto di Sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Todde Alessandra dalla carica di Presidente della Regione Sardegna».

L’ordinanza-ingiunzione – da intendersi quindi depurata di questo contenuto, che ridondava in una turbativa dell’autonomia regionale costituzionalmente protetta – è stata confermata dal Tribunale di Cagliari quanto alla sanzione pecuniaria irrogata ad Alessandra Todde, ricorrente avverso la stessa.

3.2.– Deve allora considerarsi che il giudizio civile deciso dal Tribunale di Cagliari è stato introdotto da Alessandra Todde personalmente, in quanto destinataria delle sanzioni irrogate con l’ordinanza-ingiunzione del 20 dicembre 2024, nei confronti dell’organo amministrativo che l’ha emessa (il Collegio regionale di garanzia elettorale). Rispetto a tale controversia, e al relativo thema decidendum, l’organo consiliare è rimasto estraneo e, pertanto, esso non è vincolato dalle affermazioni compiute dal giudicante al punto 16 della motivazione, oggetto delle censure mosse, in questa sede, dalla Regione autonoma della Sardegna.

Il requisito dell’attualità della lesione lamentata costituisce un presupposto di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra Stato e regioni, anche qualora il provvedimento impugnato sia rappresentato da un atto giurisdizionale. Per costante giurisprudenza di questa Corte, riferita a tale ipotesi, «costituisce atto idoneo a innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione qualsiasi comportamento significante, imputabile allo Stato o alla Regione, che sia dotato di efficacia e rilevanza esterna e che – anche se preparatorio o non definitivo – sia comunque diretto ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale delle possibilità di esercizio della medesima» (ex plurimis, sentenza n. 332 del 2011; nello stesso senso sentenza n. 90 del 2022). Deve trattarsi, quindi, di un atto che «concretamente trascuri la prerogativa di cui si discute» (così, ancora, sentenza n. 332 del 2011). Ciò, nel solco di quanto questa Corte afferma, in generale, per tutti i conflitti di attribuzione tra Stato e regioni, che parimenti richiedono il requisito dell’attualità della lesione, da ritenersi non soddisfatto allorché l’atto sia privo di efficacia vincolante per la parte che lo ha impugnato (ex plurimis, in tal senso, sentenze n. 340 del 2011 e n. 211 del 1994).

3.3.– Nel caso di specie viene per l’appunto a mancare il requisito dell’attualità della lesione lamentata. La sentenza del Tribunale di Cagliari si è infatti pronunciata sulla domanda di Alessandra Todde, accertandone la non fondatezza. Tale pronuncia si riferisce specificamente al segmento procedimentale che si è svolto dinanzi all’organo amministrativo statale di controllo, il Collegio regionale di garanzia elettorale istituito presso la Corte d’appello di Cagliari, avente ad oggetto – come pacificamente emerge dalla legge n. 515 del 1993 (art. 15, comma 7) – l’accertamento delle violazioni, da parte del soggetto candidato, delle norme che disciplinano le spese della campagna elettorale. Non sono interessati altri segmenti procedimentali, rimessi dalla legge alla competenza di organi amministrativi diversi, incardinati presso enti diversi (la regione). Non è rinvenibile alcun nesso di pregiudizialità e/o di dipendenza idoneo a legare le affermazioni contenute in sentenza e i poteri del Consiglio regionale, il quale – è bene ricordare – non si è mai ancora formalmente pronunciato sulla vicenda de qua.

Le contestate affermazioni di cui al punto 16 della sentenza del Tribunale di Cagliari, pur oggettivamente dirette nei confronti del Consiglio regionale, devono pertanto essere considerate alla stregua di un obiter dictum, in quanto prive di carattere decisorio. Esse, infatti, vanno oltre il thema decidendum (come delineato dalla domanda giudiziale) e non esercitano alcuna influenza sul dispositivo della decisione, né sono idonee a passare in giudicato o a formare oggetto di impugnazione (in tal senso, tra le tante, Corte di cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 3 ottobre 2019, n. 24722; quanto al giudizio amministrativo, analogamente, ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza giurisdizionale, sentenza 3 marzo 2023, n. 2246).

3.4.– Deve dunque concludersi che le affermazioni del Tribunale di Cagliari contestate dalla Regione ricorrente non determinano una lesione attuale della sfera di attribuzione della stessa, in quanto fanno riferimento ad una fase del procedimento per la dichiarazione di decadenza di Alessandra Todde dalla carica di Presidente della Regione Sardegna del tutto estranea alla materia del contendere nel giudizio innanzi allo stesso Tribunale, che aveva ad oggetto l’ordinanza del Collegio di garanzia elettorale. Il che comporta la carenza originaria di interesse a coltivare il presente ricorso, con conseguente sua inammissibilità.

4.– Il ricorso per conflitto di attribuzione deve pertanto essere dichiarato inammissibile.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattrice

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 ottobre 2025