Sentenza n. 30 del 2025

SENTENZA N. 30

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente:

Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, sull’opposizione presentata da G. B. con ordinanza del 18 marzo 2024, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti l’atto di costituzione di G. B. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 febbraio 2025 il Giudice relatore Stefano Petitti;

uditi l’avvocato Valerio Vianello Accorretti per G. B. e gli avvocati dello Stato Ettore Figliolia e Massimo Di Benedetto per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 18 marzo 2024, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 2024, il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui prevede che la permanenza all’aperto non sia superiore a due ore».

1.1.– Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere sull’opposizione presentata da G. B., detenuto presso la Casa circondariale di Sassari-Bancali in regime differenziato ex art. 41-bis ordin. penit., avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Sassari, che ha dichiarato inammissibile il reclamo dallo stesso detenuto avanzato nei confronti delle determinazioni della direzione dell’istituto penitenziario, riguardo al tempo di permanenza all’aperto.

Espone il rimettente che il detenuto, fruendo allo stato di due ore d’aria al giorno, ha chiesto di goderne «almeno quattro», come prevede, per i detenuti in regime ordinario, l’art. 10, primo comma, ordin. penit., sostituito dall’art. 11, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 123, recante «Riforma dell’ordinamento penitenziario, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103».

1.2.– Il giudice a quo rammenta che l’attuale formulazione della norma censurata, nel prevedere che il detenuto in regime differenziato non possa permanere all’aperto più di due ore al giorno, né in gruppi superiori a quattro persone, riflette le modifiche apportate dall’art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), poiché il testo anteriore della norma censurata stabiliva una permanenza all’aperto fino a quattro ore al giorno, e un’ampiezza dei gruppi fino a cinque persone.

Ad avviso del rimettente, il limite massimo di due ore, sancito per la permanenza all’aperto in regime differenziato, non avrebbe alcuna giustificazione in termini di sicurezza, pregiudicherebbe la finalità rieducativa della pena e lederebbe il diritto del detenuto alla salute.

1.2.1.– Innanzitutto, sarebbe violato l’art. 3 Cost., poiché le ragioni di sicurezza verrebbero soddisfatte dalla selezione del gruppo di socialità, operata discrezionalmente dall’amministrazione penitenziaria, e non dal limite di tempo che il gruppo stesso trascorre all’aperto.

Tale rilievo varrebbe in particolare per la Casa circondariale di Sassari-Bancali, nella quale il reparto di detenzione differenziata è strutturato in modo da impedire contatti tra i diversi gruppi di socialità, ma non tra i componenti del singolo gruppo, sicché una più estesa permanenza di questi ultimi all’aperto non aumenterebbe il rischio di accordi illeciti.

In ogni caso, la rigida limitazione massima della permanenza all’aperto sarebbe irragionevole per il suo carattere inutilmente astratto, poiché esigenze specifiche e motivate già consentirebbero alla direzione dell’istituto di ridurre la permanenza esterna in concreto, fermo il minimo legale di un’ora d’aria al giorno, sancito dal testo originario dell’art. 10, primo comma, ordin. penit., oggetto di un richiamo recettizio da parte della disposizione censurata.

1.2.2.– Sarebbe altresì violato l’art. 27, terzo comma, Cost., sotto il profilo del finalismo rieducativo della pena, in quanto, nel regime differenziato, che comprime notevolmente le attività trattamentali, una congrua permanenza all’aperto sarebbe necessaria «a scaricare la inevitabile tensione» accumulata in camera detentiva, dovendosi in ogni caso rammentare che «l’esecuzione della pena non può risolversi in privazioni irragionevoli o assumere caratteristiche di vessazione».

1.2.3.– Infine, sarebbe violato l’art. 32 Cost., poiché «l’esposizione alla luce naturale ed ai raggi del sole risulta essenziale per il mantenimento di una accettabile condizione di salute», vieppiù per detenuti che, come G. B., sono condannati ad una pena di lunga durata.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o non fondate.

2.1.– L’inammissibilità deriverebbe dall’omessa motivazione sulla rilevanza, poiché nulla il rimettente avrebbe argomentato «sulle ragioni per le quali, allorché fosse pronunciata declaratoria d’incostituzionalità della norma che prevede il limite massimo di due ore, al condannato del caso che ne occupa sarebbero riconosciute ore d’aria in numero superiore a due».

2.2.– Nel merito, le questioni non sarebbero fondate, essendo la norma censurata frutto di un ragionevole bilanciamento tra i diritti del detenuto in regime differenziato e le esigenze di sicurezza a questo regime sottese.

Infatti, a parere della difesa statale, per quanto la norma in questione non garantisca con certezza l’assenza di contatti illeciti tra i detenuti, tuttavia, «riducendo le ore d’aria, si riducono le probabilità di tali contatti».

L’interveniente reputa meramente fattuale, e quindi «assolutamente neutrale», l’argomento speso dal rimettente circa la particolare strutturazione del reparto speciale della Casa circondariale di Sassari-Bancali.

Il limite massimo di permanenza all’aperto sarebbe comunque ragionevole in sé, a prescindere dalla possibilità di riduzione correlata a specifiche esigenze organizzative, dovendosi peraltro escludere che la compressione dei diritti del detenuto, prodotta da tale limite, sia così intensa che «di quei diritti sia intaccato il nucleo essenziale».

Sarebbero poi «assolutamente generiche» le censure riferite agli artt. 27, terzo comma, e 32 Cost., non essendo specificato «per quale ragione i due parametri all’esame risulterebbero violati allorché siano concesse ai condannati soltanto due ore d’aria, mentre non lo sarebbero a fronte di quattro ore d’aria», anche perché «il limite minimo (che non è oggetto di censure di difetto di costituzionalità) è inferiore alle due ore».

3.– Si è costituito in giudizio G. B., chiedendo l’accoglimento delle questioni.

Anche la parte sostiene che il numero di ore trascorso all’aperto sia di per sé ininfluente rispetto alle esigenze di sicurezza proprie del regime detentivo differenziato, esigenze che sarebbero soddisfatte piuttosto dall’accorta selezione dei componenti del gruppo di socialità.

In sintonia con il rimettente, la parte deduce altresì che la rigida limitazione massima della permanenza all’aperto non troverebbe giustificazione a fronte della possibilità di riduzione per esigenze specifiche, valutate con apposito provvedimento dell’amministrazione penitenziaria.

La parte, infine, insiste sull’essenzialità della fruizione di un numero adeguato di ore d’aria nella prospettiva della tutela della salute del detenuto, rispetto alla quale la permanenza all’aperto costituirebbe una necessità autonoma, differente da quella della socialità al chiuso; si menzionano al riguardo le relazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), nelle quali l’Italia viene sollecitata ad ampliare a quattro le ore giornaliere che il detenuto in regime speciale può trascorrere fuori dalla camera detentiva, insieme al proprio gruppo di socialità.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 32 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordin. penit., «nella parte in cui prevede che la permanenza all’aperto non sia superiore a due ore».

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sull’opposizione presentata da un detenuto in regime differenziato ex art. 41-bis ordin. penit., ristretto presso la Casa circondariale di Sassari-Bancali, il quale, fruendo attualmente di due ore al giorno di permanenza all’aperto, ha chiesto di goderne «almeno quattro», come prevede, per i detenuti in regime ordinario, l’art. 10, primo comma, ordin. penit., sostituito dall’art. 11, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 123 del 2018.

1.2.– Il giudice a quo ritiene che il limite massimo di due ore, sancito dalla norma censurata per effetto della modifica operata dall’art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della legge n. 94 del 2009, non abbia alcuna giustificazione in termini di sicurezza, pregiudichi la finalità rieducativa della pena e leda il diritto del detenuto alla salute.

In particolare, sarebbe violato l’art. 3 Cost., poiché le ragioni di sicurezza verrebbero soddisfatte dalla selezione del gruppo di socialità, eseguita discrezionalmente dall’amministrazione, e non dal limite di tempo che il gruppo stesso trascorre all’aperto.

Sarebbe altresì violato l’art. 27, terzo comma, Cost., per il profilo del finalismo rieducativo della pena, in quanto il censurato limite massimo di permanenza all’aperto inasprirebbe la sanzione in maniera contrastante con il suo scopo di risocializzazione, con un sovrappiù di afflittività che potrebbe rivestire «caratteristiche di vessazione».

Infine, sarebbe violato l’art. 32 Cost., essendo l’esposizione alla luce naturale necessaria a preservare la salute del detenuto, soprattutto quando si tratti, come nella specie, di un condannato a pena di lunga durata.

2.– Intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per omessa motivazione sulla rilevanza, in quanto il rimettente non avrebbe spiegato le «ragioni per le quali, allorché fosse pronunciata declaratoria d’incostituzionalità della norma che prevede il limite massimo di due ore, al condannato del caso che ne occupa sarebbero riconosciute ore d’aria in numero superiore a due».

2.1.– L’eccezione non è fondata.

È vero che l’ordinanza di rimessione, nel dispositivo, si concentra sul limite massimo delle due ore giornaliere, del quale sollecita la rimozione; tuttavia, nella parte motiva, essa integra il petitum con riferimento alle quattro ore del regime detentivo ordinario. Infatti vi si legge: «la restrizione a due delle ore all’aperto non pare venga incontro a reali esigenze di sicurezza, sicché non trova giustificazione la differenziazione rispetto al regime ordinario per i detenuti comuni».

Dalla lettura complessiva dell’ordinanza di rimessione emerge, quindi, con sufficiente chiarezza, la motivazione sulla rilevanza delle questioni.

L’accoglimento delle stesse determinerebbe, infatti, nella prospettiva del rimettente, l’estensione al regime differenziato della disciplina generale della permanenza all’aperto, in corrispondenza con l’istanza del detenuto, oggetto del giudizio principale.

2.2.– Sempre in via preliminare, questa Corte deve considerare una propria anteriore pronuncia, che ha dichiarato inammissibili questioni apparentemente simili alle odierne (sentenza n. 190 del 2010).

Avendo colto allora specifici profili di «ambivalenza del petitum», che non ricorrono nelle censure ora in esame, tale precedente non risulta qui ostativo all’esame nel merito delle sollevate questioni.

La rammentata sentenza osservava che, riguardo alla congruità del numero di ore d’aria, questa Corte «non può sovrapporre le proprie scelte a quelle del legislatore», ed è un rilievo che va tenuto fermo.

Tuttavia, l’attuale rimettente non chiede una rideterminazione discrezionale del tempo di permanenza all’aperto nel regime detentivo speciale, bensì un’estensione a tale regime della pertinente disciplina legislativa del regime detentivo comune, la quale peraltro, per effetto della già ricordata novella del 2018, si è notevolmente distanziata da quella contenuta nella norma censurata.

Può quindi accedersi al merito delle questioni, che, giova precisare, non pone in alcun modo in discussione l’impianto complessivo del regime speciale di cui all’art. 41-bis ordin. penit., ma interessa esclusivamente un segmento particolare della relativa disciplina, qual è quello concernente la permanenza del detenuto all’aperto.

3.– Le questioni sono fondate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

4.– È opportuno premettere una pur sintetica ricostruzione del quadro normativo, poiché la disciplina della permanenza all’aperto ha conosciuto un’evoluzione non sempre lineare, in rapporto ai diversi regimi di detenzione.

4.1.– Nel regime detentivo ordinario, il legislatore ha disposto un consistente ampliamento delle ore quotidiane d’aria.

Il testo originario dell’art. 10, primo comma, ordin. penit. stabiliva che al detenuto «è consentito di permanere almeno per due ore al giorno all’aria aperta», periodo riducibile «a non meno di un’ora al giorno soltanto per motivi eccezionali».

Per effetto della più volte ricordata modifica di cui al d.lgs. n. 123 del 2018, l’art. 10 ordin. penit., nella sua nuova formulazione, stabilisce che al detenuto «è consentito di permanere all’aria aperta per un tempo non inferiore alle quattro ore al giorno» (primo comma), tempo riducibile «fino a due ore al giorno», dal direttore dell’istituto penitenziario, «[p]er giustificati motivi» (secondo comma).

Dunque, come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, con la riforma del 2018 il legislatore ha preso atto che la permanenza all’aperto costituisce un momento fondamentale per garantire l’equilibrio psicofisico dei detenuti, tanto da raddoppiare la relativa durata per i detenuti comuni, elevando, altresì, sempre per i ristretti in regime ordinario, il limite minimo, pari a due ore (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 6 maggio-12 ottobre 2022, n. 38400); contestualmente all’estensione del tempo di permanenza all’aperto è stata tuttavia riservata una maggiore discrezionalità all’amministrazione penitenziaria, riguardo alla possibilità di ridurre le ore d’aria, essendo la nozione di "giustificati motivi” suscettibile di interpretazione evidentemente più vasta, rispetto alla nozione di "motivi eccezionali” di cui al precedente testo dell’art. 10, primo comma, ordin. penit. (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 17 novembre-20 dicembre 2023, n. 50847).

4.2.– Per il regime di sorveglianza particolare, il comma 4 dell’art. 14-quater ordin. penit. stabilisce che le restrizioni di trattamento determinate dalla necessità di fronteggiare la pericolosità intramuraria del detenuto non possono riguardare «la permanenza all’aperto per almeno due ore al giorno salvo quanto disposto dall’articolo 10».

Essendo stato l’art. 14-quater ordin. penit. inserito dall’art. 3 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), ed essendo quindi anteriore alla modifica dell’art. 10 ordin. penit. – avvenuta, come detto, nel 2018 –, il rinvio che esso fa all’art. 10 medesimo viene considerato statico o recettizio, sicché il detenuto in regime di sorveglianza particolare ha diritto ad almeno due ore d’aria al giorno, riducibili a un’ora soltanto per motivi eccezionali (Cass., sez. prima, n. 38400 del 2022).

4.3.– Per quanto concerne il regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis ordin. penit., in occasione della tipizzazione delle restrizioni – operata tramite l’inserimento nel medesimo art. 41-bis del comma 2-quater da parte dell’art. 2, comma 1, della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario) – era stata prevista «la limitazione della permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a cinque persone, ad una durata non superiore a quattro ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell’articolo 10» (art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f).

In un contesto di forte irrigidimento del regime detentivo differenziato, manifestatosi anche sul piano dell’obbligatorietà delle limitazioni elencate dal comma 2-quater dell’art. 41-bis – l’art. 2, comma 25, lettera f), numero 1), della legge n. 94 del 2009 ha infatti stabilito che la sospensione delle regole di trattamento «prevede», anziché, com’era in precedenza, «può comportare», le restrizioni indicate nel medesimo comma 2-quater –, la limitazione della permanenza all’aperto è stata inasprita, sia in ordine alla quantità di ore fruibili, sia in ordine all’ampiezza del gruppo all’interno del quale il detenuto è inserito.

Infatti, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della legge n. 94 del 2009, la lettera f) del comma 2-quater dell’art. 41-bis ordin. penit. prescrive oggi «la limitazione della permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell’articolo 10».

Anche per il regime detentivo ex art. 41-bis ordin. penit., come si è visto per la sorveglianza particolare, il rinvio all’art. 10 ordin. penit. viene inteso come rinvio materiale, non dinamico, quindi insensibile alla modifica che la disposizione richiamata ha subito con la riforma del 2018 (Cass., sez. prima, n. 50847 del 2023).

Pertanto, in base al testo originario della norma incorporata, le due ore d’aria sono riducibili a un’ora, ma soltanto per motivi eccezionali, in analogia con quanto previsto per i detenuti in regime di sorveglianza particolare, sebbene, per questi ultimi, ove l’amministrazione penitenziaria non ritenga sussistenti ragioni eccezionali, le due ore giornaliere siano il limite minimo, laddove, per i detenuti in regime speciale ex art. 41-bis, esse sono anche il limite massimo (Cass., sez. prima, n. 38400 del 2022).

Occorre infatti notare che la giurisprudenza di legittimità, in funzione di garanzia, estende al regime ex art. 41-bis ordin. penit. il minimo giornaliero di due ore d’aria sancito dall’art. 14-quater per la sorveglianza particolare (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 19 ottobre 2023-9 febbraio 2024, n. 5832).

In base a consolidati orientamenti giurisprudenziali, la riduzione da due a un’ora non può essere disposta da una fonte generale, occorrendo invece un provvedimento della direzione dell’istituto penitenziario che dia conto, riguardo al singolo detenuto, della sussistenza dei motivi eccezionali (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 febbraio-24 aprile 2019, n. 17580). D’altra parte – si afferma –, la permanenza all’aperto, essendo funzionale alla tutela della salute, non è la semplice permanenza fuori dalla camera detentiva, ma è quella all’aria aperta, sicché dalle due ore d’aria previste dalla norma censurata non può defalcarsi la cosiddetta ora di socialità, trascorsa al chiuso, nelle salette ricreative (ancora Cass., sez. prima, n. 50847 del 2023, n. 38400 del 2022 e n. 17580 del 2019).

5.– Il quadro normativo ora descritto va raffrontato con la giurisprudenza di questa Corte sulla ratio delle limitazioni di trattamento ex art. 41-bis ordin. penit.

5.1.– Il regime speciale «intende soprattutto evitare che gli esponenti dell’organizzazione in stato di detenzione, sfruttando il normale regime penitenziario, possano continuare ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dal carcere, il controllo sulle attività delittuose dell’organizzazione stessa» (sentenza n. 143 del 2013); in altri termini, tale regime «mira a contenere la pericolosità dei detenuti ad esso soggetti, anche nelle sue eventuali proiezioni esterne al carcere, impedendo i collegamenti degli appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà: collegamenti che potrebbero realizzarsi proprio attraverso quei contatti con il mondo esterno che lo stesso ordinamento penitenziario normalmente favorisce, quali strumenti di reinserimento sociale (sentenze n. 97 del 2020 e n. 186 del 2018)» (sentenza n. 105 del 2023).

Le restrizioni del regime differenziato, «assai più onerose di quelle ordinariamente imposte ai detenuti e internati "comuni”», sono costituzionalmente legittime solo se «funzionali rispetto alla peculiare finalità del regime speciale in parola, che mira non già ad assicurare un surplus di punizione per gli autori di reati di speciale gravità, bensì esclusivamente a contenere la persistente pericolosità di singoli detenuti», e purché non risultino «sproporzionate, in quanto eccessive rispetto a tale scopo legittimo», o «tali da vanificare del tutto la funzione rieducativa della pena; o ancora si risolvano, addirittura, in trattamenti contrari al senso di umanità» (sentenza n. 18 del 2022).

5.2.– Dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ultimo periodo, ordin. penit., modificato dall’art. 2, comma 25, lettera f), numero 2), della legge n. 94 del 2009, circa la previsione di limiti quantitativi ai colloqui difensivi, questa Corte ha affermato che, ove incidano su diritti fondamentali, le limitazioni del regime speciale devono rispettare un principio di congruità del bilanciamento: «[p]osto, infatti, che i colloqui con i difensori – diversamente da quelli con i familiari e conviventi o con terze persone – restano sottratti all’ascolto e alla videoregistrazione, i limiti di cadenza e di durata normativamente stabiliti sono suscettibili, bensì, di penalizzare la difesa, ma non valgono ad impedire, nemmeno parzialmente, il temuto passaggio di direttive e di informazioni tra il carcere e l’esterno, né a circoscrivere in modo realmente significativo la quantità e la natura dei messaggi che si paventano scambiabili, per il tramite dei difensori, nell’ambito dei sodalizi criminosi» (sentenza n. 143 del 2013).

«L’operazione normativa considerata viene, di conseguenza, a confliggere» – prosegue la medesima sentenza – «con il principio per cui, nelle operazioni di bilanciamento, non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango»; invero, «alla compressione – indiscutibile – del diritto di difesa indotta dalla norma censurata non corrisponde, prima facie, un paragonabile incremento della tutela del contrapposto interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini».

5.3.– Sulla stessa linea, questa Corte, con la sentenza n. 97 del 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordin. penit., modificato dall’art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della legge n. 94 del 2009, nella parte in cui vietava lo scambio di oggetti, tra detenuti in regime speciale, all’interno dello stesso gruppo di socialità.

Tale decisione – pur precisando che non sussiste un diritto fondamentale del detenuto allo scambio di oggetti nell’ambito del gruppo di socialità – è di stretta pertinenza alle questioni ora in esame, poiché incentrata sull’istituto del gruppo di socialità, essenziale anche per la permanenza all’aperto.

Sul presupposto che anche ai detenuti in regime speciale devono assicurarsi «indispensabili momenti e forme di "socialità” intramuraria», detta sentenza ha sottolineato che «[i] gruppi di socialità rappresentano la modalità prescelta dal legislatore per conciliare, da una parte, la finalità essenziale del regime differenziato (evitare che i detenuti più pericolosi possano mantenere vivi i propri collegamenti con le organizzazioni criminali di riferimento) e, dall’altra, l’esigenza di garantire le accennate forme indispensabili di socialità».

Invero, ciascun gruppo di socialità è formato dall’amministrazione penitenziaria in applicazione di criteri «ispirati alla necessità di evitare ogni occasione di rafforzamento delle consorterie criminali, nonché ogni possibilità che vengano scambiati con l’esterno ordini, informazioni e notizie».

La sentenza n. 97 del 2020 ha evidenziato dunque che, «[i]n lesione dell’art. 3 Cost., il divieto di scambiare oggetti, nella parte in cui si applica anche ai detenuti inseriti nel medesimo gruppo di socialità, non risulta né funzionale né congruo rispetto alla finalità tipica ed essenziale del provvedimento di sottoposizione del singolo detenuto al regime differenziato, consistente nell’impedire le sue comunicazioni con l’esterno», e quindi «la proibizione in parola finisce per assumere un significato meramente afflittivo, in violazione anche dell’art. 27, terzo comma, Cost.».

Infatti, «i detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità hanno varie occasioni di comunicare qualsiasi messaggio tra loro in forma orale», senza bisogno di affidarsi al simbolismo degli oggetti, così nelle «due ore giornaliere d’aria», nei «cosiddetti "cortili passeggio”», nelle «comunicazioni da cella a cella» e nelle «"salette” – adibite a biblioteca, palestra e sala hobby – per l’attività in comune di tipo culturale, ricreativo e sportivo».

Viene richiamato, per il divieto di scambio di oggetti, il principio di congruità del bilanciamento, enunciato dalla sentenza n. 143 del 2013: «alla certa compressione di una forma minima di socialità – estrinsecantesi, peraltro, nell’ambito di una cerchia assai ristretta di soggetti, e consistente nello scambio di cose di scarso valore e di immediata utilità, nella prospettiva di una (assai parziale) "normalità” di rapporti interpersonali – non corrisponde un accrescimento delle garanzie di difesa sociale e sicurezza pubblica», ovvero, «[c]omprensibile se riferito a detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, il divieto in esame mostra la sua irragionevolezza se necessariamente applicato anche ai detenuti assegnati al medesimo gruppo» (ancora, sentenza n. 97 del 2020).

6.– Alla luce di tali precedenti, risulta chiara la fondatezza delle censure in esame, riferite agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

6.1.– Pur se analoga nella funzione di assecondare l’inclinazione di ogni essere umano a godere dell’aria e della luce naturale, la permanenza all’aperto nel regime speciale ex art. 41-bis ordin. penit. non è tuttavia comparabile con quella del regime detentivo ordinario, quanto alle modalità concrete di svolgimento.

Ai sensi dell’art. 10, quarto comma, ordin. penit., il detenuto comune fruisce delle ore d’aria in gruppi indistinti, cosicché la socialità che si sviluppa all’aperto è piena, tanto da potersi accompagnare – come prevede la stessa norma – ad esercizi fisici.

Viceversa, quella esprimibile nelle ore d’aria del regime speciale è una socialità delimitata, poiché fruita dal detenuto in un gruppo di persone molto ristretto (non più di quattro, e quindi anche tre o due), opportunamente selezionato dall’amministrazione penitenziaria.

Rigidi e mirati, i criteri di formazione e di eventuale modificazione dei gruppi – criteri dettagliati dall’art. 3.1 della circolare 2 ottobre 2017, n. 3676/6126, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) – garantiscono che, nel regime ex art. 41-bis ordin. penit., sia al chiuso, sia all’aperto, siano ridotte al minimo le occasioni per quei contatti illeciti che il regime stesso mira a evitare.

A tale obiettivo ha concorso la riduzione dell’ampiezza del gruppo, che, come già ricordato, è stata limitata a un massimo di quattro persone, in luogo delle precedenti cinque, per effetto delle modifiche di cui all’art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della legge n. 94 del 2009.

Che la permanenza all’aperto sia fruita dal detenuto nelle condizioni di sicurezza presidiate dalla selezione del gruppo di socialità è fattore necessario, ma anche sufficiente, affinché le ore d’aria non si prestino al mantenimento dei rapporti di consorteria delittuosa.

6.2.– Non persuade la tesi dell’Avvocatura dello Stato, secondo la quale il bilanciamento sotteso alla norma censurata sarebbe ragionevole in funzione di una riduzione probabilistica dei contatti illeciti, nel senso che, «riducendo le ore d’aria, si riducono le probabilità di tali contatti».

Tale argomentazione muove da una premessa – quella per cui la previsione di un massimo di due ore all’aperto per i detenuti in regime speciale sia una concessione del legislatore – che non può essere condivisa, perché, portata alle estreme conseguenze, essa potrebbe giustificare la radicale eliminazione del diritto dei detenuti medesimi a fruire di un qualunque tempo all’aperto: il che, ovviamente, darebbe luogo a un’evidente violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., giacché il trattamento risulterebbe contrario al senso di umanità.

In realtà, non può sfuggirsi alla seguente alternativa: o il gruppo di socialità è formato in modo efficace, e allora che esso trascorra all’aperto più di due ore non genera, né aumenta, il pericolo di contatti illeciti; o il gruppo di socialità è formato in modo inefficace, e allora che esso trascorra all’aperto non più di due ore non elimina, né riduce in modo significativo, quel medesimo pericolo, ferme le esigenze di adeguata sorveglianza.

Ciò che pregiudica lo scopo del regime speciale, invero, è l’eventuale errore di selezione del gruppo, non la quantità di tempo che un gruppo, ben scelto, può passare nei cortili. In effetti, la limitazione a tre ore (due all’aperto e una in saletta) della compresenza dei detenuti del medesimo gruppo di socialità non garantisce in alcun modo in misura maggiore che nel gruppo non circolino informazioni la cui diffusione il regime speciale intende impedire.

6.3.– La centralità del gruppo di socialità, quale mezzo di funzionamento del regime speciale, è attestata dal secondo periodo della lettera f) del comma 2-quater dell’art. 41-bis ordin. penit., aggiunto dallo stesso art. 2, comma 25, lettera f), numero 3), della legge n. 94 del 2009, laddove viene posto l’obiettivo di «garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».

6.4.– Il divieto di stare all’aperto oltre la seconda ora, come sancito dalla norma censurata, mentre comprime, in misura ben maggiore del regime ordinario, la possibilità per i detenuti di fruire di luce naturale e di aria, nulla fa guadagnare alla collettività in termini di sicurezza, alla quale viceversa provvede, e deve provvedere, l’accurata selezione del gruppo di socialità, unitamente all’adozione di misure che escludano la possibilità di contatti tra diversi gruppi di socialità.

Poiché non corrisponde in alcun modo alla funzione istituzionale del regime differenziato, e determina quindi un improprio «surplus di punizione» (sentenza n. 18 del 2022), la norma censurata viola il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., insieme al finalismo rieducativo della pena, di cui al terzo comma dell’art. 27 Cost.

Peraltro, l’ampliamento delle ore della giornata in cui i detenuti in regime speciale possono beneficiare di aria e luce all’aperto contribuisce a delineare una condizione di vita penitenziaria che, non solo oggettivamente, ma anche e soprattutto nella percezione dei detenuti, possa essere ritenuta più rispondente al senso di umanità, in conformità alle specifiche raccomandazioni espresse sul punto dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), richiamate dalla parte nell’atto di costituzione.

6.5.– La declaratoria di illegittimità costituzionale del limite massimo delle due ore, stabilito dalla norma censurata per il regime speciale, comporta, coerentemente con la richiesta sostanziale del rimettente, la riespansione della disciplina generale delle quattro ore, contenuta nell’art. 10 ordin. penit.

Non potrebbe d’altronde individuarsi un diverso limite in quello di due ore al giorno, stabilito dall’art. 14-quater, comma 4, ordin. penit. per i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare. Avendo natura disciplinare, in quanto applicabile ai detenuti che si ritiene possano gravemente compromettere la regolarità della vita d’istituto, il regime della sorveglianza particolare non può essere esteso in via analogica per determinare, venuto meno il limite massimo di due ore posto dalla norma censurata, la quantità di tempo che possono trascorre all’aperto i ristretti nel differente regime speciale ex art. 41-bis ordin. penit., per i quali deve quindi trovare applicazione il regime ordinario.

6.6.– Nella stessa prospettiva di un intervento "per linee interne” alla legislazione vigente, occorre rilevare che la novella del 2018, come già notato, non ha solo aumentato da due a quattro ore il tempo minimo giornaliero di permanenza all’aperto nel regime detentivo ordinario, ma ha anche temperato questo incremento con un’estensione della facoltà della direzione degli istituti penitenziari di ridurre il periodo fino a due ore al giorno.

Affidata alla formula dei «giustificati motivi» – in luogo di quella anteriore, ben più stringente, dei «motivi eccezionali» –, la previsione di una maggiore discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria è evidentemente correlata, in una strategia di bilanciamento, al raddoppio del minimo di ore di permanenza all’aperto.

Ove al regime speciale ex art. 41-bis ordin. penit. fosse esteso, per riespansione della disciplina generale, solo il maggior numero di ore d’aria, e non anche, contestualmente, il criterio più flessibile per la sua riduzione, si creerebbe, per il medesimo regime differenziato, una disciplina anomala, conforme in parte al testo attuale dell’art. 10 ordin. penit. e in parte al testo originario, una sorta di disciplina trans-temporale, che questa Corte non ha il potere di determinare.

La declaratoria di illegittimità costituzionale deve quindi investire la norma censurata in entrambi gli aspetti, cioè, oltre che nel limite delle due ore, anche nel rinvio statico al primo comma dell’art. 10 ordin. penit.

La disciplina ordinaria si riespande così interamente, sia per la quantità di ore («un tempo non inferiore alle quattro ore al giorno»: art. 10, primo comma, ordin. penit.), sia per il criterio di riduzione («per giustificati motivi»: art. 10, secondo comma, ordin. penit.), senza spezzare il nesso costruito dal legislatore.

6.7.– Per tutto quanto esposto, attesa la violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), primo periodo, ordin. penit., limitatamente all’inciso «, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell’articolo 10».

La censura riferita all’art. 32 Cost. resta assorbita.

6.8.– L’odierna decisione non concerne il regime della sorveglianza particolare, che ha d’altronde, come rilevato, una natura sua propria, di tipo disciplinare.

Si deve tuttavia sottolineare che tale regime, proprio per la sua autonomia funzionale, può concorrere con quello ex art. 41-bis ordin. penit. (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 27 settembre 2022-20 gennaio 2023, n. 2555 e 23 ottobre-26 novembre 2008, n. 44072); sicché, qualora tenesse condotte tali da esigere anche la sorveglianza particolare, il detenuto in regime ex art. 41-bis ordin. penit. non fruirebbe più del minimo di quattro ore ex art. 10, primo comma, ordin. penit., ma solo del minimo di due ore ex art. 14-quater, comma 4, ordin. penit.

 per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), limitatamente all’inciso «, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell’articolo 10».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2025