Sentenza n. 188 del 2024

SENTENZA N. 188

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente:

Augusto Antonio BARBERA

Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come inserito dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione quinta, nel procedimento vertente tra D. P. e Ministero della giustizia, con ordinanza del 20 luglio 2022, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

deliberato nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 20 luglio 2022, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 2024, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione quinta, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come inserito dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte in cui prevede per il personale della Polizia penitenziaria, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione, e comunque la mancata erogazione di un assegno alimentare.

1.1.− Il giudice rimettente espone di essere stato investito del ricorso proposto da D. P., assistente capo coordinatore della Polizia penitenziaria in servizio presso l’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna (UIEPE) di Cagliari, per l’annullamento del provvedimento di immediata sospensione, prot. n. 01/2022 del 7 gennaio 2022, del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità - Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna per la Sardegna, emesso a seguito del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale contro il COVID-19. Il ricorrente, premesso di lavorare in un ufficio occupato da tre dipendenti debitamente distanziati tra di loro (di cui peraltro uno assente), ha sostenuto che la sospensione dal servizio stabilito dalla norma per la categoria professionale cui egli appartiene (Polizia penitenziaria) integrerebbe un’evidente disparità di trattamento rispetto ad altre categorie professionali, atteso che le mansioni da lui in concreto svolte nella sua qualità di assistente capo di Polizia penitenziaria sarebbero in parte equiparabili a quelle svolte anche da soggetti appartenenti a professioni differenti per le quali, tuttavia, a parità di condizioni, non è stato imposto l’obbligo vaccinale. L’impugnato provvedimento, nella parte in cui dalla disposta sospensione dal servizio fa discendere la mancata corresponsione della retribuzione e di qualsiasi altra forma di compenso o emolumento comunque denominati, anche di natura previdenziale, comporterebbe altresì un’evidente disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi di sospensione del pubblico dipendente dal servizio, nelle quali al militare imputato di un reato da cui possa derivare la perdita del grado o sottoposto ad arresto o qualsiasi altra misura cautelare è comunque garantita la corresponsione di metà degli assegni a carattere fisso e continuativo.

Nel giudizio innanzi al TAR si è costituito il Ministero della giustizia, che ha chiesto il rigetto del ricorso, avendo l’Amministrazione agito in conformità con quanto previsto dalla legge in materia. Sono, inoltre, intervenuti ad adiuvandum l’Associazione professionale e sindacale (ANIEF) e V. M., maresciallo della Guardia di finanza in servizio alle dipendenze del Comando provinciale di Reggio Emilia, destinatario di analogo provvedimento di sospensione per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, asseritamente titolare di un interesse, ai sensi dell’art. 28 dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) a sostenere le ragioni del ricorrente principale, entrambi insistendo per l’accoglimento del ricorso previa rimessione a questa Corte della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter del d.l. n. 44 del 2021, come convertito.

Il TAR espone di avere accolto la domanda cautelare, con ordinanza del 25 febbraio 2022, disponendo che al ricorrente fosse corrisposto un assegno alimentare pari alla metà del trattamento retributivo.

1.2.− In punto di rilevanza, viene evidenziato che il provvedimento di sospensione impugnato è stato emesso in applicazione dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, il quale, nel fare espresso riferimento alla retribuzione e a qualsiasi altro compenso o emolumento comunque denominati, sembrerebbe esprimere un concetto omnicomprensivo, non suscettibile di diversa interpretazione, idoneo a escludere anche il riconoscimento all’assegno alimentare, benché quest’ultimo non abbia natura corrispettiva ma assistenziale. A tale conclusione condurrebbe altresì la natura speciale della disposizione, che deroga ad ogni altra di ordine generale prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

Di conseguenza, benché la sospensione dal servizio e dalla retribuzione possa cessare, mediante l’ottemperanza all’obbligo vaccinale o comunque alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria, il ricorrente avrebbe comunque interesse alla rimozione degli effetti del provvedimento impugnato e delle relative conseguenze, sì da conseguire il recupero delle retribuzioni non corrisposte per il periodo di sospensione e comunque l’erogazione di un assegno alimentare, come previsto dalla legge in altre ipotesi di sospensione dal servizio.

1.3.− In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo ravvisa la violazione degli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., reputando le conseguenze che la mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale produce nella sfera del dipendente non vaccinato «oggettivamente sbilanciate se ricondotte nell’alveo della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, avuto anche riguardo alla natura pacificamente assistenziale che riveste, nel nostro ordinamento, l’assegno alimentare […], generalmente riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari».

Le disposizioni in esame, nel precludere al personale della Polizia penitenziaria non vaccinato la possibilità di espletare la prestazione lavorativa, escludendo qualsiasi soluzione alternativa e, infine, impedendo di fruire di un sostentamento minimo per far fronte alle primarie esigenze di vita, violerebbero la dignità della persona di cui all’art. 2 Cost. e risulterebbe sproporzionata, in violazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 32, secondo comma, Cost., in quanto introdurrebbe «una sorta di coercizione indiretta all’adempimento dell’obbligo, ponendo il lavoratore renitente di fronte all’alternativa di doversi suo malgrado sottoporre alla vaccinazione da egli avversata, ovvero subire uno stato di prolungata indigenza e di significativa compressione del suo abituale tenore di vita».

Le disposizioni censurate, nel precludere l’applicazione di misure di sostegno, come l’assegno alimentare, integrerebbero un’ulteriore violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza e della disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi di sospensione del lavoratore, disciplinare o cautelare, laddove quest’ultimo abbia commesso (o sia sospettato di aver commesso) determinati fatti costituenti reato o comunque idonei a determinare anche l’irrogazione di sanzioni disciplinari.

Considerato in diritto

1.– Il TAR per il Lazio, sezione quinta, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui prevede per il personale della Polizia penitenziaria, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione, e comunque la mancata erogazione di un assegno alimentare.

1.1.– Il giudice rimettente, pur non contestando la legittimità dell’obbligo vaccinale, censura le conseguenze che produce nella sfera del lavoratore la mancata ottemperanza al predetto obbligo.

In particolare, viene sostenuta la violazione degli artt. 2, 3, 32, secondo comma, Cost., in quanto le censurate disposizioni, nel precludere al personale della Polizia penitenziaria non vaccinato la possibilità di espletare la prestazione lavorativa, impediscono di fruire di un sostentamento minimo per far fronte alle primarie esigenze proprie e del proprio nucleo familiare, non potendo il lavoratore fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico per un periodo temporale particolarmente rilevante; in tal modo si realizzerebbe un irragionevole bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, con conseguente detrimento del valore della dignità della persona, e si opererebbe di fatto una sorta di «coercizione indiretta» all’adempimento dell’obbligo vaccinale, con conseguente violazione della «libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria».

Il contrasto con l’art. 3 Cost. sarebbe, poi, ravvisabile anche sotto il duplice profilo della violazione del principio di eguaglianza e della irragionevolezza, in quanto le disposizioni censurate impongono la sospensione dal servizio con conseguente perdita della retribuzione a fronte di una condotta non integrante un illecito penale o disciplinare e precludono anche l’applicazione di quelle misure di sostegno che l’ordinamento riconosce in ipotesi di sospensione cautelare del lavoratore coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità.

2.– Le questioni non sono fondate.

3.– In base alla disciplina delineata dal legislatore per far fronte all’emergenza pandemica, la vaccinazione costituiva requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati.

Conseguentemente, come già osservato da questa Corte, la sospensione del lavoratore che non avesse ottemperato all’obbligo vaccinale rappresentava per il datore di lavoro «l’adempimento di un obbligo nominato di sicurezza, inserito nel sinallagma contrattuale» (sentenza n. 15 del 2023): tale misura è, infatti, coerente con l’obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 del codice civile e dall’art. 18 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). Del pari, sul versante della posizione dei lavoratori, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 rientrava nel novero degli obblighi di cura della salute e di sicurezza prescritti dall’art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008, nonché degli obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279 per i lavoratori addetti a particolari attività.

Il datore di lavoro, dunque, era tenuto ad adottare i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione del lavoratore dal momento dell’accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale e fino al suo assolvimento, ovvero fino al completamento del piano vaccinale nazionale o comunque fino al termine stabilito dalla stessa legge.

La mancata sottoposizione a vaccinazione, determinando, nei termini suddetti, la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere le proprie mansioni, comportava il venire meno (sia pure temporaneo) del sinallagma funzionale del contratto.

In applicazione del principio generale di corrispettività, l’assenza della prestazione lavorativa rende la previsione sulla mancata corresponsione della retribuzione così come di ogni altro compenso o emolumento (sentenza n. 15 del 2023) non contrastante con gli invocati parametri.

4.– Né può giungersi a diverse conclusioni con specifico riferimento alla mancata erogazione dell’assegno alimentare.

Come già chiarito da questa Corte, l’effetto stabilito dalle disposizioni censurate, a norma delle quali al lavoratore inadempiente all’obbligo vaccinale non sono dovuti, nel periodo di sospensione, «la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», giustifica «anche la non erogazione al lavoratore sospeso di un assegno alimentare (in misura non superiore alla metà dello stipendio, come, ad esempio, previsto per gli impiegati civili dello Stato dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957, e in altri casi dalla contrattazione collettiva), considerando che il lavoratore decide di non vaccinarsi per una libera scelta, in ogni momento rivedibile» (sentenza n. 15 del 2023).

Né possono ritenersi validi tertia comparationis le ipotesi – evocate dal giudice rimettente al fine di sostenere la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento – in cui sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, in base all’art. 82 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle diposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) o al contratto collettivo di comparto, come stabilito dall’art. 59 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e poi dall’art. 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

In questi casi, invero, la sospensione è una misura provvisoria, priva di carattere sanzionatorio e disposta cautelarmente nell’interesse pubblico, destinata ad essere travolta dall’esaurimento dei paralleli procedimenti; il che rende improponibile la comparazione svolta dal giudice a quo (sentenza n. 15 del 2023). Come rimarcato da questa Corte nella suddetta sentenza, «la scelta del legislatore di equiparare quei determinati periodi di inattività lavorativa alla prestazione effettiva trova lì giustificazione nella esigenza sociale di sostegno temporaneo del lavoratore per il tempo occorrente alla definizione dei relativi giudizi e alla verifica della sua effettiva responsabilità, ancora non accertata». Diversamente da tali ipotesi, in cui «il riconoscimento dell’assegno alimentare si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto», nel caso in esame «è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile».

5.– Tali conclusioni – ha chiarito questa Corte nella medesima pronuncia – non vengono intaccate pur aderendo alla tesi della natura assistenziale, e non retributiva, dell’assegno alimentare, in quanto comunque non può considerarsi soluzione costituzionalmente obbligata l’accollo al datore di lavoro, in chiave solidaristica, di una provvidenza di natura assistenziale, esulante dai diritti connessi al rapporto di lavoro, in favore del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi e che sia per ciò solo temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa.

6.– Alla luce delle considerazioni svolte, devono quindi dichiararsi non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui prevede per il personale della Polizia penitenziaria, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale anti SARS-CoV-2, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione, e comunque non contempla l’erogazione di un assegno alimentare.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi 1, lettera d), e 3, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come inserito dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione quinta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2024