Ordinanza n. 161 del 2024

ORDINANZA N. 161

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Emilia-Romagna 28 dicembre 2023, n. 17 (Disposizioni collegate alla legge regionale di stabilità per il 2024), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23 febbraio 2024, depositato in cancelleria il 27 febbraio 2024, iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;

udita nell’udienza pubblica del 3 luglio 2024 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

uditi l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Regione Emilia-Romagna;

deliberato nella camera di consiglio del 3 luglio 2024.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 5 del 2024), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Emilia-Romagna n. 17 del 2023, secondo cui, «[q]ualora il concessionario di derivazioni ad uso idroelettrico fino a 3000 kilowatt abbia ottenuto incentivi per la produzione di energia elettrica connessi alla derivazione, la durata della concessione, previa istanza presentata da parte del concessionario, è allineata al periodo incentivante di riconoscimento degli incentivi, ferma restando la durata massima trentennale prevista all’articolo 21 del Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775».

Con un primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», recati dagli artt. 21, 28 e 30 del r.d. n. 1775 del 1933. Questi ultimi, a differenza di quanto previsto dalla norma impugnata, subordinerebbero la possibilità del rinnovo delle concessioni per piccole derivazioni idroelettriche alla verifica della persistenza di talune condizioni di pubblico interesse.

Al contempo, il ricorrente ravvisa una lesione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 TFUE e all’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE, in quanto il legislatore regionale avrebbe accordato «al concessionario il beneficio della proroga automatica». L’Avvocatura generale dello Stato ritiene, infatti, che siano autonomamente vincolanti e applicabili alle concessioni di piccole derivazioni idroelettriche i principi concorrenziali di cui alle citate disposizioni, indipendentemente da quanto previsto in proposito dalla legislazione statale.

Infine, con un ulteriore motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia un vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la norma regionale impugnata avrebbe invaso la materia «tutela della concorrenza», di competenza legislativa esclusiva dello Stato, materia la cui accezione dovrebbe «riflettere quella operante in ambito comunitario».

2.– Con atto depositato il 2 aprile 2024, si è costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, sostenendo l’inammissibilità e comunque la non fondatezza delle questioni promosse.

3.– Questa Corte, riservata alla pronuncia definitiva la decisione concernente le eccezioni di rito sollevate dalla difesa regionale, nonché l’esame nel merito delle censure relative all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e all’art. 117, terzo comma, Cost., ritiene prioritario affrontare la questione promossa in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., relativamente all’art. 49 TFUE e all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

4.– In via preliminare, occorre illustrare, nei suoi tratti essenziali, l’impugnato art. 3 della legge reg. Emilia-Romagna n. 17 del 2023, nel quadro della disciplina statale prevista in materia di concessioni per piccole derivazioni idroelettriche.

4.1.– Le concessioni di piccole derivazioni idroelettriche sono regolate, a livello statale, dal r.d. n. 1775 del 1933, che le identifica in quelle il cui impianto sia caratterizzato dalla produzione di forza motrice con potenza nominale media annua pari o inferiore a 3000 kW (art. 6 del citato regio decreto).

In particolare, l’assegnazione di nuove concessioni di piccole derivazioni avviene, ai sensi degli artt. 7, 8, 9 e 12-bis del r.d. n. 1775 del 1933, attraverso una procedura concorrenziale.

Tutte le concessioni di piccole derivazioni a uso idroelettrico sono temporanee e la loro durata non può eccedere i trent’anni (art. 21 del r.d. n. 1775 del 1933).

Scaduto il termine delle concessioni di piccole derivazioni d’acqua, esse, sempre in base alla disciplina statale (art. 30 del r.d. n. 1775 del 1933), possono essere rinnovate in conformità a quanto dispone l’art. 28, comma 1-bis, del medesimo regio decreto, che richiede di accertare «l’effettivo fabbisogno idrico», in relazione alla specifica attività svolta, nonché il rispetto delle condizioni indicate dall’art. 12-bis, comma 1, del r.d. n. 1775 del 1933.

4.2.– Nel quadro della richiamata disciplina statale si colloca la norma regionale oggetto dell’odierno giudizio.

L’art. 3 della legge reg. Emilia-Romagna n. 17 del 2023 dispone una proroga legale della durata di concessioni di piccole derivazioni idroelettriche, alle seguenti condizioni: che vi sia l’istanza da parte del suo titolare; che la proroga serva a utilizzare integralmente l’incentivo ottenuto dal titolare della concessione per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; che il periodo di proroga, sommato alla durata originariamente prevista per la concessione, non superi i trent’anni, vale a dire il termine massimo che, in base all’art. 21 del r.d. n. 1775 del 1933, può essere previsto ab initio per assegnare una concessione di piccola derivazione idroelettrica.

5.– Il ricorrente sostiene che tale disciplina contrasti con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Quanto alla prima disposizione, per «giurisprudenza costante» – secondo quanto rileva la Corte di giustizia (sentenza 20 aprile 2023, in causa C-348/22, Autorità garante della concorrenza e del mercato, punto 36) – «qualsiasi misura nazionale adottata in un settore che è stato oggetto di un’armonizzazione esaustiva o completa a livello dell’Unione deve essere valutata in rapporto non alle disposizioni del diritto primario, ma a quelle di tale misura di armonizzazione» (sono citate, tra le altre, sentenze 12 ottobre 1993, in causa C37/92, Vanacker e Lesage, punto 9; 11 dicembre 2003, in causa C322/01, Deutscher Apothekerverband, punto 64; 14 luglio 2016, in cause riunite C458/14 e C67/15, Promoimpresa e altri, punto 59). Viene, inoltre, precisato – tramite un richiamo al punto 61 della sentenza Promoimpresa – che «gli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123 provvedono a un’armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel loro campo di applicazione» (punto 37 della citata sentenza AGCM).

Per tali ragioni, l’asserita lesione della libertà di stabilimento, di cui all’art. 49 TFUE, deve essere valutata attraverso le coordinate normative delineate dalla disciplina secondaria.

In particolare, il ricorrente assume violato l’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE, in base al quale, nei casi di cui al paragrafo 1 – vale a dire ove sia limitato il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili – «l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami».

6.– Ebbene, proprio con riferimento alla possibilità che il perimetro della direttiva 2006/123/CE, con il relativo art. 12, ricomprenda le concessioni di piccole derivazioni idroelettriche e osti a una normativa qual è quella impugnata nell’odierno giudizio, questa Corte ravvisa dubbi interpretativi.

Pertanto, in uno spirito di leale collaborazione (ordinanze n. 29 del 2024, n. 217 e n. 216 del 2021, n. 182 del 2020 e n. 117 del 2019), ritiene di dover promuovere un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea in merito ai profili di seguito illustrati.

7.– Anzitutto, è necessario che venga chiarito se l’attività di produzione di energia, mediante impianti connessi a piccole derivazioni idroelettriche, sia qualificabile come prestazione di un servizio – come tale soggetta alla direttiva 2006/123/CE – ovvero come produzione di un bene.

La direttiva 2006/123/CE riguarda, infatti, le prestazioni di servizi, che l’art. 4, paragrafo 1 – per il tramite di un rinvio all’art. 50 del Trattato della Comunità europea, attualmente art. 57 TFUE – identifica nelle «prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. I servizi comprendono in particolare: a) attività di carattere industriale; b) attività di carattere commerciale; c) attività artigiane; d) attività delle libere professioni».

Sennonché, gli impianti di derivazione idroelettrica servono a sfruttare l’energia cinetica dell’acqua per produrre energia elettrica, che il diritto dell’Unione europea sembra qualificare, non diversamente dai diritti nazionali, alla stregua di un bene (o merce o prodotto).

7.1.– In particolare, la Corte di giustizia, sin dalla sentenza 27 aprile 1994, in causa C-393/92, Comune di Almelo e altri, punto 28, ha dichiarato essere «pacifico in diritto comunitario, come d’altronde nei diritti nazionali, che l’energia elettrica costituisce una merce ai sensi dell’art. 30 del Trattato. Infatti, essa è considerata merce nell’ambito della nomenclatura doganale comunitaria (codice NC 27.16). Del resto, la Corte ha riconosciuto, nella sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa/Enel (Racc. pag. 1127), che l’energia elettrica può rientrare nel campo di applicazione dell’art. 37 del Trattato».

Più di recente, la Corte di Giustizia, sentenza 28 maggio 2020, in causa C-727/17, Syndyk Masy, ha espressamente qualificato l’attività di produzione di energia come «produzione di un prodotto», non assimilabile alla prestazione di un servizio. La citata sentenza (punti da 53 a 57) ha, in particolare, stabilito che «la direttiva 2006/123, conformemente al suo articolo 2, paragrafo 1, si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro, salvo le attività e i settori di cui all’articolo 2, paragrafi 2 e 3. Conformemente all’articolo 4, punto 1, di tale direttiva, poi, ai fini di quest’ultima, il “servizio” è inteso come qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 57 TFUE, fornita normalmente dietro retribuzione. Infine, il considerando 76 di detta direttiva precisa che le restrizioni vietate in forza di tale disposizione del trattato FUE riguardano i requisiti applicabili all’accesso alle attività di servizi o al loro esercizio e non quelli applicabili alle merci in quanto tali. Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che, sebbene [la disposizione oggetto del rinvio] stabilisca una restrizione territoriale quanto all’installazione delle centrali eoliche, tale disposizione riguarda l’attività di produzione di un prodotto, ossia l’elettricità. Orbene, da una giurisprudenza consolidata risulta che l’attività di produzione di un prodotto non può essere considerata, in quanto tale, come un servizio (v., in tal senso, sentenze del 7 maggio 1985, Commissione/Francia 18/84, […] punto 12, nonché dell’11 luglio 1985, Cinéthèque e a., 60/84 e 61/84, […] punto 10)».

Né conta – prosegue la Corte di giustizia – che «l’attività di produzione di elettricità [sia] svolta unitamente alla prestazione di servizi di regolazione di rete e di servizi di tutela dei prezzi dell’energia[, posto che] detti servizi sono accessori all’attività principale di produzione di elettricità» (punto 59).

7.2.– Se questi sono gli indici interpretativi che si desumono dai precedenti della Corte di giustizia, ulteriori elementi nel senso della qualificazione dell’elettricità quale bene (o prodotto) sembrano trarsi da alcune fonti del diritto dell’Unione europea.

Tra queste si può annoverare, in primo luogo, l’art. 2 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, che considera espressamente l’elettricità quale prodotto (qualificazione che continua a rinvenirsi nell’art. 4 della proposta di direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi, che abroga la direttiva 85/374/CEE, nel testo attualmente approvato dal Parlamento europeo e dalla Commissione).

In secondo luogo, si deve richiamare l’art. 15 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, che assimila l’energia elettrica ai beni materiali.

Infine, occorre rilevare che anche l’Allegato I al regolamento (CE) n. 213/2008 della Commissione, del 28 novembre 2007 – recante modifica del regolamento (CE) n. 2195/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al vocabolario comune per gli appalti pubblici (CPV) e delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relative alle procedure per gli appalti pubblici, per quanto riguarda la revisione del CPV (Testo rilevante ai fini del SEE) – classifica l’energia fra i beni (con il codice 09310000-5).

7.3.– A ciò si aggiunga che il diritto dell’Unione europea ha previsto una disciplina ispirata all’esigenza di separare la produzione di energia da attività sicuramente riconducibili a prestazioni di servizi, quali: la trasmissione, lo stoccaggio, la distribuzione e gli altri servizi ausiliari.

Alla filiera dell’energia il diritto dell’Unione europea ha dedicato articolati complessi normativi (tra il 1996 e il 1998 il First Energy Package; nel 2003 il Second Energy Package; nel 2009 il Third Energy Package; nel 2019 il Clean Energy for all Europeans Package e, infine, a partire dal 2022, le fonti emanate in attuazione del piano REPowerEU).

In particolare, fra gli obiettivi perseguiti si segnalano la liberalizzazione e la separazione delle attività di produzione, di importazione, di trasmissione e di distribuzione dell’energia elettrica (cosiddetto unbundling; artt. 14 e 15 della direttiva 96/92/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica; di seguito, art. 10 della direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE – Dichiarazioni riguardanti lo smantellamento di impianti e le attività di gestione dei rifiuti; poi gli artt. 9 e 14 della direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE; infine, gli artt. 35 e 43 della direttiva 2019/944/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che modifica la direttiva 2012/27/UE).

Il processo di separazione delle attività – affidato dall’Unione europea a un approccio graduale riferito dapprima al piano contabile, poi a quello giuridico, sino a giungere, in taluni casi, a una prospettiva imperniata sulla separazione proprietaria (full ownership unbundling) – è stato attuato in Italia con la previsione, in capo all’impresa ex monopolista, degli obblighi: di separare la proprietà dell’attività produttiva da quella della trasmissione; di tenerla distinta, sul piano dell’organizzazione e del potere decisionale, dalla distribuzione dell’energia; di separare, sempre sul piano dell’organizzazione e del potere decisionale, l’attività di vendita, nel caso di imprese le cui reti alimentino almeno 100.000 clienti finali (artt. 3 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, recante «Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica», e 1, comma 1, del decreto-legge 18 giugno 2007, n. 73, recante «Misure urgenti per l’attuazione di disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell’energia», convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2007, n. 125, nonché artt. 36 e 38 del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, recante «Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE»).

In tale quadro, non solo coerente con il diritto dell’UE, ma direttamente attuativo dello stesso, i piccoli impianti di derivazione idroelettrica svolgono una funzione di mera produzione dell’energia elettrica, finalizzata talora alla sua cessione, attraverso l’immissione nella rete, talora alla sua destinazione, in via prevalente, se non esclusiva, all’autoconsumo.

Al riguardo, occorre altresì evidenziare che la mera cessione di beni o il prelievo di beni destinati all’uso proprio non sembrano rientrare fra le “prestazioni di servizi” (artt. 14 e 24 della direttiva 2006/112/CE).

7.4.– A fronte dei richiamati indici che sembrerebbero deporre nel senso dell’inquadramento della produzione di energia fra le attività produttive di un bene (supra, punti 7.1., 7.2. e 7.3.), si deve, nondimeno, segnalare che l’Allegato I al già citato regolamento (CE) n. 213/2008, relativo alle procedure per gli appalti pubblici, per quanto riguarda la revisione del CPV (Testo rilevante ai fini del SEE), considera, per converso, la gestione di una centrale elettrica quale servizio (con il codice 65410000-0).

7.5.– Risulta, allora, dirimente che sia sciolto il dubbio in merito alla qualificazione dell’attività di produzione dell’energia, in quanto tale, come produzione di un bene o prestazione di un servizio.

Solo se la produzione di energia, benché separata dalle attività di trasmissione, di distribuzione e dagli altri servizi propri della fornitura di energia elettrica, venisse considerata quale prestazione di un servizio, dovrebbe, infatti, reputarsi soggetta alla disciplina dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Viceversa, dovrebbe ritenersi applicabile all’attività di produzione di energia esclusivamente la disciplina concernente il mercato interno dell’energia che, a tutela della libertà di stabilimento, prevede l’adozione di una procedura di autorizzazione informata a criteri di obiettività, trasparenza e non discriminazione per la costruzione di nuovi impianti di generazione, ma nulla dispone in merito a possibili proroghe o rinnovi (art. 8 della direttiva 2019/944/UE).

Del resto, la stessa disciplina relativa alla libera prestazione di servizi, dettata dall’art. 16 della direttiva 2006/123/CE, non trova applicazione ai servizi di interesse economico generale previsti nel settore dell’energia «dalla direttiva 2003/54/CE» (come espressamente dispone l’art. 17, paragrafo 1, lettera b, della stessa direttiva servizi).

8.– Di seguito, qualora in risposta al primo quesito la Corte di giustizia ritenesse di qualificare l’attività di produzione dell’energia elettrica come prestazione di un servizio, questa Corte ravvisa, in via subordinata, un ulteriore profilo che merita un chiarimento interpretativo.

Esso concerne la riferibilità ai piccoli impianti di derivazione idroelettrica del presupposto della scarsità delle risorse, che – in base al paragrafo 1 dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE – condiziona l’applicabilità del paragrafo 2 del medesimo articolo.

8.1.– La Corte di giustizia, intervenendo in materia di concessioni balneari, con la già citata sentenza AGCM, ha precisato che «la combinazione di un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e di un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione, risulta equilibrata e, pertanto, idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste che possono essere definiti a livello nazionale, assicurando al contempo l’appropriatezza dell’attuazione concreta di tali obiettivi nel territorio costiero di un comune» (punto 47).

D’altro canto, nella medesima sentenza la Corte di giustizia non ha escluso che sussista per gli Stati membri «un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. Tale margine di discrezionalità può condurli a preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso» (punto 46).

8.2.– Ebbene, il legislatore italiano è intervenuto in materia di grandi derivazioni idroelettriche con una disciplina ispirata ai principi di trasparenza, non discriminazione e competitività, applicabile non solo alla assegnazione di nuove concessioni, ma anche alla fase successiva alla loro scadenza (art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, che è stato oggetto di ripetuti interventi modificativi, sino alla recente novella introdotta con l’art. 7 della legge 5 agosto 2022, n. 118, recante «Legge annuale per la concorrenza e il mercato 2021»).

Le grandi derivazioni richiedono, infatti, infrastrutture – tramite la creazione di dighe e di bacini di raccolta – il cui impatto ambientale è tale da poter porre limiti alla installazione di nuovi impianti idroelettrici.

Per converso, le piccole derivazioni idroelettriche si avvalgono normalmente di impianti con un limitato impatto ambientale e di strutture che hanno dimensioni relativamente ridotte. Come si evince dalla guida della European Small Hydropower Association (ESHA), per poter alimentare una piccola derivazione si utilizzano prevalentemente turbine, che sfruttano non solo corsi d’acqua (impianti ad acqua fluente), ma anche serbatoi preesistenti (impianti con la centrale al piede diga) o canali irrigui (impianti inseriti in canali irrigui) o ancora sistemi di approvvigionamento potabile (impianti inseriti in sistemi di approvvigionamento potabile).

8.3.– Occorre, pertanto, chiarire se rientri nel margine di discrezionalità degli Stati membri – compatibile con l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE – adottare, quale criterio generale e astratto per distinguere la sussistenza o insussistenza di una situazione di scarsità delle risorse idroelettriche, la differenza fra grandi e piccole derivazioni (nello specifico fra impianti caratterizzati dalla produzione di forza motrice con potenza nominale media annua maggiore o, viceversa, pari o inferiore a 3000 kW).

9.– Infine, e in via ulteriormente subordinata, ove la Corte di giustizia, in risposta al primo quesito, qualificasse l’attività di produzione dell’energia elettrica come prestazione di un servizio e, in risposta al secondo quesito, reputasse imprescindibile la previsione di un accertamento caso per caso del requisito della scarsità delle risorse, questa Corte ritiene di dover sottoporre un ulteriore quesito concernente l’interpretazione dell’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE.

9.1.– Quest’ultimo stabilisce che «[n]ei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami».

A tal riguardo, la Corte di giustizia ha chiarito che simile disposizione osta a una disciplina «che prevede una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni», in quanto essa «equivale a un loro rinnovo automatico, che è escluso dai termini stessi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123)» (sentenza Promoimpresa, punto 50). Inoltre, «la proroga automatica di autorizzazioni […] non consente di organizzare una procedura di selezione come descritta al punto 49 della presente sentenza» (punto 51), vale a dire imparziale e trasparente.

9.2.– Pur a fronte di tale indicazione, questa Corte ritiene, nondimeno, incerto se si possa ascrivere alla nozione di vantaggio al prestatore uscente, di cui all’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE, anche una proroga legale, come quella disposta dalla norma regionale oggetto dell’odierno giudizio.

Essa, per un verso, serve ad allineare la durata della concessione a quella necessaria a fruire integralmente degli incentivi statali ottenuti dal concessionario per la produzione di energia da fonti rinnovabili, il che sembra differenziare la condizione del concessionario rispetto a quella del prestatore uscente che consegue un immotivato vantaggio. Per un altro verso, la medesima proroga incontra il limite di non poter superare, sommata alla durata originariamente fissata per la concessione, il termine massimo che sin dall’inizio poteva essere assegnato, in base alla legislazione statale, per una concessione di piccola derivazione idroelettrica.

Si segnala, peraltro, che tale limite massimo indicato dalla normativa statale è fissato in trent’anni: vale a dire una durata che risulta relativamente contenuta rispetto al tipo di attività implicata.

Al riguardo, il quadro che offre la comparazione fra gli Stati membri vede, infatti, variare tale durata dai trent’anni (previsti, oltre che in Italia e in Germania, rispettivamente, art. 21 del r.d. n. 1775 del 1933 e art. 14, comma 2, del Gesetz zur Ordnung des Wasserhaushalts – WHG), ai settantacinque anni (stabiliti in Francia, artt. L521-4 e L531-2 del Code de l’énergie, come modificato dalla legge n° 2023-175 del 10 marzo 2023, relative à l'accélération de la production d’énergies renouvelables; in Spagna, art. 59, comma 4, del Real Decreto Legislativo 1/2001, del 20 luglio 2001, Texto refundido de la Ley de Aguas – TRLA; in Portogallo, art. 68, comma 6, della legge 29 dicembre 2005, n. 58, Lei da Água), sino ai novant’anni (contemplati in Austria, paragrafo 21, comma 1, del Wasserrechtsgesetz 1959 - WRG 1959).

10.– Tanto premesso, questa Corte sospende il giudizio in corso e sottopone alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni pregiudiziali:

a) se l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE debba essere interpretato nel senso della sua applicabilità anche a impianti che svolgono attività di mera produzione di energia elettrica, quali gli impianti di piccole derivazioni idroelettriche;

b) in caso di risposta affermativa al primo quesito, se l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE debba essere interpretato nel senso che il riferimento al requisito della scarsità delle risorse osti a una disciplina di uno Stato membro che si avvalga, quale criterio generale e astratto per distinguere l’attitudine o meno degli impianti di derivazione a rendere scarsa la risorsa idroelettrica, della differenza fra grandi e piccoli impianti (che rispettivamente producono una forza motrice con potenza nominale media annua maggiore o, viceversa, pari o inferiore a 3000 kW);

c) infine, in caso di risposta affermativa al primo e al secondo quesito, se l’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE debba essere interpretato nel senso che esso osti a una disciplina di uno Stato membro che preveda una proroga della durata della concessione, motivata dall’esigenza di consentire al concessionario l’utilizzo integrale degli incentivi ottenuti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, fermo restando il rispetto della durata massima (trent’anni) che sin dall’inizio può essere assegnata a una concessione per piccola derivazione idroelettrica.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dispone di sottoporre, in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, alla Corte di giustizia dell’Unione europea, le seguenti questioni pregiudiziali:

a) se l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, debba essere interpretato nel senso della sua applicabilità anche a impianti che svolgono attività di mera produzione di energia elettrica, quali gli impianti di piccole derivazioni idroelettriche;

b) in caso di risposta affermativa al primo quesito, se l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE debba essere interpretato nel senso che il riferimento al requisito della scarsità delle risorse osti a una disciplina di uno Stato membro che si avvalga, quale criterio generale e astratto per distinguere l’attitudine o meno degli impianti di derivazione a rendere scarsa la risorsa idroelettrica, della differenza fra grandi e piccoli impianti (che rispettivamente producono una forza motrice con potenza nominale media annua maggiore o, viceversa, pari o inferiore a 3000 kW);

c) infine, in caso di risposta affermativa al primo e al secondo quesito, se l’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE debba essere interpretato nel senso che esso osti a una disciplina di uno Stato membro che preveda una proroga della durata della concessione, motivata dall’esigenza di consentire al concessionario l’utilizzo integrale degli incentivi ottenuti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, fermo restando il rispetto della durata massima (trent’anni) che sin dall’inizio può essere assegnata a una concessione per piccola derivazione idroelettrica;

2) sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddette questioni pregiudiziali;

3) ordina la trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2024