Sentenza n. 131 del 2024

SENTENZA N. 131

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario); dell’art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario); dell’art. 6 della legge della Regione Lazio 29 aprile 2013, n. 2, recante «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2013 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)» e dell’art. 6, comma 3, della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, promosso dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 28, nel procedimento vertente tra Roma Cruise Terminal srl e Regione Lazio, con ordinanza del 21 marzo 2023, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2023.

Visti gli atti di costituzione di Roma Cruise Terminal srl, della Regione Lazio, quest’ultima fuori termine, nonché l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 giugno 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi gli avvocati Fiorella Titolo e Alfonso Magliulo per Roma Cruise Terminal srl e l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 4 giugno 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 21 marzo 2023, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2023, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 28 (di seguito: CGT), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario), dell’art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) e dell’art. 6 della legge della Regione Lazio 29 aprile 2013, n. 2, recante «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2013 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)», «nella parte in cui sottopongono alla imposta sulle concessioni demaniali marittime le concessioni rilasciate dalle Autorità di Sistema Portuale», in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, nonché dell’art. 6, comma 3, della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, «limitatamente all’inciso “ivi comprese quelle rilasciate e gestite dalle autorità portuali”», in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

Il rimettente espone che dette questioni sono sorte a seguito di un ricorso proposto dalla società Roma Cruise Terminal srl, che aveva ricevuto in concessione l’area demaniale del porto di Civitavecchia dall’Autorità di sistema portuale (di seguito: AdSP) del mar Tirreno centro settentrionale, avverso un avviso di accertamento e contestuale atto di irrogazione di sanzioni notificato dalla Regione Lazio per l’omesso pagamento dell’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo di cui all’art. 6 della citata legge regionale.

2.‒ Il giudice a quo premette che le questioni sarebbero rilevanti poiché «[l]’accoglimento della prospettazione determinerebbe la incostituzionalità della imposta (in parte qua)» e quindi «scioglierebbe definitivamente il merito del ricorso con carattere del tutto assorbente»; chiarisce altresì che la disposizione censurata sarebbe evidentemente diretta ad applicare l’imposta regionale anche alle concessioni demaniali marittime rilasciate e gestite dalle AdSP, sicché non potrebbe esserne tentata un’interpretazione costituzionalmente orientata.

3.‒ Quanto alla non manifesta infondatezza, secondo la CGT, in primo luogo, vi sarebbe un contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. per mancato rispetto dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, perché il presupposto dell’imposta regionale non sarebbe riferibile ad una manifestazione di ricchezza concreta ed effettiva.

3.1.‒ Il rimettente evidenzia che, poiché tale presupposto si identificherebbe in «una concessione traslativa a fronte della quale è corrisposto un canone concessorio», questo non sarebbe «conforme alla realtà economica sottostante, e quindi al parametro della capacità contributiva», ed anzi risulterebbe «contrario a principi di logica e di ragionevolezza nella misura in cui sottopone ad una imposta un componente negativo della forza economica del contribuente».

Il rimettente fonda il proprio percorso argomentativo sulla distinzione tra «concessioni pure» e «concessioni contratto».

Le prime sarebbero riconducibili alle concessioni di aree demaniali marittime destinate ad «attività turistico ricreative, sportive, abitative anche correlate alla nautica da diporto», in cui il canone è «determinato preventivamente in maniera generale e astratta»; le seconde, invece, riguarderebbero quelle rilasciate per servizi pubblici e attività portuali, in cui è la concessione che definisce l’importo del canone secondo regole «di mercato attraverso la regolazione dello stesso esercitata dalla AdSP (scelta del bene, procedura ad evidenza pubblica, durata della concessione etc.)».

In base a questa distinzione, la CGT, in sostanza, evidenzia che nelle «concessioni pure» il canone assumerebbe la finalità di consentire l’acquisto del godimento in sé considerato del bene demaniale, sicché il concessionario si comporterebbe come «consumatore finale» e, pertanto, il canone corrisposto sarebbe sintomo della sua forza economica.

Invece, nelle «concessioni contratto», «la concessione è finalizzata allo svolgimento dell’attività imprenditoriale. Il canone si inserisce non alla fine del percorso economico come consumo-manifestazione di forza economica, ma all’inizio di un processo economico destinato a produrre ricchezza, quindi come debolezza economica legata al rischio». Pertanto, ad essere sottoposto a imposizione sarebbe un costo della produzione del tutto avulso da qualsiasi indice di capacità contributiva perché lo stesso «[n]on è reddito, non patrimonio, soprattutto non è consumo né risparmio, anzi essendo investimento è economicamente una riduzione della ricchezza in vista di una aspettativa di maggior ricavo e guadagno».

4.‒ In secondo luogo, il rimettente prospetta il contrasto delle disposizioni censurate in riferimento agli stessi artt. 3 e 53 Cost., in particolare sotto il diverso profilo della violazione dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva «attraverso la violazione del divieto di doppia imposizione».

Evidenzia a tal proposito che: a) l’imposta regionale ha il suo presupposto nella titolarità di una concessione demaniale; b) il soggetto inciso è il titolare della concessione; c) la base imponibile è determinata in misura proporzionale al canone corrisposto.

Si tratterebbe, quindi, del medesimo presupposto, soggetto passivo e base imponibile dell’imposta di registro, che grava sulle concessioni demaniali marittime ai sensi dell’art. 5, comma 2, della Parte prima della Tariffa, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro).

Di conseguenza, vi sarebbe violazione dell’art. 53 Cost., data la doppia imposizione che «duplica, immotivatamente, la capacità contributiva che giustifica il prelievo», nonché dell’art. 3 Cost. per contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto «per l’identico fatto giuridico il cittadino [verrebbe] inciso due volte da due imposte apparentemente diverse aventi non solo il medesimo presupposto, i soggetti e la base imponibile, ma altresì la medesima struttura impositiva (cioè il fine di colpire la manifestazione di ricchezza) come se lo stesso contribuente si sdoppiasse dinanzi al potere impositivo».

5.‒ Infine, per il giudice rimettente l’art. 6, comma 3, della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto, nel disciplinare il nuovo tributo, «ormai proprio in senso stretto», violerebbe, in particolare, i principi fondamentali «di continenza e correlazione, cioè la connessione indefettibile tra l’esercizio di funzioni amministrative e l’imposizione fiscale strettamente necessaria a reperirne le risorse e la identità del soggetto impositore e di quello erogatore».

Tali principi, previsti dall’art. 2, comma 2, lettera p), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), risulterebbero violati perché il legislatore statale non avrebbe mai operato, con riguardo ai porti di rilevanza nazionale e internazionale, qual è quello di Civitavecchia, trasferimenti di funzioni amministrative alle regioni.

Poiché, quindi, «[g]li ambiti portuali ricompresi nei distretti delle AdSP, come quello di Civitavecchia, rimangono […] di esclusiva competenza statale», non sarebbe ravvisabile alcuna connessione tra l’esercizio di funzioni amministrative e l’imposizione fiscale.

6.‒ È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

6.1.‒ In via preliminare ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per non avere il rimettente sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata e per non essersi confrontato, in particolare, «con l’orientamento, ormai consolidato del diritto vivente».

A tal proposito, riporta i passaggi contenuti nell’ordinanza della Corte di cassazione, sezione sesta civile, 19 ottobre 2021, n. 28961 che, dopo avere affermato la piena applicabilità del tributo in questione anche alle concessioni demaniali marittime di competenza delle AdSP, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. della medesima disposizione regionale ora censurata.

6.2.‒ Con riferimento al merito, la difesa erariale ha evidenziato che non sarebbe corretta la distinzione tra «concessioni pure» e «concessioni contratto», operata dal giudice rimettente al fine di motivare la censura relativa alla violazione dell’art. 53 Cost.

Non solo, infatti, mancherebbe una norma tipizzante la distinzione, ma questa sarebbe da considerarsi superata perché per tutte le concessioni su beni demaniali il canone non costituirebbe solo il corrispettivo per l’uso del bene, ma andrebbe pur sempre ricollegato all’attività svolta dal concessionario e alla relativa redditività economica.

Quindi, anche nelle concessioni demaniali marittime rilasciate dalle AdSP, il presupposto del tributo troverebbe fondamento nell’utilizzazione esclusiva del bene statale, che comporterebbe un incremento economico in favore del concessionario, con la conseguenza che sussisterebbe «una ragionevole connessione oggettiva tra il presupposto del tributo e la manifestazione di ricchezza, tale da giustificare la prestazione patrimoniale imposta, ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost.».

6.3.‒ Secondo la difesa statale, inoltre, non sussisterebbe alcuna duplicazione tra l’imposta regionale e quella di registro sulle concessioni demaniali, «in quanto la prima si riferisce a un servizio reso da un porto (AdSP), la seconda a un servizio reso dall’Ufficio del Registro dell’Agenzia delle Entrate», per cui quest’ultima imposizione «ha lo scopo di remunerare lo Stato per il servizio che offre ai privati, quale la conservazione dell’atto in modo da conferirgli certezza giuridica».

6.4.‒ Infine, sarebbe non fondata anche la censura per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto il presupposto dell’imposta delle concessioni demaniali marittime dovrebbe essere individuato nel fatto oggettivo dell’utilizzazione esclusiva del bene statale, «piuttosto che nell’aspetto soggettivo dell’autorità che rilascia la concessione», per cui perderebbe ogni «rilevanza la distinzione tra la natura regionale del tributo e la natura statuale della concessione, atteso che il presupposto d’imposta fissato dal legislatore non può sussistere o meno a seconda del soggetto che rilascia l’atto concessorio».

7.‒ Si è costituita in giudizio Roma Cruise Terminal srl chiedendo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente e ribadendo, in sostanza, le argomentazioni seguite nell’ordinanza di rimessione.

7.1.‒ In particolare, la parte ha evidenziato che il «campo materiale» definito dall’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 per trasformare in tributo proprio l’imposta sulle concessioni sarebbe stato limitato solo agli artt. 1, 5 e 6 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 1993, n. 494, senza essere stato esteso all’art. 7 del medesimo decreto-legge, che disciplina specificamente la determinazione del canone di concessione rilasciate dalle AdSP.

Nel caso di specie, quindi, non vi sarebbe stata alcuna trasformazione del tributo da parte della Regione Lazio, ma solo l’illegittima istituzione di un nuovo tributo autonomo dato il contrasto, in particolare, con il principio fondamentale di correlazione fra titolarità, competenza e responsabilità amministrativa.

7.2.‒ La parte, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria con la quale ha insistito nelle conclusioni già rassegnate e ha, altresì, replicato alle argomentazioni dell’atto di intervento della difesa statale.

Circa l’eccezione di inammissibilità delle questioni evidenzia che il giudice a quo «affida a ben tre paragrafi, dedicati specificamente al tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata, la relativa questione», pervenendo alla conclusione che, tenuto conto del chiaro tenore letterale della disposizione regionale, non era possibile alcuna interpretazione conforme.

Né, aggiunge, potrebbe avere rilievo la considerazione della difesa statale secondo cui già la Corte di cassazione si sarebbe espressa per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata in quel giudizio dalla parte, sia in quanto quella interpretazione confermerebbe il dubbio di illegittimità costituzionale, sia in quanto quel decisum non potrebbe avere alcun «rilievo sul piano processuale», poiché «sulla delibazione pregiudiziale in ordine alla legittimità costituzionale del parametro legislativo non può formarsi “giudicato”».

Con riferimento al merito, nella memoria la parte replica all’argomento della difesa statale per cui il tributo «non sarebbe altro che la “trasformazione” ad opera del d.lgs. 682011 di un “tributo regionale derivato” in “tributo regionale proprio”» e ribadisce, sul punto, le considerazioni già svolte con l’atto di costituzione circa la natura di tributo regionale autonomo dell’imposta.

Infine, la parte argomenta anche in ordine all’irragionevolezza della disposizione censurata, sia sotto il profilo della mancanza di capacità contributiva che della violazione del divieto di doppia imposizione.

8.‒ Anche la difesa statale ha depositato una memoria con la quale ha insistito nelle conclusioni già svolte.

A ulteriore supporto dell’eccezione di inammissibilità per mancato confronto con il diritto vivente, richiama la recente sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, 20 febbraio 2024, n. 4453 che avrebbe ribadito i princìpi già espressi con l’ordinanza n. 28961 del 2021, richiamata nell’atto di intervento.

9.‒ Con atto depositato il 7 maggio 2024 si è costituita, tardivamente, la Regione Lazio che ha chiesto il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 28 (di seguito: CGT), con ordinanza del 21 marzo 2023, iscritta al n. 134 reg. ord. 2023, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 281 del 1970, dell’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 e dell’art. 6 della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, «nella parte in cui sottopongono alla imposta sulle concessioni demaniali marittime le concessioni rilasciate dalle Autorità di Sistema Portuale», (di seguito: AdSP), in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nonché dell’art. 6, comma 3, della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, limitatamente all’inciso «ivi comprese quelle rilasciate e gestite dalle autorità portuali», in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

2.– In primo luogo, la CGT solleva questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 281 del 1970, dell’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 e dell’art. 6 della legge reg. Lazio n. 2 del 2013 per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. in quanto il presupposto assunto dall’imposta regionale non potrebbe costituire un ragionevole indice di capacità contributiva.

Nelle concessioni rilasciate dalle AdSP, qualificate dal rimettente come «concessioni contratto» per distinguerle da quelle «pure», infatti, il canone corrisposto dal concessionario: a) non sarebbe predeterminato in base a criteri normativi generali e astratti, ma stabilito secondo il mercato; b) non potrebbe essere posto in relazione al godimento finale del bene ma costituirebbe un costo per l’attività produttiva svolta dal concessionario; c) dovrebbe quindi rilevare come elemento negativo dell’attività di impresa e non come indice di capacità contributiva.

3.‒ Con la seconda questione, il giudice rimettente censura le medesime disposizioni in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. per violazione dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, «attraverso la violazione del divieto di doppia imposizione», in quanto il presupposto del tributo, il soggetto passivo e la sua base imponibile sarebbero i medesimi dell’imposta di registro di cui all’art. 5, comma 2, della Parte prima della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.

4.‒ La terza questione, infine, ha ad oggetto la disposizione di cui all’art. 6, comma 3, della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, che violerebbe l’art. 117, comma terzo, Cost. in quanto l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, estesa dalla Regione anche a quelle rilasciate dalle AdSP, costituirebbe un nuovo tributo proprio autonomo contrastante con i principi fondamentali di correlazione e continenza, introdotti dall’art. 2, comma 2, lettera p), della legge n. 42 del 2009. Ciò in quanto gli ambiti portuali ricompresi nelle circoscrizioni territoriali delle AdSP, come quello di Civitavecchia, sarebbero rimasti di competenza legislativa esclusiva statale, senza alcun trasferimento di funzioni amministrative alle regioni.

5.‒ Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Lazio, avvenuta in data 7 maggio 2024 e quindi ben oltre il termine, prescritto dall’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, che era scaduto il 7 novembre 2023.

6.‒ Va poi disattesa l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato per non avere il rimettente sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa erariale il giudice a quo, infatti, risulta avere chiaramente escluso la possibilità di una tale interpretazione.

Quanto all’eccezione relativa al mancato confronto con il diritto vivente, va invece ribadito che, nei termini prospettati, si tratta di un profilo che non attiene all’ammissibilità delle questioni sollevate. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la «correttezza o meno dell’esegesi presupposta dal rimettente – e, più in particolare, la superabilità o non superabilità degli ostacoli addotti a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata – attiene invece al merito, e cioè alla successiva verifica di fondatezza della questione stessa» (ex plurimis, sentenza n. 219 del 2022).

7.‒ La prima questione, relativa alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost., per contrasto con i principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, non è fondata.

7.1. ‒ La giurisprudenza di legittimità ha posto in evidenza che la portata applicativa dell’art. 2 della legge n. 281 del 1970 è stata, in un primo momento, condizionata dall’interpretazione fornita in via amministrativa da diverse circolari e note emesse dalle amministrazioni centrali che, valorizzando, come il rimettente, la distinzione tra le «concessioni contratto» e quelle «pure», avevano ritenuto non applicabile l’imposta alle concessioni rilasciate dalle AdSP.

In particolare è stata ricordata «la nota del Ministero dei Trasporti (Direzione generale per i porti) che richiamando la circolare 365/1972 del MEF, la nota 12848/2011 della stessa Direzione, e la nota 3049/2012 della Direzione del federalismo fiscale del MEF, chiaramente afferma che per le concessioni dei beni demaniali marittimi rilasciate dalle autorità portuali non si applica l’imposta regionale in questione, considerando che le autorità portuali determinano esse stesse il canone. La circolare si fonda anche implicitamente sulla distinzione tra le concessioni contratto e le concessioni per le quali il canone è determinato dalla legge perché è richiamato anche un parere dell’Avvocatura dello Stato del 1971, che in tal senso si esprimeva» (Corte di cassazione, sezione quinta civile, ordinanza 10 giugno 2021, n. 16273).

Secondo la Corte di cassazione, tuttavia, l’orientamento interpretativo operato in via amministrativa assume rilievo unicamente al fine di ritenere sussistente una situazione di obiettiva incertezza sulla portata applicativa della disposizione censurata, idonea a determinare un «legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 10 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente)» (ancora, Cass., n. 16273 del 2021; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 15 maggio 2023, n. 13289) e ad escludere quindi l’applicabilità di interessi moratori e sanzioni.

Dal punto di vista, invece, dell’applicabilità del tributo anche alle concessioni rilasciate dalle AdSP, la Corte di cassazione ha chiaramente evidenziato di avere disatteso, «con giurisprudenza che si è consolidata dall’anno 2015 in poi» (ancora, Cass., n. 16273 del 2021), il suddetto orientamento interpretativo delle amministrazioni centrali.

A tal proposito, in primo luogo, ha precisato che «[i]l tributo in questione, fissato in sede di normativa regionale, nei su[o]i presupposti impositivi, soggetti passivi, base imponibile, aliquota e sanzioni, trova piena applicazione anche alle concessioni per l’occupazione e l’uso di beni del demanio restando unicamente demandata alla facoltà dell’Autorità portuale di determinare, con normativa secondaria, l’ammontare della base imponibile, nel rispetto del principio della riserva di legge, relativa, posta dall’art. 23 Cost., sulla base di criteri predeterminati (Cass. S.U. n. 18262/2004; 21136/2016 e 6061/2017)» (Cass., n. 28961 del 2021).

In secondo luogo, ha costantemente affermato che il presupposto dell’imposta sulle concessioni di beni del demanio marittimo «va collegato all’utilizzo da parte del concessionario di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato, assumendo rilievo il fatto oggettivo della relazione materiale concretamente instaurata con la cosa, a prescindere dal titolo che consentendola, rende legittimo il godimento ovvero l’utilizzo» (Cass., n. 16273 del 2021; nello stesso senso, Cass., n. 4453 del 2024).

7.2.‒ Risulta quindi privo di pregio l’argomento del giudice a quo secondo cui l’applicazione del tributo alle «concessioni contratto» rilasciate dalle AdSP contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e capacità contributiva, poiché sottoporrebbe a imposta «un componente negativo della forza economica del contribuente», all’interno di «un processo economico destinato a produrre ricchezza».

È infatti errata la prospettiva in cui il rimettente pretende di collocare la disciplina impositiva del tributo in questione che, invece, come affermato dalla ricordata giurisprudenza di legittimità, assume quale indice di capacità contributiva quella utilità che, anche nelle concessioni rilasciate dalle AdSP e a prescindere dalla distinzione tra «concessioni contratto» e «pure» ‒ invero obsoleta rispetto a letture più sostanzialistiche (si veda Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 9 novembre 2021, n. 18) ‒, deriva dal conferimento al concessionario della facoltà di utilizzare il bene demaniale ai fini dello svolgimento della propria attività di impresa.

8.‒ Anche la seconda questione, relativa alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost., prospettata «attraverso la violazione del divieto di doppia imposizione», non è fondata.

È pur vero che l’art. 5, comma 2, della Parte prima della Tariffa, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, sottopone all’imposta di registro anche le concessioni sui beni demaniali nella misura del 2 per cento.

Tuttavia, l’imposta di registro ha «natura di “imposta d’atto”» (sentenza n. 158 del 2020) e presuppone la stipulazione o la formazione di un atto soggetto a registrazione o volontariamente presentato per la registrazione, che, in ragione dei suoi effetti giuridici, è assunto dal legislatore come indice di capacità contributiva.

Significativamente, l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 prevede che «[l]’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».

Del tutto diverso è, invece, il presupposto dell’imposta sulle concessioni demaniali marittime rilasciate dalle AdSP, che va collegato al fatto oggettivo della relazione materiale concretamente instaurata con la cosa e all’utilità che ne ottiene il concessionario di beni del demanio.

Tali differenze alla base delle due imposte, pertanto, conducono a escludere che si realizzi il fenomeno di doppia imposizione economica prefigurato dal rimettente.

9.‒ Non fondata, infine, è anche la terza questione, relativa alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sollevata nei confronti dell’art. 6, comma 3, della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, per contrasto con i principi di correlazione e continenza.

È opportuno premettere che tali principi sono previsti dall’art. 2, comma 2, lettera p), della legge n. 42 del 2009 e costituiscono, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della medesima legge «princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», diretti a orientare lo sviluppo dell’autonomia impositiva regionale e locale.

In particolare, il primo è rivolto a garantire una «tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio» e ciò al fine di «favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa». Il secondo è più orientato a evitare un’eccessiva imposizione da parte delle regioni su presupposti scarsamente riconducibili agli interessi amministrati e al principio di responsabilità.

Il rispetto dei suddetti principi implica, in ogni caso, la considerazione dell’assetto delle funzioni, richiedendo, in capo all’ente impositore, la titolarità di una competenza, legislativa o amministrativa, comunque ricollegabile al presupposto del tributo regionale o locale.

È su questo aspetto che insiste il rimettente, pretendendo di ravvisare nella ritenuta assenza regionale di competenze amministrative sui porti delle AdSP un motivo di ostacolo alla istituzione regionale del tributo.

9.1.‒ La prospettiva in cui si colloca tale argomentazione è tuttavia fallace.

Tali principi, infatti, sarebbero certamente venuti in considerazione qualora l’imposta regionale censurata avesse assunto la natura di un nuovo tributo regionale autonomo: in tal caso la potestà impositiva regionale si sarebbe dovuta conformare ad essi e questa Corte avrebbe dovuto verificarne il rispetto.

L’art. 6 della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, invece, non ha disciplinato un tributo autonomo, come sostenuto dal rimettente, bensì un tributo ceduto.

Al riguardo, va precisato che, secondo questa Corte, i tributi propri autonomi possono essere distinti tra «originari» e «ceduti» (sentenza n. 122 del 2019), laddove i primi sono quelli autonomamente «istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale» (art. 7, comma 1, lettera b, numero 3, della legge n. 42 del 2009), mentre i secondi sono quelli cui fa riferimento l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, che ha previsto un elenco di imposte suscettibili di essere «trasformat[e] in tributi propri regionali».

Tra queste è stata indicata «l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo […], di cui […] agli articoli 1, 5 e 6 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494».

È pur vero che, come osservato dalla difesa della parte, in questa disposizione non viene richiamato l’art. 7 del d.l. n. 400 del 1993, come convertito, (che effettivamente richiama, ma allo scopo di determinare i margini di autonomia nella applicazione dei canoni, le concessioni demaniali marittime rientranti nell’ambito territoriale delle autorità portuali), ma tale omissione non può ritenersi significativa della volontà del legislatore di escludere dalla cessione le imposte sulle concessioni rilasciate dalle AdSP.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, «il legislatore statale con l’art. 8 d.lgs. n. 68, cit., ha qualificato tributo proprio della regione l’imposta sulle concessioni statali che già era devoluta all’ente territoriale sia pur istituita e disciplinata dalla legge statale» (Cass., n. 4453 del 2024).

In effetti, l’intenzione di includere nella cessione anche la parte del tributo attinente alle concessioni rilasciate dalle AdSP emerge dalle specifiche disposizioni richiamate espressamente dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, senza che possa assumere rilievo il mancato richiamo anche dell’art. 7 del d.l. n. 400 del 1993.

La disposizione di cui all’art. 1 del d.l. n. 400 del 1993, come convertito, si riferisce, infatti, genericamente, alle «concessioni di beni demaniali marittimi», senza alcuna differenziazione, e gli stessi artt. 36 e 38 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione), nonché gli artt. 8, 9 e 35 del d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328, recante «Approvazione del Regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione (Navigazione marittima)», in essa citati, fanno anch’essi generico riferimento a tutte le concessioni su beni demaniali marittimi.

L’art. 5, comma 1-bis, del citato decreto-legge richiama le concessioni demaniali marittime aventi finalità turistico-ricreative, ma la previsione potrebbe costituire una mera specificazione delle concessioni demaniali marittime cui fa già riferimento l’art. 1.

Analogamente, l’art. 6 fa generico riferimento alle concessioni demaniali marittime senza ulteriori specificazioni.

Sotto tale profilo, diventa quindi irrilevante, diversamente da quanto ritenuto dalla parte, che l’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011 non abbia fatto un esplicito richiamo anche all’art. 7 del d.l. n. 400 del 1993, come convertito.

Il legislatore, in conclusione, nel disciplinare quali tributi statali sono stati “ceduti” alle regioni, ha inteso operare ad ampio spettro, senza, cioè, compiere alcuna diversificazione nell’ambito delle concessioni statali dei beni del demanio marittimo.

9.2.‒ Una volta assodato che il tributo è stato ceduto anche in riferimento alla base imponibile relativa alle concessioni rilasciate dalle AdSP, i princìpi di correlazione e continenza non possono venire in considerazione.

Solo, infatti, se il tributo fosse stato frutto di una iniziativa regionale del tutto autonoma si sarebbe dovuto verificare, come detto, il rispetto dei suddetti princìpi, anche alla luce dell’assetto delle competenze regionali in materia di AdSP.

Ma siccome il tributo è stato ceduto alle regioni dalla legge statale, ed è quindi allo Stato che è ascrivibile la volontà di permetterne la nuova istituzione, il problema del rispetto dei suddetti princìpi fondamentali ‒ che ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost. sono finalizzati a garantire il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ‒ non si pone nei termini dedotti dal rimettente. Essi, infatti, non vincolano (salvo, ovviamente, il rispetto di altri parametri costituzionali che potrebbero venire in considerazione) lo Stato, che può comunque derogarvi, e quindi nemmeno le regioni che sono state dallo stesso autorizzate (senza che si ponga il problema del rapporto con l’assetto delle proprie competenze) ad esercitare la potestà legislativa sul tributo ceduto.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario), dell’art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) e dell’art. 6 della legge della Regione Lazio 29 aprile 2013, n. 2, recante «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2013 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)», «nella parte in cui sottopongono all’imposta sulle concessioni demaniali marittime le concessioni rilasciate dalle Autorità di Sistema Portuale», sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 28, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, della legge reg. Lazio n. 2 del 2013, «limitatamente all’inciso “ivi comprese quelle rilasciate e gestite dalle autorità portuali”», sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 28, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2024