Ordinanza n. 97 del 2024

ORDINANZA N. 97

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Franco MODUGNO;

Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), come introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, promosso dalla Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, nel procedimento vertente tra il Ministero della giustizia e O. D. K. J. D. D., con ordinanza del 1° dicembre 2022, iscritta al n. 166 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2024, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 7 maggio 2024.

Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2024 il Giudice relatore Stefano Petitti;

deliberato nella camera di consiglio del 9 maggio 2024.

Ritenuto che, con ordinanza del 1° dicembre 2022, iscritta al n. 166 del registro ordinanze 2023, la Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), come introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui il previsto termine ragionevole di durata del processo non eccedente la durata di tre anni in primo grado si applica al processo di primo grado in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui all’art. 35-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato);

che, per quanto riferisce l’ordinanza, la Corte d’appello di Milano è investita dell’opposizione ex art. 5-ter della legge n. 89 del 2001, proposta dall’ingiunto Ministero della giustizia avverso il decreto pronunciato dal magistrato designato ai sensi dell’art. 3, comma 4, della medesima legge, in accoglimento della domanda di equa riparazione avanzata da un richiedente protezione internazionale, il cui giudizio, a norma dell’art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, si era svolto dal 5 dicembre 2018 al 4 giugno 2022;

che il decreto opposto aveva ritenuto che il giudizio presupposto avesse ecceduto di due anni la durata ragionevole, stimata in un anno, in analogia con quanto riconosciuto per il procedimento di equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001;

che, ad avviso del Collegio rimettente, non è possibile accedere all’interpretazione costituzionalmente orientata della norma operata dal primo giudice, aderendo al rilievo formulato dal Ministero della giustizia secondo cui il termine di tre anni stabilito nell’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, è predeterminato dal legislatore ed è sottratto alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria, come già affermatosi nella sentenza n. 36 del 2016 di questa Corte;

che la Corte d’appello di Milano ha perciò ritenuto non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, in quanto la disposizione censurata prevede un termine di durata ragionevole di tre anni con riguardo al primo grado dei procedimenti di protezione internazionale, per i quali l’intero giudizio è articolato in soli due gradi ed è prescritta la trattazione «con urgenza», trattandosi di giudizi aventi per oggetto diritti fondamentali delle persone, in relazione ai quali la Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene necessaria una particolare diligenza e celerità nella definizione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate;

che infatti, a parere dell’Avvocatura, le questioni sollevate sarebbero diverse da quelle decise con la sentenza n. 36 del 2016 di questa Corte, discutendosi qui di un procedimento di cognizione volto a delibare, anche attraverso complesse indagini fattuali, la sussistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, e dovendosi, piuttosto, richiamare le conclusioni raggiunte nella più recente sentenza di questa Corte n. 205 del 2023.

Considerato che la Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile (reg. ord. n. 166 del 2023), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 83 del 2012, come convertito, per contrasto con gli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU;

che la disposizione censurata, stabilendo un termine predefinito di durata ragionevole di tre anni, sottratto alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria, con riguardo anche al primo grado dei procedimenti di protezione internazionale, non terrebbe conto delle caratteristiche e della natura di tali cause, le quali esigono particolare diligenza e celerità nella definizione, avendo per oggetto diritti fondamentali delle persone;

che questa Corte ha già deciso questioni analoghe a quelle ora in esame, con la sentenza n. 205 del 2023, depositata il 14 novembre 2023 e, quindi, sopravvenuta all’ordinanza di rimessione in scrutinio;

che tale sentenza ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, sollevate con sei ordinanze dalle Corti d’appello di Napoli e di Bologna, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, ove identicamente si censurava la disposizione in esame nella parte in cui, prevedendo che si considera rispettato il termine ragionevole di durata del processo se non eccede la durata di tre anni in primo grado, essa trova indistinta applicazione anche al processo in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui all’art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008;

che la citata sentenza n. 205 del 2023 ha richiamato e ribadito i principi della sentenza n. 36 del 2016, secondo cui i commi 2-bis e 2-ter dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 delineano «una disciplina legale dei termini entro cui il giudizio deve reputarsi rispettoso del principio della ragionevole durata del processo, enunciato dall’art. 111, secondo comma, Cost. e dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU», mediante precetti che sono univoci e non possono che essere intesi nel senso che tali termini vanno ritenuti ragionevoli;

che, in particolare, in tale sentenza si è rilevato che, rispetto ai giudizi in materia di protezione internazionale, nella giurisprudenza della Corte di cassazione non si rinviene un orientamento che possa univocamente indurre a ritenere che per essi sia possibile individuare una durata specifica, diversa da quella degli altri giudizi civili;

che del pari – si è sottolineato – non soccorre alcun reiterato ed uniforme esercizio della giurisprudenza della Corte EDU, dal quale attingere il significato dell’art. 6 CEDU, da ritenersi, in ipotesi, preclusivo di una disciplina che equipari i termini della ragionevole durata dei processi di protezione internazionale a quella giustificata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione;

che, ancora, si è evidenziato come dall’esame della normativa dell’Unione europea e della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea non si ricavi alcun elemento idoneo a conferire ai giudizi in materia di protezione internazionale uno statuto differenziato, quanto alla loro durata, rispetto al complesso dei procedimenti giurisdizionali condotti all’interno di uno Stato membro;

che, anzi, la più volte richiamata sentenza n. 205 del 2023 ha ulteriormente rimarcato come dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE si desuma, piuttosto, in modo univoco, l’esigenza che i procedimenti giudiziari in materia di protezione internazionale siano disciplinati in modo tale da assicurare il completo esame della situazione individuale del richiedente, potendo ciò comportare lo svolgimento di accertamenti complessi;

che tale sentenza ha pertanto concluso che la celerità di trattazione richiesta dai processi in questione non impone di individuare per essi un più breve termine di ragionevole durata rispetto a quello stabilito di tre anni per il primo grado di merito;

che l’ordinanza di rimessione non apporta argomenti nuovi rispetto a quelli già esaminati nella citata sentenza n. 205 del 2023, o tali da indurre a una diversa conclusione;

che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate manifestamente non fondate (ex plurimis, ordinanze n. 78 del 2024, n. 214 del 2023 e n. 220 del 2022).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), come introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, sollevate, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte d’appello di Milano, sezione seconda civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2024.

F.to:

Franco MODUGNO, Presidente

Stefano PETITTI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2024