ORDINANZA N. 95
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA
Giudic : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2 e 9, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», promosso dal Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra M. F. e il Comune di Massa e altri, con ordinanza depositata il 6 aprile 2022, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visti l’atto di costituzione di M. F., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2023 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
uditi gli avvocati Sergio Vacirca e Daniele Biagini per M. F. e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 22 marzo 2023.
Ritenuto che, con ordinanza depositata il 6 aprile 2022 (reg. ord. n. 65 del 2022), il Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2 e 9, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», nella parte in cui esclude i lavoratori titolari di contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali eventualmente bandite da queste ultime, e riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 20;
che le precedenti questioni, sollevate dallo stesso giudice nel medesimo giudizio, sono state dichiarate, rispettivamente, una inammissibile, nella parte in cui il censurato art. 20, comma 9, esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate, e l’altra non fondata, nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di essere assunti dalle pubbliche amministrazioni utilizzatrici con contratti di lavoro a tempo indeterminato (sentenza n. 250 del 2021);
che, con norma di chiusura, il comma 9 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 (emanato in attuazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche») esclude l’applicabilità delle disposizioni contenute nell’articolo medesimo ai lavoratori somministrati;
che tale esclusione concerne, in primo luogo, la possibilità di “stabilizzazione” mediante assunzione con contratto a tempo determinato, la quale, al verificarsi di determinate condizioni, è invece riconosciuta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro a termine, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame;
che l’esclusione riguarda, inoltre, anche la possibilità di partecipare alle procedure concorsuali eventualmente bandite dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, e riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile;
che la questione di costituzionalità dell’art. 20, comma 9, del d.lgs. n. 75 del 2017, nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità, riconosciuta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro a termine, di essere direttamente assunti dalle pubbliche amministrazioni utilizzatrici con contratti di lavoro a tempo indeterminato ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, sollevata nell’ambito del medesimo giudizio, è stata dichiarata non fondata da questa Corte con sentenza n. 250 del 2021, sul rilievo che tale esclusione non è irragionevole, non comportando il contratto di somministrazione a tempo determinato l’instaurazione di un rapporto di lavoro diretto tra lavoratore somministrato ed ente utilizzatore, per modo che la prescrizione, contenuta nella disposizione censurata, dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a seguito di concorso pubblico, prevista con riferimento alla fattispecie del contratto a termine, non è ipotizzabile anche per la parallela fattispecie del contratto di somministrazione a tempo determinato;
che, peraltro, secondo il Tribunale di Massa, l’art. 20, comma 9, del d.lgs. n. 75 del 2017, sarebbe costituzionalmente illegittimo nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate, in vista della successiva stabilizzazione di personale titolare di contratto di lavoro flessibile, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, determinando, anche sotto tale specifico profilo, una ingiustificata discriminazione a scapito dei titolari di rapporto di somministrazione;
che il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, di essere stato adìto da un lavoratore somministrato a tempo determinato, M. F., il quale – premesso di aver prestato lavoro presso un’amministrazione comunale per oltre dodici anni (e dunque ben oltre il limite di 36 mesi previsto dai decreti legislativi 6 settembre 2001, n. 368, recante «Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES», e poi 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183»), svolgendo continuativamente mansioni di autista di scuolabus, sulla base di successivi contratti di somministrazione di lavoro – ha agito nei confronti dell’ente utilizzatore per ottenere pronuncia dichiarativa della illegittimità della condotta da esso tenuta nella prosecuzione di offerte e sottoscrizioni di contratti di somministrazione e di missioni a termine con tre diverse agenzie di somministrazione (da ritenersi stipulati in violazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell’Unione europea, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, degli artt. 1344 e 1418 del codice civile e degli artt. 35 e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»), nonché pronuncia dichiarativa della nullità, illegittimità o simulazione dei contratti di lavoro subordinato da lui stipulati nel corso del tempo con le stesse agenzie di somministrazione e, infine, pronuncia di condanna del Comune al risarcimento dei danni provocatigli con la condotta anzidetta, mediante corresponsione dell’indennità forfetizzata prevista dall’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), e poi dall’art. 39 del d.lgs. n. 81 del 2015, nella misura di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto da lui percepita;
che, in particolare, il rimettente espone che, a seguito della costituzione in giudizio del Comune e dell’integrazione del contraddittorio nei confronti delle tre società di somministrazione, il rappresentante dell’ente utilizzatore, nel corso di due successivi interrogatori, dopo aver dichiarato che la controversia avrebbe potuto essere conciliata a seguito della “stabilizzazione” del lavoratore mediante assunzione a tempo indeterminato, ai sensi del comma 1 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 (possibilità, peraltro, preclusa dal divieto di cui al comma 9 del medesimo articolo, ritenuto, sotto tale aspetto, costituzionalmente non illegittimo dalla sentenza n. 250 del 2021 di questa Corte), ha manifestato la disponibilità del Comune a valutare di bandire una procedura concorsuale finalizzata all’assunzione a tempo indeterminato anche dei lavoratori somministrati, in ipotesi di riproposizione (e di successivo accoglimento) della questione di legittimità costituzionale del citato art. 20, comma 9, con riguardo al comma 2 del medesimo articolo;
che il giudice a quo, nel sospettare di illegittimità costituzionale questa disposizione, nella parte in cui stabilisce l’esclusione dei somministrati dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali di cui al comma 2, ritiene, dunque, anzitutto che la questione di legittimità costituzionale abbia assunto rilevanza nel giudizio a quo, proprio a seguito delle dichiarazioni del rappresentante dell’ente comunale, sull’assunto che, in conseguenza dell’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale, il ricorrente, oltre a fruire di una più rapida definizione della controversia, avrebbe la possibilità di ottenere una più ampia tutela della sua precaria situazione lavorativa (con l’instaurazione, a seguito del superamento della procedura selettiva, in conformità alla previsione dell’art. 97 Cost., di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato), rispetto alla semplice tutela risarcitoria riconosciuta dal combinato disposto degli artt. 36, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, e 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010;
che, inoltre, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente osserva che, avuto riguardo alla ratio della disciplina contenuta nell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 e alla sostanziale sovrapponibilità della posizione del lavoratore somministrato a tempo determinato rispetto a quella del lavoratore subordinato a termine, non sarebbe sorretta da alcuna ragione giustificativa la disparità di trattamento tra il primo ed il secondo ai fini della possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate, in vista della successiva stabilizzazione di personale titolare di contratto di lavoro flessibile allorché il lavoratore somministrato possegga i requisiti soggettivi previsti dalle lettere a) e b) di cui al comma 2 dello stesso art. 20 (risulti, cioè, titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso e ivi abbia maturato almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni);
che nel giudizio incidentale si è costituito M. F., il quale ha chiesto l’accoglimento della questione, sull’assunto di una progressiva, sostanziale e tendenzialmente effettiva equiparazione, sotto il profilo della tutela, tra la somministrazione di lavoro a termine e il contratto di lavoro a tempo determinato;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha eccepito l’inammissibilità della questione, invocandone in subordine la declaratoria di non fondatezza;
che, in particolare, deducendo il difetto di rilevanza della questione, il Presidente del Consiglio dei ministri ha evidenziato che l’assunzione, da parte della pubblica amministrazione convenuta nel processo a quo, dell’impegno a bandire una selezione aperta ai lavoratori titolari di contratti di somministrazione e lavoro – possibilità attualmente preclusa dalla norma tacciata di illegittimità costituzionale, che diventerebbe percorribile all’esito dell’accoglimento della questione – non sarebbe di per sé idonea ad assicurare la tutela richiesta con la domanda introduttiva del giudizio principale, in quanto il detto impegno non sarebbe equivalente a quello di assumere M. F. con contratto a tempo indeterminato;
che, dunque, ad avviso dell’interveniente, la questione sollevata dal Tribunale di Massa sarebbe irrilevante, perché avente ad oggetto una disposizione estranea al thema decidendum, con conseguente mancanza dell’indispensabile rapporto di strumentalità tra la risoluzione della questione medesima e la decisione del giudizio principale;
che, in prossimità dell’udienza pubblica, la parte costituita ha depositato una memoria con cui ha insistito nella richiesta di accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
Considerato che il Tribunale di Massa, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2 e 9, del d.lgs. n. 75 del 2017, nella parte in cui esclude i lavoratori titolari di contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali eventualmente bandite dalle pubbliche amministrazioni, e riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile, ai sensi del comma 2 della medesima diposizione;
che questa Corte, con la sentenza n. 250 del 2021, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del d.lgs. n. 75 del 2017, con riguardo all’esclusione di cui al comma 1 dello stesso articolo (sollevata nell’ambito del medesimo giudizio in cui è stata successivamente sollevata la questione all’odierno esame, riferita, invece, al comma 2 dello stesso art. 20), ha osservato che la rilevanza, presupponendo, ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), un rapporto di strumentalità necessaria tra la risoluzione della questione e la decisione del giudizio principale, se, per un verso, deve ritenersi sussistente quando la norma della cui legittimità costituzionale il giudice dubiti debba essere applicata nel giudizio a quo per decidere il merito della controversia o una questione processuale o pregiudiziale, oppure quando la decisione di questa Corte comunque influisca sul percorso argomentativo che il giudice rimettente deve seguire per rendere la decisione, per altro verso, ricorre anche ove la strumentalità sussista rispetto ad una possibile diversa definizione della lite, non strettamente a mezzo dalla decisione della causa;
che ciò accade – si è evidenziato – quando il giudice, nel formulare una proposta conciliativa o transattiva all’esito (e sulla base) dell’interrogatorio libero delle parti, in una controversia laburistica o civilistica (artt. 420, primo comma, e 185-bis del codice di procedura civile), trovi un ostacolo nel contenuto normativo di una disposizione appartenente al quadro normativo in cui può collocarsi la lite, che sia connessa strettamente al relativo thema decidendum; ostacolo costituito dall’asserito vizio di illegittimità costituzionale della disposizione stessa;
che in tal caso, infatti, la rilevanza della questione deriva dalla circostanza che, soltanto a seguito della reductio ad legitimitatem di tale disposizione, il giudice, adempiendo all’incombente posto a suo carico dalla norma processuale, può formulare la proposta transattiva o conciliativa, la quale, nella perdurante vigenza della norma indubbiata, risulterebbe, invece, contra legem;
che con la medesima pronuncia si è anche precisato che il presupposto indispensabile della rilevanza, in una siffatta fattispecie, risiede nella stretta connessione della norma censurata con il thema decidendum del processo a quo, dal momento che, solo in presenza di tale stretta connessione, la rimozione del divieto normativo, ostativo alla proposta transattiva o conciliativa, consente di ottenere, attraverso questa, una tutela, se non perfettamente coincidente, quanto meno intimamente legata al petitum della domanda proposta in giudizio;
che di tale stretta connessione – la quale è stata ritenuta sussistente in relazione al divieto di stabilizzazione pura e semplice di cui al comma 1 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 (avuto riguardo al consolidato orientamento del giudice della nomofilachia, secondo cui nel pubblico impiego privatizzato, in caso di illegittima successione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, il lavoratore che chiede il risarcimento del danno ha diritto, oltre all’indennità forfetizzata di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015, anche al ristoro del maggior pregiudizio di cui fornisca la prova, il quale compensa, per il lavoratore pubblico, proprio l’impossibilità della conversione del rapporto, consentita, invece, nel caso del lavoratore privato: Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 15 marzo 2016, n. 5072) – deve invece ribadirsi la mancanza con riguardo al diverso divieto di partecipazione alle procedure concorsuali bandite in vista della successiva stabilizzazione di personale titolare di contratto di lavoro flessibile;
che, infatti, mentre appartiene al thema decidendum del giudizio principale il profilo della conversione del rapporto, seppur sub specie del pregiudizio per la mancata “assunzione”, resta invece estranea al predetto tema e, benché evocata dal rappresentante dell’ente convenuto, non presenta un stretta connessione con il petitum della domanda proposta dal lavoratore – cosicché non può dirsi rientrare nel quadro normativo in cui potrebbe collocarsi la proposta conciliativa o transattiva potenzialmente capace di risolvere la lite – la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, atteso che la rimozione del divieto da essa posto non consentirebbe al lavoratore di ottenere l’invocato risarcimento, in forma specifica o per equivalente, ma gli attribuirebbe la mera possibilità di partecipare alla procedura concorsuale eventualmente indetta, ovviamente senza nessuna certezza di risultarne vincitore;
che, infatti, nella citata sentenza n. 250 del 2021, questa Corte ha già ritenuto che «[n]on presenta, invece, analoga stretta connessione con il thema decidendum, né appartiene al quadro normativo in cui potrebbe collocarsi la proposta conciliativa o transattiva potenzialmente capace di risolvere la lite, la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 20, la quale abilita le pubbliche amministrazioni ad indire procedure concorsuali riservate in vista della successiva stabilizzazione di personale titolare di contratto di lavoro flessibile»;
che, pertanto, difettando il nesso di strumentalità necessaria tra la definizione del giudizio principale e la risoluzione della questione, quest’ultima deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2 e 9, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», nella parte in cui esclude i lavoratori titolari di contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate, bandite dalle pubbliche amministrazioni, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2023.