Sentenza n. 250 del 2021

SENTENZA N. 250

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», promosso dal Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra M. F. e il Comune di Massa e altri, con ordinanza del 2 novembre 2020, iscritta al n. 23 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione di M. F.;

udito nell’udienza pubblica del 10 novembre 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Sergio Vacirca e Daniele Biagini per M. F.;

deliberato nella camera di consiglio del 10 novembre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 2 novembre 2020 (reg. ord. n. 23 del 2021), il Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», nella parte in cui esclude i lavoratori utilizzati in base a contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di essere “stabilizzati” alle dipendenze di quest’ultime, alle condizioni previste dai commi 1 e 2 del medesimo art. 20, rispettivamente, per i lavoratori titolari di contratto di lavoro a tempo determinato e quelli titolari di contratto di lavoro flessibile.

Però il censurato comma 9 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 – emanato in attuazione della delega di cui alla legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) – esclude l’applicabilità delle disposizioni contenute nell’articolo medesimo ai lavoratori somministrati; esclusione questa che concerne, in primo luogo, la possibilità di “stabilizzazione” mediante assunzione con contratto a tempo indeterminato, la quale, al verificarsi di determinate condizioni, è invece riconosciuta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro a termine, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame.

L’esclusione, inoltre, riguarda la possibilità di partecipare alle procedure concorsuali eventualmente bandite dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, e riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile.

Secondo il rimettente, la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, nella parte in cui espressamente prevede le suddette esclusioni, determina una ingiustificata discriminazione a scapito dei lavoratori somministrati, avuto riguardo, per un verso, alla ratio della disciplina contenuta nel citato art. 20 (norma ispirata dall’esigenza di superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni) e, per altro verso, alla sostanziale analogia sussistente tra la posizione del lavoratore subordinato a termine e quella del lavoratore somministrato a tempo determinato, sebbene quest’ultimo, a differenza del primo, sia formalmente alle dipendenze dell’agenzia di somministrazione.

L’ordinanza di rimessione è stata emessa nell’ambito di un giudizio introdotto da un lavoratore somministrato a tempo determinato nei confronti dell’amministrazione comunale utilizzatrice.

Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che il ricorrente, M. F. ha premesso di aver prestato attività lavorativa presso il Comune di Massa, per oltre dodici anni e dunque ben oltre il limite di trentasei mesi previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), e poi dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), svolgendo continuativamente mansioni di autista di scuolabus, sulla base di reiterati contratti di somministrazione di lavoro.

Ha quindi agito nei confronti del citato Comune per l’accertamento della illegittimità della condotta da esso tenuta «nella prosecuzione di offerte e sottoscrizioni di contratti di somministrazione e/o di missioni a termine» con tre diverse agenzie di somministrazione, in quanto stipulati in violazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, degli artt. 1344 e 1418 del codice civile e degli artt. 35 e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», nonché per l’accertamento della nullità, illegittimità o simulazione dei contrati di lavoro subordinato stipulati nel corso del tempo con le stesse agenzie di somministrazione, e, infine, per la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti, mediante corresponsione dell’indennità forfetizzata prevista dall’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), e poi dall’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, nella misura di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto percepita.

Il rimettente espone, poi, che, in seguito alla costituzione in giudizio del Comune resistente e all’integrazione del contraddittorio nei confronti delle tre società di somministrazione, il segretario generale dell’ente locale, nel corso dell’interrogatorio reso in udienza, ha dichiarato che sussisterebbe la possibilità di una conciliazione della controversia, essendo l’amministrazione disponibile a “stabilizzare” il ricorrente mediante assunzione a tempo indeterminato.

Il segretario generale, precisamente, avrebbe evidenziato che il Comune intenderebbe realizzare tale “stabilizzazione” attraverso l’esercizio della facoltà attribuitagli dall’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, a mente del quale le pubbliche amministrazioni possono assumere a tempo indeterminato il personale non dirigenziale già in servizio con contratti a tempo determinato che si trovi nelle condizioni previste dall’articolo medesimo.

La concreta percorribilità di questa ipotesi conciliativa, tuttavia, troverebbe un unico ma insuperabile ostacolo nel comma 9 del medesimo art. 20, che esclude dalla possibilità della “stabilizzazione” i lavoratori utilizzati sulla base di contratti di somministrazione.

1.1.– Il rimettente, nel sospettare di illegittimità costituzionale quest’ultima disposizione, nella parte in cui stabilisce la predetta esclusione, ritiene, anzitutto, che la questione sia rilevante nel giudizio a quo, poiché, a seguito dell’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale, il ricorrente otterrebbe una più ampia tutela della sua precaria situazione lavorativa, con l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, rispetto alla semplice tutela risarcitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 e 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010; il lavoratore, inoltre, fruirebbe di una più rapida definizione della controversia introdotta con il ricorso proposto contro la pubblica amministrazione.

1.2.– La questione sarebbe, altresì, non manifestamente infondata.

Avuto riguardo alla ratio della disciplina recata dall’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 e alla sostanziale sovrapponibilità della posizione del lavoratore somministrato a tempo determinato rispetto a quella del lavoratore subordinato a termine, non sarebbe infatti sorretta da alcuna ragione giustificativa la disparità di trattamento tra il primo ed il secondo ai fini della possibilità di essere assunti a tempo indeterminato alle dipendenze dell’amministrazione presso la quale viene svolta l’attività lavorativa, allorché il lavoratore somministrato possegga i requisiti soggettivi previsti dalle lettere a) e c) di cui al comma 1 dello stesso art. 20 (risulti, cioè, in servizio, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, presso l’amministrazione che procede all’assunzione e ivi abbia maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni) e sia privo soltanto del requisito di cui alla lettera b), relativo all’avvenuto reclutamento a tempo determinato mediante procedura concorsuale, il quale requisito non potrebbe sussistere in capo ad un lavoratore utilizzato sulla base di contratti di somministrazione.

2.– Non è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, mentre si è costituito M. F., il quale ha invocato l’accoglimento della questione sollevata, sul presupposto di una progressiva, sostanziale e tendenzialmente effettiva equiparazione, sotto il profilo della tutela, tra la somministrazione di lavoro a termine e il contratto di lavoro a tempo determinato.

3.– La Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) ha depositato un’opinione scritta, in qualità di amicus curiae, sottolineando, in particolare, il carattere discriminatorio e ingiustificato dell’esclusione, operata dall’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, della possibilità che i lavoratori somministrati possano partecipare alle procedure concorsuali riservate di cui al comma 2 del medesimo art. 20.

4.– In prossimità dell’udienza pubblica, M. F. ha depositato una memoria con cui ha insistito nella richiesta di accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 2 novembre 2020 (reg. ord. n. 23 del 2021), il Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», nella parte in cui esclude i lavoratori utilizzati in base a contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, dalla possibilità di essere “stabilizzati” alle dipendenze di quest’ultime, alle condizioni previste dai commi 1 e 2 del medesimo art. 20, rispettivamente, per i lavoratori titolari di un contratto di lavoro a tempo determinato e quelli titolari di un contratto di lavoro flessibile.

Con norma di chiusura, l’ultimo periodo del comma 9 del citato art. 20 esclude l’applicabilità delle disposizioni contenute nell’articolo medesimo ai lavoratori utilizzati sulla base di contratti di somministrazione.

Tale esclusione concerne, in primo luogo, la possibilità di essere assunti con contratto a tempo indeterminato, la quale, al verificarsi di determinate condizioni, è invece riconosciuta ai lavoratori titolari di rapporto di lavoro a termine, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame.

L’esclusione, in secondo luogo, riguarda la possibilità di partecipare alle procedure concorsuali eventualmente bandite dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, e riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che risulti titolare di un contratto di lavoro flessibile.

L’art. 20, comma 9, del d.lgs. n. 75 del 2017 – emanato in attuazione della delega di cui alla legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) – sarebbe, dunque, costituzionalmente illegittimo, sia nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di essere assunti a tempo indeterminato prevista dal comma 1, quando pure posseggano i requisiti di cui alle lettere a) e c) del detto comma (risultino, cioè, in servizio, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 presso l’amministrazione che procede all’assunzione o presso le amministrazioni con servizi associati e ivi abbiano maturato almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni), sia nella parte in cui li esclude dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate di cui al comma 2, pur possedendo gli specifici requisiti da esso stabiliti (sebbene risultino, cioè, titolari di contratto di lavoro flessibile successivamente all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 e abbiano maturato almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso).

Il dubbio di legittimità costituzionale, formulato in riferimento all’art. 3 Cost., si fonda sul rilievo della disparità di trattamento che, in ragione della predette esclusioni, si determinerebbe tra i lavoratori somministrati a tempo determinato e i lavoratori subordinati a termine, avuto riguardo, da un lato, al fondamento della disciplina contenuta nell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, consistente nell’esigenza di superamento del fenomeno del «precariato» nelle pubbliche amministrazioni, e, dall’altro lato, alla sostanziale sovrapponibilità tra le due posizioni, che non giustificherebbe siffatta differenziata disciplina.

2.– Preliminarmente, va osservato che sussiste la rilevanza, nel giudizio a quo, della questione di legittimità costituzionale del comma 9 del citato art. 20, sollevata con riferimento all’esclusione di cui al precedente comma 1, mentre non è rilevante la stessa questione riferita all’esclusione di cui al comma 2.

In generale, la rilevanza, presupponendo, ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), un rapporto di strumentalità necessaria tra la risoluzione della questione e la decisione del giudizio principale (tra le tante, sentenza n. 158 e ordinanza n. 92 del 2019), deve ritenersi sussistente quando la norma della cui legittimità costituzionale il giudice dubiti debba essere applicata nel giudizio a quo per decidere il merito della controversia o una questione processuale o pregiudiziale, oppure quando la decisione della Corte comunque influisca sul percorso argomentativo che il giudice rimettente deve seguire per rendere la decisione.

Tuttavia, la rilevanza della questione ricorre anche ove la strumentalità sussista rispetto ad una possibile diversa definizione della lite, non strettamente a mezzo dalla decisione della causa.

Ciò accade quando il giudice – che formuli una proposta conciliativa o transattiva all’esito (e sulla base) dell’interrogatorio libero delle parti, secondo la regola processuale introdotta, nel 2010, nel rito del lavoro (art. 420, primo comma, del codice di procedura civile) e poi estesa, nel 2013, a tutte le controversie civili (art. 185-bis cod. proc. civ.) – trovi un ostacolo nel contenuto normativo di una disposizione appartenente al quadro normativo in cui può collocarsi la lite, che sia connessa strettamente al relativo thema decidendum; ostacolo costituito dall’asserito vizio di illegittimità costituzionale della disposizione stessa.

Sussiste la rilevanza se, soltanto a seguito della reductio ad legitimitatem di tale disposizione, il giudice, adempiendo all’incombente processuale posto a suo carico dall’art. 420, primo comma, cod. proc. civ., può formulare una proposta transattiva o conciliativa, la cui idoneità alla risoluzione della lite, mediante transazione o conciliazione, sia plausibile in ragione dell’esito dell’interrogatorio libero delle parti.

Ciò assicura la rilevanza della questione di legittimità costituzionale diretta a rimuovere il denunciato vizio della disposizione, la quale, nella sua portata vigente, non consentirebbe siffatta proposta perché quest’ultima risulterebbe contra legem.

2.1.– Nella vicenda in esame, il rappresentante della pubblica amministrazione datrice di lavoro ha dichiarato, in sede di interrogatorio libero, la disponibilità all’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore utilizzato per molti anni (più di tre) sulla base di contratti di somministrazione a tempo determinato, ripetutamente rinnovati, sì da integrare tutti i requisiti previsti dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017 per la stabilizzazione del personale precario con anzianità di almeno tre anni.

Il giudice, tenendo conto di tale disponibilità, potrebbe formulare ex art. 420, primo comma, cod. proc. civ., una proposta transattiva o conciliativa che contempli siffatta assunzione diretta e che plausibilmente potrebbe risolvere la lite solo se venisse rimosso, con dichiarazione di illegittimità costituzionale, il divieto di applicazione del citato art. 20, comma 1, posto dal successivo comma 9, che, con prescrizione derogatoria, esclude tale forma di stabilizzazione in caso di utilizzo del lavoratore con contratto di somministrazione a tempo determinato.

L’eventuale risoluzione della lite in accoglimento di una proposta conciliativa o transattiva avente per oggetto l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore utilizzato sulla base di reiterati contratti di somministrazione, in conformità alla dichiarata disponibilità del rappresentante della pubblica amministrazione datrice di lavoro in sede di interrogatorio libero, da un lato, troverebbe il suo presupposto nella rimozione del divieto normativo di estensione ai somministrati della possibilità di “stabilizzazione” pura e semplice contemplata dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017.

Dall’altro lato, consentirebbe al ricorrente di ottenere una tutela che, sebbene non perfettamente coincidente con il “petitum” della domanda proposta in giudizio, sarebbe tuttavia strettamente connessa con esso, ove si consideri che nel pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima successione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, il lavoratore che chiede il risarcimento del danno ha diritto, oltre all’indennità forfetizzata di cui all’art. 28 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), anche al ristoro del maggior pregiudizio di cui fornisca la prova, il quale compensa, per il lavoratore pubblico, proprio l’impossibilità della conversione del rapporto, consentita, invece, nel caso del lavoratore privato (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 febbraio 2021, n. 3815; sezioni unite civili, sentenza 15 marzo 2016, n. 5072). Il tema della conversione del rapporto appartiene quindi alla causa, seppur sub specie del pregiudizio per la mancata “assunzione”.

Non presenta, invece, analoga stretta connessione con il thema decidendum, né appartiene al quadro normativo in cui potrebbe collocarsi la proposta conciliativa o transattiva potenzialmente capace di risolvere la lite, la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 20, la quale abilita le pubbliche amministrazioni ad indire procedure concorsuali riservate in vista della successiva stabilizzazione di personale titolare di contratto di lavoro flessibile.

Questa seconda norma, infatti, al contrario della prima, fa riferimento ad una eventualità che non solo è estranea al thema decidendum, ma neppure è stata evocata dal legale rappresentante della pubblica amministrazione convenuta nell’interrogatorio libero reso nel giudizio principale sì che, pertanto, rispetto a tale giudizio, resta meramente ipotetica ed astratta.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del d.lgs. n. 75 del 2017, posta con riguardo al comma 2 del medesimo articolo, va dunque dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, dovendosi condurre la delibazione del merito della questione unicamente in quanto posta con riferimento al comma 1.

3.– Prima di esaminare il merito della questione, giova premettere, innanzi tutto, una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento, quanto alla disciplina del lavoro con contratto di somministrazione a tempo determinato presso la pubblica amministrazione in comparazione con quella del contratto di lavoro a termine; comparazione posta a fondamento della censura, sollevata dal giudice rimettente, di ingiustificato trattamento differenziato quanto alla richiamata disciplina straordinaria di stabilizzazione del precariato.

3.1.– La regolamentazione del contratto a tempo determinato e, più ampiamente, delle forme di impiego flessibili nella pubblica amministrazione, è contenuta, nelle sue linee generali, nell’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il quale, dopo aver subìto, nel corso del tempo, ripetute modifiche, operate nell’ambito di una pluriennale successione di norme novellatrici, è stato di recente ulteriormente modificato proprio dal d.lgs. n. 75 del 2017 (art. 9).

Nell’attuale formulazione, l’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, dopo aver previsto, quale principio generale, quello secondo cui «[p]er le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35» (comma 1), aggiunge che il ricorso alla flessibilità, sempre nel rispetto delle medesime modalità di reclutamento, è consentito «soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale» (comma 2).

Ove ricorrano tali esigenze, «[l]e amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche».

Sono possibili anche contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, che sono disciplinati dagli artt. 30 e seguenti del d.lgs. n. 81 del 2015, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Nel complesso, dunque, sono consentite tutte le forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa e sono specificamente menzionati, oltre a quello di formazione e lavoro, il contratto di lavoro a tempo determinato e il contratto di somministrazione a tempo determinato, che resta escluso solo per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali.

Con riguardo alla somministrazione a tempo determinato, il rinvio agli artt. 30 e seguenti del medesimo decreto legislativo consente di ritenere estesa al datore di lavoro pubblico la nozione stessa di somministrazione, quale contratto con cui un’agenzia di somministrazione mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Il rinvio consente, inoltre, di ritenere applicabili le regole in tema di divieti, di forma, di regime contrattuale e di parità di trattamento.

Invece, quanto al contratto a tempo determinato, il rinvio alla disciplina prevista dagli artt. 19 e seguenti del d.lgs. n. 81 del 2015, rende applicabili le norme generali in tema di lavoro a termine, con particolare riferimento a quelle concernenti la durata massima, i divieti, le proroghe e i rinnovi.

3.2.– La disciplina della somministrazione a tempo determinato e quella del contratto di lavoro a termine convergono, poi, quanto alla prevista esclusione della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato per il caso di inosservanza delle regole richiamate, a differenza di quanto stabilito per il lavoro privato.

Il comma 5 dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce, infatti, che, «[i]n ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative».

Il divieto della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato è espressamente richiamato dal d.lgs. n. 81 del 2015 nell’ambito delle norme deputate alla disciplina del lavoro a tempo determinato (art. 29, comma 4). Sicché, nel caso di illegittimo ricorso al contratto a termine, la forma di tutela del lavoratore pubblico consiste, dunque, nello strumento risarcitorio.

Analoga limitazione è prevista per la somministrazione (art. 31, comma 4).

Questa Corte ha da tempo chiarito (sentenza n. 89 del 2003) che tale diversificazione, tra il settore pubblico e il settore privato, della disciplina dei rimedi dell’inosservanza delle regole imperative sul contratto di lavoro a termine non si traduce in una illegittima e discriminatoria riduzione della tutela attribuita al pubblico dipendente, ma integra la necessaria implicazione dell’esigenza di rispettare il canone espresso dall’ultimo comma dell’art. 97 Cost., secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge; canone che, a sua volta, costituisce proiezione del principio di eguaglianza, il quale esige che tutti, secondo capacità e merito, valutati per il tramite di una procedura di concorso, possano accedere all’impiego pubblico e che all’opposto non consente l’accesso in ruolo stabile per altra via, tanto più se segnata da illegalità.

La ragione della differenza del regime di tutela del lavoratore contro l’illegittimo ricorso al contratto a temine nel contesto del lavoro pubblico rispetto a quello vigente nel contesto del lavoro privato, risiede proprio nell’esigenza di rispetto di questo principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, previste dallo stesso art. 97 Cost., che rende evidente la disomogeneità tra le due situazioni e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio.

3.3.– In via ancora preliminare, va considerato che il frequente ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni, ai contratti a termine, di formazione e lavoro, di somministrazione e, in genere, alle forme contrattuali flessibili – pur consentito solo per esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, ma spesso reiterato oltre i previsti limiti temporali – ha determinato situazioni di precariato, cronicizzate nel tempo.

Ciò ha indotto il legislatore ad introdurre procedure di “stabilizzazione”, finalizzate all’obiettivo dell’assorbimento dei lavoratori precari nel personale stabile con contratti a tempo indeterminato.

Le procedure di stabilizzazione costituiscono uno strumento di reclutamento derogatorio rispetto a quello ordinario del pubblico concorso, in quanto introducono un percorso riservato ad una platea ristretta di soggetti, che risultino in possesso di determinati requisiti e abbiano maturato un determinato periodo di esperienza lavorativa in ambito pubblico, secondo dettagliate disposizioni previste da specifiche leggi.

Siffatte procedure sono state previste, inizialmente, con le norme contenute nell’art. 1, commi 519 e 528, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» e nell’art. 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», riservate al personale non dirigenziale a termine che potesse vantare o fosse per conseguire specifici requisiti di anzianità e fosse stato reclutato mediante «procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge».

Successivamente, altre procedure di stabilizzazione sono state introdotte dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» e dall’art. 4, comma 6, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125.

Più recentemente – come già ricordato – un’ipotesi ancor più ampia di stabilizzazione del precariato nel pubblico impiego è stata introdotta proprio dall’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, il cui comma 9 costituisce oggetto della sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale.

4.– Ciò premesso, la questione non è fondata.

5.– L’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017 consente, sino al 31 dicembre 2022, l’assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale, con contratto di lavoro a tempo determinato, che possegga i seguenti requisiti: a) risulti in servizio, anche per un solo giorno, successivamente alla data del 28 agosto 2015, con contratto di lavoro a tempo determinato presso l’amministrazione che deve procedere all’assunzione; b) sia stato assunto a tempo determinato attingendo ad una graduatoria, a tempo determinato o indeterminato, riferita ad una procedura concorsuale – ordinaria, per esami o per titoli, ovvero anche prevista in una normativa di legge – in relazione alle medesime attività svolte e intese come mansioni dell’area o categoria professionale di appartenenza, procedura anche espletata da amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2022, alle dipendenze della stessa amministrazione che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.

Gli anni utili da conteggiare ricomprendono tutti i rapporti di lavoro prestato direttamente con l’amministrazione, anche con diverse tipologie di contratto flessibile, ma devono riguardare attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale che determina il riferimento per l’amministrazione dell’inquadramento da operare, senza necessità di vincoli ai fini dell’unità organizzativa di assegnazione.

Questa facoltà è riservata al personale con rapporto di lavoro a tempo determinato che, oltre a risultare in servizio, successivamente alla data del 28 agosto 2015, nell’amministrazione che procede all’assunzione – e oltre ad aver maturato presso di essa, al 31 dicembre 2022, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni – sia stato altresì reclutato, in relazione alle medesime attività svolte, mediante procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni diverse da quella che assume.

6.– Dalle procedure di “stabilizzazione” previste dall’art. 20 sono esclusi, per effetto della norma di chiusura contenuta nel censurato comma 9, ultimo periodo, del medesimo articolo, i lavoratori utilizzati mediante contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni.

Tale esclusione, però, non è irragionevole, in riferimento all’art. 3 Cost. La prescrizione, contenuta nella disposizione censurata, dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a seguito di concorso pubblico, prevista con riferimento alla fattispecie del contratto a termine, non è ipotizzabile anche per la parallela fattispecie del contratto di somministrazione a tempo determinato, poiché quest’ultimo non comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro diretto tra lavoratore somministrato ed ente utilizzatore.

Infatti, il contratto di somministrazione – definito come «contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore» (art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015) – costituisce una fattispecie negoziale complessa, in cui due contratti si combinano per realizzare la dissociazione tra datore di lavoro e fruitore della prestazione di lavoro, secondo una interposizione autorizzata dall’ordinamento in quanto soggetta a particolari controlli e garanzie, quali condizioni per prevenire il rischio che l’imputazione del rapporto a persona diversa dall’effettivo utilizzatore si presti a forme di elusione delle tutele del lavoratore.

Nell’ambito di tale fattispecie negoziale complessa si ha che il rapporto di lavoro è quello tra agenzia e dipendente e, rispetto ad esso, non rilevano le vicende del contratto concluso tra agenzia ed utilizzatore (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 ottobre 2019, n. 26607).

Quindi, il contratto tra l’agenzia e il dipendente non trova origine in una procedura selettiva quando l’utilizzatore è una pubblica amministrazione. I lavoratori messi a disposizione di questa per la durata della missione, pur svolgendo la loro attività nell’interesse e sotto la direzione dell’ente, non vengono ovviamente reclutati mediante l’espletamento di procedure concorsuali.

Da ciò consegue che non sussiste l’ingiustificata disparità di trattamento denunciata dal giudice rimettente in ragione dell’esclusione dei lavoratori somministrati presso le pubbliche amministrazioni dalla possibilità di essere assunti a tempo indeterminato con la modalità prevista dal comma 1 dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017.

7.– In conclusione, deve essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del d.lgs. n. 75 del 2017, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla “stabilizzazione” mediante diretta assunzione a tempo indeterminato presso la pubblica amministrazione utilizzatrice, secondo la modalità prevista dal comma 1 della medesima disposizione.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di partecipare alle procedure concorsuali riservate, bandite ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Massa, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 9, del d.lgs. n. 75 del 2017, nella parte in cui esclude i lavoratori somministrati dalla possibilità di essere assunti dalle pubbliche amministrazioni utilizzatrici con contratti di lavoro a tempo indeterminato, ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale di Massa, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 novembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2021.