ORDINANZA N. 132
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, e dell’intero testo del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, nonché dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, e della delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), promossi rispettivamente, il primo dal Giudice di pace di Macerata, con ordinanza del 30 ottobre 2020, e gli altri dal Giudice di pace di Fano, con due ordinanze del 24 maggio e con ordinanza del 21 giugno 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 57, 156, 157 e 158 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 19 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2022 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2022.
Ritenuto che il Giudice di pace di Macerata (r.o. n. 57 del 2021) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, nonché dell’intero testo del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 13, 16, 17, 19, 24, 32, 76 e 117 della Costituzione;
che il giudice rimettente riferisce di conoscere della opposizione a ordinanza-ingiunzione con cui è stata inflitta una «sanzione», per fatto accertato il 13 aprile 2020, «collegata alla fattispecie prevista dal d.P.C.m. 22 marzo 2020»;
che rilievo, ai fini di qualificare il fatto illecito, è altresì attribuito all’art. 1 del d.P.C.m. 8 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), nonché all’ordinanza del Presidente della Giunta regionale delle Marche 19 marzo 2020 n. 10 e all’ordinanza del Ministro della Salute 20 marzo 2020 (Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale);
che le questioni, secondo il giudice a quo, sarebbero rilevanti perché l’applicazione delle suddette norme sarebbe indispensabile alla decisione;
che, in merito alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ravvisa un profilo di «eccesso di potere e di difetto di delega, commissivo e/o omissivo», in contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 13, 16, 17, 19, 24, 32, 76 e 117 Cost.
che, in particolare, quanto ai d.P.C.m. 8 marzo 2020 e 22 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale), il rimettente sostiene che essi sono «strumenti incostituzionali, posto che detti provvedimenti non hanno la potestas di limitare la libertà dei singoli cittadini né imporre prescrizioni se non in via adesiva da parte dei destinatari»;
che il giudice a quo deduce, anzitutto, la lesione della libertà personale, della libertà di circolazione, della libertà di riunione, della libertà di culto e del diritto di difesa, che sarebbero stati compressi in violazione delle rispettive riserve di legge;
che, in secondo luogo, il rimettente lamenta la violazione, nel bilanciamento tra i diritti sopramenzionati e il diritto alla salute, dei principi di prevenzione, precauzione, proporzionalità e adeguatezza;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, e, nel merito, ha chiesto che esse siano dichiarate non fondate;
che la difesa statale ha anzitutto eccepito la carente descrizione della fattispecie, aggiungendo che neppure si comprenderebbe il riferimento al d.l. n. 18 del 2020, come convertito, che non regolamenta il regime delle sanzioni amministrative di contrasto all’emergenza epidemiologica da COVID-19;
che, inoltre, l’Avvocatura generale osserva che, se i fatti si sono verificati il 13 aprile 2020, non sarebbe applicabile il censurato d.l. n. 6 del 2020, ma il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, sicché le disposizioni denunciate non sarebbero rilevanti;
che, nel merito, l’Avvocatura sostiene che i decreti-legge censurati rispettano la riserva di legge prevista dall’art. 16 Cost, prevedendo la misura della sanzione, l’organo deputato ad irrogarla, e un giusto bilanciamento tra i diritti coinvolti, nel rispetto del principio di proporzionalità;
che, con tre ordinanze di analogo tenore (r.o. numeri 156, 157 e 158 del 2021), il Giudice di pace di Fano ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.l. n.19 del 2020, come convertito, nonché della dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario adottata con delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), in riferimento agli artt. 2, 4, 13, 16, 77 e 78 Cost. (r.o. numeri 156 e 157 del 2021) e agli artt. 13, 77 e 78 Cost. (r.o. n. 158 del 2021);
che i giudizi a quibus hanno per oggetto la opposizione ad ordinanze-ingiunzione, con cui sono state inflitte sanzioni amministrative pecuniarie ai ricorrenti, perché trovati al di fuori della abitazione senza giustificato motivo;
che i fatti, riferisce il rimettente, avevano rilievo penale quando furono commessi, e sono stati in seguito depenalizzati dall’art. 4, comma 8, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito;
che, in particolare, l’art. 1 del d.P.C.m. 8 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19) e il successivo d.P.C.m. 9 marzo 2020 vietavano ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di salute o di necessità;
che l’inosservanza di tale divieto ha determinato l’irrogazione della sanzione amministrativa oggetto dei processi principali;
che quanto alla rilevanza, il giudice a quo afferma la necessità di risolvere il dubbio di costituzionalità ai fini delle decisioni;
che, in merito alla non manifesta infondatezza, il rimettente sostiene che la dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020 sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto «alcuna norma primaria o avente efficacia di legge ordinaria» attribuisce al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario;
che, inoltre, dopo aver riprodotto l’intero testo dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, il giudice a quo assume violato l’art. 13 Cost., il quale prevede che la libertà personale è inviolabile e non è ammessa alcuna restrizione personale se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria;
che, in aggiunta a ciò, lo stesso rimettente eccepisce la violazione dell’art. 16 Cost. in quanto le limitazioni previste dalla norma costituzionale per motivi di sanità e sicurezza potrebbero comportare un divieto di circolazione solo per l’accesso a «luoghi particolari», e non su tutto il territorio nazionale;
che, infine, il giudice a quo sostiene l’illegittimità costituzionale delle norme censurate, in riferimento agli artt. 2 e 4 Cost., perché vi sarebbe una violazione del diritto al lavoro, impedendo alle persone di espletare le proprie attività lavorative, costringendole nelle proprie abitazioni;
che è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità delle questioni e, nel merito, ha chiesto che esse siano dichiarate non fondate;
che l’Avvocatura ha sostenuto che le ordinanze sarebbero del tutto immotivate quanto alla rilevanza e che le fattispecie sarebbero descritte in maniera così generica da non consentirne neppure l’esatta collocazione temporale;
che il rimettente avrebbe anche omesso di valutare la fondatezza dei giustificati motivi dedotti con i ricorsi di opposizione alle ordinanze-ingiunzione;
che, inoltre, sarebbe inammissibile la questione vertente sulla dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario, in quanto atto privo della forza di legge;
che, nel merito, l’Avvocatura richiama la sentenza n. 198 del 2021 di questa Corte, osservando che l’individuazione della casistica e delle situazioni di fatto interessate da una compressione dei diritti fondamentali è effettuata da fonti primarie e non dai d.P.C.m., nel pieno rispetto del disegno costituzionale;
che, in relazione alla dedotta violazione dell’art. 13 Cost. da parte dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, l’Avvocatura sostiene non si tratti di una restrizione della libertà personale, non essendoci alcuna «degradazione giuridica» della persona;
che si rientrerebbe, invece, in una generale limitazione della libertà di circolazione che ha subito una conformazione ope legis in nome dell’emergenza sanitaria, nel rispetto sempre dei principi di proporzionalità, adeguatezza e temporaneità delle misure;
che, in conclusione, secondo l’Avvocatura, il legislatore ha operato un ragionevole bilanciamento tra contrapposti interessi meritevoli di tutela, assicurando adeguata salvaguardia al diritto alla salute, gravemente compromesso dall’andamento imprevedibile della pandemia.
Considerato che Giudice di pace di Macerata (r.o. n. 57 del 2021) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, nonché dell’intero testo del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 13, 16, 17, 19, 24, 32, 76 e 117 della Costituzione;
che, con tre ordinanze di analogo tenore (r.o. numeri 156, 157 e 158 del 2021), il Giudice di pace di Fano ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, nonché della dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario adottata con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), in riferimento, rispettivamente, agli artt. 2, 4, 13, 16, 77 e 78 Cost. (r.o. numeri 156 e 157 del 2021) e agli artt. 13, 77 e 78 Cost. (r.o. n. 158 del 2021);
che le questioni così poste sono connesse e meritano di essere riunite per una decisione congiunta;
che i giudizi a quibus si originano dalla impugnazione di ordinanze-ingiunzione, con le quali sono state applicate ai ricorrenti sanzioni amministrative pecuniarie per avere trasgredito a misure imposte, al fine di contenere la pandemia da COVID-19, da d.P.C.m. adottati sulla base di norme di legge;
che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice di pace di Macerata sono manifestamente inammissibili, come eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in tutti i giudizi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, per una assoluta carenza nella descrizione della fattispecie, che si traduce in difetto di motivazione sulla rilevanza (da ultimo, ordinanza n. 76 del 2022);
che la ricostruzione operata dal rimettente, omettendo di indicare quale violazione sia stata contestata al ricorrente nel processo principale, impedisce infatti di valutare se e quale, tra le disposizioni censurate, sia da applicare nel giudizio a quo;
che, inoltre, come anche stavolta eccepito dall’Avvocatura, ove il fatto sia stato commesso il 13 aprile 2020, non sarebbe ad esso applicabile il censurato d.l. n. 6 del 2020, come convertito, che è stato abrogato dall’art. 5, comma 1, lettera a), del d.l. n. 19 del 2020, salvo alcune disposizioni che non rilevano ai fini della presente decisione;
che anche le questioni sollevate dal Giudice di pace di Fano, con le tre ordinanze sopra indicate, sono manifestamente inammissibili;
che, infatti, la dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario adottata con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 non è un atto avente forza di legge soggetto al sindacato incidentale di legittimità costituzionale (art. 134 Cost.), come rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato;
che il denunciato art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, reca un numeroso elenco di possibili misure atte a contrastare la pandemia da COVID-19, mentre il rimettente, nel censurare l’intero comma citato, non spiega se la legittimità di tali misure sia oggetto del processo principale, omettendo di motivare sulla rilevanza della relativa questione di legittimità costituzionale;
che, perciò, sono manifestamente inammissibili le questioni sollevate in riferimento all’art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020 quanto a «tutte le restanti parti di tale comma che comunque limitano anche indirettamente la libertà personale degli individui»;
che la sola condotta delle parti ricorrenti oggetto dei giudizi a quibus, in quanto sanzionata in via amministrativa, consiste, secondo quanto riferisce il rimettente, nell’avere lasciato la dimora, in mancanza di ragione giustificatrice;
che i fatti, in tutti e tre i giudizi riuniti, sono stati commessi nella vigenza del d.l. n. 6 del 2020, come convertito, come si deduce da quanto precisato dal rimettente in ordine alla loro depenalizzazione;
che, infatti, l’art. 3, comma 4, del citato d.l. n. 6 del 2020 sanzionava ai sensi dell’art. 650 del codice penale, l’inosservanza delle misure di contenimento previste dall’art. 1 dello stesso decreto-legge, e attuate con gli strumenti amministrativi di cui al medesimo art. 3;
che, in seguito, l’art. 5, comma 1, lettera a), del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, ha abrogato il d.l. n. 6 del 2020, ad eccezione degli artt. 3, comma 6-bis e 4, qui privi di rilievo;
che, inoltre, l’art. 4, comma 1, del medesimo d.l. ha depenalizzato l’inosservanza delle misure di contenimento descritte dal precedente art. 1, comma 2, con l’eccezione della violazione della misura della quarantena imposta a chi sia risultato affetto da COVID-19;
che l’art. 4, comma 8, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, ha esteso la depenalizzazione alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore di tale testo normativo, e, dunque, a quelle realizzate nella vigenza del d.l. n. 6 del 2020;
che sui termini delle odierne questioni non incide l’art. 11, comma 2, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, secondo il quale l’art. 4 del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, continua a trovare applicazione nei casi in cui disposizioni vigenti di legge facciano ad esso espresso rinvio;
che, infatti, tale previsione non implica un’abrogazione con effetto retroattivo del citato art. 4;
che il rimettente censura l’art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, che elenca le misure adottabili per contenere la pandemia a partire dal 26 marzo 2020, senza avere previamente verificato se le condotte sulle quali verte il giudizio a quo, e precedenti a tale data, fossero, o no, illecite al tempo in cui furono poste in essere;
che, in caso di esito negativo di tale scrutinio, il principio di legalità proprio delle sanzioni amministrative pecuniarie, enunciato anche dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), impedirebbe di sanzionare un fatto che non era illecito quando fu realizzato, sulla base di una previsione di legge posteriore;
che, mancando di ricercare e individuare la base legale dell’illecito contestato nel d.l. n. 6 del 2020, come convertito, anziché nel d.l. n. 19 del 2020, come convertito, il rimettente ha omesso di motivare sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale;
che, infatti, non sarebbe neppure in astratto ipotizzabile l’applicabilità nel giudizio a quo dell’art. 4, comma 8, del d.l. n. 19 del 2020 (che prevede che i fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore siano puniti con sanzione amministrativa), peraltro non espressamente censurato, se non dopo aver verificato che gli stessi costituissero già illecito nella vigenza del d.l. n. 6 del 2020;
che il rimettente, perciò, avrebbe dovuto valutare sia la riconducibilità del fatto ad una delle misure attivate in via amministrativa durante la vigenza del più volte citato d.l. n. 6 del 2020, sia la circostanza che tale misura trovasse in tale decreto-legge una descrizione sufficiente, quanto agli elementi costitutivi della violazione, per rispettare il principio di legalità in senso sostanziale (sentenza n. 198 del 2021);
che, pertanto, le questioni relative all’art. 1, comma 2, del d.l. n. 19 del 2020, come convertito, per la parte concernente «la limitazione della circolazione delle persone» e la «possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora» sono a propria volta manifestamente inammissibili;
che sono così assorbiti gli ulteriori profili di inammissibilità eccepiti dall’Avvocatura.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigenti ratione temporis.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13, nonché dell’intero testo del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, sollevate, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 13, 16, 17, 19, 24, 32, 76 e 117 della Costituzione, dal Giudice di pace di Macerata con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, nonché della dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario adottata con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 4, 13, 16, 77 e 78 Cost. dal Giudice di pace di Fano, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2022.