ORDINANZA N. 129
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), come introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, promosso dal Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile, nel procedimento vertente tra K. M. e il Comune di Ascea, con ordinanza del 29 gennaio 2020, iscritta al numero 11 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Udita nella camera di consiglio dell’11 maggio 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 maggio 2022.
Ritenuto che, con ordinanza del 29 gennaio 2020 (reg. ord. n. 11 del 2021), il Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, per violazione degli artt. 2, 3 e 16 della Costituzione;
che il rimettente premette di essere stato adìto da K. M., cittadino extracomunitario, che ha convenuto il Comune di Ascea, non costituito nel giudizio a quo, con un ricorso ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, chiedendo al giudice di ordinare al sindaco l’immediata iscrizione del ricorrente nel registro anagrafico della popolazione residente;
che K. M. ha riferito al Tribunale di Salerno: di essere titolare del permesso di soggiorno per richiesta di asilo, rilasciato il 23 maggio 2019; di dimorare da più di tre mesi presso un centro di accoglienza; di aver chiesto, il 10 settembre 2019, l’iscrizione nell’anagrafe del Comune ove dimora; di aver ricevuto il diniego a questa richiesta da parte del responsabile dell’ufficio demografico, poiché, ai sensi del censurato art. 4, comma 1-bis, il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituirebbe valido titolo per l’iscrizione anagrafica; infine, di ritenere illegittimo tale rifiuto in quanto la norma censurata avrebbe solo abolito la procedura semplificata di iscrizione anagrafica prevista dall’abrogato art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del 2015;
che, quanto al fumus boni juris, il giudice a quo rileva che, secondo la Corte di cassazione, le controversie in materia di iscrizione anagrafica attengono a diritti soggettivi e rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario;
che, pertanto, il potere dell’ufficiale d’anagrafe sarebbe limitato all’accertamento dei presupposti dell’iscrizione e dunque a un’attività di tipo vincolato, inidonea a degradare i diritti soggettivi (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 19 giugno 2000, n. 449);
che, secondo il rimettente, il diritto dello straniero all’iscrizione anagrafica risulterebbe dall’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in base al quale «[l]e iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione»;
che, dunque, in virtù della norma sopra citata e di quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 (Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente), i presupposti del diritto dello straniero all’iscrizione anagrafica sarebbero due: la regolarità del soggiorno in Italia e la dimora abituale nel Comune, entrambi sussistenti nel caso di specie, poiché il ricorrente, titolare del permesso di soggiorno per richiesta di asilo, sarebbe ospite da più di tre mesi di un centro di accoglienza;
che il giudice a quo non condivide l’interpretazione adeguatrice di tale disposizione (secondo la quale essa avrebbe solo abolito la procedura semplificata di iscrizione anagrafica del richiedente asilo), seguita da alcuni giudici di merito e posta alla base della domanda cautelare, in quanto essa renderebbe la disposizione stessa inutile, assegnando a una norma derogatoria lo stesso significato della regola generale (secondo la quale il permesso di soggiorno non è sufficiente per l’iscrizione anagrafica, occorrendo anche la residenza);
che, inoltre, la procedura semplificata di iscrizione anagrafica sarebbe stata abrogata dall’art. 13, comma 1, lettera c), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, e l’interpretazione adeguatrice sarebbe smentita dai lavori preparatori della relativa legge di conversione, nel corso dei quali si è discusso di «esclusione dall’iscrizione anagrafica»;
che la disposizione censurata dovrebbe invece essere intesa nel senso che, poiché il permesso di soggiorno «non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica», viene a mancare il primo presupposto di essa, cioè la regolarità del soggiorno: infatti, il permesso di soggiorno per richiedenti asilo, a differenza degli altri permessi, non integrerebbe la condizione del soggiorno regolare ai fini dell’iscrizione anagrafica. Il richiedente asilo sarebbe autorizzato a rimanere in Italia, ma non avrebbe diritto all’iscrizione;
che, così intesa, la disposizione censurata violerebbe i «diritti umani fondamentali tutelati dall’art. 2 Cost. (l’accesso all’assistenza sociale e la concessione di eventuali sussidi o agevolazioni previste dal Comune, come quelle basate sulle condizioni di reddito; il conseguimento della patente di guida italiana […])», il «principio di uguaglianza (art. 3), per l’irragionevole trattamento rispetto allo straniero regolarmente soggiornante ad altro titolo», e la «libertà di soggiorno (art. 16), per l’esclusione dello straniero avente diritto ad una definizione della sua domanda di protezione internazionale da una regolare condizione anagrafica»;
che il giudice a quo argomenta poi sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, sottolineando che la definizione del giudizio cautelare dipenderebbe dall’applicazione della norma censurata;
che, infine, il rimettente, ritenuto di non poter ordinare al Comune l’iscrizione anagrafica, in ragione del divieto di cui all’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, recante «Legge sul contenzioso amministrativo (All. E)», «dichiara, in via provvisoria e fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l’incidente di legittimità costituzionale, la sussistenza del diritto» di K. M. a essere iscritto all’anagrafe del Comune di Ascea;
che nel presente giudizio non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato che, con ordinanza del 29 gennaio 2020 (reg. ord. n. 11 del 2021), il Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, per violazione degli artt. 2, 3 e 16 della Costituzione;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 186 del 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015, come introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, e, in via consequenziale, delle restanti disposizioni del medesimo art. 13;
che, pertanto, le questioni in esame devono essere dichiarate manifestamente inammissibili in quanto ormai prive di oggetto (ex plurimis, ordinanze n. 47 del 2021, n. 225, n. 220, n. 203, n. 125 e n. 105 del 2020), atteso che, in ragione della intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale, è venuta meno la norma che − secondo il rimettente − determinava il denunciato contrasto con i parametri costituzionali evocati.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel testo vigente ratione temporis.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, sollevate – in riferimento agli artt. 2, 3 e 16 della Costituzione – dal Tribunale ordinario di Salerno, prima sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 maggio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2022.