ORDINANZA N. 107
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, promosso dalla Commissione tributaria regionale della Liguria nel giudizio tra A. D. e il Comune di Lavagna, con ordinanza del 23 settembre 2020, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 marzo 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;
deliberato nella camera di consiglio del 23 marzo 2022.
Ritenuto che, con ordinanza del 23 settembre 2020, la Commissione tributaria regionale della Liguria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 16, 29 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale (come risulta dal decreto di correzione di errore materiale del 9 marzo 2021): a) dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui prevede che, ai fini della «riduzione/esenzione» dall’imposta comunale sugli immobili (ICI), per «unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo [si intende] salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica» e che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente»; b) dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’esenzione dall’imposta municipale unica (IMU), «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile»;
che le questioni vengono prospettate nel presupposto interpretativo che «entrambe le norme […] secondo il “diritto vivente”, escludono la riduzione/esenzione dall’imposta [ICI e IMU] per i coniugi con residenza anagrafica e dimora abituale in immobili situati in diversi territori comunali», salva la prova della separazione legale o divorzio;
che, in punto di rilevanza, la CTR rimettente premette di essere chiamata a decidere in ordine al ricorso proposto dal contribuente avverso un avviso di accertamento con il quale il Comune di Lavagna gli ha contestato il mancato pagamento dell’ICI, per l’anno 2011, in relazione a un appartamento di sua proprietà, ove risiedeva anagraficamente ma ove – ad avviso dell’ente – non dimorava il nucleo familiare, «in quanto la moglie […] era residente, nello stesso anno, col figlio […] in Chiavari […] in appartamento di sua esclusiva proprietà»;
che, secondo quanto riferisce il giudice a quo, nel giudizio di prime cure – che si è concluso con il rigetto della domanda – il contribuente ha sostenuto «di essere separato di fatto dal 1993, in regime di separazione dei beni, con domicili e residenze in comuni diversi fin dal 1993», indicando a sostegno di quanto dedotto, in particolare, l’intestazione di usuali utenze domestiche con «consumi rilevati compatibili con l’uso prevalente del piccolo appartamento da parte del nucleo familiare, senza prova contraria da parte del Comune»;
che – aggiunge ancora il rimettente – il Comune di Lavagna ha eccepito che «la prova, anche indiziaria, della residenza “effettiva” o “fittizia” del Ricorrente in Lavagna [sarebbe] inconferente e superflua in quanto la (pacifica) residenza della moglie, non legalmente separata, nel diverso Comune di Chiavari [sarebbe], di per sé sola, […] preclusiva dell’agevolazione ICI praticata dal marito in quanto prova inconfutabile della non convivenza nella abitazione principale nella quale il contribuente e i suoi familiari dimorano abitualmente»;
che secondo la CTR rimettente – esclusa la fondatezza degli ulteriori vizi dedotti – il giudizio non potrebbe essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale, dovendosi vagliare l’interpretazione adottata dal Comune di Lavagna, ai fini dell’esenzione dall’imposta, «sotto il duplice profilo del valore probatorio (legale o semplice) della certificazione di residenza anagrafica e dell’onere probatorio (del Contribuente o del Comune) al fine della prova della residenza “effettiva” nell’“abitazione principale/familiare”»;
che, ad avviso del giudice a quo, l’esegesi fornita dal Comune di Lavagna «non [sarebbe] l’unica possibile»;
che, infatti, sulla base dei principi di diritto elaborati della giurisprudenza della Corte di cassazione dal 2010 al 2019, con riferimento alla disciplina dell’ICI, «al giudicante sarebbe stata ancora consentita un’interpretazione – eventualmente difforme da quella adottata dal primo giudice – tendente a superare il dubbio di costituzionalità con un’interpretazione (ritenuta più) “costituzionalmente orientata”», segnatamente nel senso di limitare il beneficio a un solo immobile sito nel Comune di residenza di entrambi i coniugi, senza escluderlo a priori per il soggetto residente in altro Comune per «esigenze personali» e salvo la prova, anche indiziaria, della fittizietà della residenza anagrafica per finalità elusive;
che, tuttavia, prosegue la CTR, tale opzione interpretativa «che certamente rientrava nella [sua] prerogativa decisionale […] pare oggi preclusa da due recenti ordinanze della Cassazione, sez. VI, nn. 4166/2020 e 4170/2020»;
che, infatti, tali pronunce, pur avendo a oggetto un accertamento IMU «necessariamente estendono il loro effetto anche alla precedente imposta in quanto espressamente richiamano precedenti arresti giurisprudenziali in materia ICI»;
che, in particolare, qualora – come nel caso in esame – sia incontestato che il coniuge del ricorrente risieda in altro Comune, le menzionate pronunce del 2020 avrebbero ribadito quanto la stessa Corte di cassazione aveva in precedenza affermato ai fini ICI e cioè che «un’unità immobiliare può essere riconosciuta abitazione principale solo se costituisca dimora abituale non solo del ricorrente, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell’ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile solo nel ricorrente ed invece difetti nei familiari»;
che, secondo il giudice a quo, la recente giurisprudenza di legittimità costituirebbe ormai diritto vivente «tanto da annullare ogni difforme spazio interpretativo»; da qui la necessità di sollevare d’ufficio le questioni di legittimità costituzionale;
che, in punto di non manifesta infondatezza, la CTR rimettente ritiene che la descritta interpretazione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge n. 296 del 2006, e dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sia lesiva degli artt. 3, 16, 29 e 53 Cost. determinando:
a) una disparità di trattamento tra coppie coniugate che hanno residenza anagrafica nello stesso Comune e quelle che hanno residenza anagrafica in Comuni diversi, «consentendo alle prime una detrazione ICI/IMU e nessuna alle seconde»;
b) una disparità di trattamento tra le coppie coniugate, da un lato, e le coppie di fatto o le unioni civili, dall’altro, «consentendo alle prime una o nessuna, detrazione, a differenza dalle altre, alle quali possono spettarne anche due»;
c) «un irrazionale onere alla libertà di circolazione e soggiorno» delle coppie coniugate rispetto alle altre, «ponendo limitazioni economiche (l’esclusione dal beneficio fiscale)» in base esclusivamente alla scelta della diversa residenza anagrafica dei coniugi;
d) una irragionevole correlazione di una parte della capacità contributiva dei coniugi solo al fatto formale della loro residenza anagrafica, «in base esclusivamente alla scelta della diversa residenza anagrafica dei coniugi»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate;
che, preliminarmente, la difesa statale ritiene inammissibile, per difetto di rilevanza, l’estensione delle censure sollevate sull’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 – applicabile ratione temporis all’accertamento relativo all’ICI dovuta per l’anno 2011 – all’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, introduttivo dell’IMU;
che, ad avviso dell’Avvocatura generale, da ciò discenderebbe che il vaglio di legittimità costituzionale andrebbe circoscritto al citato art. 8, comma 2, in quanto unica disposizione rilevante nel giudizio principale;
che, inoltre, data la diversità della disciplina agevolativa, come confermata dal diritto vivente (è citata Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 24 settembre 2020, n. 20130), con riferimento all’ICI resterebbe ancora valido l’orientamento giurisprudenziale, espresso dalla Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 15 giugno 2010, n. 14389, che «non esclude a priori il “doppio beneficio” per coniugi residenti anagraficamente in comuni diversi»;
che, dunque, la questione così come formulata in riferimento all’ICI sarebbe inammissibile perché, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza di rimessione, permarrebbero i criteri ermeneutici ritenuti dallo stesso giudice a quo «costituzionalmente orientati» e che non potrebbero essere pregiudicati dalla successiva giurisprudenza che si è formata in tema di IMU;
che, nel merito, l’Avvocatura generale argomenta la non fondatezza delle censure contestando il presupposto interpretativo del rimettente circa un asserito mutamento della giurisprudenza di legittimità che, pur riguardando l’IMU, si dovrebbe estendere «necessariamente» anche all’ICI con l’effetto di non consentire più «la concessione del “doppio beneficio”»;
che, ad avviso della difesa statale, invece, la continuità – dal 2010 al 2019 – della linea ermeneutica della Cassazione in merito alla spettanza dell’agevolazione ai fini ICI confermerebbe che la lettera e la ratio del citato art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 sarebbero nel senso «di impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale» (è citata Corte di cassazione, sezione quinta, ordinanza 7 giugno 2019, n. 15439);
che, secondo l’interveniente, le censure sarebbero dunque non fondate poiché la disciplina di favore, «lungi dal discriminare aprioristicamente ed irragionevolmente le coppie coniugate da quelle “di fatto” ai vari livelli di tutela costituzionale (di uguaglianza sostanziale, di circolazione, di scelta della casa familiare e di capacità contributiva dei coniugi), risult[erebbe] preclusa ai soli coniugi che stabiliscano fittiziamente diverse dimore in luoghi diversi, al solo scopo di far conseguire al nucleo familiare due volte la stessa detrazione d’imposta, pur convivendo nella stessa abitazione principale».
Considerato che, con ordinanza del 23 settembre 2020, la Commissione tributaria regionale della Liguria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 16, 29 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale (come risulta dal decreto di correzione di errore materiale del 9 marzo 2021): a) dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui prevede che, ai fini della «riduzione/esenzione» dall’imposta comunale sugli immobili (ICI), per «unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo [si intende] salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica» e che «[p]er abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente»; b) dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’esenzione dall’imposta municipale unica (IMU), «[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile»;
che le questioni vengono prospettate nel presupposto interpretativo che «entrambe le norme […] secondo il “diritto vivente”, escludono la riduzione/esenzione dall’imposta [ICI e IMU] per i coniugi con residenza anagrafica e dimora abituale in immobili situati in diversi territori comunali», salva la prova della separazione legale o divorzio;
che tale interpretazione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge n. 296 del 2006, e dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sarebbe lesiva degli artt. 3, 16, 29 e 53 Cost.;
che infatti si determinerebbe una disparità di trattamento tra coppie coniugate che hanno residenza anagrafica nello stesso Comune e quelle che hanno residenza anagrafica in Comuni diversi; e, ancora, una disparità di trattamento tra le coppie coniugate, da un lato, e le coppie di fatto o le unioni civili, dall’altro, «consentendo alle prime una o nessuna, detrazione, a differenza dalle altre, alle quali possono spettarne anche due»;
che la predetta interpretazione introdurrebbe «un irrazionale onere» (con ricadute anche economiche) alla libertà di circolazione e soggiorno delle coppie coniugate rispetto alle altre, in base esclusivamente alla scelta della diversa residenza anagrafica dei coniugi; nonché una irragionevole correlazione di una parte della capacità contributiva dei coniugi al solo fatto formale della loro residenza anagrafica;
che, innanzitutto, è manifestamente fondata l’eccezione di inammissibilità formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, per difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, poiché oggetto di impugnativa nel giudizio principale è un avviso di accertamento relativo all’ICI dovuta per l’anno 2011, secondo le disposizioni dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992;
che, in particolare, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, l’istituzione dell’IMU (ad opera degli artt. 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale»), è stata «anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall’anno 2012»;
che, dunque, il giudice a quo non deve fare applicazione dell’art. 13, comma 2, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, come convertito, recante la disciplina dell’esenzione dell’abitazione principale dall’IMU;
che non è, invece, fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale per omessa interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992;
che, infatti, il giudice a quo ha ritenuto di per sé ostativo alla possibilità di tale interpretazione la sussistenza di un diritto vivente, relativo sì alla disciplina dell’IMU, ma, a suo dire, applicabile anche alla norma in discorso e pertanto «laddove il rimettente abbia considerato la possibilità di una interpretazione idonea a eliminare il dubbio di legittimità costituzionale, e l’abbia motivatamente scartata, la valutazione sulla correttezza o meno dell’opzione ermeneutica prescelta riguarda non già l’ammissibilità della questione sollevata, bensì il merito di essa (ex multis, sentenze n. 241 e n.189 del 2019; sentenza n. 135 del 2018)» (sentenza n. 50 del 2020);
che, tuttavia, va rilevata d’ufficio la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, perché formulata in modo oscuro e contraddittorio, con conseguenti ripercussioni in termini di ambiguità del petitum;
che, in particolare, le doglianze sono strutturate in modo da risultare condizionate, in modo inscindibile, da elementi che attengono unicamente alla disciplina dell’IMU, la quale, come già rilevato, non assume alcuna rilevanza nel giudizio a quo;
che la CTR della Liguria, infatti, censura in modo unitario entrambe le norme sull’ICI e sull’IMU «nella parte in cui, secondo il “diritto vivente”, escludono la riduzione/esenzione dall’imposta per i coniugi con residenza anagrafica e dimora abituale in immobili situati in diversi territori comunali, di fatto escludendo la prova contraria della parte interessata, Comune o Contribuente, in quanto è la stessa certificazione anagrafica a costituire prova documentale della residenza/dimora abituale attuali»;
che, dunque, dichiarata manifestamente inammissibile la doglianza relativa all’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, la richiesta unitariamente rivolta a questa Corte risulta oscura e contraddittoria, perché volta a censurare gli effetti asseritamente preclusivi del diritto vivente relativi a un elemento – il requisito della residenza anagrafica – che nel contesto della disciplina dell’ICI ha invece, per espressa disposizione normativa, solo valenza di presunzione legale relativa;
che tale profilo non è assolutamente chiarito dal rimettente, il quale si limita a configurare sulla base dei medesimi motivi una doppia identica censura al contempo sulla disciplina agevolativa dell’ICI e dell’IMU, con ciò viziando irrimediabilmente la questione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», e dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 16, 29 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Liguria con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2022.