ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso dal Tribunale ordinario di Cagliari, nel procedimento penale a carico di A. F. con ordinanza del 3 dicembre 2014, iscritta al n. 118 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2018 il Giudice relatore Francesco Viganò.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Cagliari, con ordinanza del 3 dicembre 2014, pervenuta a questa Corte il 13 luglio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 c.p. sulla recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, c.p. ed anche nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza sulla medesima aggravante dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p.»;
che il giudice rimettente premette di essere investito, in sede di giudizio abbreviato, del procedimento penale nei confronti di una persona imputata del delitto di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen., per essersi fatto consegnare con una scusa da due coetanei la somma complessiva di 40 euro ed essersi poi repentinamente allontanato, spingendo con forza una delle vittime contro la portiera di un pullman per assicurarsi il possesso del denaro sottratto;
che, ad avviso del rimettente, all’imputato dovrebbero essere riconosciute la circostanza attenuante del vizio parziale di mente, di cui all’art. 89 cod. pen., per essere risultato lo stesso affetto da un «disturbo di personalità» con «spiccati tratti border-line e antisociali all’interno di una immaturità di base» e da «disturbo dell’umore NAS in un quadro slatentizzato dall’assunzione di sostanze», nonché l’ulteriore attenuante dell’avere cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità nei delitti contro il patrimonio, di cui all’art. 62, primo comma, numero 4), cod. pen., in relazione al «limitatissimo danno patrimoniale cagionato alle persone offese»;
che, peraltro, all’imputato dovrebbe essere altresì applicata la circostanza aggravante della recidiva reiterata (nella specie, specifica e infraquinquennale), di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., in relazione a precedenti condanne già passate in giudicato per il medesimo reato, che evidenzierebbero – unitamente a numerosi altri precedenti specifici per reati contro il patrimonio oggetto di procedimenti ancora pendenti – «una maggiore pericolosità dell’imputato da e per il nuovo reato commesso, pur non particolarmente grave nella sua oggettiva consistenza, tuttavia indicativo di una rinnovata scelta criminale, non arrestata dalle intervenute sentenze definitive di condanna, oltretutto non particolarmente distanti nel tempo»;
che, in ragione del divieto espresso dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., il giudizio di bilanciamento tra le circostanze non potrebbe concludersi con la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata;
che tuttavia, ad avviso del giudice rimettente, il giudizio di equivalenza tra le circostanze rilevanti nel caso di specie condurrebbe necessariamente all’irrogazione di una pena che, ancorché contenuta nel minimo edittale previsto per il delitto di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen. (tre anni di reclusione ed euro 526 di multa), risulterebbe non adeguata rispetto alla «concreta men che modesta gravità del fatto» nonché «alle particolari condizioni personali dell’imputato, affetto da vizio parziale di mente»;
che, conseguentemente, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale del divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata delle due circostanze attenuanti rilevanti nel caso di specie stabilito dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., dal momento che l’applicazione di tale divieto non consentirebbe «di pervenire ad una pena aderente alla reale offensività del fatto», con conseguente contrasto con i principi sanciti dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.;
che, a sostegno della propria prospettazione, il rimettente richiama le sentenze di questa Corte n. 201 del 2012 [recte: n. 251 del 2012], n. 105 e n. 106 del 2014, con le quali, rispettivamente, è stata dichiarata l’illegittimità della disposizione censurata nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata delle circostanze attenuanti di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), all’art. 648, secondo comma, cod. pen. e all’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen.;
che le medesime ragioni poste allora a sostegno della parziale illegittimità costituzionale della disposizione censurata sussisterebbero con riferimento alla circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen.;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità della questione per le medesime ragioni già evidenziate da questa Corte con la sentenza n. 120 del 2017, e ha comunque chiesto, in subordine, che la questione venga dichiarata infondata.
Considerato che il Tribunale ordinario di Cagliari dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza, sull’aggravante di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., delle circostanze attenuanti del vizio parziale di mente (art. 89 cod. pen.) e del danno patrimoniale di speciale tenuità nei delitti contro il patrimonio (art. 62, primo comma, numero 4, cod. pen.);
che, come esattamente rilevato dall’Avvocatura generale dello Stato, questa Corte, con sentenza n. 120 del 2017, ha già ritenuto inammissibile una questione sollevata dal Giudice dell’udienza preliminare dello stesso Tribunale ordinario di Cagliari avente ad oggetto la medesima disposizione ora censurata, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen. sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.;
che, in quell’occasione, questa Corte ha ritenuto che il giudice rimettente, pur avendo dato conto della diminuita colpevolezza dell’imputato conseguente al riconoscimento del vizio parziale di mente da cui questi era affetto, non avesse poi valutato l’incidenza di tale diminuita colpevolezza sul giudizio relativo alla sussistenza della recidiva, ancorato invece – nella prospettazione del giudice rimettente – al solo giudizio di maggiore pericolosità dell’imputato desunto dai precedenti reati commessi dallo stesso, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza della questione;
che tale vizio motivazionale sussiste anche nell’ordinanza di rimessione ora all’esame;
che, infatti, il giudice rimettente ritiene esistente la recidiva contestata all’imputato valorizzando, oltre al presupposto di legge rappresentato dalle precedenti condanne passate in giudicato a suo carico, la sua accentuata pericolosità sociale, omettendo però qualsiasi valutazione sulla questione se la decisione dell’imputato di persistere nelle proprie scelte criminali fosse riconducibile a un riprovevole atteggiamento antidoveroso della sua volontà, derivante dalla sua insensibilità al monito rappresentato dalle precedenti condanne ed espressivo, come tale, di una sua più accentuata colpevolezza;
che tuttavia, in base all’ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 24 febbraio 2011, n. 20798), il giudizio di esistenza della recidiva nel caso concreto presuppone da parte del giudice non solo la verifica dei presupposti espressamente indicati dall’art. 99 cod. pen., ma anche il riscontro della maggiore pericolosità e colpevolezza dell’imputato: requisiti, questi ultimi, da intendersi come cumulativi, e senza il cui puntuale riscontro non potrebbero giustificarsi, in un ordinamento fondato sul principio della colpevolezza per il fatto e non già sulla mera neutralizzazione della pericolosità sociale dell’autore, le conseguenze sanzionatorie che il sistema vigente ricollega alla recidiva;
che, esattamente come nel caso che ha originato la questione decisa da questa Corte con la sentenza n. 120 del 2017, il giudice rimettente avrebbe dunque dovuto chiarire le ragioni della ritenuta sussistenza della recidiva, sotto il profilo specifico della maggiore colpevolezza rivelata dall’imputato, nonostante il riconoscimento del vizio parziale di mente, che necessariamente incide sulla sua colpevolezza;
che le questioni risultano, pertanto, manifestamente inammissibili per difetto di motivazione sulla loro rilevanza nel giudizio a quo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Cagliari con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2018.
Giorgio LATTANZI, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2018.