SENTENZA N. 34
ANNO 2018
Commento alla decisione di
Armando Macrillò
per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bolzano nel procedimento penale a carico di G. D.M., con ordinanza dell’11 marzo 2016, iscritta al n. 116 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione di G. D.M., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2017 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato Edgardo Ionata per G. D.M. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza dell’11 marzo 2016, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bolzano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di citare in giudizio il proprio assicuratore, quando questo sia responsabile civile ex lege per danni derivanti da attività professionale».
Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di sette persone, alle quali è contestata la violazione degli artt. 223, primo comma – in relazione all’art. 216, primo comma, numero 1), e secondo comma – e 219, commi primo e secondo, numero 1), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), per aver posto in essere, in concorso tra loro, mediante la costituzione di un trust cosiddetto liquidatorio, una complessa operazione di sottrazione di beni di una società, poi fallita, ai creditori di quest’ultima. Tra gli imputati figura anche il notaio rogante gli atti collegati all’operazione.
Il rimettente riferisce, altresì, che nel corso dell’udienza preliminare, dopo la costituzione di parte civile del fallimento, il pubblico ministero ha contestato in via suppletiva a tutti gli imputati anche il reato, «di natura colposa», di cui agli artt. 217, primo comma, numeri 3) e 4), e 219, secondo comma, numero 1), del citato r.d. n. 267 del 1942.
A seguito della nuova contestazione, il notaio coimputato ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in giudizio, quale responsabile civile, la propria compagnia di assicurazione. Rilevato che si tratta di una assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale obbligatoria per legge, ai sensi dell’art. 3, comma 5, lettera c) [recte: e)], del decreto legislativo [recte: decreto-legge] 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148, il notaio ha contestualmente eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non consente ad esso imputato la predetta chiamata in giudizio, allo stesso modo di quanto avviene – in forza della sentenza n. 112 del 1998 della Corte costituzionale – per l’imputato chiamato a rispondere del danno provocato dalla circolazione di veicoli soggetti ad assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile a norma della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti).
Ad avviso del giudice rimettente, le questioni sarebbero rilevanti. Risulterebbe, infatti, provato il rapporto assicurativo tra il notaio coimputato e la compagnia di cui è chiesta la citazione, in virtù della polizza stipulata dal Consiglio nazionale del notariato in adempimento dell’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività notarile, stabilito dagli artt. 19 e 20 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 4 maggio 2006, n. 182 (Norme in materia di assicurazione per la responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività notarile ed istituzione di un Fondo di garanzia in attuazione dell’articolo 7, comma 1, della legge 28 novembre 2005, n. 246). La richiesta di citazione dell’assicuratore non potrebbe peraltro essere accolta, posto che l’art. 83 cod. proc. pen. non comprende l’imputato tra i soggetti legittimati a chiedere la chiamata in giudizio del responsabile civile. Né, d’altra parte, sarebbe possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, sulla base dei principi sottesi alla citata sentenza n. 112 del 1998: vi osterebbero, infatti, da un lato, la lettera della norma, non suscettibile di interpretazione estensiva, e, dall’altro, soprattutto, il principio per cui «gli effetti delle pronunce dichiarative dell’illegittimità costituzionale […] non possono essere estesi, sulla base degli argomenti esposti in motivazione dalla Corte costituzionale, a previsioni diverse da quelle indicate nel dispositivo di tali pronunce».
In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene, tuttavia, che le considerazioni poste a base della sentenza n. 112 del 1998 della Corte costituzionale debbano valere, allo stesso modo, anche con riguardo alla fattispecie in esame. Dalla lettura di detta sentenza si trarrebbe, infatti, la conclusione che, «ove la fonte di responsabilità del responsabile civile non sia atto negoziale ma la legge – tale da integrare la previsione di cui all’art. 185 c.p. –», il mancato riconoscimento all’imputato della facoltà in discorso determini la lesione «quantomeno degli artt. 3 e 24 Cost. e dei sottesi principi di eguaglianza e del diritto di difesa, in relazione alle diverse facoltà offerte al danneggiante convenuto in un processo civile».
2.– Si è costituito in giudizio G. D.M., notaio imputato nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento delle questioni.
Ad avviso della parte privata, il caso di cui si discute sarebbe del tutto analogo a quello dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, relativamente al quale la Corte costituzionale, con la sentenza n. 112 del 1998, ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non consente all’imputato di chiedere la chiamata in giudizio del proprio assicuratore. Quel che vale per la responsabilità connessa a sinistri stradali, per i quali è obbligatoria la copertura assicurativa, dovrebbe valere anche per la responsabilità professionale di natura colposa, in rapporto alla quale la legge parimente impone l’assicurazione del professionista.
La norma censurata violerebbe, per questo verso, sia l’art. 3 Cost., non comprendendosi perché mai l’assicurato, che ha la facoltà di convenire l’assicuratore in giudizio civile, non possa farlo anche in sede penale; sia l’art. 24 Cost., in quanto l’impossibilità di citare nel processo penale il responsabile civile porrebbe l’imputato nella condizione di dover sopportare da solo, in caso di condanna, le conseguenze civili del reato.
3.– È intervenuto, altresì, nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate.
La difesa dell’interveniente rileva che – alla luce di quanto affermato a più riprese dalla stessa Corte costituzionale (sono citate la sentenza n. 75 del 2001 e l’ordinanza n. 300 del 2004) – le enunciazioni di principio contenute nella sentenza n. 112 del 1998 debbono ritenersi strettamente connesse alla peculiarità della posizione dell’assicuratore chiamato a rispondere dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, ai sensi della legge n. 990 del 1969.
Gli artt. 18 e 23 della legge ora citata consentono, infatti, al danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore, prevedendo, altresì, il litisconsorzio necessario tra il responsabile del danno e l’assicuratore nel giudizio promosso dal danneggiato: disposizioni, queste, che renderebbero agevolmente inquadrabile tale ipotesi di responsabilità civile nell’ambito di operatività dell’art. 185, secondo comma, del codice penale, che disciplina l’assunzione di una posizione di garanzia per fatto altrui. Inoltre, la facoltà, riconosciuta al danneggiante convenuto, di chiamare in causa l’assicuratore risulta correlata al diritto dell’assicurato di vedersi manlevato dalle pretese risarcitorie, con correlativo potere di regresso, al contrario escluso per l’assicuratore.
Contrariamente a quanto assume il giudice a quo, tali peculiarità non sarebbero riscontrabili nella generalità delle ipotesi di responsabilità civile ex lege per fatto altrui. In particolare, dalla disciplina dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile professionale non sarebbe desumibile l’esistenza di un rapporto interno di “garanzia” tra l’imputato danneggiante e l’istituto assicuratore assimilabile a quello valorizzato dalla sentenza n. 112 del 1998, tale da giustificare l’accoglimento delle questioni.
Considerato in diritto
1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bolzano dubita della legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di citare in giudizio il proprio assicuratore, quando questo sia responsabile civile ex lege per danni derivanti da attività professionale».
Il giudice a quo – investito di un processo penale che vede tra i coimputati un notaio, assicurato per obbligo di legge contro la responsabilità civile per i danni derivanti dall’esercizio della propria attività professionale – ritiene che debbano estendersi alla fattispecie considerata i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 112 del 1998, con particolare riguardo all’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Alla luce della citata pronuncia, la mancata previsione della facoltà dell’imputato di chiamare in giudizio il responsabile civile, nelle ipotesi in cui la fonte dell’obbligazione di quest’ultimo non sia un atto negoziale, ma la legge, così da integrare la previsione dell’art. 185, secondo comma, del codice penale – evenienza riscontrabile, in assunto, nel caso dell’assicurazione obbligatoria contro la responsabilità civile per i danni causati nell’esercizio di una professione – violerebbe gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per contrasto con i principi di eguaglianza e del diritto di difesa, «in relazione alle diverse facoltà offerte al danneggiante convenuto in un processo civile».
2.– Le questioni non sono fondate.
Il giudice a quo pone a fondamento del dubbio di costituzionalità una supposta vis espansiva della ratio decidendi della sentenza n. 112 del 1998, con la quale questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dall’imputato.
Nella prospettiva del rimettente, tale pronuncia – ancorché riferita espressamente alla sola ipotesi ora indicata – rifletterebbe un più ampio principio decisorio, a fronte del quale la facoltà di chiamata in giudizio dell’assicuratore dovrebbe essere riconosciuta all’imputato nella generalità dei casi di assicurazione obbligatoria per legge: dunque, anche in quello – che viene in rilievo nel giudizio a quo – dell’assicurazione per la responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività notarile, richiesta dagli artt. 19 e 20 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 4 maggio 2006, n. 182 (Norme in materia di assicurazione per la responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività notarile ed istituzione di un Fondo di garanzia in attuazione dell’articolo 7, comma 1, della legge 28 novembre 2005, n. 246).
3.– L’assunto del rimettente non può essere condiviso.
Questa Corte, in effetti, ha già avuto modo di precisare l’esatta portata dei principi affermati dalla sentenza evocata con successive pronunce, concernenti quesiti di costituzionalità intesi, come quello odierno, ad estendere il relativo decisum a fattispecie reputate omologhe (sentenza n. 75 del 2001, ordinanza n. 300 del 2004): pronunce che, peraltro, il rimettente non ha preso in considerazione.
Il censurato art. 83 cod. proc. pen. stabilisce che il responsabile civile – ossia il soggetto che, a norma delle leggi civili, è obbligato a risarcire il danno provocato dal fatto dell’imputato (art. 185, secondo comma, cod. pen.) – possa essere citato nel processo penale a richiesta della parte civile e, nell’isolata ipotesi di esercizio dell’azione civile ai sensi dell’art. 77, comma 4, cod. proc. pen., anche su iniziativa del pubblico ministero.
Al riguardo, questa Corte ha preliminarmente sottolineato, nelle pronunce dianzi richiamate, il «particolare rigore» con il quale – nel sistema delineato dal codice di rito del 1988 – «devono essere misurate le disposizioni che regolano l’ingresso, in sede penale, di parti diverse da quelle necessarie»: e ciò a fronte dell’«accentuata tendenza», caratteristica del nuovo impianto, «a circoscrivere nei limiti dell’essenzialità tutte le forme di cumulo processuale, stante la maturata consapevolezza che l’incremento delle regiudicande – specie se, come quelle civili, estranee alle finalità tipiche del processo penale – non possa che aggravarne l’iter», con conseguente «perdita di snellezza e celerità nelle cadenze e nei tempi di definizione» (sentenza n. 75 del 2001): valori, questi, attualmente oggetto di espressa garanzia costituzionale ad opera dell’art. 111, secondo comma, Cost. (ordinanza n. 300 del 2004).
In tale prospettiva, le enunciazioni di principio racchiuse nella sentenza n. 112 del 1998 si presentano intimamente saldate alle «specifiche caratteristiche che rendono del tutto peculiare la posizione dell’assicuratore chiamato a rispondere, ai sensi della legge n. 990 del 1969, dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli e dei natanti», implicando «una correlazione tra le posizioni coinvolte di spessore tale da rendere necessariamente omologabile il […] regime ad esse riservato, tanto in sede civile che nella ipotesi di esercizio della domanda risarcitoria in sede penale» (sentenza n. 75 del 2001).
Nella decisione del 1998 questa Corte pose, in effetti, specificamente in risalto due aspetti. Per un verso, rilevò come gli artt. 18 e 23 della legge n. 990 del 1969 (disposizioni ora trasfuse nell’art. 144 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il «Codice delle assicurazioni private») – prevedendo, rispettivamente, l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore e il litisconsorzio necessario fra responsabile del danno e assicuratore nel giudizio promosso contro quest’ultimo – consentissero di collocare la particolare ipotesi di responsabilità civile in discorso fra i casi ai quali si riferisce il secondo comma dell’art. 185 cod. pen., tradizionalmente raccordato alla assunzione di una posizione di garanzia per il fatto altrui. Per altro verso, osservò che la possibilità di chiamare in causa l’assicuratore – offerta al danneggiante convenuto in sede civile dall’art. 1917, ultimo comma, del codice civile e dall’art. 106 del codice di procedura civile – risultava connessa «al diritto dell’assicurato di vedersi manlevato dalle pretese risarcitorie, con correlativo potere di regresso, al contrario escluso per l’assicuratore» (sentenza n. 75 del 2001).
A tale «funzione plurima» del rapporto di garanzia – in quanto destinato a salvaguardare direttamente sia la vittima, sia il danneggiante – questa Corte ha ritenuto dovesse necessariamente corrispondere l’allineamento, anche in sede penale, dei poteri processuali di «chiamata» riconosciuti in sede civile, onde evitare che l’effettività della predetta funzione venga pregiudicata dalla scelta del danneggiato di far valere la sua pretesa risarcitoria mediante costituzione di parte civile nel processo penale, anziché nella sede naturale.
4.– In accordo con quanto ora posto in evidenza, questa Corte ha, quindi, escluso che la ratio decidendi della sentenza n. 112 del 1998 fosse estensibile – contrariamente a quanto mostra di ritenere l’odierno rimettente – alla generalità delle ipotesi di responsabilità civile ex lege per fatto altrui: ipotesi nelle quali le peculiarità dianzi indicate non risultano affatto riscontrabili.
In particolare, si è escluso che alla posizione dell’assicuratore ai sensi della legge n. 990 del 1969 potesse essere assimilata quella dell’esercente l’aeromobile, tenuto a risarcire i danni provocati da un sinistro in base all’art. 878 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione). In tal caso, infatti, all’azione diretta del danneggiato non corrisponde un rapporto interno di «garanzia» tra imputato e responsabile civile, nei termini delineati dal richiamato art. 1917 cod. civ., né può intravedersi il correlativo e automatico diritto di regresso, che caratterizza la posizione del danneggiante «garantito» (sentenza n. 75 del 2001; con riferimento, altresì, alla responsabilità civile derivante dalla normativa in tema di infortuni sul lavoro e in tema di previdenza sociale, nonché alla responsabilità dello Stato e degli enti pubblici per i fatti dei dipendenti, prevista dall’art. 28 Cost., ordinanza n. 300 del 2004).
Per quanto qui più da vicino interessa, questa Corte ha parimente negato l’esigenza costituzionale di attribuire all’imputato la facoltà di chiamare in giudizio il proprio assicuratore della responsabilità civile, nel caso di assicurazione facoltativa. Con l’ordinario contratto di assicurazione, infatti, l’assicuratore non assume alcun obbligo di risarcimento nei confronti dei terzi, ma soltanto un obbligo di tenere indenne l’assicurato che ne faccia richiesta ai sensi dell’art. 1917, secondo comma, cod. civ. Mancano pertanto, nel processo penale, sia il presupposto oggettivo-sostanziale (obbligo del risarcimento ex lege), sia il presupposto soggettivo-processuale (destinatario del diritto all’indennizzo) per l’esercizio diretto dell’azione civile da parte del danneggiato: donde l’evidente diversità della posizione dell’assicuratore rispetto a quella che caratterizza la figura del responsabile civile, a norma dell’art. 185, secondo comma, cod. pen. Di conseguenza, una pronuncia additiva nei sensi poco sopra indicati non solo avrebbe riguardato una «ipotesi eccentrica» rispetto alla fattispecie esaminata nella sentenza n. 112 del 1998, ma si sarebbe addirittura risolta «in una prospettiva profondamente innovativa e riservata alla scelta discrezionale del legislatore», mirando la relativa «richiesta a consentire l’inserimento eventuale di una nuova figura processuale nel procedimento penale» (sentenza n. 75 del 2001).
5.– Tale ultimo rilievo è riferibile, mutatis mutandis, anche all’assicurazione per la responsabilità civile del notaio connessa all’esercizio dell’attività professionale.
In tal caso, si tratta, bensì, di assicurazione obbligatoria ai sensi delle disposizioni in precedenza richiamate: dunque di assicurazione che, se per un verso garantisce, come ogni altra, l’assicurato, per altro verso è destinata – negli intenti del legislatore – a tutelare anche l’interesse del terzo danneggiato dall’attività notarile alla certezza del ristoro del pregiudizio patito, in ciò proprio risiedendo la precipua ragione del regime di obbligatorietà. In questo caso, nondimeno, il legislatore non si è spinto sino a prevedere la possibilità di un’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore, analoga a quella che contraddistingue la responsabilità civile automobilistica: elemento che resta, dunque, dirimente al fine, per un verso, di escludere che la posizione dell’assicuratore possa essere inquadrata nel paradigma del responsabile civile ex lege, quale delineato dall’art. 185, secondo comma, cod. pen., e, per altro verso, di attribuire correlativamente anche alla pronuncia additiva oggi richiesta la valenza di innovazione sistematica, riservata alla discrezionalità del legislatore.
Restano, con ciò, superati i dubbi di costituzionalità espressi dal rimettente in rapporto ad entrambi i parametri evocati.
Le questioni vanno dichiarate, pertanto, non fondate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bolzano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2018.