Sentenza n. 75/2001

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SENTENZA N. 75

ANNO 2001

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

 

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

 - Massimo VARI 

 - Cesare RUPERTO  

 - Riccardo CHIEPPA

 - Gustavo ZAGREBELSKY

 - Carlo MEZZANOTTE

 - Fernanda CONTRI

 - Guido NEPPI MODONA

 - Piero Alberto CAPOTOSTI

 - Annibale MARINI

 - Franco BILE

 - Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 17 novembre 1999 dal Tribunale di Termini Imerese nel procedimento penale a carico di G. D., iscritta al n. 96 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2000 e il 22 maggio 2000 dal Tribunale di Alba, sezione distaccata di Bra, nel procedimento penale a carico di M. F., iscritta al n.498 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto in fatto

  1. - Il Tribunale di Termini Imerese, con ordinanza emessa il 17 novembre 1999, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la possibilità per l'imputato, nel caso di costituzione di parte civile, di chiamare, o chiedere l'autorizzazione a chiamare, nel processo, quale responsabile civile, l'esercente l'aeromobile a norma dell'art. 878 del codice della navigazione.

Ha premesso in fatto il giudice a quo di essere stato investito a seguito di decreto di citazione emesso nei confronti di una persona imputata del reato previsto dall'art.589 cod. pen., per avere, come comandante primo pilota di un velivolo, cagionato per colpa la morte del secondo pilota. Avvenuta la costituzione di parte civile, il Giudice ha disposto, su richiesta della difesa dell'imputato, < < ai sensi dell'art. 83 c.p.p. come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 112 del 1998>>, la citazione dei responsabili civili individuati nella società esercente l'aeromobile coinvolto nel sinistro, a norma dell'art.878 cod. nav., e nella impresa assicuratrice la quale, ai sensi dell'art. 935 cod. nav., aveva assunto l'obbligo del risarcimento dei danni cagionati al personale di volo durante l'espletamento del servizio al quale era addetto il velivolo precipitato. Costituitisi in giudizio, entrambi i responsabili civili eccepivano la inammissibilità della loro chiamata su richiesta dell'imputato; il Giudice, a sua volta, con separata ordinanza disponeva l'esclusione dal giudizio della impresa assicuratrice, < < ritenendo infondata ed irrilevante la questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento all'art. 935 cod. nav.>>, prospettando al contrario di ufficio il dubbio di costituzionalità nei termini di cui innanzi si è detto, in riferimento alla posizione dell'esercente dell'aeromobile, a norma dell'art. 878 cod. nav.

A sostegno della non manifesta infondatezza del quesito, il giudice a quo richiama i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 112 del 1998, con la quale - dopo aver premesso che la responsabilità prevista in capo all'assicuratore dalla legge n.990 del 1969 rientra tra i casi di responsabilità civile ex lege ai quali si riferisce il secondo comma dell'art. 185 cod. pen. – è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge n. 990 del 1969, l'assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato. Ebbene, osserva il rimettente, anche l'art. 878 sancisce ex lege, in via diretta, la responsabilità civile del soggetto che ha assunto l'esercizio dell'aeromobile, sicché pure per tale ipotesi devono ritenersi sussistenti gli stessi profili di illegittimità ravvisati da questa Corte nella richiamata pronuncia. Anche nel caso dell'esercente, infatti, la posizione del convenuto chiamato a rispondere del proprio fatto illecito in autonomo giudizio civile e quella dell'imputato per il quale, in relazione allo stesso tipo di illecito, vi sia costituzione di parte civile, sono identiche. Sicché - deduce il rimettente - proprio in considerazione della identità di posizioni, non sarebbe dato comprendere per quale ragione mentre il danneggiante nel processo civile può chiamare il responsabile civile, analogo potere non sia invece attribuito all'imputato nel processo penale. Il tutto, conclude il giudice a quo, non senza rimarcare come nella richiamata sentenza questa Corte abbia già censurato < < l'irrazionalità di una disciplina che, deviando - senza alcun plausibile motivo - dallo schema del rapporto processuale civile, priva l'imputato di ogni possibilità di coinvolgere nella pretesa di danno avanzata dalla parte civile il civilmente responsabile>>.

  1. - Il Tribunale di Alba, Sezione distaccata di Bra, solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 cod. proc. pen., < < come modificato a seguito della pronuncia additiva>> di questa Corte n. 112 del 1998, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa < < citare il proprio assicuratore della responsabilità civile facoltativa>>. In punto di rilevanza osserva il rimettente che nel procedimento a quo, pendente per il reato di cui all’art. 590 cod. pen., la norma censurata sarebbe < < sicuramente applicabile>> in quanto il danneggiato si è costituito parte civile e l’imputato, che aveva stipulato < < un contratto di assicurazione della responsabilità civile... ha manifestato l’intenzione di chiamare in garanzia il proprio assicuratore, essendo a ciò impedito unicamente dal tenore letterale dell’art. 83 cod. proc. pen.>>. Al lume dei dicta enunciati da questa Corte nella richiamata sentenza n. 112 del 1998, reputa il giudice a quo che la situazione di ingiustificata disparità di trattamento e violazione del diritto di difesa si realizzerebbe anche nella ipotesi in cui l’imputato abbia stipulato liberamente un contratto di assicurazione della responsabilità civile, posto che, anche in questo caso – analogamente a quanto la Corte ha affermato in tema di assicurazione obbligatoria per la circolazione di autoveicoli – l’imputato stesso, ove citato in sede civile, può chiamare in garanzia l’assicuratore a norma dell’art. 106 cod. proc. civ., mentre tale possibilità gli sarebbe preclusa in sede penale, stante il tenore letterale dell’art. 83 cod. proc. pen., e l’impossibilità di interpretare estensivamente l’indicata sentenza di questa Corte.
  2. – Nei giudizi non ha spiegato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri né si sono costituite le parti private.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze di rimessione sottopongono all'esame della Corte questioni analoghe, sicché i relativi giudizi devono essere riuniti per essere definiti con un'unica decisione.

  1. - In linea generale, può subito osservarsi come il nuovo codice di rito - nel ridefinire i previgenti assetti ordinamentali, tutti incentrati sul postulato di un ideale primato della giurisdizione penale - si è mosso secondo una linea che, facendo leva sul paradigma della < < massima semplificazione nello svolgimento del processo>> (enunciato dall'art. 2 numero 1, della legge-delega n. 81 del 1987) e sulla necessaria celerità postulata dal nuovo modello processuale (ora significativamente assurta al rango di principio costituzionale, alla luce del nuovo testo dell'art. 111 della Carta fondamentale), ha ridotto entro margini assai ristretti l'ambito delle questioni pregiudiziali: così da circoscrivere le ipotesi di "stasi" processuali ai soli casi in cui lo ius dicere inerisca a tematiche che, per la peculiare rilevanza collettiva, richiedano la certezza di pronunce destinate a riverberarsi erga omnes. Il principio della tendenziale unità della giurisdizione ordinaria ha così finito per subire un drastico ridimensionamento, a fronte di una marcata opzione di sistema volta a privilegiare non solo e non tanto le prerogative di autonomia di questo o quel settore giurisdizionale, quanto, soprattutto, le "specificità" che connotano, sul piano funzionale e dell'ordinamento, le diverse forme in cui si articola il potere di giudizio. Alla tradizionale dipendenza della azione civile rispetto a quella penale ed agli effetti espansivi del giudicato, si è quindi venuta a sostituire la tendenziale separatezza dei relativi alvei processuali: pur senza che a ciò abbia corrisposto la drastica scelta di inibire la proponibilità della domanda risarcitoria in sede penale. Rispetto a quest'ultima, anzi, il legislatore della riforma - attento a recepire i dicta a tal proposito enunciati in varie sentenze di questa Corte - si è fatto carico di calibrare nuovi strumenti di garanzia atti a tutelare, da un lato, la posizione del danneggiato-attore e, dall'altro, quella dell'imputato-convenuto, e di quanti, in base all'art. 185 cod. pen., debbono, a norma delle leggi civili, "rispondere per il fatto di lui", e che, come tali, sono obbligati in solido al risarcimento del danno cagionato dal reato.

 Si è così rilevato, a tal proposito, come la disciplina che il codice del 1988 ha dettato per regolare l'esercizio della azione civile in sede penale, lasci intravedere due principi ispiratori all'apparenza antagonisti: al rafforzamento, infatti, dei diritti e delle garanzie assicurati ai soggetti portatori di istanze civili - all'apparenza idoneo a fungere quale indiretto stimolo ad iscrivere nel procedimento penale le domande civili da reato, e così definire, in quell'unica sede, il relativo contenzioso - si giustappone una accentuata tendenza a depurare il processo penale dalla pretesa risarcitoria, facendo confluire la relativa domanda in sede propria, attraverso la possibilità, offerta al danneggiato dal reato, di far valere le proprie istanze davanti al giudice civile pur in pendenza dell'azione penale, senza che da ciò derivi un paralizzante arresto del relativo giudizio. Questa prospettiva, dunque, è perfettamente simmetrica rispetto alla più generale tendenza volta a circoscrivere nei limiti della essenzialità tutte le forme di cumulo processuale, stante la maturata consapevolezza che l'incremento delle regiudicande - specie se, come quelle civili, estranee alle finalità tipiche del processo penale - non possa che aggravarne l'iter; con conseguente perdita di snellezza e celerità nelle cadenze e nei tempi di definizione. Da tutto ciò, dunque, per un verso, il particolare rigore con il quale devono essere misurate le disposizioni che regolano l'ingresso, in sede penale, di parti diverse da quelle necessarie; e, sotto altro profilo - e di riflesso - l'accentuazione in senso accessorio ed eventuale che caratterizza la posizione ed il ruolo del responsabile civile.

  1. - La questione sollevata dal Tribunale di Termini Imerese si radica essenzialmente sulle considerazioni poste a base della sentenza n. 112 del 1998, con la quale questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 83 cod. proc. pen, nella parte in cui non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n.990, l'assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato. A parere del giudice a quo, infatti, al pari dell'assicuratore, anche l'esercente l'aeromobile è, a norma dell'art. 878 del codice della navigazione, responsabile ex lege per i fatti dell'equipaggio, sicché pure a tale ipotesi dovrebbe essere estesa la richiamata declaratoria di illegittimità, attesa la identità delle posizioni poste a raffronto. Più in particolare - sottolinea il giudice rimettente - avendo questa Corte censurato, nella richiamata sentenza, l'irrazionalità di un sistema che, mentre assicura al danneggiante in sede civile la possibilità di chiamare in garanzia l'assicuratore, non attribuisce l'identico potere all'imputato nel processo penale, alle medesime conclusioni dovrebbe pervenirsi anche nel caso di specie, considerato che, per esso, è dato riscontrare ugualmente l'identità di posizioni tra il < < convenuto chiamato a rispondere del proprio fatto illecito in autonomo giudizio civile e quella dell'imputato per il quale, in relazione allo stesso tipo di illecito, vi sia stata costituzione di parte civile>>.

La questione non è fondata. Nella richiamata sentenza n. 112 del 1998, questa Corte concentrò l'intero iter argomentativo sulle specifiche caratteristiche che rendono del tutto peculiare la posizione dell'assicuratore chiamato a rispondere, ai sensi della legge n. 990 del 1969, dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti; si sottolineò come, alla luce del quadro normativo, sostanziale e processuale, fosse ravvisabile una correlazione tra le posizioni coinvolte di spessore tale da rendere necessariamente omologabile il corrispondente regime ad esse riservato, tanto in sede civile che nella ipotesi di esercizio della domanda risarcitoria in sede penale. A norma dell'art. 18 della legge n. 990 del 1969, infatti, il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore; mentre, a sua volta, l'art. 23 della stessa legge prevede che nel giudizio promosso contro l'assicuratore debba < < essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno>>: così configurandosi, in tale ipotesi, un litisconsorzio necessario. Da qui la collocazione della particolare figura di responsabilità civile, che viene qui in discorso, tra i casi di responsabilità ai quali si riferisce il secondo comma dell'art. 185 del codice penale, a sua volta tradizionalmente raccordato alla assunzione di una posizione di garanzia per il fatto altrui.

Questa Corte non mancò di sottolineare - ponendo, anzi, tale rilievo a fulcro della ratio decidendi - come al danneggiante convenuto in sede propria sia offerta la possibilità di chiamare in garanzia l'impresa assicuratrice ai sensi dell'art. 106 del codice di procedura civile: disposizione, questa, alla quale è correlato, < < per quanto riguarda i rapporti di assicurazione della responsabilità civile, l'art. 1917, comma ultimo, del codice civile>>. La "chiamata in causa" anche in sede penale dell'assicuratore - da parte dell'imputato che si trovi a dover resistere alla domanda risarcitoria formulata nei suoi soli confronti dalla parte civile - finisce, dunque, per giustificarsi essenzialmente in funzione dello specifico rapporto obbligatorio enucleato dallo stesso art. 1917 cod. civ., a norma del quale l'assicuratore "è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto". Da ciò deriva, quindi, che, al diritto dell'assicurato di vedersi manlevato dalle pretese risarcitorie, con correlativo potere di regresso, al contrario escluso per l'assicuratore, questa Corte ha ritenuto che dovesse corrispondere l'allineamento - anche in sede penale - dei poteri processuali di "chiamata" assicurati in sede civile; restando altrimenti irragionevolmente sterilizzata la "effettività" del rapporto di garanzia (nella specie a funzione "plurima", in quanto destinato a salvaguardare direttamente tanto la vittima che il danneggiante), in virtù delle scelte a tal proposito operate dall'attore-parte civile.

Ben diversa è, invece, la correlazione che viene a stabilirsi nell'ipotesi di responsabilità dell'esercente l'aeromobile a norma dell'art. 878 del codice della navigazione: in tal caso, alla azione diretta del danneggiato, non corrisponde un rapporto interno di "garanzia" tra imputato e responsabile civile, nei termini delineati dal richiamato art. 1917 del codice civile; né può intravedersi il correlativo ed automatico diritto di regresso, che caratterizza la posizione del danneggiante "garantito". Questa Corte, in una fattispecie analoga a quella ora in esame, ha infatti avuto modo di sottolineare che la presenza del responsabile civile è collegata ad un oggetto del tutto diverso da quello cui è preordinato il processo penale; perciò la regolamentazione relativa, per quanto attiene alla citazione del responsabile civile, riflette razionalmente la diversità delle situazioni, aderendo al carattere dell'azione civile, subordinata alle scelte della parte lesa che può liberamente rivolgere la propria domanda o verso il solo imputato o anche nei confronti del responsabile civile. < < L'imputato - aggiunse la Corte - non ha invece, come tale, richieste di natura civilistica da avanzare in quella sede e potrà, se mai, rivalersi nei limiti consentiti, nei confronti del responsabile civile in via di regresso ove abbia adempiuto l'obbligazione di risarcire il danno derivante dalla sentenza di condanna. Ma ciò, ovviamente, riguarda soltanto il rapporto fra coobbligati in solido, a termini dell'art. 1299 c.c.>>. Attesa, dunque, la diversità delle situazioni poste a raffronto, nessuna lesione poteva derivarne al principio di uguaglianza, stante il carattere non intrinsecamente irragionevole delle disposizioni allora impugnate (v. sentenza n. 38 del 1982, poi ribadita con ordinanza n. 120 del 1982).

Considerato, quindi, che i principi affermati nella più volte richiamata sentenza n. 112 del 1998 sono intimamente saldati - sul piano logico e strutturale - alla particolare ipotesi di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla legge 24 dicembre 1969, n. 990, ne deriva che gli stessi non possono essere automaticamente trasferiti - come pretenderebbe il giudice rimettente - anche alle altre figure di responsabilità civile da reato. Infatti, così operando, si presupporrebbe l'esigenza di una obbligatoria "omologazione" tra processo civile e processo penale che, al contrario, il sistema ha, come si è detto, mostrato di ripudiare: e ciò, d’altra parte, in perfetta sintonia con le specifiche esigenze che - ora anche al lume delle indicazioni previste dall’art. 111 Cost. - devono caratterizzare quest'ultimo processo.

  1. - Manifestamente infondata è, poi, la questione sollevata dal Tribunale di Alba. Anche in tal caso, infatti, il giudice rimettente fa leva sulla sentenza n. 112 del 1998, ma richiede una pronuncia additiva che consenta all'imputato di < < citare il proprio assicuratore della responsabilità civile facoltativa>>. Sottolinea a tal proposito il rimettente che, pure nella ipotesi dedotta, si realizzerebbe quella irragionevole divergenza tra modello civile e modello penale già censurata da questa Corte, poiché mentre all'imputato convenuto in sede civile è assicurata la facoltà di chiamare in garanzia l'assicuratore a norma dell'art. 106 cod. proc. civ., tale possibilità gli sarebbe preclusa nel procedimento penale, ostandovi la disciplina dettata dall'art. 83 cod. proc. pen.

L'assunto è all'evidenza erroneo. Con l'ordinario contratto di assicurazione, infatti, l'assicuratore non assume alcun obbligo di risarcimento nei confronti dei terzi, ma soltanto un obbligo di tenere indenne l'assicurato che ne faccia richiesta ai sensi dell'art. 1917, secondo comma, cod. civ. Mancano pertanto nel processo penale sia il presupposto oggettivo-sostanziale (obbligo del risarcimento ex lege), sia il presupposto soggettivo-processuale (destinatario del diritto all'indennizzo) per l'esercizio diretto dell'azione civile da parte del danneggiato: con l'ovvia conseguenza di rendere la posizione dell'assicuratore diversa rispetto a quella che caratterizza la figura del responsabile civile, a norma dell'art. 185 cod. pen. La richiesta pronuncia, quindi, non soltanto finisce per radicarsi su di una ipotesi eccentrica rispetto alla fattispecie esaminata nella sentenza di questa Corte, pure evocata dal giudice a quo; ma, addirittura, si risolve in una prospettiva profondamente innovativa e riservata alla scelta discrezionale del legislatore, mirando tale richiesta a consentire l'inserimento eventuale di una nuova figura processuale nel procedimento penale, in evidente contrasto con i ben diversi assetti sistematici di cui innanzi si è detto. Rimane per questa via superato il dubbio di costituzionalità prospettato dal giudice rimettente anche con riferimento all’art. 24 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Termini Imerese, con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Alba, sezione distaccata di Bra, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,il 19 marzo 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2001.