CONSULTA ONLINE
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», come modificato dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», in combinato disposto con l’art. 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria regionale della Campania nel procedimento vertente tra R. O. e il Ministero dell’economia e delle finanze, con ordinanza del 19 aprile 2016, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;
Ritenuto che la Commissione tributaria regionale della Campania, con ordinanza del 19 aprile 2016 (reg. ord. n. 227 del 2016), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», come modificato dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», in combinato disposto con l’art. 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 13 e 18 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;
che la disposizione censurata stabilisce che, nei processi tributari, il valore della lite ‒ al quale è commisurato l’importo del contributo unificato dovuto in base al precedente art. 13 ‒ è determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 2 dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992, e successive modificazioni;
che, in punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente ritiene la questione di legittimità sollevata strettamente funzionale alla decisione della causa, in cui si controverte, appunto, della legittimità della pretesa tributaria in relazione a ciascun atto impugnato e, quindi, «per così dire, atomistica e non cumulativa del contributo unificato», secondo quanto previsto dall’art. 14, comma 3-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002 (che rinvia all’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992), così come modificato dall’art. 1, comma 598, della legge n. 147 del 2013;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza, secondo la rimettente, le disposizioni censurate lederebbero, innanzitutto, gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto la necessità di corrispondere tanti contributi unificati quanti sono gli atti impositivi, e non già un solo contributo sulla somma dei valori, secondo quanto previsto dal codice di procedura civile e, in particolare, dall’art. 10 cod. proc. civ., costituirebbe un onere eccessivo, irrazionale e punitivo per chi intenda adire la giustizia tributaria, condizionandone il diritto di accesso;
che sarebbero inoltre lesi l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto irragionevolmente i ricorsi tributari sarebbero trattati diversamente dalle azioni promosse nel processo civile ed in quello amministrativo in cui il valore della lite è dato dalla somma del valore delle domande; l’art. 113 Cost., dal momento che l’aggravio economico subito dal ricorrente si tradurrebbe in una minore possibilità di reazione avverso atti di imposizione tributaria promananti sempre da soggetti pubblici, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, 13 e 18 della CEDU − i quali sanciscono rispettivamente il diritto ad un processo equo, ad un ricorso effettivo e il divieto di restrizione dei diritti non connessa allo scopo per cui è stata prevista −, in quanto non sarebbe valorizzata la logica della concretezza e dell’effettività del diritto di difesa ad essi sottesa;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri che ha concluso per l’inammissibilità o la non fondatezza della questione sollevata;
Considerato che la Commissione tributaria regionale della Campania dubita della legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», come modificato dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», in combinato disposto con l’art. 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 13 e 18 della CEDU;
che, tuttavia, pur essendo censurata la disposizione nella formulazione successiva alla legge n. 147 del 2013, il giudice a quo, non ha dato conto dell’applicabilità di detta disposizione al contributo in questione e, in particolare, non ha indicato – né risulta altrimenti evincibile dal corpo dell’ordinanza di rimessione − la data di iscrizione a ruolo del ricorso per il quale sarebbe stato parzialmente evaso il contributo;
che la Commissione rimettente ha dunque omesso di descrivere compiutamente la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e, conseguentemente, di fornire un’adeguata motivazione in ordine alla rilevanza della questione;
che le menzionate carenze, con specifico riferimento all’applicazione nel giudizio a quo del censurato art. 14, comma 3-bis, come modificato dalla legge n. 147 del 2013, impediscono a questa Corte la necessaria verifica della rilevanza della questione, con conseguente declaratoria di manifesta inammissibilità della stessa (ex plurimis, ordinanze n. 196 del 2016, n. 148 del 2015, n. 176 del 2014).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», come modificato dall’art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», in combinato disposto con l’art. 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 13 e 18 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Commissione tributaria regionale della Campania con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2017.