ORDINANZA N. 129
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
[ELG:PREMESSA]
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, promossi con ordinanza del 29 maggio 2014 dalla Commissione tributaria provinciale di Cagliari, con ordinanza del 7 luglio 2014 dalla Commissione tributaria provinciale di Roma e con ordinanza del 23 novembre 2015 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, rispettivamente iscritte al n. 43 del registro ordinanze 2015 ed ai nn. 71 e 81 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2015 e nn. 15 e 17, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di Equitalia Centro spa, di Equitalia Sud spa (già Equitalia Gerit spa), di Equitalia Nord spa, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2017 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l’avvocato Marcello Cecchetti per Equitalia servizi di riscossione spa (quale società incorporante di Equitalia Centro spa, Equitalia Sud spa ed Equitalia Nord spa), e l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Cagliari – nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di una cartella di pagamento per tributi IVA nella parte relativa ai compensi di riscossione – con ordinanza del 29 maggio 2014, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), «come modificato, da ultimo,» dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nella parte in cui addebita l’aggio in misura correlata al valore della lite;
che il giudice rimettente espone che la parte ricorrente ha proposto diversi motivi di impugnazione avverso una cartella di pagamento – legati alla presunta applicazione retroattiva della disciplina in esame nonché alla debenza delle somme a titolo di compensi per la riscossione in assenza di un’effettiva attività svolta dall’Agente della riscossione ed in assenza di una violazione da parte del contribuente (essendo le predette somme dovute anche in ipotesi di pagamento effettuato nei termini di legge) – e «in subordine» ha sollecitato la rimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999 per violazione degli artt. 3, 53 e 97 Cost.;
che il giudice a quo, affermata la rilevanza della questione, ne sostiene la non manifesta infondatezza con riferimento ai predetti parametri costituzionali, posto che, in particolare, sarebbero violati;
− l’art. 3 Cost., in quanto ai contribuenti vengono imposti compensi di riscossione diversi a seconda dell’ambito territoriale di appartenenza;
− l’art. 53 Cost., in quanto sono previsti compensi non collegati ad alcuna capacità contributiva, con la conseguenza, da un lato, di privare i contribuenti del «diritto a dosare la propria contribuzione in base al reddito», e, dall’altro, di determinare una «diminuzione della […] fiducia nel sistema fiscale, percepito […] quale elemento esclusivamente ostacolante il libero esercizio delle arti e dei mestieri»;
− l’art. 97 Cost., «in quanto, il compenso risulta dovuto in assenza di una qualsiasi attività dell’Agente della riscossione, violando in questo modo sia il principio amministrativistico dell’imparzialità e della trasparenza delle scelte della P.A. sia il principio di natura civilistica ed applicabile all’Equitalia Centro S.p.A., in quanto, appunto, soggetto privato della corrispettività delle prestazioni»;
che, con atto depositato il 21 aprile 2015, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale sostiene, innanzitutto, l’inammissibilità della questione sollevata, affermando la mancanza di motivazione sulla rilevanza e sul nesso di pregiudizialità della prospettata questione di legittimità costituzionale, nonché la carente esposizione della fattispecie e del quadro normativo di riferimento; in secondo luogo, la sua non fondatezza, attesa la ragionevolezza dei criteri di determinazione dell’aggio, finalizzati non a remunerare le singole attività compiute dall’agente di riscossione ma a coprire i costi complessivi del servizio, nonché la ragionevolezza della correlazione dello stesso con l’importo del debito, tesa ad ovviare al rischio di gravare ingiustamente sui contribuenti il cui inadempimento è di minore entità;
che, con memoria depositata il 17 maggio 2016, è intervenuta Equitalia Centro spa, che in via preliminare eccepisce i seguenti profili di inammissibilità:
− difetto assoluto di motivazione sulla rilevanza, mancando qualsiasi argomentazione sul punto;
− difetto assoluto di rilevanza, posto che il giudice rimettente sembrerebbe censurare l’art. 17, come risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 3, lettera a), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), applicabile alle attività di riscossione relative ad iscrizioni a ruolo effettuate fino al 31 dicembre 2008, e cioè una norma – ai sensi della quale la misura dell’aggio era determinata da decreto ministeriale ed era variabile su scala provinciale – che non sarebbe più in vigore e non sarebbe applicabile nel caso di specie, mentre applicabile al caso di specie sarebbe, invece, l’art. 17, come risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 32 del d.l. n. 185 del 2008, il quale prevede la misura dell’aggio determinata direttamente dalla legge ed unica in tutto il territorio nazionale;
− carenza e contraddittorietà della motivazione, stante l’assoluta confusione in cui sembrerebbe cadere il giudice rimettente nel censurare la variabilità dell’aggio su base territoriale, che riguarda la versione dell’art. 17 derivante dalle modifiche apportate dal d.l. n. 262 del 2006 e, al contempo, la totale mancanza di argomentazioni a supporto della censura relativa alla variazione della misura dell’aggio «in base a circostanze indipendenti dalla condotta del contribuente»;
− carenza di motivazione in riferimento all’asserita violazione degli art. 53 e 97 Cost., posto che – a parte l’inconferenza del primo parametro – mancherebbe un adeguato percorso argomentativo a supporto di tali censure;
che, nel merito, la società sostiene l’infondatezza della questione sotto tutti i profili dedotti, in quanto:
− con riguardo all’art. 3 Cost., sarebbe infondata la censura legata alla differenziazione territoriale, posto che la disciplina applicabile al caso di specie, ed in concreto applicata, prevede una misura di aggio unica da applicare su tutto il territorio nazionale;
− egualmente infondata sarebbe la censura di cui all’art. 53 Cost., attesa l’assoluta inconferenza del richiamo al principio di capacità contributiva, il quale è applicabile soltanto alle norme di natura tributaria ovvero a quelle che disciplinano il riparto delle spese pubbliche tra i contribuenti;
− infine, la censura di cui all’art. 97 Cost., per come formulata dal giudice rimettente, risulterebbe di difficile comprensione, dovendosi comunque tenere presente che l’aggio è finalizzato alla remunerazione della complessiva attività svolta dall’agente di riscossione, e che la determinazione della sua misura non è frutto di una scelta arbitraria, risultando pari alla media aritmetica degli aggi precedentemente previsti su base territoriale, a loro volta determinati sulla base di tre componenti (aggio base, aggio per rischio ambientale e aggio per vetustà del ruolo), finalizzati a garantire un ancoraggio al concreto costo del sistema di riscossione;
che la Commissione tributaria provinciale di Roma – nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di una cartella di pagamento per tributi IRAP, IVA e IRES – con ordinanza del 7 luglio 2014 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, «come modificato dall’art. 32, comma 1, lett. a) del decreto legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito dalla l. 28 gennaio 2009 n. 2», nella parte in cui addebita l’aggio in misura correlata al valore della lite e ne calcola l’entità per i contribuenti che non effettuano il pagamento dell’imposta dovuta nei sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento nella misura fissa del 9 per cento;
che nell’ordinanza di rimessione si riferisce che la parte ricorrente ha dedotto diversi profili di illegittimità della cartella di pagamento ed ha richiesto di verificare la costituzionalità dell’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999 per violazione degli artt. 3, 24, 42 e 111 Cost.;
che il giudice a quo – evidenziato che per i primi due motivi posti a fondamento del ricorso, «nella delibazione consentita senza anticipazione delle soluzioni, non può escludersi che si verta in ipotesi di infondatezza (quanto meno parziale); per modo che la sollevata questione di legittimità costituzionale si appalesa evidentemente rilevante ai fini della decisione sul terzo motivo» – sostiene la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 97 Cost., sulla base delle seguenti argomentazioni:
− il contrasto con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. deriverebbe dalla differenza di trattamento tra il cittadino in grado di pagare e quello «sprovvisto di mezzi sufficienti a riguardo, onerato di ingiustificati e di irragionevoli e maggiori carichi finanziari», nonché dal mancato ancoraggio della determinazione del compenso ai costi del servizio di riscossione, peraltro in assenza della previsione di un importo massimo prestabilito dello stesso;
− la violazione dell’art. 97 Cost. sarebbe determinata dalla mancanza «di quei criteri di trasparenza e correlazione con l’attività richiesta e congruità con i costi medi di gestione del servizio (che rappresentano i corollari necessari del principio di buon andamento […])»;
che, con atto depositato il 2 maggio 2016, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità della questione per la mancanza di motivazione sulla rilevanza, ed in particolare del nesso di pregiudizialità della prospettata questione di costituzionalità stessa rispetto alla definizione della controversia, nonché per la carente esposizione della fattispecie e del quadro normativo di riferimento;
che, nel merito, l’interveniente sostiene, innanzitutto, che resterebbe indimostrato che la determinazione del compenso nella misura del 9 per cento degli importi da riscuotere determini una sovracompensazione del servizio di riscossione, considerando che la remunerazione dei costi sostenuti dall’agente della riscossione non implica una necessaria correlazione tra la misura dell’aggio e la singola operazione condotta dal concessionario e che, del resto, del tutto ragionevole si dimostrerebbe la scelta di determinare la misura dell’aggio in misura proporzionale rispetto all’importo del debito che ha dato causa all’esecuzione, mentre, di contro, la fissazione di un limite massimo all’aggio finirebbe per riversare la parte maggiore del costo delle esecuzioni infruttuose sulla platea dei contribuenti il cui inadempimento è minore;
che, sempre nel merito, parimenti infondata sarebbe la questione posta in relazione all’art. 3 Cost., per la radicale diversità di situazioni che determinano il pagamento integrale del costo dell’aggio (la mora rispetto ai termini di adempimento) o il suo pagamento solo parziale (la tempestività del pagamento);
che, con memoria depositata il 3 maggio 2016, si è costituita nel giudizio di costituzionalità Equitalia Sud spa, eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità della questione sollevata sotto i seguenti profili:
− difetto assoluto di motivazione sulla rilevanza, in quanto il giudice rimettente si sarebbe limitato ad affermazioni meramente assertive e apodittiche sulla decisività della dedotta questione di legittimità costituzionale per la definizione del giudizio pendente;
− difetto assoluto di rilevanza e, comunque, difetto di motivazione sulla rilevanza, nonché difetto del nesso di pregiudizialità necessaria della questione, sotto il profilo della mancata decisione degli altri motivi di ricorso che avrebbero potuto consentirne l’integrale accoglimento prescindendo dall’incidente di costituzionalità;
− difetto assoluto di rilevanza e, comunque, difetto di motivazione sulla rilevanza, sotto il profilo della carente descrizione della fattispecie e della conseguente impossibilità di verificare l’applicabilità al caso de quo della disciplina legislativa censurata, soprattutto in considerazione della mancata indicazione della data di iscrizione a ruolo;
− omesso tentativo di interpretazione della norma impugnata in conformità ai parametri costituzionali evocati;
− carenza di motivazione in riferimento all’asserita violazione dell’art. 97 Cost., risultando, la stessa, eccessivamente stringata e apodittica;
che, nel merito, viene sostenuta l’infondatezza della questione sotto tutti i profili dedotti, con argomentazioni analoghe a quelle sviluppate dalla società Equitalia Centro spa, relative alla ragionevolezza dei criteri di fissazione del compenso, destinato a remunerare l’attività dell’Agente di riscossione non in relazione alle singole attività compiute, ma alla complessiva attività di istituzione e mantenimento in efficienza del sistema nazionale della riscossione;
che la Commissione tributaria provinciale di Milano – nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di una cartella di pagamento per tributi IRPEF nella parte relativa all’aggio di riscossione – con ordinanza del 23 novembre 2015, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, «come modificato dall’art. 32, comma 1, lett. a) del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2», nella parte in cui addebita l’aggio in misura correlata al valore della lite;
che nell’ordinanza di rimessione si riferisce che la parte ricorrente ha impugnato per illegittimità della pretesa e, «in via subordinata», ha sollecitato la rimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999 per violazione degli artt. 3, 53 e 97 Cost.;
che il giudice a quo, ritenuta la questione rilevante, ne sostiene la non manifesta infondatezza con riferimento ai predetti parametri costituzionali, affermando, in particolare, che:
− la violazione dell’art. 3 Cost. deriverebbe dalla circostanza che la misura della remunerazione risulta svincolata dall’esercizio di specifiche attività da parte dell’Agente di riscossione e correlata unicamente all’importo delle somme iscritte a ruolo, senza la fissazione di un tetto minimo e massimo, oltre che dalla retroattività della disciplina, applicata anche a fatti imponibili risalenti ad un periodo di imposta precedente rispetto alla data di entrata in vigore della normativa introdotta dall’art. 2 del d.l. n. 262 del 2006;
− la misura dei compensi, non collegata alla capacità contributiva, contrasterebbe con l’art. 53 Cost., in quanto, da un lato, priverebbe i contribuenti del «diritto di dosare la propria contribuzione in base al reddito», e, dall’altro, determinerebbe una sfiducia nel sistema fiscale e, inoltre, «ostacola[rebbe] il libero esercizio delle arti e dei mestieri»;
− la normativa difetterebbe «di quei criteri di trasparenza e correlazione con l’attività richiesta e congruità con i costi medi di gestione del servizio, corollari necessari del principio di buon andamento sancito dall’art. 97 della Costituzione»;
che, con atto depositato il 17 maggio 2016, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale sostiene l’inammissibilità e la non fondatezza della questione sollevata, rilevando, sotto il profilo preliminare, la carente esposizione della fattispecie e del quadro normativo di riferimento, nonché la mancata disamina delle problematiche legate all’identificazione del momento determinante per l’individuazione della disciplina applicabile ratione temporis, e, nel merito, la ragionevolezza dei criteri di determinazione dell’aggio, con argomenti simili a quelli, sopra esposti, sviluppati negli altri giudizi;
che, con memoria depositata il 17 maggio 2016, si è costituita nel giudizio di costituzionalità Equitalia Nord spa, sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza della questione sollevata;
che, in particolare, in via preliminare viene eccepita:
− la manifesta inammissibilità della questione, per difetto assoluto di rilevanza e/o di motivazione sulla rilevanza, in quanto il giudice rimettente si limiterebbe ad un’affermazione meramente assertiva, chiarendo che «ritiene l’eccezione sollevata dal ricorrente rilevante e pertinente ai fini della decisone», con conseguente preclusione di qualsivoglia valutazione sul punto da parte della Corte;
− la manifesta inammissibilità della questione, per difetto assoluto di rilevanza e/o di motivazione sulla rilevanza e per difetto del nesso di pregiudizialità necessaria, sotto il profilo della mancata decisione degli altri motivi di ricorso che avrebbero potuto consentirne l’integrale accoglimento prescindendo dall’incidente di costituzionalità, in quanto la questione sollevata sarebbe prematura, posto che, per quanto si apprende dalla stessa ordinanza di rimessione, il vizio di legittimità costituzionale sarebbe stato denunciato solo «in subordine» rispetto alla domanda principale volta a far valere l’illegittimità della cartella di pagamento nella parte in cui sono richiesti i compensi di riscossione, sulla scorta della considerazione, tra le altre, che questi ultimi non dovrebbero applicarsi a fatti imponibili rispetto alla data di entrata vigore della normativa applicata;
− la manifesta inammissibilità della questione per difetto di rilevanza e difetto di motivazione sulla rilevanza, nonché per difetto del nesso di pregiudizialità necessaria, sotto il profilo della carente descrizione della fattispecie e della conseguente impossibilità di verificare l’applicabilità al caso de quo della disciplina legislativa censurata, in quanto il giudice rimettente descrive la fattispecie in maniera scarna e lacunosa, omettendo, tra l’altro, di indicare la data di iscrizione a ruolo dei relativi importi;
− la manifesta inammissibilità della questione per omesso tentativo di interpretazione della norma impugnata in conformità ai parametri costituzionali evocati;
che, nel merito, viene sostenuta l’infondatezza delle censure di cui agli artt. 3, 53 e 97 Cost., argomentando come nei casi precedenti;
che, in data 31 gennaio 2017, Equitalia Servizi di riscossione spa, quale società incorporante di Equitalia Sud spa, Equitalia Centro spa ed Equitalia Nord spa con effetto dal 1° luglio 2016, ha depositato, in ciascuno dei tre giudizi, memoria, sostanzialmente ribadendo le proprie argomentazioni a sostegno dell’inammissibilità e dell’infondatezza della questione ed evidenziando, per l’ipotesi di accoglimento della stessa, l’opportunità di considerare l’esigenza di disporre quantomeno una limitazione della retroattività degli effetti della declaratoria di incostituzionalità della norma censurata.
Considerato che le Commissioni tributarie provinciali di Cagliari, Roma e Milano dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione;
che, in particolare, a parere del primo e del terzo giudice rimettente, il censurato art. 17 – nella parte in cui addebita l’aggio in misura correlata al valore della lite – si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 53 e 97 Cost.;
che, secondo la Commissione provinciale tributaria di Roma, il citato art. 17 – nella parte in cui addebita l’aggio in misura correlata al valore della lite e ne calcola l’entità per i contribuenti che non effettuano il pagamento dell’imposta dovuta nei sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento nella misura fissa del 9 per cento – violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost.;
che, data l’identità di oggetto delle questioni sollevate, va disposta la riunione dei relativi giudizi;
che le questioni sono manifestamente inammissibili, per una pluralità di ragioni concomitanti;
che, con riferimento alla questione sollevata dalla Commissione tributaria di Cagliari, è fondata l’eccezione dedotta da Equitalia Centro spa relativa alla carenza e contraddittorietà della motivazione, in ordine in particolare all’identificazione dell’oggetto di giudizio (ordinanza n. 312 del 2012);
che non risulta chiaro quale versione del censurato art. 17 sia oggetto di impugnazione, poiché il giudice rimettente – dopo aver affermato «la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, D.lgs. n. 112, come modificato da ultimo dall’art. 32, D.L. n. 185» – da un lato, censura la variabilità dell’aggio su base territoriale, che era prevista dall’art. 17, come modificato dal d.l. n. 262 del 2006 ed è venuta meno con l’introduzione della misura unica su territorio nazionale pari al 9 per cento ad opera dell’art. 32 del d.l. n. 185 del 2008, dall’altro lato, nell’iter argomentativo, fa riferimento a quest’ultima misura;
che l’impossibilità, per le enunciate ragioni, di una precisa individuazione della norma censurata – non identificabile nemmeno dal contenuto complessivo dell’ordinanza, attesa anche la carenza descrittiva della fattispecie concreta – si riverbera sulla rilevanza della questione, impedendo di valutare la necessità di applicazione della norma stessa (ordinanza n. 312 del 2012);
che è anche fondata l’eccezione dedotta, con riferimento alle questioni sollevate dalle Commissioni tributarie di Roma e Milano, tanto dal Presidente del Consiglio dei ministri quanto, rispettivamente, da Equitalia Sud spa ed Equitalia Nord spa, per difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate;
che, invero, le due ordinanze di rimessione sono carenti sia nella descrizione della vicenda cui ciascuna di esse si riferisce, sia nella motivazione in punto di rilevanza, con la conseguenza che è preclusa a questa Corte la verifica dell’influenza della questione di legittimità sull’esito dei giudizi;
che, infatti, la Commissione tributaria provinciale di Roma si limita a esporre che la parte ricorrente ha impugnato «la cartella di pagamento indicata in epigrafe con la quale viene richiesto il pagamento dell’importo di € 574.913,86 iscritto a ruolo per l’anno 2006 a titolo di Iva, Ires, Irap, sanzioni, interessi nonché dell’importo di € 51.742,23, a titolo di compensi di riscossione e diritti»;
che, similmente, la Commissione tributaria provinciale di Milano riferisce unicamente che la parte ricorrente ha impugnato «la cartella di pagamento n. 06820120205054190000, notificata in data 4 dicembre 2012, recante l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio di un terzo delle somme accertate, oltre interessi e diritti di notifica, emessa dalla società Equitalia Nord s.p.a., agente della riscossione per la provincia di Milano»;
che dalla descrizione dei fatti non emergono una serie di elementi indispensabili per valutare se la normativa censurata debba trovare applicazione nei giudizi a quibus;
che tale carenza ha già condotto ad una declaratoria di inammissibilità di questioni di legittimità costituzionali aventi ad oggetto lo stesso art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999, in ordine alle quali questa Corte ha valorizzato la circostanza che dalla «scarna descrizione della fattispecie non emergono una serie di elementi – tra i quali, in particolare, la data di iscrizione a ruolo dei suddetti importi – necessari per verificare se la normativa censurata sia rilevante o meno ai fini della definizione del giudizio a quo», evidenziando che «nel caso in esame, la carente descrizione della fattispecie risulta tanto più determinante in quanto la disposizione censurata ha subito diversi interventi normativi e solo un’adeguata esposizione di tutti gli elementi essenziali del caso in esame avrebbe consentito di individuare con certezza la versione dell’art. 17 applicabile ratione temporis» (ordinanza n. 147 del 2015);
che l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie, per costante giurisprudenza della Corte, si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza che induce alla declaratoria di inammissibilità della questione (tra le tante, ordinanze n. 177 e n. 118 del 2016);
che, infine, è fondata, con riferimento alle questioni sollevate dalle Commissioni tributarie provinciali di Cagliari e Roma, l’eccezione di inammissibilità, dedotta tanto dal Presidente del Consiglio dei ministri quanto, rispettivamente, da Equitalia Centro spa ed Equitalia Sud spa, per difetto di motivazione sulla rilevanza della questione sollevata, sotto il profilo del mancato esame dei diversi motivi posti a fondamento del ricorso;
che, in particolare, la Commissione tributaria di Cagliari non spende una parola sulla rilevanza della questione sollevata e, anzi, afferma che «la cartella è […] illegittima sia perché manca qualsiasi motivazione della pretesa in ordine al calcolo delle sanzioni, sia perché il sistema sanzionatorio è caratterizzato dall’irretroattività delle norme che introducono pene più gravi per i contribuenti», omettendo di esaminare, in via preliminare, i motivi di impugnazione a sostegno della presunta illegittimità;
che, analogamente, la Commissione tributaria provinciale di Roma segnala che la parte ricorrente «contesta la cartella deducendo diversi profili di legittimità», ma poi si limita ad aggiungere su di essi che «per i primi due motivi, nella delibazione consentita senza anticipazione delle soluzioni, non può escludersi che si verta in ipotesi di infondatezza (quanto meno parziale); per modo che la sollevata questione di legittimità costituzionale si appalesa evidentemente rilevante ai fini della decisione sul terzo motivo»;
che la mancata argomentazione al riguardo rende l’affermazione immotivata e apodittica;
che questa Corte, con ordinanza n. 158 del 2013 (richiamando casi analoghi trattati con ordinanze n. 73 del 2011, n. 96 e n. 22 del 2010), ha ritenuto la mancata illustrazione delle ragioni di infondatezza di motivi di ricorso – spiegati in via principale nel giudizio a quo ed aventi pregiudizialità logica – causa di manifesta inammissibilità della questione sollevata, in quanto «l’esame di tali motivi […] è pregiudiziale, perché il loro eventuale accoglimento determinerebbe l’annullamento delle cartelle impugnate»;
che l’evidenziata carenza di motivazione delle ordinanze comporta la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Cagliari, dalla Commissione tributaria provinciale di Roma e dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2017.