SENTENZA N. 179
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera f), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, nel procedimento vertente tra il Comune di Cavallino e Omnia Veicoli srl, con ordinanza del 6 agosto 2015, iscritta al n. 290 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visto l’atto di costituzione della Presidenza del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 giugno 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza depositata il 6 agosto 2015 il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 103, primo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera f), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Le disposizioni vengono censurate nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esse ricomprendono, nelle materie di giurisdizione esclusiva da esse stesse indicate, le controversie nelle quali sia la pubblica amministrazione – e non l’amministrato – ad adire il giudice amministrativo. Ciò contrasterebbe con il sistema di giustizia amministrativa delineato dagli artt. 103 e 113 Cost., i quali, ad avviso del rimettente, prevederebbero un sistema di tutela attivabile esclusivamente ad iniziativa del privato leso da un provvedimento della pubblica amministrazione.
2.− Il Tribunale rimettente riferisce di essere investito della decisione in ordine al ricorso proposto dal Comune di Cavallino (LE), al fine di ottenere la condanna della parte resistente al pagamento di somme dovute per l’assegnazione di suoli edificatori del territorio comunale, in base ad una convenzione stipulata tra le parti ai sensi dell’art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sull’espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla legge 17 agosto 1942, n. 1150; alla legge 18 aprile 1962, n. 167; alla legge 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata).
Il giudice a quo osserva che il giudizio ha per oggetto l’esecuzione di obbligazioni derivanti da un atto convenzionale, suscettibile di essere ricondotto ai “moduli convenzionali in urbanistica”, i quali rientrano nella categoria degli accordi previsti dall’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), del d.lgs. n. 104 del 2010. Tale disposizione riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di «formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo […]». Inoltre, il medesimo art. 133, comma 1, alla successiva lettera f) attribuisce alla stessa giurisdizione esclusiva «le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio […]».
Osserva il rimettente che, in riferimento alle convenzioni urbanistiche, dottrina e giurisprudenza concordemente riconoscono la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche quando la pubblica amministrazione assume la veste di parte ricorrente ed il privato quella di parte resistente, ammettendo la tutela della pubblica amministrazione nei confronti dei soggetti privati in un giudizio «a parti invertite».
Al riguardo, viene richiamata l’ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 7 febbraio 2002, n. 1763, che ha affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla controversia, introdotta dalla pubblica amministrazione, avente ad oggetto l’inadempimento del privato delle obbligazioni derivanti da una convenzione di lottizzazione.
Il TAR rileva che anche nel giudizio a quo si controverte dell’inadempimento delle obbligazioni assunte con una convenzione di lottizzazione, la quale poneva a carico della società costruttrice le opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Si tratta, quindi, di una controversia relativa all’esecuzione di un accordo facente parte del procedimento finalizzato al rilascio della concessione edilizia e concluso al fine di determinare, in parte, il contenuto discrezionale di tale provvedimento. La controversia in esame rientrerebbe, quindi, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il giudice rimettente ritiene che, anche a prescindere dalla mancanza di coerenza di tale interpretazione con altre norme del medesimo d.lgs. n. 104 del 2010, l’art. 133, in parte qua – comma 1, lettera a, numero 2), e lettera f) – determini dubbi di compatibilità con gli artt. 103, primo comma, e 113, primo comma, Cost., i quali porterebbero a ritenere che – anche nelle controversie devolute in via esclusiva al giudice amministrativo – la giurisdizione sia limitata alla tutela del privato nei confronti della pubblica amministrazione, quale parte necessariamente resistente, ed escluderebbero invece che la stessa pubblica amministrazione possa assumere la veste di ricorrente.
E tuttavia, per effetto di un costante e diffuso orientamento interpretativo, tale da assurgere al rango di «diritto vivente», la disposizione censurata consente alla pubblica amministrazione di agire nei confronti del privato davanti al giudice amministrativo. Pertanto, il TAR ritiene di dovere sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale, evidenziando che il denunciato contrasto non è superabile in via interpretativa.
In punto di rilevanza, il giudice a quo evidenzia di non potere prescindere, ai fini della decisione, dalla definizione della questione di legittimità costituzionale. Dal suo accoglimento deriverebbe l’insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo e la preclusione di ogni pronuncia da parte del TAR in ordine alla controversia sottoposta al suo esame.
3.− Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, ovvero manifestamente infondata.
3.1.− In via preliminare, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità della questione relativa all’art. 133, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 104 del 2010, evidenziando che tale disposizione, nel devolvere al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva relativamente agli atti e provvedimenti adottati in materia urbanistica ed edilizia, si riferirebbe ad atti e provvedimenti adottati unilateralmente dall’amministrazione in queste materie, e sarebbe quindi estranea alle ipotesi nelle quali l’amministrazione agisca attraverso “moduli convenzionali” alternativi agli atti e provvedimenti unilaterali.
La giurisdizione esclusiva in materia di convenzioni, accordi o contratti, a vario titolo sostitutivi dei provvedimenti unilaterali, quale che sia la materia (anche diversa dall’urbanistica e dall’edilizia) in cui tali negozi vengono stipulati, sarebbe, invece, attribuita in via generale al giudice amministrativo dal comma l, lettera a), numero 2), dello stesso art. 133 del d.lgs. n. 104 del 2010. Quest’ultima sarebbe, dunque, la sola disposizione rilevante.
3.2.− Nel merito, la difesa statale osserva che gli artt. 103 e 113 Cost., nel prevedere che gli organi della giustizia amministrativa apprestano, anche nell’ambito della giurisdizione esclusiva, la tutela dei diritti e interessi legittimi «nei confronti della pubblica amministrazione», ovvero «contro gli atti e provvedimenti della pubblica amministrazione», intendono introdurre una specifica garanzia giurisdizionale per gli amministrati, ai quali viene assicurato che sia un giudice “naturale” della pubblica amministrazione – specificamente formato e organizzato per esaminare le controversie aventi ad oggetto l’esercizio dei poteri autoritativi della pubblica amministrazione – a decidere tali controversie.
Tuttavia, i medesimi parametri costituzionali invocati dal rimettente non intenderebbero affatto delineare una struttura processuale vincolante, che preveda, in particolare, che l’azione possa essere promossa esclusivamente dal privato, e non anche dall’amministrazione.
Ciò che rileverebbe, ad avviso della difesa statale, è che la controversia nella quale si discute dell’esercizio, anche in forma convenzionale, di poteri pubblici, sia attratta nella giurisdizione del giudice amministrativo. Viceversa, non rileverebbero, a livello costituzionale, le forme procedurali attraverso le quali tale obiettivo viene perseguito. La disciplina del concreto svolgimento processuale della giustizia amministrativa compete alla legge ordinaria e non è prestabilita a livello costituzionale. Ciò sarebbe confermato dall’ultimo comma dell’art. 113 Cost., allorché prevede che sia la legge a determinare quali organi di tale giustizia, in quali casi e con quali effetti, possano pronunciare l’annullamento degli atti amministrativi. Le norme costituzionali invocate non imporrebbero, quindi, che attore debba essere necessariamente il privato.
Tale conclusione sarebbe, inoltre, coerente con la portata bilaterale della garanzia introdotta da quelle norme. Esse garantiscono al privato la disponibilità di un giudice “naturale” del potere amministrativo e nello stesso tempo assicurano quel giudice anche all’interesse pubblico, di cui l’amministrazione è interprete allorché provvede nelle varie forme consentite, comprese quelle convenzionali.
La difesa statale evidenzia, in linea generale, che la giustizia amministrativa moderna nasce dal superamento del privilegio soggettivo di un giudice “domestico” della pubblica amministrazione, come erano i tribunali del contenzioso amministrativo aboliti nel 1865. Ma proprio nel garantire il privato con l’istituzione di un giudice “naturale” dei rapporti amministrativi, emergerebbe la necessaria implicazione dell’interesse particolare di quel privato con l’interesse generale, nel quale sono riassunti gli interessi particolari di tutti gli altri componenti della collettività. Pertanto, la giurisdizione amministrativa va affidata ad un giudice specificamente preparato a giudicare la complessità del rapporto giuridico amministrativo, nel quale non si ha la mera determinazione della misura in cui va soddisfatto l’interesse del singolo, bensì la ponderazione tra il soddisfacimento di tale interesse e la immanente e imprescindibile garanzia dell’interesse generale.
Sarebbe proprio questa la ragione per cui, aboliti nel 1865 i tribunali del contenzioso amministrativo, non apparve garanzia sufficiente la generalizzazione della giurisdizione ordinaria, e nel 1889 si istituì la nuova giustizia amministrativa, al fine di avere un giudice specificamente preordinato a garantire il privato e a verificare la legittimità della ponderazione dell’interesse individuale con gli interessi generali.
Se dunque la giustizia amministrativa si pone nella sostanza come giurisdizione sul rapporto e non sull’atto amministrativo, non vi sarebbe alcuna anomalia nell’ammettere che, sul piano processuale, l’azione avanti al giudice amministrativo possa proporsi non solo dal privato, ma anche dall’amministrazione.
3.3.− Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la questione sollevata sarebbe infondata anche per altre ragioni.
Si osserva, in primo luogo, che – sebbene il tenore letterale degli artt. 103 e 113 Cost. sembri alludere solo al caso in cui il ricorso alla giustizia amministrativa sia proposto dal privato – da ciò non sarebbe ricavabile il divieto della proposizione di tale ricorso anche da parte dell’amministrazione.
La Costituzione vuole assicurare che i privati possano ricorrere. Ciò non contrasterebbe affatto con la circostanza che la legge ordinaria consenta anche all’amministrazione di rivolgersi al giudice amministrativo. Laddove tale possibilità non si traduca nella vanificazione della garanzia assicurata al privato, la legge ordinaria ben può ammetterla, o può essere interpretata nel senso di ammetterla.
In secondo luogo, le disposizioni censurate costituiscono pur sempre applicazione, con riferimento ai rapporti giuridici amministrativi, dei principi generali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui questi garantiscono a tutti i soggetti dell’ordinamento il diritto di agire in giudizio a tutela delle proprie posizioni soggettive, e di farlo attraverso un «giusto processo», improntato alla parità delle armi tra le parti.
In questa prospettiva, l’interpretazione dei principi costituzionali proposta dal TAR si tradurrebbe essa stessa in una più grave violazione della Costituzione. Sarebbe preclusa la tutela giudiziale dell’interesse generale rappresentato dall’amministrazione qualora esso fosse stato gestito mediante la stipula di un accordo sostitutivo o integrativo del provvedimento, mentre il privato potrebbe adire il giudice amministrativo, qualora l’amministrazione fosse inadempiente.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la scelta del “modulo convenzionale” da parte dell’amministrazione non comporterebbe la perdita del potere di autotutela esecutiva, normalmente attivabile nei confronti del privato che si sottragga agli obblighi derivanti a suo carico dal provvedimento amministrativo autoritativo (nella specie, al pagamento degli oneri di concessione).
Viene, inoltre, richiamata quella giurisprudenza del Consiglio di Stato che afferma che l’applicazione dei principi in tema di obbligazioni e contratti agli accordi dell’amministrazione trova un limite nell’esercizio di potestà pubbliche e nelle finalità di pubblico interesse alle quali esse sono teleologicamente orientate. Ed invero, anche nei contratti ad oggetto pubblico l’amministrazione mantiene, comunque, la sua tradizionale posizione di supremazia. Tali contratti non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato, ma dai «principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti», sempre «in quanto compatibili» e salvo che «non diversamente previsto».
Pertanto, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la scelta del modulo convenzionale amplia le possibilità di scelta dell’amministrazione, poiché questa, di fronte all’inadempimento del privato, può scegliere la via dei principi generali del diritto civile, e quindi preferire l’azione giudiziaria all’autotutela esecutiva.
L’interpretazione proposta dal TAR rimettente, invece, comporterebbe che l’amministrazione, anche quando abbia stipulato un accordo sostitutivo o integrativo, sia obbligata a reagire all’inadempimento del privato in via di autotutela amministrativa, essendole preclusa la via della tutela giurisdizionale. Ciò determinerebbe, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, una violazione dei principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto la possibilità per l’amministrazione di ottenere l’accertamento giudiziale dell’inadempimento della controparte sarebbe subordinata all’adozione di un previo provvedimento amministrativo e all’instaurazione del contenzioso avverso quest’ultimo da parte del privato.
Inoltre, l’oggetto del giudizio sarebbe unilateralmente determinato dal privato mediante i motivi di ricorso. L’amministrazione, infatti, non potrebbe modificarlo o ampliarlo, ad esempio, attraverso una domanda riconvenzionale poiché ciò implicherebbe il riconoscimento della possibilità per l’amministrazione di agire in via autonoma, che è proprio quanto il TAR rimettente nega.
Considerato in diritto
1.− Con ordinanza depositata il 6 agosto 2015 il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 103, primo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera f), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Le disposizioni vengono censurate nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esse ricomprendono, nelle materie di giurisdizione esclusiva da esse stesse indicate, le controversie nelle quali sia la pubblica amministrazione – e non l’amministrato – ad adire il giudice amministrativo. Ciò contrasterebbe con il sistema di giustizia amministrativa delineato dagli artt. 103 e 113 Cost., i quali, ad avviso del rimettente, prevederebbero un sistema di tutela attivabile esclusivamente ad iniziativa del privato leso da un provvedimento della pubblica amministrazione.
2.− L’eccezione di inammissibilità della questione relativa all’art. 133, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 104 del 2010 non è fondata.
L’Avvocatura generale dello Stato osserva, in via preliminare, che tale disposizione si riferirebbe ad atti e provvedimenti adottati unilateralmente dall’amministrazione in materia urbanistica ed edilizia, e sarebbe estranea ai “moduli convenzionali”, in quanto alternativi agli atti e provvedimenti unilaterali. La previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di convenzioni sostitutive dei provvedimenti unilaterali, quale che sia la materia in cui tali negozi vengono stipulati, sarebbe invece contenuta nel comma l, lettera a), numero 2), dello stesso art. 133 del d.lgs. n. 104 del 2010, il quale sarebbe, dunque, la sola disposizione rilevante.
Va peraltro rilevato che nel giudizio a quo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si può radicare sia sulla disposizione dell’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), sia su quella della lettera f), del medesimo art. 133, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2010. Una controversia relativa all’esecuzione di una convenzione di lottizzazione può infatti trovare adeguata soluzione innanzi al giudice amministrativo (anche) in virtù di tale disposizione.
È pur vero che nelle ipotesi contemplate dalla lettera a), numero 2), è frequente che accada che sia l’amministrazione a chiedere al giudice la condanna della parte privata (anziché il privato che porti a conoscenza del giudice un accordo o un provvedimento dell’amministrazione ritenuto lesivo).
Tuttavia il duplice fondamento della giurisdizione esclusiva sulle convenzioni urbanistiche non consente di escludere la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR rimettente anche in ordine a tale ultima disposizione. Infatti, anche laddove non operasse la riserva prevista dalla lettera a), numero 2), il contenzioso sulle convenzioni urbanistiche sarebbe comunque riconducibile alla materia delineata dalla lettera f) del medesimo art. 133 del d.lgs. n. 104 del 2010.
3.− Nel merito la questione non è fondata.
3.1.– Viene denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera f), del d.lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui tali disposizioni devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie instaurate su iniziativa della pubblica amministrazione. Le censure del rimettente si appuntano, in particolare, nei confronti del diritto vivente che, sin da epoca risalente, ricomprende nell’ambito della giurisdizione esclusiva anche le controversie instaurate dalla pubblica amministrazione.
È di tutta evidenza che dagli accordi procedimentali possono derivare non solo vincoli a carico dell’autorità procedente, ma anche obblighi gravanti sul contraente privato. Se, di norma, la pubblica amministrazione è parte resistente nel processo amministrativo, dapprima l’art. 11, comma 5, legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) ed in seguito l’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), del d.lgs. n. 104 del 2010, hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie che trovano titolo negli accordi che sostituiscono o integrano i provvedimenti amministrativi. In tali controversie, anche quando parte attrice sia l’amministrazione, la giurisprudenza di legittimità, sia ordinaria, sia amministrativa, riconosce la giurisdizione del giudice amministrativo.
Al riguardo, va rilevato che – sebbene gli artt. 103 e 113 Cost. siano formulati con riferimento alla tutela riconosciuta al privato nelle diverse giurisdizioni – da ciò non deriva affatto che tali giurisdizioni siano esclusivamente attivabili dallo stesso privato, né che la giustizia amministrativa non possa essere attivata dalla pubblica amministrazione; tanto più ove si consideri che essa storicamente e istituzionalmente è finalizzata non solo alla tutela degli interessi legittimi (ed in caso di giurisdizione esclusiva degli stessi diritti), ma anche alla tutela dell’interesse pubblico, così come definito dalla legge.
Per quanto riguarda, in particolare, l’art. 103 Cost., laddove esso prevede la giurisdizione esclusiva «in particolari materie indicate dalla legge», la costante giurisprudenza di questa Corte identifica i criteri che legittimano tale giurisdizione in riferimento esclusivo alle materie prescelte dal legislatore ed all’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di un potere pubblico (sentenze n. 191 del 2006 e n. 204 del 2004).
Da ciò discende la necessità ai fini della compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie alla detta giurisdizione, che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse; che il legislatore assegni al giudice amministrativo la cognizione non di “blocchi di materie”, ma di materie determinate; e che l’amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti, come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi, che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio (sentenza n. 35 del 2010).
In considerazione di tali principi, il diritto vivente in tema di giurisdizione esclusiva sugli accordi procedimentali risulta pienamente coerente con questa ricostruzione sistematica e ne costituisce il ragionevole sviluppo.
Infatti, in sede di regolazione della giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato il collegamento funzionale delle convenzioni urbanistiche al procedimento di rilascio dei titoli abilitativi edilizi, dei quali esse condizionano l’adozione e integrano il contenuto (si veda ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 14 gennaio 2014, n. 584 e Consiglio di Stato, sezione quarta, 12 novembre 2009, n. 7057).
In quanto inserite nell’ambito del procedimento amministrativo, le convenzioni e gli atti d’obbligo stipulati tra pubblica amministrazione e privati costituiscono pur sempre espressione di un potere discrezionale della stessa pubblica amministrazione. Tali moduli convenzionali di esercizio del potere amministrativo non hanno, quindi, specifica autonomia. In coerenza con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, il fondamento di tali ipotesi di giurisdizione esclusiva viene legittimamente individuato nell’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, del potere pubblico.
Siffatta interpretazione offerta dalle magistrature superiori in ordine al fondamento del criterio di riparto della giurisdizione in materia di accordi procedimentali risulta altresì coerente con l’evoluzione complessiva del sistema di giustizia amministrativa, il quale – da giurisdizione sull’atto – sempre più spesso si configura quale giurisdizione sul rapporto amministrativo.
3.2.− D’altra parte, va rilevato che l’ordinamento non conosce materie “a giurisdizione frazionata”, in funzione della differente soggettività dei contendenti. Elementari ragioni di coerenza e di parità di trattamento esigono, infatti, che l’amministrazione possa avvalersi della concentrazione delle tutele che è propria della giurisdizione esclusiva e che quindi le sia riconosciuta la legittimazione attiva per convenire la parte privata avanti il giudice amministrativo.
3.3.− Viceversa, la soluzione prospettata dal rimettente introdurrebbe effetti disarmonici e irragionevoli.
In primo luogo, la concentrazione delle tutele e l’adeguamento alla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori costituivano criteri direttivi imposti al legislatore delegato dall’art. 44, comma 2, lettera a), della legge delega n. 69 del 2009, con la conseguenza che una scelta di segno opposto – nel senso indicato dal rimettente – si sarebbe posta in contrasto con i criteri della delega e quindi con l’art. 76 Cost.
Inoltre, una volta esclusa, per le ragioni sopra dette, la possibilità di agire dinanzi al giudice ordinario, l’intervento richiesto dal rimettente porterebbe ad un sistema in cui l’amministrazione, anche quando abbia stipulato un accordo sostitutivo o integrativo del procedimento, potrebbe reagire all’inadempimento del privato soltanto in via di autotutela amministrativa, essendole preclusa la via della tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo. L’accertamento giudiziale dell’inadempimento della parte privata finirebbe per essere condizionato alla previa instaurazione del contenzioso da parte del privato. L’oggetto stesso del giudizio verrebbe unilateralmente determinato dal privato mediante i motivi di ricorso, non potendo l’amministrazione modificarlo o ampliarlo attraverso una domanda riconvenzionale. Tutto ciò appare difficilmente compatibile con i principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost.
Alla luce di tali argomenti, deve essere dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale formulata dal TAR Puglia.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera f), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Carmelinda MORANO, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2016.