ORDINANZA N. 265
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della delibera legislativa della Regione siciliana, relativa al disegno di legge n. 478/A (Benefici in favore dei testimoni di giustizia), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 1° agosto 2014, promosso dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana, con ricorso notificato il 9 agosto 2014, depositato in cancelleria il 18 agosto 2014 ed iscritto al n. 60 del registro ricorsi 2014.
Udito nella camera di consiglio del 23 settembre 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che, con ricorso notificato il 9 agosto 2014 e depositato il successivo 18 agosto (reg. ric. n. 60 del 2014), il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha promosso, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della delibera legislativa relativa al disegno di legge n. 478/A (Benefici in favore dei testimoni di giustizia), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 1° agosto 2014;
che la norma impugnata estende ai testimoni di giustizia o ai loro figli i benefici previsti dall’art. 4, commi 1 e 1-bis, della legge della Regione siciliana 13 settembre 1999, n. 20 (Nuove norme in materia di interventi contro la mafia e di misure di solidarietà in favore delle vittime della mafia e dei loro familiari);
che la disposizione è censurata nella sola parte in cui l’estensione dei benefici concerne il figlio del testimone di giustizia, per violazione del principio di uguaglianza;
che il ricorrente rileva che l’art. 16-ter del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8 (Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, riserva il beneficio dell’assunzione presso la pubblica amministrazione al testimone di giustizia, escludendone altre persone;
che l’attribuzione del beneficio al figlio del testimone di giustizia introdurrebbe un trattamento differenziato a vantaggio di chi rende testimonianza presso autorità giudiziarie aventi sede in Sicilia, senza alcuna giustificazione;
che inoltre l’art. 3 Cost. sarebbe violato anche perché la norma impugnata non prevede l’estensione del beneficio a qualunque familiare convivente, avvantaggiando in tal modo il figlio del testimone di giustizia, benché le misure speciali di protezione previste dagli artt. 9 e 13, comma 5, del d.l. n. 8 del 1991 siano attribuite a tutti i familiari conviventi;
che il disegno di legge è stato promulgato con la legge regionale 26 agosto 2014, n. 22 (Benefici in favore dei testimoni di giustizia), con omissione della previsione impugnata.
Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 255 del 2014, sopravvenuta al ricorso, sulla premessa che «il peculiare controllo di costituzionalità delle leggi […] della Regione siciliana − strutturalmente preventivo − è caratterizzato da un minor grado di garanzia dell’autonomia rispetto a quello previsto dall’art. 127 Cost.», e in applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che introduce la «clausola di maggior favore» ai fini della più compiuta garanzia delle autonomie speciali, ha ritenuto che «deve pertanto estendersi anche alla Regione siciliana il sistema di impugnativa [successiva] delle leggi regionali, previsto dal riformato art. 127 Cost.», e, a tal fine, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in parte qua, della norma − ostativa a siffatta estensione − contenuta nell’art. 31, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3);
che, in conseguenza della eliminazione del frammento normativo che manteneva fermo il particolare sistema di controllo delle leggi siciliane, risultano ora «non più operanti le norme statutarie relative alle competenze del Commissario dello Stato nel controllo delle leggi siciliane, alla stessa stregua di quanto affermato da questa Corte con riguardo a quelle dell’Alta Corte per la Regione siciliana (sentenza n. 38 del 1957), nonché con riferimento al potere del Commissario dello Stato circa l’impugnazione delle leggi e dei regolamenti statali (sentenza n. 545 del 1989)» (sentenza n. 255 del 2014);
che, pertanto, gli artt. 27 (sulla competenza del Commissario dello Stato ad impugnare le delibere legislative dell’Assemblea regionale siciliana), 28, 29 e 30 dello statuto della Regione siciliana (approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) non trovano più applicazione, per effetto dell’estensione alla Regione siciliana del controllo successivo previsto dagli artt. 127 Cost. e 31 della legge n. 87 del 1953 per le Regioni a statuto ordinario, secondo quanto già affermato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte per le altre Regioni ad autonomia differenziata e per le Province autonome;
che ciò impedisce che il presente giudizio possa avere seguito (anche solo agli effetti di una pronuncia di cessazione della materia del contendere per mancata promulgazione delle disposizioni impugnate, circostanza quest’ultima che preclude la concessione di una eventuale rimessione in termini in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri) e comporta una dichiarazione in limine dell’improcedibilità del ricorso (ex plurimis, ordinanze n. 123 e n. 105 del 2015).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara improcedibile il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2015.