ORDINANZA N. 194
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Sabino CASSESE Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11 del regio decreto-legge 11 ottobre 1934, n. 1948 (Nuovo testo delle condizioni e tariffe per il trasporto delle persone sulle ferrovie dello Stato), convertito dalla legge 4 aprile 1935, n. 911 (più precisamente: dell’art. 11 delle «Condizioni e tariffe per i trasporti delle persone» approvate dal predetto r.d.l. n. 1948 del 1934 e ad esso allegate), promosso dal Tribunale ordinario di Napoli nel procedimento civile vertente tra M.F.R. e Trenitalia spa, con ordinanza del 27 gennaio 2012, iscritta al n. 278 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti l’atto di costituzione di Trenitalia spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi l’avvocato Carmine Punzi per Trenitalia spa e l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza del 27 gennaio 2012, il Tribunale ordinario di Napoli, adìto a seguito di appello proposto da una parte privata avverso la sentenza pronunciata dal Giudice di pace di Napoli (con la quale era stata respinta la domanda proposta per ottenere dalla società Trenitalia il risarcimento dei danni patrimoniali subìti in conseguenza del ritardo riportato dal treno Napoli-Roma il 4 luglio 2005), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 del regio decreto-legge 11 ottobre 1934, n. 1948 (Nuovo testo delle condizioni e tariffe per il trasporto delle persone sulle ferrovie dello Stato), convertito dalla legge 4 aprile 1935, n. 911 (più precisamente: dell’art. 11 delle «Condizioni e tariffe per i trasporti delle persone» approvate dal predetto r.d.l. n. 1948 del 1934 e ad esso allegate);
che, secondo il giudice a quo, l’appello, nella specie, anche se riferito a causa di valore inferiore ad euro millecento, deve ritenersi ammissibile, a norma dell’art. 113, secondo comma, del codice di procedura civile, in quanto la domanda si riferisce ad un contratto per adesione;
che – sottolinea il giudice rimettente «sempre in punto di rilevanza» – la parte attrice avrebbe dedotto e provato di aver sofferto un danno patrimoniale, in conseguenza del ritardo del treno di circa 94 minuti, riferibile, oltre che all’ammontare del prezzo del biglietto ferroviario, anche alle spese sostenute per la perdita della coincidenza del volo Roma-Zurigo, con la conseguente necessità di acquistare un nuovo biglietto aereo, oltre alle spese per un rientro a Napoli e un ritorno a Roma il giorno seguente;
che dagli artt. 9 e 10 del predetto r.d.l. n. 1948 del 1934 emergerebbe che il viaggiatore può ottenere, a determinate condizioni, il rimborso del biglietto e solo qualora il medesimo non sia stato utilizzato e la partenza del treno sia stata ritardata di almeno un’ora;
che, nel caso di specie, escluso che la causa del ritardo possa ricondursi a caso fortuito o forza maggiore – che esonererebbero il vettore dalla responsabilità –, posto che esso è dipeso da un guasto al locomotore e dunque da fattore imputabile al vettore, essendo questi tenuto ad un’adeguata manutenzione del mezzo di trasporto;
che la normativa richiamata dovrebbe ritenersi vigente, «atteso che la stessa, abrogata dall’art. 24 D.L. n. 112/08, convertito nella l. n. 133/2008, e ribadita con decorrenza dal 16/12/2009 dall’art. 2 comma 1 D.L. n. 200/2008, è stata ripristinata in sede di conversione del predetto decreto dall’art. 1 L. n. 9/2009»;
che, d’altra parte, «i fatti di causa risalgono al luglio 2005, sicché, in mancanza di un’espressa disciplina transitoria, l’abrogazione temporanea della normativa di cui alla L. n. 911/1935, attuata dal richiamato art. 24 D.L. n. 112/08, non ha in alcun modo interferito sulla piena applicabilità di detta normativa alla fattispecie oggetto di lite»;
che la responsabilità del vettore risulterebbe ancora disciplinata dal r.d.l. n. 1948 del 1934, trattandosi, in ogni caso, di «regolamentazione autorizzata dall’atto di concessione ed applicabile a tutti gli utenti del servizio, come previsto dall’art. 1679 comma 1° c.c., e quindi avente valore di fonte normativa regolamentare e non di disposizione contrattuale ex art. 1341 c.c.»;
che, nel merito, la normativa censurata, limitando «la responsabilità del vettore ferroviario al solo rimborso del costo del biglietto in caso di ritardo del treno», violerebbe il principio di uguaglianza e di ragionevolezza;
che essa rappresenterebbe «un anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio di trasporto ferroviario, nonostante la natura privatistica del rapporto», generando un’irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi si avvalga di altro mezzo di trasporto, in linea con quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 46 del 2011, a proposito della omologa limitazione di responsabilità in materia di servizio postale;
che, dunque, «la mera restituzione del corrispettivo versato» non assolverebbe «ad alcuna funzione risarcitoria»;
che sarebbe anche violato l’art. 24 Cost., non consentendosi «all’utente danneggiato di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata dalla legge»;
che si è costituita in giudizio Trenitalia spa, rappresentata e difesa come in atti, la quale ha chiesto dichiararsi la manifesta inammissibilità della questione per mancata verifica della conformità della disciplina censurata alla normativa comunitaria, ovvero, in subordine, per irrilevanza della questione e, comunque, per insufficiente e/o erronea motivazione sul punto, ovvero ancora, in via ulteriormente subordinata, dichiararsi l’infondatezza della questione;
che la ricostruzione del quadro normativo operato nell’ordinanza di rimessione sarebbe incompleta, essendo ormai la materia del trasporto ferroviario dei passeggeri disciplinata dal regolamento CE 23 ottobre 2007, n. 1371/2007 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario), «entrato in vigore, ai sensi dell’art. 37, “24 mesi dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea”, dunque il 3 dicembre 2009 (all. nn. 1 e 2)»;
che di questa disciplina il giudice rimettente avrebbe dovuto tenere conto, trattandosi di fonte direttamente applicabile, tanto nell’ipotesi di contrasto rispetto alla disciplina nazionale quanto di una sua compatibilità, evocandosi, al riguardo, la giurisprudenza costituzionale ormai consolidata;
che da tale omissione discenderebbe l’inammissibilità della questione;
che la disciplina denunciata sarebbe stata, comunque, dal giudice a quo, erroneamente interpretata, dal momento che, in base alle Condizioni generali del trasporto ferroviario all’epoca dei fatti, Trenitalia spa riconosceva al passeggero non solo il diritto al rimborso del biglietto non utilizzato in caso di ritardo in partenza superiore a sessanta minuti, ma anche il diritto ad un indennizzo proporzionale al prezzo del biglietto utilizzato per un treno giunto a destinazione con ritardo egualmente superiore a sessanta minuti;
che, nel merito, la questione sarebbe, comunque, infondata, risultando la disciplina denunciata in linea con quella comunitaria e anzi più favorevole rispetto a questa e apparendo, quindi, inappropriato qualsiasi riferimento ad un presunto «anacronistico privilegio» del vettore ferroviario;
che, d’altra parte, la validità della disciplina in esame sarebbe stata «accertata» dal decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246) il quale ha «“salvato? dal taglio» – già previsto dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e dal decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200 (Misure urgenti in materia di semplificazione normativa), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 18 febbraio 2009, n. 9 – «norme che, pur risalendo al vecchio ordinamento costituzionale, dovevano essere ritenute non contrarie ai principi del nostro ordinamento e dunque meritevoli di essere mantenute in vigore»;
che la sottoposizione della responsabilità del vettore ferroviario ad un regime speciale rispetto alle previsioni codicistiche troverebbe il suo fondamento nei connotati pubblicistici caratteristici nella disciplina di tale settore, come è dimostrato dalle varie fonti succedutesi nel tempo per disciplinare l’attività dell’ente ferroviario, dalla stessa disciplina comunitaria e dall’art. 101 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229), in linea, del resto, con le prassi in uso all’epoca dei fatti presso i maggiori vettori ferroviari europei e con le previsioni dettate dalla «Carta Europea dei Servizi Ferroviari Passeggeri, adottata in data 22 ottobre 2002 dal CER (Community of European Railways)»;
che sarebbe, poi, improprio il richiamo alla sentenza n. 46 del 2011, in tema di responsabilità del servizio postale, essendo stata, in quella circostanza, censurata l’assenza di qualsiasi responsabilità in caso di radicale inadempimento dell’obbligazione connessa all’esercizio della posta celere;
che, in riferimento alla pretesa violazione dell’art. 24 Cost., si osserva che questo parametro è posto «a tutela di diritti a condizione che questi siano effettivamente e validamente riconosciuti dall’ordinamento», come d’altra parte può dedursi dalla sentenza n. 296 del 2008, con la quale è stato censurato il previo reclamo amministrativo in tema di azioni giudiziarie derivanti dal contratto di trasporto ferroviario;
che la questione sarebbe, infine, irrilevante, dal momento che il passeggero avrebbe potuto tempestivamente utilizzare un altro treno in partenza da Napoli per giungere a Roma in tempo utile per recarsi in aeroporto per l’imbarco programmato per Zurigo;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che, secondo la difesa erariale, l’art. 1680 del codice civile prevede, in via generale, che le disposizioni codicistiche in tema di contratto di trasporto ferroviario trovino applicazione solo in quanto non derogate dalle leggi speciali;
che la disposizione denunciata troverebbe la propria ragione nell’esigenza di contenere oneri eccessivi, destinati altrimenti a determinare un aumento di tariffe a carico di tutta l’utenza, evocandosi, al riguardo, la sentenza n. 90 del 1982;
che non sarebbe, invece, pertinente il richiamo alla sentenza n. 46 del 2011 relativa al servizio postale, trattandosi di fattispecie diversa da quella oggetto dell’attuale scrutinio;
che, infine, sarebbe improprio il richiamo all’art. 24 Cost., in quanto la disposizione censurata non impedirebbe né limiterebbe il ricorso al giudice, ma solo circoscriverebbe «sul piano sostanziale» il diritto al risarcimento;
che, in prossimità dell’udienza, Trenitalia spa ha depositato memoria nella quale ha ulteriormente ribadito le considerazioni e le conclusioni poste a fondamento della memoria di costituzione.
Considerato che il Tribunale ordinario di Napoli solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 del regio decreto-legge 11 ottobre 1934, n. 1948 (Nuovo testo delle condizioni e tariffe per il trasporto delle persone sulle ferrovie dello Stato), convertito dalla legge 4 aprile 1935, n. 911 (più precisamente: dell’art. 11 delle «Condizioni e tariffe per i trasporti delle persone» approvate dal predetto r.d.l. n. 1948 del 1934 e ad esso allegate), nella parte in cui prevede limitazioni in ordine alla responsabilità del vettore ferroviario per i danni subiti dai passeggeri in relazione al ritardo dei treni, in particolare laddove circoscrive tale responsabilità al solo rimborso del prezzo del biglietto;
che tale limitazione si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza e con quello di ragionevolezza, rappresentando «un anacronistico privilegio in favore del concessionario del servizio di trasporto ferroviario, nonostante la natura privatistica del rapporto», tale da generare una irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi si avvalga di altro mezzo di trasporto, senza che «la mera restituzione del corrispettivo versato» assolva «ad alcuna funzione risarcitoria»;
che, nella specie, risulterebbe violato anche l’art. 24 Cost., in quanto la disposizione oggetto di censura non consentirebbe «all’utente danneggiato di far valere in giudizio il diritto ad ottenere un risarcimento in misura superiore a quella predeterminata dalla legge»;
che, in linea di fatto, la parte attrice avrebbe provato di aver subìto un maggior danno, rispetto al semplice prezzo del biglietto di viaggio, in conseguenza del ritardo del treno da Napoli a Roma di circa 94 minuti, avendo, in dipendenza di tale ritardo, sostenuto spese, a causa della perdita della coincidenza del volo Roma-Zurigo, per l’acquisto di un nuovo biglietto aereo e per gli oneri connessi al rientro a Napoli e al ritorno a Roma il giorno successivo;
che, peraltro, anche a voler prescindere da talune non indifferenti lacune nella descrizione della fattispecie – a fronte delle contrarie deduzioni svolte dalla difesa di Trenitalia spa, l’ordinanza non evidenzia in alcun modo l’impossibilità, per la parte attrice, di utilizzare tempestivamente, ai fini della coincidenza con il volo per Zurigo, altro treno in partenza da Napoli per Roma –, il giudice rimettente, nel porre a fulcro delle proprie censure la risalente disciplina dettata dal regio decreto-legge n. 1948 del 1934, non si è fatto minimamente carico di verificare le successive, consistenti modificazioni subìte, sul piano normativo ed ordinamentale, dalla “materia” del trasporto ferroviario, per inferirne i conseguenti rilievi tanto sul versante dell’effettiva efficacia della disciplina censurata, quale fonte esclusiva della contestata limitazione di responsabilità, quanto sul versante della non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale;
che un primo fondamentale punto, sul quale il giudice rimettente ha omesso di soffermarsi, è rappresentato proprio dalla disciplina ordinaria prevista dal codice civile in materia di trasporto in genere e ferroviario in specie;
che, infatti, se, per un verso, il codice civile fa mostra di “recepire? il quadro normativo previgente – di impronta chiaramente pubblicistica (l’art. 1679, in tema di trasporti su concessione amministrativa, evoca il rispetto delle condizioni generali stabilite o autorizzate in sede concessoria) –, assegnando alle disposizioni generali in materia di trasporto una funzione “sussidiaria” (l’art. 1680 fa espressamente salve, anche per il trasporto ferroviario, le deroghe stabilite dal codice della navigazione e dalle leggi speciali), sotto altro e, qui, più rilevante profilo, esso introduce, con l’art. 1229, una previsione generale di nullità – relativa, dunque, anche al vettore – di qualsiasi limitazione pattizia della responsabilità per dolo o colpa grave;
che, pertanto, il giudice rimettente avrebbe dovuto previamente verificare se, anche nel caso di specie, questa previsione potesse venire in discorso come utile parametro, quantomeno di tipo ermeneutico, per “interpretare” le disposizioni limitative della responsabilità risarcitoria dell’ente ferroviario, in caso di ritardo, come riferite ai soli casi di culpa levis e per mantenere l’obbligo risarcitorio ordinario ai casi, invece, di dolo o colpa grave, dovendo, correlativamente, anche apprezzare il tipo di colpa in concreto eventualmente ravvisabile, nel giudizio a quo, in capo al vettore;
che, del pari, l’ordinanza di rimessione ha omesso di misurarsi con le profonde modifiche subìte, nel corso dei decenni, dalla disciplina relativa allo stesso ente ferroviario, non poco influenti sul quadro ordinamentale di riferimento;
che, al riguardo, appare – a tacer d’altro – di specifico rilievo la riforma introdotta dalla legge 17 maggio 1985, n. 210 (Istituzione dell’ente «Ferrovie dello Stato»), con la quale l’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato è stata trasformata in ente pubblico, stabilendosi, nella circostanza, non soltanto il rinvio a fonti regolamentari di tutte le disposizioni previgenti in tema di organizzazione e di funzionamento dell’esercizio ferroviario (art. 14), ma l’espressa (art. 16, quinto comma) devoluzione «alla competenza degli organi dell’ente» delle «restanti tariffe e la determinazione delle condizioni generali di trasporto, della nomenclatura e classificazione delle cose, comprese le avvertenze generali che la precedono, nonché delle condizioni particolari di tariffe, servizi o trasporti determinati e la concessione di facilitazioni di carattere eccezionale per trasporti singoli»;
che, dunque, l’intera tematica delle condizioni generali e delle tariffe (queste ultime intrinsecamente variabili) ha subìto, almeno dal 1985 – specie sul piano della relativa dinamica attuativa – un affrancamento dall’antica fonte legislativa, con la quale tariffe e condizioni generali di contratto erano state approvate, per essere trasferita all’autonomia regolativa dell’ente;
che tale prospettiva, quindi, non soltanto ha indotto verso un’espressa delegificazione della materia in discorso ma ha determinato la relativa integrale devoluzione ai poteri di auto-organizzazione dell’ente;
che le successive e variegate modifiche apportate tanto alla struttura dell’ente – divenuto, poi, società privata – quanto al regime delle tariffe e delle condizioni generali di contratto, si iscrivono, così, in un quadro di riferimento nel quale le connotazioni della disciplina del 1934 appaiono profondamente trasfigurate;
che il giudice a quo avrebbe, dunque, dovuto adeguatamente motivare circa le ragioni in forza delle quali la semplice espunzione della normativa censurata – ormai innovata nei suoi contenuti – varrebbe, di per sé, ad assegnare alla parte attrice il diritto al risarcimento, escludendo qualsiasi rilevanza, come fonte di obbligazioni, al “disciplinare” in vigore all’epoca dei fatti (vale a dire alle condizioni generali di contratto accettate dall’utente al momento in cui decide di avvalersi del servizio), quanto a misura e presupposti del rimborso in caso di ritardo;
che il giudice rimettente ha, infine, del tutto omesso di considerare, ai fini di una compiuta ricostruzione comparativa del contesto normativo di riferimento, la disciplina introdotta dal regolamento CE 23 ottobre 2007, n. 1371/2007 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario), espressamente richiamato dalle vigenti condizioni generali di trasporto;
che, alla luce delle disposizioni dettate da tale regolamento (in particolare, agli artt. 15, 16, 17 e 18), emerge che, fatte salve le previsioni nazionali che assicurino un risarcimento anche per «danni diversi» (Allegato I, art. 32, comma 3), non vengono riconosciuti al trasportato, in caso di ritardo, diritti nella sostanza diversi o poziori rispetto a quelli previsti dalle condizioni generali di cui si è detto, con la conseguenza che il vettore nazionale non può ritenersi “comunitariamente” obbligato a prestazioni risarcitorie diverse da quelle previste;
che, ancora una volta, il giudice a quo avrebbe dovuto, al fine di rendere rilevante il dubbio di legittimità costituzionale, fornire adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali la disciplina di cui al predetto regolamento sia da ritenere, in ipotesi, inapplicabile al caso di specie;
che, pertanto, alla luce delle lacune innanzi evidenziate, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 del regio decreto-legge 11 ottobre 1934, n. 1948 (Nuovo testo delle condizioni e tariffe per il trasporto delle persone sulle ferrovie dello Stato), convertito dalla legge 4 aprile 1935, n. 911 (più precisamente: dell’art. 11 delle «Condizioni e tariffe per i trasporti delle persone» approvate dal predetto r.d.l. n. 1948 del 1934 e ad esso allegate), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2014.
F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2014.