ORDINANZA N. 179
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 2 e 3, della legge della Regione Puglia 13 agosto 1993, n. 17 (Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani), come modificato dall’art. 4, comma 1, della legge della Regione Puglia 18 luglio 1996, n. 13 (Nuove norme per l’accelerazione e lo snellimento delle procedure per l’attuazione del Piano regionale e della Organizzazione dei servizi di smaltimento di rifiuti urbani. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 13 agosto 1993, n. 17 “Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani”), promosso dal Tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, nel giudizio vertente tra la Tradeco srl e il Comune di Altamura, con ordinanza del 24 maggio 2013, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti l’atto di costituzione della Tradeco srl, nonché l’atto di intervento della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi gli avvocati Raffaele Padrone per la Tradeco srl e Marcello Cecchetti per la Regione Puglia.
Ritenuto che il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, con ordinanza depositata il 24 maggio 2013, ha sollevato questione di costituzionalità – in riferimento agli artt. 23, 117 e 119 della Costituzione, questi ultimi nel testo anteriore alla sostituzione operata dagli artt. 3 e 5 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) − dell’art. 10, commi 2 e 3, della legge della Regione Puglia 13 agosto 1993, n. 17 (Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani), come modificato dall’art. 4, comma 1, della legge regionale 18 luglio 1996, n. 13 (Nuove norme per l’accelerazione e lo snellimento delle procedure per l’attuazione del Piano regionale e della Organizzazione dei servizi di smaltimento di rifiuti urbani. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 13 agosto 1993, n. 17 “Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani”), nella parte in cui prevede l’obbligo di corrispondere al Comune sede dell’impianto di smaltimento rifiuti somme di denaro a titolo di contributo a copertura del costo socio-ambientale (cosiddetto «contributo socio-ambientale») sulla censurata disposizione;
che il giudice a quo – ritenuta la rilevanza, controvertendosi (con particolare riferimento alla domanda riconvenzionale proposta dal Comune convenuto) sul diritto alla corresponsione di somme di denaro a titolo di «contributo socio-ambientale» fondato dal Comune sulla censurata disposizione – afferma la non manifesta infondatezza della questione in quanto la pretesa avrebbe natura tributaria (ovvero di prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 Cost.) ed esulerebbe dall’ambito della potestà impositiva attribuita alle Regioni a statuto ordinario dal testo costituzionale nella formulazione anteriore alla riforma di cui alla legge cost. n. 3 del 2001;
che tali affermazioni vengono sostenute – ripercorrendo le argomentazioni di questa Corte svolte nella sentenza n. 280 del 2011, con riferimento «ad analoga disposizione regionale» contenuta nell’art. 16 della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986, n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915) – sulla base della considerazione che il contributo disciplinato dalla impugnata disposizione regionale non potrebbe considerarsi né una tassa sulle concessioni regionali di cui all’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario) «afferendo all’attività di stoccaggio dei rifiuti in discarica e non agli atti adottati dalle Regioni o dagli enti locali nell’esercizio delle funzioni delegate dagli artt. 117 e 118 Cost.», né un contributo di urbanizzazione di cui alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli) «essendo correlato alla permanenza nel territorio Comunale della discarica e al quantitativo dei rifiuti ivi stoccati e non all’urbanizzazione dell’area su cui l’impianto insiste» né un canone di concessione «essendo imposto per legge regionale e non quale corrispettivo in virtù di atto amministrativo di concessione», né un corrispettivo per l’attività di raccolta dei rifiuti «compensata dall’apposita “tassa di smaltimento dei rifiuti” di cui al r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per la finanza locale) e al d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttive – CEE − numero 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e numero 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi) e successive modificazioni», né, infine, «un corrispettivo per una specifica attività del Comune “ospitante” in favore del privato»;
che, quindi, le disposizioni regionali si porrebbero in contrasto con gli artt. 23, 117 e 119 Cost. (questi ultimi nel testo anteriore alla sostituzione operata dagli artt. 3 e 5 della legge cost. n. 3 del 2001), in quanto mancherebbe una norma statale disciplinante i «“paletti” che la legge deve provvedere a fissare, indicando tipologia del tributo, scopo, metodo di determinazione dello stesso», nel cui ambito l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni potrebbe legittimamente operare;
che è intervenuta la Regione Puglia, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente infondata;
che la questione sarebbe manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, in quanto il giudice rimettente avrebbe omesso di fornire una adeguata descrizione della fattispecie, omettendo di esaminare due elementi decisivi ai fini della corretta instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale: l’effettiva applicabilità della disciplina censurata nonché la necessarietà della sua applicazione per la decisione della controversia;
che la questione sarebbe, poi, manifestamente inammissibile per difetto assoluto di rilevanza, stante la carenza del nesso di pregiudizialità che dovrebbe intercorrere tra la questione medesima e la definizione del giudizio principale, atteso che il giudice rimettente, a fronte delle domande formulate nell’atto di citazione, avrebbe dovuto esaminare almeno quella concernente la prescrizione al diritto;
che, nel merito, infine, la questione sollevata sarebbe manifestamente infondata, in ragione del macroscopico errore in cui sarebbe incorso il giudice a quo nell’interpretazione della disciplina regionale oggetto di censura;
che, difatti, il giudice rimettente fonda il proprio convincimento circa l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate sulla convinzione che il contributo (avente natura tributaria ovvero di prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 Cost.) sarebbe posto a carico del concessionario del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani, mentre, invece, la disciplina regionale pugliese – a differenza di quella della Regione Piemonte dichiarata incostituzionale dalla menzionata sentenza n. 280 del 2011, ripercorsa dal giudice a quo a sostegno delle proprie argomentazioni – individuerebbe i titolari passivi del rapporto giuridico nei Comuni che fruiscono del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in un determinato impianto;
che, pertanto, al gestore privato dell’impianto di smaltimento non sarebbe imposta alcuna forma di prelievo e che comunque il legislatore regionale pugliese non avrebbe esercitato alcuna “potestà impositiva” in violazione degli artt. 23, 117 e 119 Cost.;
che, inoltre, con memoria depositata il 28 ottobre 2013 si è costituita la Tradeco srl, chiedendo che l’art. 10, comma 3, della legge della Regione Puglia n. 17 del 1993, venga dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 119 Cost. (nella formulazione anteriore alla legge cost. n. 3 del 2001), e, in subordine, nell’ipotesi in cui la Corte valuti inammissibile per erroneità del presupposto interpretativo la questione di costituzionalità proposta, che la pronuncia di inammissibilità sia formulata con espressa indicazione della diversa interpretazione reputata corretta, e cioè quella secondo cui il contributo socio-ambientale non sarebbe dovuto dal gestore ma dai singoli Comuni utenti dell’impianto;
che con ulteriore memoria la Tradeco srl ha ribadito le proprie argomentazioni;
che anche il Presidente della Giunta della Regione Puglia ha depositato memoria insistendo sulla manifesta inammissibilità o comunque sulla manifesta infondatezza della questione sollevata.
Considerato che il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, con ordinanza depositata il 24 maggio 2013, ha sollevato questione di costituzionalità – in riferimento agli artt. 23, 117 e 119 della Costituzione, questi ultimi nel testo anteriore alla sostituzione operata dagli artt. 3 e 5 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) − dell’art. 10, commi 2 e 3, della legge della Regione Puglia 13 agosto 1993, n. 17 (Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani), come modificato dall’art. 4, comma 1, della legge regionale 18 luglio 1996, n. 13 (Nuove norme per l’accelerazione e lo snellimento delle procedure per l’attuazione del Piano regionale e della Organizzazione dei servizi di smaltimento di rifiuti urbani. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 13 agosto 1993, n. 17 “Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani”), nella parte in cui prevede l’obbligo di corrispondere al Comune sede dell’impianto di smaltimento rifiuti somme di denaro a titolo di contributo a copertura del costo socio-ambientale (cosiddetto «contributo socio-ambientale») sulla censurata disposizione;
che, in via preliminare, va ritenuta non fondata l’eccezione sollevata dal Presidente della Giunta regionale per difetto di motivazione sulla rilevanza, in considerazione della asserita mancanza di un’adeguata descrizione della fattispecie oggetto della controversia, posto che tale descrizione, se pure scarna, consente di ricostruire la vicenda nei suoi elementi essenziali;
che va, inoltre, ritenuta non fondata l’eccezione, sempre sollevata dal Presidente della Giunta regionale, legata al difetto assoluto di rilevanza, con riferimento alle ragioni di non fondatezza delle altre domande, ritenute logicamente pregiudiziali, proposte nel giudizio principale, in quanto non è richiesto al giudice a quo di osservare un rigido ordine nell’affrontare le diverse domande proposte in giudizio, nel senso di individuare questioni pregiudiziali e preliminari, da ritenersi prioritarie nell’ordine di trattazione rispetto alla questione di costituzionalità e quindi tali da essere necessariamente esaminate prima di proporre quest’ultima, salvo che la valutazione dell’ordine delle questioni sottoposte al suo giudizio non trasmodi in manifesta arbitrarietà, comportando la mancata trattazione di domande o motivi aventi «priorità logica» o la prospettazione di questioni di legittimità costituzionale che, avuto riguardo al giudizio principale, si presentano astratte o premature, essendo il loro esame solo ipotetico ed eventuale (sentenza n. 78 del 2002, ordinanze n. 158 del 2013 e n. 277 del 2010);
che i dubbi prospettati dal rimettente in punto di legittimità costituzionale della norma censurata sono manifestamente non fondati, in quanto espressi sulla base di un erroneo presupposto interpretativo, e cioè che il contributo in esame sia posto a carico del concessionario del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani;
che la norma censurata, in realtà, non individua fra i titolari passivi del rapporto giuridico oggetto del giudizio il soggetto gestore dell’impianto di smaltimento dei rifiuti urbani;
che infatti, l’art. 10 della legge reg. Puglia n. 17 del 1993, al comma 1, elenca, quali soggetti tenuti alla progettazione, realizzazione e gestione degli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani, «a) il consorzio fra i comuni compresi in ciascuno dei bacini di utenza individuati dal piano regionale; b) il comune nel cui territorio è stabilita la localizzazione dell’impianto, se il consorzio non sia stato costituito nel termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge»; al comma 2, poi, disciplina le modalità di ripartizione dei costi di smaltimento, prevedendo che essi siano «ripartiti tra i Comuni interessati» e che ciò avvenga «in proporzione all’entità dei rifiuti conferiti all’impianto da ciascun Comune»; al comma 3, infine, prevede che nel quadro economico di cui al comma precedente (e cioè nel quadro dei costi che deve essere presentato alla competente Provincia all’atto della richiesta di autorizzazione all’esercizio) vadano esposti i costi di gestione dell’impianto e quelli relativi agli ammortamenti: nei primi, in particolare, rientrano i «costi socio-ambientali connessi con la gestione dell’impianto», i quali vanno determinati sulla base delle quantità di rifiuti conferiti da ciascuno Comune;
che alla chiara portata letterale dei commi 1, 2 e 3 si affianca il comma 4 dell’art. 10, il quale – individuando le modalità con cui i Comuni, singoli o consorziati, provvedono agli obblighi previsti dal medesimo articolo – conferma che tale articolo pone obblighi in capo ai Comuni che fruiscono del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in un determinato impianto;
che una piana lettura della norma induce ad individuare quali titolari passivi del rapporto giuridico in esame i Comuni (singoli o consorziati) e non il gestore dell’impianto di smaltimento (così anche Consiglio di Stato, sezione V, 8 marzo 2005, n. 938);
che palese è quindi l’erroneità del presupposto interpretativo su cui il giudice rimettente ha fondato l’intero percorso argomentativo e l’analogia con l’art. 16 della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986, n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915), dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 280 del 2011 per violazione dell’art. 119 Cost. in quanto la Regione Piemonte aveva introdotto un tributo specificamente a carico del gestore dell’impianto.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 2 e 3, della legge della Regione Puglia 13 agosto 1993, n. 17 (Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani), come modificato dall’art. 4, comma 1, della legge regionale 18 luglio 1996, n. 13 (Nuove norme per l’accelerazione e lo snellimento delle procedure per l’attuazione del Piano regionale e della Organizzazione dei servizi di smaltimento di rifiuti urbani. Modifiche e integrazioni alla legge regionale 13 agosto 1993, n. 17 “Organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani”), sollevata, in riferimento agli artt. 23, 117 e 119 della Costituzione − questi ultimi nel testo anteriore alla sostituzione operata dagli artt. 3 e 5 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) −, dal Tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2014.