ORDINANZA N. 164
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Sabino CASSESE Giudice
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), promossi dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione di Casoria, con ordinanza del 25 settembre 2013 e dal Tribunale ordinario di Tivoli con ordinanza del 24 giugno 2013, iscritte ai nn. 2 e 14 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 5 e 9, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, con ordinanza del 25 settembre 2013 (r.o. n. 2 del 2014), il Tribunale ordinario di Napoli, sezione di Casoria, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, lettera c), del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), attuativo della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), secondo cui «a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti»;
che il giudice a quo premette di essere investito dalla richiesta, presentata da un proprietario di due immobili, della dichiarazione di occupazione sine titulo dei medesimi «in conseguenza della nullità del contratto di locazione intercorso tra le parti per difetto di forma scritta e/o per la mancata registrazione dello stesso» nonché dalla richiesta, in subordine, della «risoluzione del contratto per inadempimento per l’autoriduzione del canone pattuito»;
che, in punto di rilevanza, il giudice rimettente osserva che «la riduzione del canone operata dal conduttore a partire dalla registrazione tardiva, avvenuta nella specie mediante denuncia unilaterale di contratto verbale (anche se un contratto scritto vi era), incide sulla sussistenza, consistenza e gravità dell’inadempimento dedotto come risolutivo», sul presupposto che «l’applicazione del comma 8 lett. c) dell’art. 3 appare certa e da essa non può prescindersi per la decisione»;
che, disattesi alcuni tra i motivi esposti dalla parte a sostegno dell’eccezione di legittimità costituzionale, il giudice rimettente reputa, invece, non manifestamente infondata la questione in riferimento all’art. 76 della Costituzione, «per eccesso di delega»;
che, infatti, mentre la norma denunciata sarebbe «finalizzata, da un lato, a scoraggiare il proprietario dall’omettere la registrazione del contratto e, dall’altro, a rafforzare l’interesse del conduttore alla registrazione, ancorché tardiva, con il premio della riduzione del canone», d’altra parte «nessun articolo della legge delega (2, 11, 12, 13, 21 e 26)» conterrebbe «un principio che possa giustificare l’adozione, con il decreto legislativo, delle sanzioni previste»;
che, in particolare, gli artt. 11, 12 e 13 della legge di delega riguarderebbero materie completamente estranee alla disciplina denunciata; l’art. 2, comma 2, pur concepito allo scopo di «garantire agli enti locali un adeguato e più proporzionale livello di entrata tributaria», non potrebbe spingersi fino a «modificare un regolamento di interessi privati»; l’art. 26, infine, «pur contenendo un riferimento al contrasto all’evasione fiscale», riguarderebbe soltanto «forme collaborative degli enti pubblici»;
che, con ordinanza del 24 giugno 2013 (r.o. n. 14 del 2014), il Tribunale ordinario di Tivoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23 del 2011, attuativo della legge n. 42 del 2009, deducendo il vizio di eccesso di delega e la violazione del principio di ragionevolezza;
che il giudice rimettente premette, in fatto, che la causa è stata generata da una intimazione di sfratto per morosità, alla quale l’intimato si era opposto eccependo l’applicazione della normativa in questione, derivante dalla ritardata registrazione del contratto di locazione, della quale normativa l’intimante aveva, invece, dedotto l’illegittimità costituzionale;
che, dalle disposizioni della richiamata legge di delega n. 42 del 2009, in particolare dagli artt. 2, comma 2, 11, 12, 13, 21 e 26, non emergerebbero princípi o criteri direttivi dai quali trarre il fondamento della censurata disciplina, premiale per uno solo dei contraenti (il conduttore), il quale, procedendo alla registrazione del contratto di locazione, otterrebbe la riduzione del canone ben al di sotto dei valori di mercato;
che, del resto, nessuna disposizione della legge di delega legittimerebbe il legislatore delegato alla introduzione di “sanzioni” quali quelle contenute nella norma denunciata;
che, viceversa, una adeguata sanzione operante sul piano civilistico sarebbe stata già introdotta dall’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2005), che prevede la nullità dei contratti di locazione i quali, ricorrendone i presupposti, non siano stati registrati;
che la norma censurata sarebbe, poi, intrinsecamente irragionevole, in quanto, determinando una riduzione del canone al di sotto del valore di mercato o addirittura del minimo imponibile per l’imposta di registro, genererebbe un minor afflusso tributario anche ai fini della imposta sui redditi, danneggiando proprio le Regioni e gli enti locali;
che, inoltre, si genererebbero effetti irragionevolmente discriminatori, sia prevedendo un beneficio a favore di uno solo dei contraenti, sia riservando la disciplina soltanto alle locazioni di immobili destinati ad uso abitativo;
che la normativa censurata determinerebbe, in combinazione con la sanzione di nullità di cui al richiamato art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, la paradossale conclusione di un contratto insanabilmente nullo ad eccezione della durata e del canone, predeterminati per legge;
che la scelta della rendita catastale come parametro per la rideterminazione del canone risulterebbe incongrua, non essendo, peraltro, consentito alle parti di determinarlo diversamente;
che il regime censurato non realizzerebbe alcun equilibrio tra l’interesse pubblico alla emersione delle locazioni “sommerse” e la tutela della legalità violata per effetto della mancata registrazione;
che questo equilibrio sarebbe, invece, assicurato dalla già evidenziata sanzione di nullità prevista dalla legge n. 311 del 2004, avuto riguardo anche alle pesanti sanzioni pecuniarie previste per l’omessa o ritardata registrazione del contratto;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile e comunque infondata la proposta questione;
che, a proposito del preteso difetto di delega, l’Avvocatura sottolinea come il disegno tracciato dalla legge n. 42 del 2009 fosse orientato verso l’approntamento di «più stringenti strumenti di contrasto all’evasione»;
che ciò, specie nel quadro di un complessivo riassetto della materia e del coinvolgimento degli enti locali, non potrebbe non comprendere anche «la conseguente correlata possibilità di determinare le sanzioni conseguenti all’inadempimento fiscale»;
che la materia delle locazioni sarebbe tra quelle più esposte all’evasione fiscale, considerata la diffusa prassi delle locazioni “in nero”;
che, in tale prospettiva, si giustificherebbe il regime di favore per il locatore, attraverso la previsione della cosiddetta “cedolare secca”, potendosi, all’atto della stipula del contratto, optare per il regime ordinario o per l’applicazione di una aliquota fissa sull’ammontare del canone dichiarato, sostitutivo anche della imposta di registro e di bollo;
che questo meccanismo, in presenza di redditi alti, comporterebbe un beneficio fiscale per il contribuente con correlativa diminuzione del gettito per lo Stato, compensato, però, dalla emersione degli evasori;
che, con le previsioni oggetto di censura, il legislatore, adottando la soluzione del conflitto di interessi tra le parti, avrebbe inteso premiare il conduttore in modo tale da indurre il locatore ad effettuare tempestivamente la registrazione del contratto e a non mantenere il rapporto “al nero”;
che si tratterebbe, dunque, di un meccanismo particolarmente severo ma efficace, funzionale agli interessi del fisco, e non irragionevole.
Considerato che il Tribunale ordinario di Napoli, sezione di Casoria, ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, lettera c), del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), attuativo della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione);
che il Tribunale ordinario di Tivoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 3, comma 8, del predetto decreto legislativo n. 23 del 2011, deducendo il vizio di eccesso di delega e la violazione del principio di ragionevolezza;
che i giudizi, avendo ad oggetto la medesima disposizione, vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia;
che questa Corte, con la sentenza n. 50 del 2014, successiva alle ordinanze di rimessione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011;
che, dunque, le questioni proposte vanno dichiarate manifestamente inammissibili, risultando ormai prive di oggetto (ex plurimis, ordinanza n. 83 del 2014).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), sollevate dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione di Casoria, e dal Tribunale ordinario di Tivoli, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2014.