ORDINANZA N. 247
ANNO 2013
Commento alla decisione di
Guglielmo Leo
(per g.c. della Rivista telematica Diritto penale contemporaneo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Tribunale ordinario di Prato nel procedimento penale a carico di S. M. con ordinanza del 26 aprile 2012, iscritta al n. 308 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che, con ordinanza del 26 aprile 2012, il Tribunale ordinario di Prato, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui consente, per il reato di guida sotto l’influenza dell’alcool, la sostituzione della pena pecuniaria e detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), solo «al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo», per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
che il rimettente premette che il giudizio a quo ha ad oggetto un’imputazione per il reato previsto e punito dall’art. 186, commi 1 e 2, lettera c), 2-bis e 2-sexies, del d.lgs. n. 285 del 1992, perché l’imputato «circolava alla guida del veicolo – omissis − in stato di ebbrezza dovuto all’uso di bevande alcoliche presentando un tasso alcolemico pari a 1,66 g/l», «con l’aggravante di aver commesso il fatto dopo le ore 22 e prima delle ore 7,00 e di aver provocato un incidente stradale»;
che all’udienza precedente quella relativa alla dichiarazione di apertura del dibattimento l’imputato presentava, ex art. 444, comma 1, del codice di procedura penale, richiesta di applicazione della pena di euro 31.600 di ammenda, sostituita, ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, d.lgs. n. 285 del 1992, con quella del lavoro di pubblica utilità;
che il pubblico ministero non prestava il consenso all’applicazione della pena così determinata, ritenendo che, nel caso di specie, non potesse escludersi l’aggravante dell’avere il conducente, in stato di ebbrezza, provocato un incidente stradale, aggravante, tra l’altro, ostativa alla sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità;
che, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, le parti concordavano per l’acquisizione al fascicolo del dibattimento di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero;
che da tali atti emergeva che l’imputato si trovava alla guida del veicolo di proprietà della sua convivente quando, improvvisamente, perdeva il controllo dell’autovettura e andava ad urtare lo spigolo posteriore sinistro di altro veicolo che si trovava in sosta;
che l’imputato veniva poi condotto con autoambulanza presso il pronto soccorso dell’ospedale di Prato, ove veniva sottoposto ad accertamento del tasso alcolemico che risultava pari a 1,66 g/l, e gli veniva diagnosticato un «trauma cranico» con «infrazione delle ossa nasali», con prognosi di giorni 6 salvo complicazioni;
che il rimettente, così descritti i fatti di causa, ritiene giustificato il dissenso espresso dal pubblico ministero a fronte della richiesta di applicazione della pena formulata dall’imputato, in quanto non è possibile escludere l’aggravante prevista dal comma 2-bis dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992;
che, pertanto, in caso di condanna, la pena detentiva e pecuniaria da irrogare non potrebbe essere sostituita con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 274 del 2000, ostandovi il disposto del comma 9-bis dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992, che esclude tale possibilità nei casi previsti dal comma 2-bis del medesimo articolo;
che il giudice a quo ritiene di non poter seguire una interpretazione costituzionalmente orientata, secondo la quale sarebbe comunque possibile irrogare la sanzione del lavoro di pubblica utilità anche nei casi di incidente, allorché siano riconosciute, in favore dell’imputato, circostanze attenuanti ritenute prevalenti rispetto all’aggravante di cui al comma 2-bis dell’art. 186;
che, secondo tale tesi, l’aggravante risulterebbe tamquam non esset e non potrebbero prodursi le conseguenze ad essa collegate (ivi compreso l’effetto preclusivo dell’accesso al lavoro di pubblica utilità);
che tale opzione ermeneutica, secondo il rimettente, non può essere utilmente invocata in quanto, nel caso concreto, non ricorrono i presupposti per ritenere le attenuanti generiche, in seguito a giudizio di bilanciamento, prevalenti rispetto all’aggravante di cui al comma 2-bis;
che resterebbe, dunque, preclusa la possibilità di accedere alla sanzione del lavoro di pubblica utilità in sostituzione della pena detentiva e pecuniaria da irrogare in caso di condanna;
che secondo il rimettente l’art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, nella parte in cui preclude siffatta possibilità in ogni caso di incidente stradale, a prescindere dalla valutazione in concreto della gravità del danno derivante dal sinistro e del grado della colpa dell’imputato, violerebbe l’articolo 3, primo comma, Cost., dovendo la legge, compresa quella penale, trattare in modo eguale le fattispecie eguali, o profondamente affini, e in modo (razionalmente) diverso quelle fra loro diverse;
che la disposizione normativa in esame, precludendo l’accesso al lavoro di pubblica utilità in ogni caso in cui il conducente, in stato di ebbrezza per effetto dell’uso di bevande alcoliche, abbia cagionato un incidente stradale, equiparerebbe fattispecie diverse, come quella in cui la condotta imprudente abbia determinato un lieve tamponamento con danni alle cose o, al limite, alla sola persona dello stesso conducente (come nel caso di specie), e quella di un grave sinistro stradale con esiti letali o con danni arrecati alle persone;
che, inoltre, la scelta di inibire in ogni caso di incidente stradale cagionato dal conducente in stato di ebbrezza l’accesso al lavoro di pubblica utilità, a prescindere dalla valutazione in concreto, che solo il giudice può effettuare, della gravità del danno derivante dal sinistro e del grado della colpa del soggetto, non sembrerebbe, secondo il rimettente, rispettare il canone della ragionevolezza, inteso nel senso specificato, imposto dall’art. 3 Cost.;
che il Tribunale rimettente ricorda che in materia di reati concernenti la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope è ammessa la possibilità per il giudice di applicare, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità, limitatamente ai fatti commessi da persona tossicodipendente o da mero assuntore di sostanze stupefacenti, nell’ipotesi di «lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73»;
che in materia di guida in stato di ebbrezza, invece, in presenza di reati contravvenzionali, la scelta del legislatore è stata quella di precludere senza eccezioni l’accesso al lavoro di pubblica utilità;
che il rimettente ritiene violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost. in quanto il lavoro di pubblica utilità − consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale − è sanzione che ha un elevato contenuto risocializzante e rieducativo;
che, infatti, per incentivare il ricorso a siffatta modalità espiatoria della pena (ovvero per disincentivare possibili opposizioni da parte dell’imputato), il legislatore ha previsto benefici, conseguenti al corretto svolgimento del lavoro di pubblica utilità, quali l’estinzione del reato, la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente di guida e la revoca della confisca del veicolo sequestrato;
che precludere l’accesso alla pena sostitutiva anche nei casi in cui il conducente in stato di ebbrezza abbia provocato un incidente stradale di modesta entità non sarebbe, dunque, conforme al principio del finalismo rieducativo della pena, oltre che al canone di ragionevolezza delle leggi, in quanto si inibisce al Giudice ogni valutazione in merito alla personalità del soggetto, al grado della colpa, alle circostanze dell’azione e alla possibilità di emenda mediante la condotta riparatoria del lavoro di pubblica utilità;
che si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata;
che, a parere della difesa statale, la scelta legislativa di precludere l’applicazione del lavoro di pubblica utilità in caso di incidente stradale cagionato dal conducente in stato di ebbrezza a causa dell’uso di bevande alcoliche è il frutto dell’esercizio della discrezionalità politica del Parlamento, insuscettibile di essere sindacata dalla Corte costituzionale;
che la norma in esame non sarebbe affatto irragionevole, facendo dipendere l’esclusione della possibilità di applicazione del lavoro di pubblica utilità dalla circostanza obiettiva del verificarsi di un incidente quale effetto della condotta penalmente sanzionata, idonea a giustificare la preclusione dell’accesso a tale sanzione sostitutiva;
che, infine, non potrebbe ragionevolmente sostenersi che il finalismo rieducativo della pena, ex art. 27, terzo comma, Cost., precluda al legislatore di escludere l’applicazione del lavoro di pubblica utilità, non apparendo incompatibile con il perseguimento di tale finalità la previsione di una pena detentiva o pecuniaria.
Considerato che il Tribunale ordinario di Prato, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui consente, per il reato di guida sotto l’influenza dell’alcool, la sostituzione della pena pecuniaria e detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), solo «al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo», per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
che, in particolare, il rimettente ritiene che la norma impugnata violi l’art. 3 Cost., in quanto, precludendo l’accesso al lavoro di pubblica utilità in ogni caso in cui il conducente in stato di ebbrezza abbia cagionato un incidente stradale, equipara e disciplina in modo eguale fattispecie diverse, come quella in cui la condotta imprudente abbia determinato un lieve tamponamento con danni alle cose o, al limite, alla sola persona dello stesso conducente e quella di un grave sinistro stradale con esiti letali o con danni arrecati alle persone;
che, inoltre, la scelta di inibire in ogni caso di incidente stradale cagionato dal conducente in stato di ebbrezza l’accesso al lavoro di pubblica utilità, a prescindere dalla valutazione in concreto della gravità del danno derivante dal sinistro e del grado della colpa del soggetto, non rispetterebbe il canone della ragionevolezza;
che, infine, risulterebbe violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost. perché la preclusione alla sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, anche nei casi in cui il conducente in stato di ebbrezza abbia provocato un incidente stradale di modesta entità, non sarebbe conforme al principio del finalismo rieducativo della pena, inibendo ogni valutazione in merito alla personalità del soggetto, al grado della colpa, alle circostanze dell’azione e alla possibilità di emenda mediante la condotta riparatoria;
che le questioni sono manifestamente infondate;
che la norma impugnata introduce una preclusione oggettiva all’accesso alla suddetta pena sostitutiva ispirata da un’evidente esigenza di prevenzione generale e di difesa sociale;
che l’individuazione delle fattispecie criminose da assoggettare al trattamento più rigoroso − proprio in quanto basata su apprezzamenti di politica criminale, connessi specialmente all’allarme sociale generato dai singoli reati, il quale non è necessariamente correlato al mero livello della pena edittale − resta affidata alla discrezionalità del legislatore, e che le relative scelte possono venir sindacate dalla Corte solo in rapporto alle eventuali disarmonie del catalogo legislativo, allorché la sperequazione normativa tra figure omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare sorretta da alcuna ragionevole giustificazione (ordinanza n. 455 del 2006);
che ne consegue la manifesta infondatezza delle censure prospettate dal rimettente sia in relazione alla presunta equiparazione di fattispecie diverse, come quella in cui la condotta imprudente del conducente abbia determinato un lieve tamponamento con danni alle cose o, al limite, alla sola persona dello stesso conducente e quella di un grave sinistro stradale con esiti letali o con danni arrecati alle persone, sia in relazione alla irragionevolezza di una tale equiparazione, sia, infine, alla violazione del principio del finalismo rieducativo della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.;
che non si riscontra alcuna irragionevolezza intrinseca nella scelta del legislatore di escludere la possibilità di sostituire la pena detentiva e pecuniaria irrogata per il reato di guida in stato di ebbrezza con quella del lavoro di pubblica utilità allorché la fattispecie risulti aggravata dal fatto di aver cagionato un incidente stradale;
che la ratio dell’aggravante è da ricercarsi nella volontà del legislatore di punire più gravemente qualsiasi turbativa delle corrette condizioni di guida, in quanto ritenuta potenzialmente idonea a porre in pericolo l’incolumità personale dei soggetti e dei beni coinvolti nella circolazione a causa della strutturale pericolosità connessa alla circolazione dei veicoli che richiedono una particolare abilitazione alla guida;
che il trattamento sanzionatorio del reato di guida in stato di ebbrezza aggravato dall’aver causato un incidente consente già al giudice un margine di apprezzamento sufficiente perché la sanzione inflitta sia proporzionata alla complessiva considerazione delle peculiarità oggettive e soggettive del caso di specie, potendo l’aumento della pena oscillare tra il minimo e il massimo in funzione della gravità del danno derivante dal sinistro o del grado della colpa;
che le scelte legislative nella commisurazione delle sanzioni involgono apprezzamenti tipicamente politici e sono sindacabili solo nel caso trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio;
che la previsione di limiti all’applicazione di sanzioni sostitutive è, come si è detto, valutazione che spetta al legislatore, e che la scelta di non distinguere, ai fini dell’operatività della preclusione, in funzione della gravità dell’incidente sembra corrispondere a un criterio di prevenzione generale non irragionevole;
che la censura circa la violazione del principio del finalismo rieducativo della pena, motivata in modo estremamente succinto, è comunque collegata all’irragionevolezza della disposizione legislativa ed è pertanto, per gli stessi motivi sopra indicati, manifestamente infondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Prato con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2013.