Ordinanza n. 148 del 2013

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ORDINANZA N. 148

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Franco                         GALLO                                            Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

-           Gaetano                       SILVESTRI                                            ”

-           Sabino                         CASSESE                                               ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                              ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                      ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                         ”

-           Paolo                           GROSSI                                                  ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                             ”

-           Aldo                            CAROSI                                                  ”

-           Marta                           CARTABIA                                            ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                      ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                               ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                           ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promosso dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di A.G. con ordinanza del 7 marzo 2012, iscritta al n. 250 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che, con ordinanza del 7 marzo 2012 (r.o. n. 250 del 2012), il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui esclude che la circostanza attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) possa essere dichiarata prevalente sulla recidiva reiterata;

che il giudice rimettente procede, in sede di giudizio abbreviato successivo all’instaurazione del giudizio direttissimo, nei confronti di una persona accusata del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 1 e 2) e di resistenza a un pubblico ufficiale, e la difesa dell’imputato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost., nella parte in cui esclude che la circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 possa essere dichiarata prevalente sulla recidiva reiterata;

che, secondo il giudice rimettente, la materiale consistenza dei fatti di detenzione illecita di sostanze stupefacenti imporrebbe il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al quinto comma del citato art. 73, trattandosi di un banale episodio di “spaccio di strada”, concernente quantitativi modesti di stupefacente qualitativamente scadente, venduti a un prezzo irrisorio, a un maggiorenne e con modalità certamente non indicative di particolare scaltrezza;

che all’imputato, che ha immediatamente ammesso l’addebito principale, è contestata la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, avendo subìto quattro condanne, tra l’altro per fatti di cessione illecita di sostanze stupefacenti commessi dal maggio del 2004 all’aprile del 2008;

che il giudice rimettente richiama, per un verso, le modifiche apportate agli artt. 69, quarto comma, e 81, quarto comma, cod. pen. dalla legge n. 251 del 2005 e, per altro verso, la giurisprudenza costituzionale (in particolare, la sentenza n. 192 del 2007), che ha prospettato un’interpretazione della nuova disciplina della recidiva, in base alla quale l’unica ipotesi di recidiva obbligatoria è quella delineata dal quinto comma dell’art. 99 cod. pen., laddove in ogni altro caso di recidiva il giudice conserva il potere discrezionale di escluderla, ovvero di riconoscerla, qualora, in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente indicativo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo;

che l’orientamento prospettato dalla Corte costituzionale non sarebbe sufficiente a risolvere il problema in questione, in quanto il riconoscimento o l’esclusione della recidiva reiterata facoltativa sarebbe un’operazione valutativa radicalmente diversa dalla comparazione tra la stessa recidiva e le circostanze attenuanti, sicché, fondandosi su presupposti diversi, le due valutazioni non sarebbero destinate necessariamente a coincidere;

che, ripercorsa l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto di cui all’art. 99 cod. pen., il rimettente sottolinea come il giudizio sulla sussistenza in concreto della pericolosità qualificata, relativo alla recidiva – e, quindi, sulla sussistenza della relativa circostanza aggravante – sia distinto e logicamente antecedente rispetto al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, sicché esisterebbero situazioni, come quella in esame nel giudizio a quo, in cui una corretta valutazione degli elementi fattuali non consentirebbe di escludere la recidiva reiterata, ma – ove ciò non fosse precluso dalla norma censurata – condurrebbe a ritenere la recidiva stessa soccombente nei confronti della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;

che il Tribunale di Torino rimarca quindi la peculiarità della disciplina prevista in materia di stupefacenti, una disciplina articolata sulla distinzione tra la condotta del “trafficante di droga” (art. 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990) e quella del “piccolo spacciatore” (art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990): il legislatore avrebbe tenuto conto della «enorme differenza di tali difformi situazioni», prevedendo, per la seconda, una pena decisamente più mite di quella stabilita per la prima;

che, con riguardo alle modifiche introdotte per i recidivi reiterati dalla legge n. 251 del 2005, l’aspetto problematico della disciplina degli stupefacenti consisterebbe nel fatto che, in questa materia, l’ipotesi meno grave non è l’ipotesi base (così come accade, ad esempio, in materia di furto, di rapina e di estorsione), ma solo una circostanza attenuante speciale comportante un minimo sanzionatorio pari ad un sesto dell’ipotesi base, sicché, qualora non si possa escludere la recidiva reiterata, l’impossibilità di valutare come prevalenti le circostanze attenuanti e, in particolare, quella di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, condurrebbe all’applicazione, in un caso di modesta gravità oggettiva e semplicemente in ragione del “tipo di autore”, di una pena pari a quella che sarebbe irrogata per un’ipotesi concreta decisamente più grave e, dunque, sproporzionata alla gravità del fatto;

che, per meglio mettere in luce «gli effetti devastanti della recidiva reiterata nel caso concreto ed in situazioni analoghe», osserva ancora il rimettente che nel caso di specie risulterebbe applicabile anche la nuova disciplina in materia di reato continuato, sicché l’aumento per la continuazione non potrebbe essere inferiore a un terzo della pena base, ossia – partendo dal minimo edittale stabilito dal primo comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 – a due anni di reclusione;

che per rendere evidenti gli effetti della disciplina in questione, il giudice a quo osserva che per un modesto fatto di “spaccio su strada”, con successiva, altrettanto lieve, resistenza a pubblico ufficiale – come quello che ricorre nel giudizio principale – la pena detentiva minima applicabile, all’esito del giudizio abbreviato, all’imputato recidivo reiterato sarebbe pari – potendo le circostanze attenuanti risultare solo equivalenti alla recidiva – a cinque anni e quattro mesi di reclusione;

che, in un’ipotesi del tutto identica, ma relativa ad un soggetto non recidivo reiterato e con il riconoscimento della prevalenza della circostanza di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e delle circostanze attenuanti generiche (concedibili in considerazione della confessione resa e delle misere condizioni di vita), la pena detentiva potrebbe arrivare a cinque mesi e venti giorni di reclusione;

che, pertanto, a causa del divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata delle circostanze attenuanti ad effetto speciale (e, nello specifico, di quella di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990) e dell’aumento minimo obbligatorio per la continuazione, la normativa in discussione può portare a sanzionare con una pena fino a dieci volte superiore un fatto identico;

che, tutto ciò considerato, il Tribunale di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., che, almeno nei casi in cui sussista una circostanza attenuante ad effetto speciale – quale, nel caso di specie, quella prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 – imporrebbe di applicare pene identiche a situazioni ontologicamente diverse, così «comportando per fatti-reato sovrapponibili un trattamento fino a dieci volte superiore in funzione unicamente del “tipo di autore”», e impedirebbe al giudice di dare rilievo al “fatto commesso” e al principio di offensività, nonché di rispettare il principio di proporzionalità della pena, funzionale a garantire che le pene non consistano in trattamenti contrari al senso di umanità e tendano alla rieducazione del condannato.

Considerato che il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui esclude che la circostanza attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) possa essere dichiarata prevalente sulla recidiva reiterata;

che solo la parte finale della motivazione dell’ordinanza di rimessione mette genericamente in questione il divieto di prevalenza, rispetto alla recidiva reiterata, di «qualunque circostanza attenuante, ivi comprese quelle ad effetto speciale e, segnatamente, quella di cui all’art. 73 quinto comma» del d.P.R. n. 309 del 1990, laddove tutti gli argomenti svolti in precedenza riguardano specificamente quest’ultima circostanza;

che, pertanto, il tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione e l’univoca indicazione offerta dal dispositivo impongono di individuare i termini della questione come relativi esclusivamente al divieto di prevalenza, rispetto alla recidiva reiterata, della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;

che, così individuato l’oggetto della questione, deve rilevarsi che con la sentenza n. 251 del 2012, successiva all’ordinanza di rimessione, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.;

che, pertanto, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 251 del 2012, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto è diventata priva di oggetto (ex plurimis, ordinanza n. 315 del 2012).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013.