ORDINANZA N. 99
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori
Franco GALLO Presidente
Luigi MAZZELLA Giudice
Gaetano SILVESTRI “
Sabino CASSESE “
Giuseppe TESAURO “
Paolo Maria NAPOLITANO “
Giuseppe FRIGO “
Alessandro CRISCUOLO “
Paolo GROSSI “
Giorgio LATTANZI “
Aldo CAROSI “
Marta CARTABIA “
Sergio MATTARELLA “
Mario Rosario MORELLI “
Giancarlo CORAGGIO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), promosso dal Tribunale ordinario di Potenza, sezione civile – giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra A. L. M. ed altri e l’Università degli Studi della Basilicata ed altri, con ordinanza del 31 gennaio 2012, iscritta al n. 203 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 aprile 2013 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Potenza, sezione civile – giudice del lavoro, con ordinanza del 31 gennaio 2012, depositata nella cancelleria l’11 settembre 2012 (reg. ord. n. 203 del 2012), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), per violazione degli articoli 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;
che l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 stabilisce quanto segue: «L’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 14 gennaio 2004, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2004, n. 63, si interpreta nel senso che, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 26 giugno 2001, nella causa C-212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’articolo 4 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto-legge n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge»;
che la questione di costituzionalità, avente ad oggetto l’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 26 («Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge»), è stata sollevata nel corso di un giudizio che – secondo quanto riferisce il Tribunale rimettente – ha ad oggetto la richiesta, da parte dei ricorrenti, «di ottenere, previa dichiarazione di nullità, annullamento, invalidità o inefficacia dei rispettivi contratti di Collaboratore ed Esperto Linguistico, il riconoscimento del loro diritto ad un rapporto unitario con l’Amministrazione resistente (Università degli studi di Basilicata) con trattamento economico pari alle seguenti opzioni subordinate: trattamento accertato da precedenti giudizi fra le stesse parti (tutti passati in giudicato) e precisamente quantificato nel 70 per cento dello stipendio spettante ad un ricercatore confermato a tempo pieno; quello relativo al Professore associato a tempo definito (corrispondente alle mansioni effettivamente svolte); quello definito ai sensi dell’art. 1» del decreto-legge n. 2 del 2004;
che il Tribunale rimettente ritiene che la questione sia rilevante ai fini della definizione del giudizio principale, in quanto la disposizione impugnata «espressamente contiene una clausola di salvaguardia rispetto ai trattamenti migliori in godimento (trattamento che, nel caso dei ricorrenti, rinviene la sua fonte in pronunce giudiziali e, di riflesso, nella contrattazione collettiva di settore) e disciplina proprio i rapporti dei lettori madre lingua»;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente ritiene, innanzi tutto, che la disposizione impugnata – nell’imporre al giudice di estinguere i giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, senza lasciare «margini di discrezionalità nella dichiarazione di estinzione», e non prevedendo «un corrispondente obbligo» della pubblica amministrazione «di adempiere alla lettera della legge n. 63 del 2004 (così come interpretata autenticamente dalla legge n. 240 del 2010), almeno quale condizione dell’operatività del dovere di estinguere il processo» – violerebbe l’art. 24, primo e secondo comma, Cost., in quanto impedirebbe all’interessato «di agire per la tutela dei propri diritti, arrestando il procedimento in rito, con la conseguenza di frustrare ogni aspettativa ed imponendo al soggetto agente di riproporre la medesima domanda (nel caso l’amministrazione non si sia uniformata al dettato della legge), con aggravio di spese e di oneri non giustificabile in alcun modo»;
che, inoltre, secondo il Tribunale rimettente, la norma censurata, disponendo l’estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento, ai fini della tutela delle rispettive pretese, inerenti «non solo ad un accertamento del diritto, ma anche alla conseguente condanna patrimoniale» dell’Università resistente, tra quanti abbiano instaurato il giudizio prima dell’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010 e quanti lo abbiano promosso dopo quella data, poiché l’effetto estintivo previsto dall’ultimo periodo dell’art. 26, comma 3, si verificherebbe solo nei confronti dei primi, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.;
che, infine, ad avviso del Tribunale rimettente, l’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010 violerebbe «il disposto di cui all’art. 11 [recte: 111] Cost.», in quanto – a differenza di «altre ipotesi in cui, al fine di deflazionare il contenzioso, è stato previsto il dovere di estinguere i giudizi in corso, previa verifica, da parte del giudice, del pagamento da parte di un soggetto pubblico di una determinata somma di denaro, ovvero l’adempimento di specifiche obbligazioni» – la norma impugnata stabilisce l’estinzione dei giudizi in corso a prescindere dalla soddisfazione degli interessi della parte, che sarebbe, perciò, costretta a promuovere un nuovo procedimento, senza che al «necessario allungamento dei tempi processuali» faccia «da contrappeso alcun interesse particolare o generale»;
che è intervenuto in giudizio, con atto depositato nella cancelleria il 30 ottobre 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza della questione;
che, in via preliminare, la difesa dello Stato ritiene la questione inammissibile perché il giudice rimettente non avrebbe individuato in modo chiaro «le violazioni lamentate e i parametri invocati», avendo, in particolare, «a pagina 9 dell’ordinanza di rimessione individua[to] quale norma costituzionale violata l’art. 11 Cost.», così commettendo «un palese errore nell’individuazione del parametro di costituzionalità»;
che la questione sarebbe, altresì, inammissibile per difetto del requisito della rilevanza, in quanto la norma impugnata «riconosce in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantate» e, quindi, «l’ordinanza avrebbe dovuto essere supportata quantomeno dalla prospettazione che in caso di accoglimento della questione di costituzionalità potrebbe pervenirsi ad una statuizione diversa e più favorevole» per la parte ricorrente, mentre il giudice rimettente si sarebbe limitato ad asserire che la norma impugnata «“è perfettamente applicabile al caso dei ricorrenti” senza motivare in merito alle ragioni dell’applicabilità della norma censurata al giudizio principale ed omettendo di chiarire quale rapporto sussista tra l’eventuale estinzione del giudizio […] e le pretese sostanziali vantate dal ricorrente»;
che, nel merito, la difesa dello Stato ritiene non fondate le censure sollevate dal Tribunale remittente, perché «la norma in esame ha disposto l’estinzione dei giudizi in corso solo a seguito, e in ragione, del pieno riconoscimento a favore degli ex lettori di madrelingua straniera del bene della vita al quale i medesimi aspirano con la proposizione del contenzioso»;
che, in particolare, l’estinzione dei giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, disposta dall’art. 26, comma 3, di tale legge, non sarebbe lesiva dell’art. 24 Cost., in quanto «gli strumenti processuali per la tutela dei diritti sono finalizzati al conseguimento di un bene della vita assicurato, nel caso di specie, dalla norma» impugnata, con la conseguenza che, «venuto meno in corso di causa il fondamento stesso della lite, […] vengono a mancare sia l’interesse ad agire che a contraddire e, con essi, la necessità di una pronuncia del giudice»;
che parimenti non fondata sarebbe la censura riferita all’art. 111 Cost., perché «l’avvenuto riconoscimento del bene della vita esclude che l’estinzione del giudizio si traduca in un illegittimo utilizzo» da parte dello Stato «di strumenti di risoluzione delle controversie preclusi al privato», talché l’estinzione del giudizio non sarebbe «una decisione volta ad avvantaggiare la parte pubblica», ma «una misura deflattiva di un contenzioso che non ha più ragion d’essere» giustificata dall’esigenza di «assicurare il buon andamento dell’organizzazione della giustizia»;
che, infine, non sussisterebbe – ad avviso della difesa dello Stato – la lamentata disparità di trattamento tra i ricorrenti che abbiano instaurato un giudizio prima dell’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010 e i ricorrenti che lo abbiano promosso dopo quella data, in quanto «ciò che rileva è che la pretesa economica vantata in giudizio sia soddisfatta in entrambi i casi, anche se con strumenti diversi», di modo che «i primi vedranno riconosciute le proprie pretese economiche da una pronuncia giurisdizionale mentre i secondi in via amministrativa per effetto dell’applicazione della norma di legge».
Considerato che il Tribunale ordinario di Potenza, sezione civile – giudice del lavoro, con ordinanza del 31 gennaio 2012, depositata nella cancelleria l’11 settembre 2012 (reg. ord. n. 203 del 2012), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), per violazione degli articoli 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;
che il Tribunale rimettente, nel descrivere la fattispecie oggetto del giudizio principale, si limita a riferire che tale giudizio trae origine dalla richiesta dei ricorrenti «di ottenere, previa dichiarazione di nullità, annullamento, invalidità o inefficacia dei rispettivi contratti di collaboratore ed esperto linguistico, il riconoscimento del loro diritto ad un rapporto unitario con l’amministrazione resistente (Università degli studi di Basilicata) con trattamento economico pari alle seguenti opzioni subordinate: trattamento accertato da precedenti giudizi fra le stesse parti (tutti passati in giudicato) e precisamente quantificato nel 70 per cento dello stipendio spettante ad un ricercatore confermato a tempo pieno; quello relativo al professore associato a tempo definito (corrispondente alle mansioni effettivamente svolte); quello definito ai sensi dell’art. 1» del decreto-legge n. 2 del 2004;
che il Tribunale rimettente non chiarisce se i ricorrenti nel giudizio principale siano stati assunti per la prima volta come collaboratori ed esperti linguistici, a norma dell’art. 4 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120 (Disposizioni urgenti per il funzionamento delle università), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236, o come lettori di madrelingua straniera, a norma dell’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), con conseguente impossibilità di accertare la natura della pretesa fatta valere in giudizio e l’eventuale soddisfazione della stessa ad opera del legislatore (ordinanza n. 38 del 2012);
che, inoltre, il Tribunale rimettente ritiene la norma impugnata «perfettamente applicabile al caso dei ricorrenti, proprio perché norma speciale rispetto ai più generali principi di diritto richiamati dai ricorrenti nella memoria autorizzata (art. 2909 c.c.)», nonché «direttamente rilevante per la questione oggetto di giudizio […] poiché espressamente contiene una clausola di salvaguardia rispetto ai trattamenti migliori in godimento […] e disciplina proprio i rapporti dei lettori madre lingua»;
che, tuttavia, il giudice rimettente non indica le ragioni per le quali la disposizione censurata, nel prevedere l’estinzione dei giudizi pendenti «in materia», debba applicarsi al giudizio principale, né chiarisce quale rapporto sussista tra l’eventuale estinzione del giudizio medesimo e le pretese sostanziali vantate dai ricorrenti, aspetto tanto più rilevante in quanto la difesa dello Stato afferma che «la norma in esame ha disposto l’estinzione dei giudizi in corso solo a seguito, e in ragione, del pieno riconoscimento a favore degli ex lettori di madrelingua straniera del bene della vita al quale i medesimi aspirano con la proposizione del contenzioso» (ordinanza n. 38 del 2012);
che, dunque, la questione sollevata è manifestamente inammissibile per insufficiente descrizione della fattispecie concreta, che impedisce a questa Corte di verificare l’effettiva riconducibilità della vicenda oggetto del giudizio principale alla disciplina dettata dalla disposizione censurata dal Tribunale rimettente, precludendo la verifica dell’asserita rilevanza della questione, nonché per carenza di motivazione in merito alla applicabilità della norma censurata al giudizio principale, in quanto il Tribunale rimettente non individua con esattezza né la pretesa sostanziale fatta valere in giudizio dal ricorrente, né la correlazione esistente tra tale pretesa e la norma censurata (ex plurimis, ordinanze n. 93, n. 84 e n. 38 del 2012).
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Potenza, sezione civile – giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2013