ORDINANZA N. 303
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 2, 21, primo periodo, e 22 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 promossi dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo con ordinanza del 14 febbraio 2012, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento con ordinanza del 10 maggio 2012, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanza del 5 aprile 2012 e dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con ordinanza del 3 aprile 2012, rispettivamente iscritte ai nn. 114, 139, 140 e 146 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24, 28 e 33, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti gli atti di costituzione di Pace Augusto ed altri, di Agnoli Carlo Alberto ed altri, di Barbero Elisabetta ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto che il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento e il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, con ordinanze del 10 maggio 2012 e del 3 aprile 2012, rispettivamente iscritte al reg. ord. nn. 139 e 146 del 2012, hanno sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 36, 53, 97, 101, 104 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
che i rimettenti sono investiti di ricorsi da parte di magistrati e censurano l’art. 9, comma 2, il quale, piuttosto che caratterizzarsi come una riduzione stipendiale (melius, come una riduzione dei trattamenti economici), avrebbe natura tributaria, ricorrendone i due elementi fondamentali dell’imposizione di un sacrificio economico individuale realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, nonché della destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine di integrare la finanza pubblica;
che a loro giudizio tale misura violerebbe in primo luogo gli artt. 3 e 53 della Costituzione, trattandosi di prelievo di natura tributaria, peraltro significativamente operato con progressivo raggiungimento di due differenti scaglioni (90.000 e 150.000 euro), cui si applicano aliquote crescenti, e colpirebbe solamente la categoria dei dipendenti pubblici (nel cui novero rientrano i magistrati), in contrasto con il principio della “universalità della imposizione”; l’imposta sarebbe, inoltre, discriminatoria, sia in relazione all’amplissima categoria dei “cittadini”, rispetto alla quale i dipendenti pubblici sarebbero discriminati ratione status a parità di capacità economica, sia in relazione alla categoria più ristretta dei “lavoratori”, risultando i dipendenti pubblici discriminati rispetto ai dipendenti privati, come pure ai lavoratori autonomi, i quali, a parità di reddito, non subiscono alcuna incisione patrimoniale;
che, inoltre, a giudizio del TAR trentino, la norma sarebbe irragionevole e in contrasto con i principi di buon andamento dell’amministrazione e di autonomia ed indipendenza della magistratura;
che il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione I, con ordinanza del 14 febbraio 2012, iscritta al reg. ord. n. 114 del 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 21 e 22, del d.l. n. 78 del 2010;
che, secondo il rimettente l’art. 9, commi 21, primo periodo, e 22, relativamente al mancato adeguamento, violerebbe gli artt. 101, comma 2, 104, comma 1, e 108 Cost., in quanto il trattamento economico dei magistrati, assistito da “certezza” e da “continuità” a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, non sarebbe nella libera disponibilità del potere legislativo o del potere esecutivo e non potrebbe essere soggetto a decurtazioni, le quali, in quanto tali, si presenterebbero comunque “distoniche alla luce dei menzionati principi, che costituiscono presupposto e requisito essenziale di ogni giusto processo” di cui agli artt. 24, 101 e 111 Cost.;
che, a giudizio del rimettente, le decurtazioni in parola non avrebbero tenuto conto della giurisprudenza della Corte, in relazione alla necessità che simili interventi debbano essere “eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso” (cfr., sentenza n. 245 del 1997 e ordinanza n. 299 del 1999);
che, inoltre, le norme in questione contrasterebbero anche con l’art. 36 Cost., in quanto la retribuzione dei magistrati, stabilita con legge formale ed aggiornata, solo per relationem, sarebbe correlata non solo alla generica quantità e qualità delle funzioni ma anche al ruolo istituzionale e costituzionale svolto, sicché colpendo i meccanismi automatici di adeguamento si inciderebbe sull’adeguatezza e la proporzionalità della retribuzione, rispetto alle specifiche funzioni di rilievo costituzionale, delle quali il legislatore ha tenuto conto nel delineare i corrispondenti meccanismi retributivi;
che, con riferimento alla decurtazione dell’indennità giudiziaria, il rimettente censura l’apparato normativo utilizzando le medesime argomentazioni e censure spese per l’adeguamento, che ricalcano peraltro in larga misura le motivazioni sottese ad altre ordinanze con riguardo agli artt. 101, 104 e 108;
che, inoltre, viene prospettata un’ulteriore violazione dell’art. 36 Cost., che impone sia l’obbligo di rispettare la proporzionalità tra la retribuzione e il livello quali-quantitativo del lavoro prestato, che il correlato divieto di diminuire lo stipendio se non in conseguenza della diminuzione delle prestazioni richieste;
che, il TAR per l’Abruzzo solleva questione di legittimità costituzionale anche con riferimento alla violazione dell’art. 53 Cost., in quanto si tratterebbe di un vero e proprio prelievo forzoso di somme stipendiali ed indennitarie a copertura di fabbisogni finanziari indifferenziati dello Stato apparato, non correlato ad alcuna “capacità contributiva”;
che, infine, le norme, vengono complessivamente censurate con riferimento alla violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., poiché la manovra in questione avrebbe avuto riflessi negativi sul buon andamento degli uffici dell’amministrazione della giustizia, e dell’art. 3 Cost., per disparità di trattamento fra la categoria dei ricorrenti e quella del pubblico impiego contrattualizzato e per violazione del canone di ragionevolezza intrinseca;
che, con analoghe motivazioni, il TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanza del 5 aprile 2012, iscritta al reg. ord. n. 140 del 2012, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 22, del citato d.l. n. 78 del 2010, relativamente alla riduzione della speciale indennità di cui all’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura).
Considerato che i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 2, 21 e 22 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in relazione agli interventi normativi che riguardano i magistrati ricorrenti nei giudizi a quibus;
che questa Corte, con la sentenza n. 223 del 2012, successiva alla pubblicazione delle ordinanze di rimessione, ha già dichiarato: l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21; l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che l’indennità speciale di cui all’articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l’anno 2011, del 25% per l’anno 2012 e del 32% per l’anno 2013; l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro;
che, dunque, le questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili, essendo divenute prive di oggetto, riguardando l’illegittimità costituzionale del citato comma 22, anche la parte in cui non esclude l’applicabilità del primo periodo del comma 21.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 2, 21 e 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111 della Costituzione, dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, e dai Tribunali amministrativi regionali per il Piemonte, per l’Abruzzo e per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012.