ORDINANZA N. 254
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, nel procedimento vertente tra F.T. e l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Vibo Valentia, con ordinanza del 21 luglio 2012, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che la Commissione tributaria regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 23, 24, 111 e 113 della Costituzione, nonché all’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), quale norma interposta all’art. 10 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui «non prevede la possibilità di sospensione della sentenza di appello tributaria, impugnata con ricorso per cassazione, allorquando ivi sopravvenga, per la prima volta, il pericolo di un grave ed irreparabile danno, con carattere di irreversibilità e non altrimenti evitabile»;
che davanti alla Commissione tributaria rimettente pende il procedimento incidentale introdotto da una contribuente con ricorso proposto ai sensi dell’art. 373 del codice di procedura civile, al fine di ottenere la sospensione dell’efficacia della sentenza di appello, pronunciata nei suoi confronti dalla medesima Commissione tributaria regionale;
che la parte ricorrente ha prodotto la copia del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di appello, deducendo la sussistenza del pericolo di danno grave ed irreparabile che deriverebbe dall’esecuzione del provvedimento impugnato, attesa la sproporzione dell’entità del credito ivi accertato rispetto al reddito annuo dell’interessata;
che il giudice a quo precisa di aver trattenuto la causa in decisione dopo l’instaurazione del contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, e previa verifica dello stato del giudizio di legittimità (che, in data 17 giugno 2011, risultava non ancora sottoposto all’esame preliminare della Corte di cassazione);
che lo stesso rimettente evidenzia la necessità di decidere, preliminarmente, sulla proponibilità della domanda cautelare, evidenziando in proposito il «generale, negativo orientamento della giurisprudenza circa l’applicabilità al giudizio tributario dell’articolo 373 cod. proc. civ.»;
che, a fronte di tale orientamento, il giudice a quo richiama l’ordinanza con la quale la Commissione tributaria regionale della Campania ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, sul rilievo che la citata norma, in quanto esclude l’applicabilità al processo tributario dell’art. 337 cod. proc. civ. e, conseguentemente delle disposizioni ivi indicate, tra le quali l’art. 373 cod. proc. civ., non consentirebbe di sospendere l’esecuzione della sentenza di appello tributaria impugnata con ricorso per cassazione, quando sopravvenga il pericolo che da tale esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile per l’interessato;
che nella citata ordinanza – secondo quanto riferito dal rimettente – era denunciato in primo luogo il contrasto dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 con il principio di ragionevolezza, perché l’esclusione della tutela cautelare, «a fronte di atti impositivi esecutivi per la prima volta emessi in esecuzione di una sentenza di secondo grado sfavorevole all’appellato», consentirebbe il sacrificio irreparabile dei diritti del contribuente;
che la stessa norma è stata censurata per violazione degli artt. 23 e 24 Cost., in quanto impedisce al debitore sottoposto ad esecuzione forzata di adire il giudice in sede cautelare, pur essendo la tutela cautelare componente essenziale della tutela giurisdizionale;
che, inoltre, si denunciava il contrasto con l’art. 111 Cost. e con l’art. 6, comma 1, della Cedu, in relazione all’art. 10 Cost., perché «il ritardo di giustizia non può tradursi, nelle more della sentenza della Corte di cassazione, in perdita irreversibile del patrimonio del contribuente che, in ipotesi, risulterà avere ragione»;
che, infine, l’impedimento ad avvalersi della tutela cautelare era ritenuto lesivo del principio sancito dall’art. 113 Cost., secondo cui è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi legittimi;
che la questione, posta nei termini anzidetti, è stata dichiarata inammissibile con la sentenza n. 217 del 2010 della Corte costituzionale, sul rilievo che la rimettente Commissione tributaria regionale della Campania non aveva assolto all’onere di tentare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata, in assenza di diritto vivente;
che il giudice a quo segnala, per altro, come la Corte di cassazione sia intervenuta sul tema, affermando, anche in epoca successiva alla sentenza n. 217 del 2010, che nel processo tributario sarebbe esclusa ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti dell’efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado (Corte di cassazione, sentenze n. 21121 e n. 7815 del 2010);
che, pertanto, non risultando praticabile una diversa opzione interpretativa della normativa in esame, sarebbe necessario sottoporre nuovamente a scrutinio di costituzionalità l’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, per le stesse ragioni prospettate dalla Commissione tributaria regionale della Campania, come in precedenza riferite;
che sussistono, a parere del giudice a quo, i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare, in considerazione della probabile fondatezza (almeno parziale) del ricorso per cassazione e dello squilibrio rilevabile tra l’importo della cartella di pagamento e il reddito della ricorrente;
che infine, e ancora in punto di rilevanza della questione, la Commissione tributaria rimettente ritiene non applicabile, al giudizio a quo, la sospensione della «lite fiscale» prevista dall’art. 39, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 15 luglio 2011, n. 111, «concernendo la ridetta previsione il processo principale, laddove […] nessuna moratoria risulta disposta per la riscossione».
Considerato che la Commissione tributaria regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, dubita – in riferimento agli articoli 3, 23, 24, 111 e 113 della Costituzione, nonché all’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), quale norma interposta all’art. 10 Cost. – della legittimità costituzionale dell’articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui «non prevede la possibilità di sospensione della sentenza di appello tributaria, impugnata con ricorso per cassazione, allorquando ivi sopravvenga, per la prima volta, il pericolo di un grave ed irreparabile danno, con carattere di irreversibilità e non altrimenti evitabile»
che la questione, pure in tutto identica a quella dichiarata inammissibile da questa Corte con la sentenza n. 217 del 2010, risulta rilevante ed ammissibile anche riguardo ai doveri di sperimentazione preliminare che gravano sul rimettente, al fine di ricercare soluzioni interpretative utili per evitare il denunciato vulnus;
che, infatti, il giudice a quo ha dato conto sia della sussistenza, nel giudizio principale, dei presupposti per l’adozione della sospensione cautelare, sia di pronunce di legittimità ostative al riconoscimento, nel processo tributario, della tutela cautelare nei confronti dell’efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado (Corte di cassazione, sentenze n. 21121 e n. 7815 del 2010);
che inoltre lo stesso giudice a quo, con motivazione non implausibile, ha escluso l’applicabilità al giudizio principale, che ha natura cautelare, dell’art. 39, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, che prevede la sospensione, a fini deflattivi, dei procedimenti pendenti tra contribuenti e Agenzia delle entrate;
che, nel merito, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata;
che in data successiva al promovimento dell’odierna questione, la Corte di cassazione è intervenuta nuovamente sul tema in esame, con la sentenza n. 2845 del 2012, affermando il principio di diritto secondo cui «al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle commissioni tributarie regionali si applica la disposizione di cui all’art. 373 c.p.c., comma 1, secondo periodo […]»;
che, dopo la richiamata pronuncia della Corte di cassazione, è intervenuta la sentenza n. 109 del 2012 di questa Corte, che ha dichiarato non fondata questione analoga all’odierna, sul rilievo della «riscontrata possibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione della disposizione denunciata» nei termini indicati dall’organo di nomofilachia;
che, pertanto, la questione risulta superata dalla successiva evoluzione della giurisprudenza, che ha individuato un’interpretazione della norma censurata compatibile con i principi evocati.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 111 e 113 della Costituzione, nonché all’art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), quale norma interposta all’art. 10 Cost., dalla Commissione tributaria regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2012.